8 Novembre 2025
Filosofia

Immagini del mondo (VIII) – L’errore fatale – Livio Cadè

VIII

L’errore fatale

«Re: qual è la più gran pazzia dell’uomo?

Bertoldo: il reputarsi savio».

(G. C. Croce)

Ogni civiltà è destinata presto o tardi a morire o, se ha ragione Toynbee, a suicidarsi. La fine può arrivare rapida e inaspettata ma è in realtà effetto di un accumularsi di cause. Ogni civiltà, incalzata dalle sue passioni,  lotta con il suo Demone, ingaggia con lui una sorta di laboriosa e tormentata partita a scacchi, il cui esito è scontato. Ma il suo Nero avversario la costringe a cercare mosse efficaci per rimandare il più a lungo possibile lo scacco matto.

Così, ogni civiltà può commettere piccoli errori, ancora rimediabili, o errori gravi, che la espongono a gravi perdite di pezzi. Infine, vi sono errori che la portano a una rapida sconfitta. E forse, proprio nel momento in cui credeva di poter vincere, la nostra civiltà ha commesso un errore fatale. Ha fatto quella mossa che la Morte attendeva per poter esercitare il suo naturale diritto su tutto ciò che vive.

Quell’errore, io temo, ci ha chiusi in uno schema di gioco in cui non v’è più tempo per escogitare brillanti, originali manovre per salvarci da una situazione ormai compromessa. Tutto, nel finale di partita, si riduce infatti a ineluttabili geometrie, a schemi rigorosi. La nostra unica speranza è distrarre il Demone, indurlo a fare come noi un errore grossolano, eventualità assai improbabile.

È difficile per noi riconoscere questo errore fatale, perché ancora crediamo d’aver giocato una mossa vincente, e non ne vediamo l’intrinseca follia, ovvero questa forma di irragionevolezza che è, paradossalmente, la nostra cieca fiducia nella razionalità. Questa “insonnia della ragione”, veglia generatrice di mostri, suicida imprudenza che ci ha convinti fosse giusto mettere il pensiero tecno-scientifico a governo del mondo – come porre la Regina in una casa indifendibile.

Non voglio dire che sviluppare conoscenze scientifiche o fabbricare macchine sia in sé sbagliato. Da sempre l’uomo si avvale della sua intelligenza per scoprire nessi causali e creare strumenti che lo sostengano nel suo dialogo-conflitto con la natura. Scienza e tecnica sono quindi membri di una generale e necessaria filosofia della vita.

Ma non possiamo accettare i loro contributi pratici e teorici senza preoccuparci di integrarli in una complessiva immagine del mondo, in armonia con istanze etiche, sentimentali, spirituali, subordinandoli a quell’unico fine essenziale che è una compiuta e avverata idea del Bene. Perché una filosofia che faccia astrazione da questo compito si riduce a sciocca oziosità e diviene una minaccia alla felicità dell’uomo.

I diversi elementi che formano la nostra visione del mondo dovrebbero quindi fondersi in una solida lega, costituire un sicuro appoggio al nostro proposito d’esser felici, e il livello di una civiltà andrebbe stimato in base alla sua capacità di liberare gli uomini da condizioni di sofferenza, sciogliendoli dall’asservimento a difficoltà materiali e ancor più dalle catene di insensate passioni.

Potremo perciò dire evoluta solo la società in cui prevalgono le condizioni della pace, dell’amore, dell’armonia con la natura, del benessere interiore, della bellezza. E per converso, definire barbara quella in cui regnano l’odio, la violenza, il conflitto, la paura, la volgarità. Nella prima riconoscere una vera ricchezza e un autentico progresso umano, nell’altra un bestiale abbruttimento.

La nostra follia non sta quindi nel progresso in sé, ma nell’aver creduto che le conquiste del pensiero tecnico-scientifico fossero criterio valido e sufficiente per misurare il grado di evoluzione di una civiltà, indipendentemente dal contesto generale in cui tali acquisizioni si collocano e dagli effetti che producono.

Ispirato da tutt’altre certezze, qualcuno, non so se miope o troppo lungimirante, pensò un giorno fosse invece possibile un’evoluzione fondata sulla cristianizzazione, mediante una pedagogia dell’uomo fedele al messaggio del Vangelo. E altri, in modo analogo, hanno certo immaginato di poter costruire una società che riflettesse gli insegnamenti di Zoroastro, del Buddha o di Confucio.

Utopie fragili, destinate a infrangersi contro un muro di dure realtà. Forse utopie premature, che devono attendere tempi nuovi per realizzarsi. Di fatto, le visioni del mondo che auspicavano un’evoluzione dell’uomo in senso etico e spirituale sono rimaste lettera morta, e vengono oggi confutate da un pensiero che usa come parametro evolutivo coordinate scientifiche e tecnologiche.

Incanalare l’ingegno umano su questa strada apparentemente a senso unico è diventato per noi conditio sine qua non del Progresso. Troviamo una tipica espressione di questo pregiudizio nell’idea, oggi apparentemente indiscutibile, che civiltà più antiche di quella terrestre, se esistono, debbano essere necessariamente più evolute di noi, e che questo necessariamente significhi aver raggiunto livelli di conoscenza fisica e di efficienza meccanica superiori ai nostri.

Ma queste presunte necessità logico-evolutive non sono che un parto della nostra fantasia. E v’è in esse un grave pericolo, perché il nostro concetto di progresso finisce col prescindere da ogni valore spirituale. Così, una civiltà il cui livello etico sia pari a quello di uno squalo, ma in compenso ultra-razionale e ultra-tecnologica, ci apparirebbe assai più evoluta di una società saggia e pacifica le cui interazioni col mondo si svolgessero attraverso linguaggi poetici o l’uso di semplici utensili.

La nostra arbitraria ‘gerarchia di civiltà’, ordinata secondo una crescente capacità di rubare alla materia i suoi poteri, di dominare la natura, di dotarsi di trascendentali mezzi tecnici, tradisce solo un delirio di onniscienza e onnipotenza. E noi, si dice, saremmo solo ai primi gradini. Perciò cerchiamo indizi di civiltà superiori, come bambini che desiderano carpire i segreti degli adulti.

Da questo immaginario processo di crescita pare debba venir escluso tutto ciò che attiene alla nostra sfera spirituale, alle dimensioni profonde del cuore umano. L’evoluzione diventa così un processo totalmente esteriore, guidato da leggi meccaniche e deterministiche. In questo progresso materiale alcuni vedono l’inverarsi di attese messianiche, altri una mossa dell’Anticristo o il destino, forse dimenticando che in ogni destino risuona un libero arbitrio, una volontà che può scegliere.

Così, il nostro fatale errore è il risultato di un’opzione di cui, tuttavia, è difficile precisare le ragioni. Forse l’esaurirsi di un ciclo vitale. Forse gli effetti collaterali di un’idea del mondo che per secoli ha sotteso e plasmato la nostra cultura, ossia quel complesso intreccio di elementi giudaici, greci e romani, che formano la trama e i presupposti intellettuali del pensiero occidentale.

Le concezioni fondanti del pensiero indiano o cinese, dove ogni fenomeno è manifestazione del Sacro, orma dell’Invisibile, impedivano a priori che atti tecnico-scientifici oltraggiassero il mistero e la dignità metafisica della Natura. L’Oriente, che veglia sulla santità del mondo, non avrebbe mai autorizzato una scienza la cui hybris profanava santuari divini.

E neppure l’antico spirito pagano dei greci e dei romani, o dei druidi celtici, pervaso di senso panico, conscio degli stretti legami tra il cosmico e il divino, avrebbe mai osato volgersi a prassi dissacranti e perturbatrici dell’armonia naturale. Né si può credere che uno gnosticismo per il quale la materia è caduta, Principio di corruzione, oscura prigione dello spirito, si sarebbe mai abbassato a penetrarne con tanto zelo gli oscuri recessi.

Più plausibile mi sembra vedere le radici della nostra civilizzazione nella pulsione di potenza che muove la storia umana a noi nota. Questa libido dominandi, volontà di vincere e asservire l’altro, è comune a greci e romani, ebrei ed egiziani, indiani e cinesi. Per questo l’uomo ha sempre usato il suo genio per progettare e costruire strumenti di conquista, per escogitare letali invenzioni di ingegneria militare – e il carteggio tra Leonardo e Lodovico il Moro è in tal senso emblematico.

Alcuni spiriti illuminati hanno cercato in ogni tempo di scoraggiare questa demoniaca voluttà di occupare territori, dominare il prossimo, ammazzarlo, depredarlo, ridurlo in schiavitù. Ma i loro appelli sono sempre caduti nel vuoto. Di fatto, pare che niente – né prediche, né lusinghe o minacce – possa guarire l’uomo dalla sua sete di conquista.

La nostra civiltà nasce così dalle pretese della forza, dal sangue, dall’assassinio del fratello. E certo la scienza è stata in questo senso un fattore determinante e decisivo, perché grazie ad essa l’uomo si è dotato di mezzi tecnici di persuasione e di distruzione un tempo inimmaginabili. Ed è assai improbabile per ora che l’uomo desista dai suoi progetti di dominio.

Tali generiche considerazioni non spiegano però perché la scienza moderna sia fenomeno europeo. Caldei, cinesi, indiani, greci, egiziani, erano fisici, astronomi, geometri, logici, matematici, e certo non difettavano dell’ingegno per mettere a frutto le loro conoscenze. Ma il loro desiderio di sapere fu probabilmente delimitato da una forma di rispettosa soggezione per il carattere sacro del cosmo.

La nostra scienza sembra invece nascere da una immagine del mondo che spoglia la natura di ogni dignità sacrale, la priva di ogni carattere divino, ne espelle gli spiriti, gli Dei, le arcane risonanze. Non vi riconosce un Soggetto, ma un oggetto che Dio crea e concede all’uomo perché lui, l’eletto, destinato a regnare sulla Terra, se ne serva.

Questa concezione di un mero rapporto strumentale tra l’uomo e la natura, giunta a noi attraverso un pensiero biblico intriso di aggressivo e antropocentrico materialismo, si è fusa nella nostra cultura con le ardite sottigliezze del pensiero greco, ed è questa a mio avviso la doppia semenza da cui ha preso corpo una scienza piegata a finalità non scientifiche.

Abbiamo dovuto superare la caduta di un impero, digerire le invasioni barbariche, attendere che dalle ceneri del mondo antico rinascesse l’amore per lo studio, si formassero delle università, che l’uomo ritrovasse in sé la passione per la conoscenza. Ma dopo tanti secoli quei vecchi semi, geneticamente combinati, erano ancora lì, pronti a germogliare.

La fisica come studio dei fenomeni naturali, delle loro cause e delle loro relazioni, è così presto diventata l’ancella di una tecnologia sempre più sofisticata ma di fatto legata a rozze forme di potere. Privando la natura di ogni fondamento spirituale l’abbiamo posta al servizio di una farneticante e illimitabile volontà di potenza, in contraddizione con i reali bisogni dell’uomo.

Il culto morboso per le iperboli della razionalità e della tecnica, dall’Occidente è dilagato nell’intero pianeta come una incontrollabile epidemia. Una mentalità illuministica popolata di fantasmi liberatori e progressisti ha contagiato ogni angolo della Terra, è divenuta ideologia globalizzante, producendo un omogeneo confluire delle varie culture sotto un’unica bandiera.

Si potrebbe quindi pensare che la civiltà cristiana, dopo aver accarezzato per secoli il progetto d’esser Chiesa universale, abbia infine coronato il suo sogno ecumenico in modo paradossale, convertendo il mondo intero non al Vangelo ma alla sua scientifica immagine della realtà, ovvero a un’idea priva di qualsiasi nesso col messaggio di Cristo, di cui è anzi una radicale negazione.

Infine, l’ombra di Dio, che ancora incombeva sulla pur carnale religiosità ebraica, si è dissolta sotto la luce del positivismo scientifico. È così rimasta davanti a noi solo una natura nuda, senza dignità, come una meretrice che possiamo comprare, stuprare, violare secondo i nostri desideri. Carne inerte che si offre a noi perché ne abusiamo.

Siamo oggi molto più sapienti e potenti che in passato. Ma il nostro sapere è follia e il nostro potere è sopruso. Quella che diciamo evoluzione della nostra civiltà rappresenta solo l’imporsi di un’idea del mondo scientificamente sviluppata, in modo che un’antica cupidigia potesse trarne le più infami applicazioni, adattarla al suo fondamentale satanismo.

Perché, come scrive Erasmo, “la pazzia costruisce città, imperi, istituzioni ecclesiastiche, religioni, assemblee consultive e legislative: l’intera vita umana è solo un gioco, il semplice gioco della Follia.” E non potendo curare tale follia con la ragione, di cui si nutre, dovremmo forse usare come medicina un’altra follia. Se nella nostra partita con il Demone non facessimo mosse scientifiche ma quelle che lo spirito ci suggerisce, forse potremmo ancora salvarci.

Ma siamo ubriachi di un sapere che crea incubi, labirinti in cui l’uomo si perde; di un progresso che insegna come auto-distruggersi; di una tecnica che promette di evolverci in esseri transumani prima ancora d’essere umani; di una logica che si ritiene inoppugnabile, ma commette errori fatali. E come dice il Vangelo di Tomaso: «ora sono ubriachi. Allorché avranno vomitato il loro vino, allora faranno penitenza». Un ubriaco non dovrebbe giocare a scacchi con il suo Demone.

8 Comments

  • Angela 26 Ottobre 2025

    Buongiorno Sig. Cadè, mi sembra che la sua analisi non sia corretta. Semplifico quanto da lei affermato ad un certo punto del suo articolo: “La civiltà cristiana… ha… coronato il suo sogno ecumenico… convertendo il mondo… a un’idea priva di qualsiasi nesso col messaggio di Cristo, di cui è anzi una radicale negazione”. Quella che lei identifica come civiltà cristiana non lo è affatto da parecchio tempo. A partire dal rinascimento l’occidente ha progressivamente assimilato e messo in pratica un pensiero del tutto estraneo al cristianesimo e mi riferisco specificamente a Marsilio Ficino, a Pico della Mirandola, a Cartesio, fino a Spinoza e poi a Kant ed Hegel, per quanto riguarda la filosofia. Sul piano prettamente religioso mi riferisco soprattutto al protestantesimo e, più vicino a noi, al modernismo teologico in ambito cattolico. Non parli dunque del positivismo scientifico, ulteriormente ridotto a tecnologismo, come esito di una civiltà cristiana, ma semmai come esito della degenerazione di quella civiltà, degenerazione che, sottolineo, è iniziata ed arrivata anche ad una certa maturazione, già molto prima del secolo scorso in cui cominciarono a manifestarsi gli effetti di quella dissoluzione che lei lamenta.

    • Livio Cadè 26 Ottobre 2025

      Lei ha perfettamente ragione, e difatti, nel passo che Lei cita, parlo di un paradosso, cioè del fatto che consideriamo ‘civiltà cristiana’ qualcosa che non ha nulla in comune col Vangelo, tanto che da questa civiltà occidentale, sedicente ‘culla del cristianesimo’, sono nate una scienza materialistica e una tecnologia dai tratti diabolici. E solo queste son diventate realtà ‘ecumeniche’, Chiesa universale.

  • Angela 26 Ottobre 2025

    D’accordo Sig. Cadè, ma lei afferma che la “concezione di un mero rapporto strumentale tra l’uomo e la natura” sarebbe “giunta a noi attraverso un pensiero biblico intriso di aggressivo e antropocentrico materialismo”; non è forse il Vangelo ‘pensiero biblico’?

    • Livio Cadè 26 Ottobre 2025

      Sì, è vero. Ma io ho da tempo questo pregiudizio, che il Vangelo non appartenga alla Bibbia, che vi sia incluso a forza, come una specie di corpo estraneo. Avrei trovato più giusto che il cristianesimo sciogliesse i suoi legami con l’ebraismo (un po’ come in India il buddhismo, pur nascendo dall’induismo, se ne è reso indipendente). Invece ce lo siamo caricati sulle spalle. Ma questo è ovviamente solo una mia idea. Solo che a volte mi dimentico di questo pregiudizio personale e dico ‘biblico’ quando dovrei dire invece ‘veterotestamentatrio’. Faccio ammenda.

  • Angela 26 Ottobre 2025

    Le sue ultime affermazioni sono interessanti, a patto di poterle precisare meglio. Quello che lei definisce ebraismo, la cui espressione è l’AT, io lo chiamerei invece giudaismo, la cui espressioe è il Talmud. La conseguenza è che il quadro che lei dipinge è, a parer mio, più complesso: il NT è in continuità con l’AT (a dirlo è lo stesso Gesù quando parla di ‘compimento’), ma è incompatibile con il Talmud ed è questo il legame da sciogliere. D’altra parte la chiesa cristiana mantenne sempre fin dall’inizio le distanze dal giudaismo talmudico e cominciò ad esserene vittima solamente quando questo giunse massicciamente in Europa e venne surrettiziamente introdotto nella civiltà occidentale, che allora era una civiltà propriamente cristiana, ad opera degli umanisti. Non so se sono riuscito a spiegarmi; direi che la sua analisi pecca di questa sola mancanza: la distizione fra AT e Talmud, diciamo fra ebraismo e giudaismo, che mi sembra invece essenziale. Il problema si complica poi ulteriormente nel momento in cui lei cita il vangelo di Tommaso il cui contenuto è prossimo allo gnosticismo, una delle correnti talmudiche che venne ‘importata’ nel cristianesimo anche sotto la forma dei vangeli apocrifi. Se lei sostituisce al termine ‘veterotestamentario’ il termine ‘talmudico’ sono perfettamente d’accordo con lei, il che però implica la rinuncia ai vangeli apocrifi, altrimenti ci diamo la zappa sui piedi.

    Lo scientismo moderno non sarebbe dunque la risultante di AT + scienza greca, ma di Talmud + scienza greca e la prova ancorchè indiretta di questo, sta nel fatto che la scienza, così come oggi viene intesa, è finalizzata al controllo dei fenomeni (cosa che ai greci interessava relativamente) e che il controllo dei fenomeni, tanto materiali quanto sottili, è lo scopo della magia. La magia è la specialità del cabalista e la cabala (spuria) è la manifestazione ‘classica’ del giudaismo talmudico. In altri termini: lo scienziato occidentale, il tecnologo, cultore delle scienze applicate, non è altro che la versione aggiornata del mago cabalista.

    Alla fine dunque posso anche trovarmi d’accordo con la sua analisi, però con tutte le dovute precisazioni e distinzioni.

  • Livio Cadè 26 Ottobre 2025

    La ringrazio di queste precisazioni, che condivido con alcune riserve. Mantengo cioè la mia idea che il NT sia compimento del vecchio nel senso che lo oltrepassa e se lo lascia alle spalle, anche se ne assimila i valori essenziali. Penso quindi che non dovremmo vedere nel cristianesimo un perfezionamento della religiosità ebraica ma il passaggio a una diversa dimensione.
    Perfettamente d’accordo invece su magia e cabala spuria, fenomeni che già in altre occasioni ho indicato come antitesi radicale di ciò che intendo per ‘spiritualità’. Lo scienziato-tecnologo come aggiornamento del mago rinascimentale è figura cui sono ricorso più volte.
    Per quanto riguarda il Vangelo di Tomaso e la sua natura gnostica e talmudica, credo si possa dire che il testo contenga in tal senso infiltrazioni, aderenze, ma credo presenti anche autentici detti di Gesù. Inoltre, lo ‘gnosticismo’ è fenomeno complesso, che riguarda ogni religione, ed è un termine che oggi viene troppo rapidamente liquidato con semplificazioni, omologazioni, spesso ‘demonizzato’ senza sufficiente cognizione di causa. In ogni caso quella che ho inserito in coda è solo una citazione occasionale, che si prestava a rendere la semplice idea che prima o poi dovremo purgare la nostra attuale follia.

  • Gaetano Barbella 27 Ottobre 2025

    Egregio Signor Cadé
    Ha voluto allegare al suo scritto il dipinto che è intitolato Die Schachspieler (I giocatori di scacchi), noto anche come Scacco matto o The Devil’s Checkmate, ed è un’opera del 1831 del pittore tedesco Friedrich Moritz August Retzsch (1779-1857).
    Il dipinto raffigura una partita a scacchi tra un giovane uomo e il Diavolo che ha in palio la sua anima.
    Il Diavolo, che sembra fiducioso, è seduto alla scacchiera con un’espressione sicura, mentre l’uomo, con la testa tra le mani, sembra sconfitto.
    Un angelo è raffigurato in piedi dietro l’uomo, a simboleggiare la speranza. La storia narra che il maestro di scacchi americano Paul Morphy, osservando il dipinto, notò che la posizione non era uno scacco matto e che l’uomo aveva ancora una mossa per vincere la partita.
    Il dipinto è diventato un simbolo di speranza e perseveranza, a significare che anche quando tutto sembra perduto, c’è sempre una mossa in più da fare.
    Infatti il pittore ha rappresentato un angelo fiducioso, quindi la speranza, in più il giovane uomo non è un vecchio senza vigore, e allora che dire sul titolo “I giocatori di scacchi” noto come “Scacco matto”? Non può essere invece che sia il diavolo a subire lo scacco matto? E poi il busto del leone dell’oscurità, accanto al verde diavolo, vagheggia fiducioso nel giovane vestito di rosso, per ridiventare il re. Altrimenti perché il pittore lo ha rappresentato? Come ha far capire che esiste un’alternativa al diavolo con il copricapo dell’orgoglio di una vistosa penna rossa di un uccello!
    Gli artisti architettano un certo tema, che il più delle volte affidano all’alchimia, e il giovane è l’uomo in lui che vuole sopravvivere: questo vuol essere il messaggio del dipinto “Die Schachspieler”. Quella penna rossa potrebbe dal luogo alla “Coniunctio Oppositorum” alchemica. Ovvero all’impossibile matrimonio fra i due per dire che la vita continua in qualche modo senza dar torto a nessuno.
    Ma lei che messaggio lascia ai lettori di Ereticamente con il suo scritto? Un speranza forse? No!
    Lei scrive conclude in questo modo:
    «Siamo oggi molto più sapienti e potenti che in passato. Ma il nostro sapere è follia e il nostro potere è sopruso. Quella che diciamo evoluzione della nostra civiltà rappresenta solo l’imporsi di un’idea del mondo scientificamente sviluppata, in modo che un’antica cupidigia potesse trarne le più infami applicazioni, adattarla al suo fondamentale satanismo.» E altre vecchie considerazioni, le sue?
    Gaetano Barbella

  • Livio Cadè 27 Ottobre 2025

    Egregio signor Barbella,
    come Lei stesso fa notare, nel dipinto che ho scelto c’è un elemento di speranza, e non ho certo scelto quel quadro a caso.
    Ho anche scritto che possiamo sperare in un errore grossolano del nostro Demone che rimetta in forse l’esito della partita, ovvero che la nostra demonica follia si distrugga da sola.
    Vi sono poi, nella storia di ogni civiltà, elementi imponderabili, dei quali non possiamo sapere nulla. E in questi, volendo, si può sperare. È una speranza basata più sulla volontà che sulla logica. E infatti, se mi chiede un’opinione personale, non posso che inclinare al pessimismo, vedendo quel che succede. Ma non dispero.

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