Immune al tracollo che ha coinvolto gran parte delle antiche credenze, sopravvive con sorprendente resilienza il «millenarismo» (o chiliasmo, dal greco chilias = mille), una visione religiosa che risale alle tradizioni ebraiche apocalittiche del Giudaismo del Secondo Tempio (VI sec. a.C. – I sec. d.C.) e alle attese cristiane della Parusia (seconda venuta di Cristo).
Prima del Giudizio Finale – si legge nell’Apocalisse di Giovanni (20:1-6) e nel Libro di Daniele (cap. 7-12) – ci saranno mille anni (millennium) di regno di Cristo sulla Terra, un periodo in cui Satana sarà incatenato e i santi regneranno con il Salvatore in pace e giustizia, preparando la definitiva sconfitta del Male e l’instaurazione del regno eterno di dio.
Chiaramente il millennio in questione era simbolico, non letterale (Agostino). Nonostante i primi cristiani – influenzati dal giudaismo apocalittico e dall’attesa messianica – lo abbiano spesso interpretato in senso fisico e terreno, aspettandosi un regno visibile di Cristo in Gerusalemme.
Dopo un periodo di stasi, l’ansia dell’attesa venne recuperata da alcuni movimenti medievali (es. Gioacchino da Fiore e i Fraticelli), che predicavano l’avvento di un «terzo regno» dello Spirito Santo, un’Era di perfezione mistica e libertà dalla gerarchia ecclesiastica contraddistinta da povertà evangelica, rivelazione diretta e giustizia universale.
Su queste basi la Riforma protestante (es. Anabattisti di Münster, 1534) edificò le «città millenariste», luoghi in cui i fedeli potevano vivere in sicurezza l’attesa del ritorno di Cristo. Una volta incistato nella Soria europea, il millenarismo secolarizzato arrivò in buono stato fino alla Rivoluzione Francese e al marxismo (si pensi all’utopia della «società senza classi»), che possono essere considerati i precursori ideologici del mito dell’intelligenza artificiale: non particolarmente intelligente, né artificiale.
Durante il XIX-XX secolo assorbì linfa grezza da queste radici anche il concetto filosofico e scientifico di noosfera (dal greco nóos = “mente” e sphaira = “sfera”), che convertì l’attesa messianica del Giudizio Finale in quella di un passaggio graduale alla coscienza globale.
Spaziando tra spiritualità e futurismo, quest’idea si basava sulla convinzione che la rete neurale del pianeta potesse spontaneamente dare vita a un nuovo Cielo e una nuova Terra, inglobando l’uomo. In particolare, due interpreti di questa teoria fecero scuola:
• Vladimir Vernadskij (scienziato russo, 1863–1945), il quale collegò la noosfera all’evoluzione geochimica della Terra stimolata dall’attività umana in veste di forza geologica (un’anticipazione dell’Antropocene);
• Pierre Teilhard de Chardin (gesuita e paleontologo francese, 1881–1955), che interpretò l’evoluzione cosmica con la teologia cristiana, ipotizzando una convergenza finale di conoscenza e spiritualità nel «Punto Omega», dove l’umanità si sarebbe unita al Cristo redentore compiendo un salto evolutivo “ultraumano“, o “transumano” (R. Campa, Il fascino inquietante dell’ultraumano. Teilhard de Chardin e la ricezione del suo pensiero nella chiesa cattolica, Orbis Idearum, Vol. 5, Issue 2 – 2017).
Con la digitalizzazione la noosfera non scomparve del tutto, ma s’incanalò nella visione della «Singolarità Tecnologica» (Kurzweil, Vinge), un’interpretazione tecno-gnostica della millenaria teoria dei «cicli cosmici» che considera la Storia un succedersi ordinato di epoche, ciascuna governata da leggi eterne di ascesa e declino.
Molti transumanisti, oggi, riservano alla Singolarità la stessa trepidazione escatologica un tempo riservata al Millennio cristiano o al ritorno messianico, così che l’attesa ha finito per disegnare una nuova parabola salvifica dove l’evoluzione artificiale sostituisce la redenzione divina.
Il meglio arriverà, forse non oggi, ma sicuramente domani: quando l’uomo salverà se stesso, dimenticando limiti e paure. Poi, però, approfondendo l’argomento, si scopre che sono cambiati solo i nomi delle cose:
o Dio = Singolarità Tecnologica
o Anima immortale = Mind Uploading
o Paradiso = Realtà Virtuale Perfetta
Al momento, la versione 4.0 del detto popolare “aspetta e spera che già l’ora si avvicina” sembra più che altro l’allucinazione di chi pensa di poter vincere alla lotteria senza comprare il biglietto, e, con le tasche vuote, fa l’elenco delle cose da comprare una volta diventato milionario. Incurante di ciò Ray Kurzweil, il grande “magus” della Valle del Silicio, assicura che il progresso esponenziale, non lineare, permetterà alla Singolarità di essere operativa a far tempo dal 2045.
La visione millenarista, intanto, prosegue a dispetto dei risultati:
• il Millenarismo tradizionale → attendeva l’evento trascendente (Dio/natura) che avrebbe purificato e rigenerato il mondo) → mai realizzato;
• la Noosfera → attendeva l’evoluzione immanente (coscienza più scienza) che avrebbe unificato l’umanità → mai realizzata;
• la Singolarità → attende la tecnologia autonoma (IA) che trascenderà l’umano → si vedrà.
Tutto questo stimola essenzialmente due riflessioni: 1) la realtà è molto più complessa e imprevedibile di come la immaginiamo; 2) negli ultimi duemila anni l’essere umano ha perso la capacità di vivere nel presente, perciò si dibatte tra attendismo e accelerazionismo, ovvero tra il millenarismo secolarizzato e la smania di bruciare le tappe.
Appartiene alla seconda tendenza la corrente più radicale e tecno-libertaria del transumanesimo: l’«accelerazionismo» (Nick Land e la Cybernetiche School di Warwick), promotore della necessità di superare le contraddizioni dell’attuale sistema accelerando i processi tecnologici, economici e sociali fino al punto di rottura. Se non ora (che la tecnologia è all’apice), quando?

Fotografia di un mondo alla deriva, l’idea di sollecitare la venuta del nuovo ordine post-umano premendo sull’acceleratore, individua nella corsa la via di salvezza (es. cyberpunk esoterico, analisi matematica, cripto-stregoneria, informatica, cultura underground).
Spinto dall’esigenza di assecondare la legge entropica, il mago-pirata informatico accelera al massimo per uscire dalle spire del contingente. Punta sulla virulenza di internet e cerca di provocare l’evento escatologico che ribalterà l’ordine esistente, producendo una benefica funzione redentiva (la salvezza dopo il caos).
Nell’ottica di Land e compagni, la visione ottimistica della distruzione del genere umano diventa «iperstizione». Una forma di magia postmoderna in cui narrazioni, meme e rituali digitali plasmano la realtà in modi imprevedibili, spesso al confine tra il gioco e l’occultismo, tra ironia e fanatismo. Non ultima, la guerra psicologica che trova nella rete un campo di battaglia ideale.
Land vede l’accelerazione come una forza che dissolve le strutture tradizionali (Stato, identità, significato). I suoi seguaci si nutrono di feedback e loop mediatici, algoritmi paranoici e profezie strampalate che trasformano il caos in una forza motrice incurante delle conseguenze. Quasi fossero stati gettati in un labirinto da una forza oscura, questi soggetti (umani e/o politici) non hanno una mappa, né una strategia precisa.
Coordinate cancellate = percorso obbligato.
Il tutto, muovendosi a casaccio in un territorio sempre più decentralizzato e algoritmico che facilita lo smarrimento in un labirinto senza centro dentro il quale l’«uomo carente», disorientato e pressato dall’urgenza di «far accadere le cose», si perde nell’immanenza tecno-capitalista, diventando egli stesso puro vettore di un divenire che non ha più bisogno di soggetti.
Per gli accelerazionisti l’unica opzione è abbandonarsi agli eventi, ovvero trasformarsi in «nodi» del labirinto stesso, cyborg e algoritmi che partecipano alla frenesia del capitale (“nulla è vero, perciò tutto è permesso”). Al contrario i millenaristi o attendisti del passato, temendo la sconfitta, scelsero il fatalismo come scusa per non agire (“le profezie non mentono”).
Le due posizioni, si assomigliano più di quanto sembri.
Si tratta di astrazioni lontane dalla prassi concreta: gli accelerazionisti sono ubriachi di volontà, mentre gli attendisti appaiono paralizzati dalla contemplazione. Ma entrambi condividono la convinzione secondo cui il rito di passaggio selezionerà i «migliori», esonerandoli dai limiti della carne e della Storia, rendendoli quasi immateriali.
Fermo è il rifiuto del presente, per questo non si vede l’uscita dal labirinto.
L’accelerazionista confida nella Crisi, mentre l’attendista delega alla Storia il compito di vivere al posto suo: vince, in ogni caso, la paura di perdere di chi oggi non ha il coraggio di vincere. Ma fino a quando l’uomo – eterno Teseo senza Arianna – continuerà ad inseguire il filo d’ombra delle sue elucubrazioni, rifiutando il presente in nome di una salvezza sempre promessa e mai raggiunta?
Millenarismo, noosfera, accelerazionismo e singolarismo sono variazioni dello stesso mito escatologico: cambiano i nomi dei salvatori (Dio, Coscienza Collettiva, Intelligenza Artificiale, Ignoto) e gli strumenti del riscatto (preghiera, tecnoscienza, iper-produttività, algoritmi), ma la cecità concettuale è sempre la stessa.
Incapaci di riconoscere che il Minotauro è la proiezione dei loro desideri, la materializzazione dei loro sogni più oscuri, accelerazionisti e attendisti si aggrappano alla speranza di trascendere l’umano, perdendosi nel dedalo di significati, sospesi tra utopia e distruzione.
E dire, che l’auto-salvezza è qui ed ora.
Persino in un universo reticolare dove ogni esistenza è impigliata in relazioni indecidibili, l’attesa può diventare azione (come la voce di Giovanni Battista, che nel deserto prepara la via) e la corsa disperata verso un «premio» incerto può rovesciarsi in un’adesione radicale al caos come forziere di possibilità (Filippesi 3:14, “protendomi verso ciò che mi sta davanti”).
Non esiste via d’uscita al di fuori di quella spirituale.
Siamo lontani, dunque, dal concetto di «auto-salvezza terrena» analizzato dalla psicologia umanistica e dalle teorizzazioni di Carl Rogers e Abraham Maslow, che invece hanno studiato il concreto potenziale di auto-realizzazione e di crescita personale in chiave laica, cioè nei limiti dell’umano.
Ciò significa che il prossimo salto qualitativo, sarà una rottura. È l’intuizione di Kierkegaard: la fede non è una soluzione, ma il coraggio di vivere nell’aporia. È l’«atto senza garanzia» di cui parlava Lacan: agire in modo disinteressato (né Singolarità, né Messia), perché solo la mancanza del secondo fine può rendere autentico il cammino.
Persino Nietzsche, nel suo folle annunciare la morte di dio, osservò che il vero pericolo non era l’assenza di risposte, bensì l’incapacità di formulare le giuste domande. Ne consegue che la prima cosa da fare, se davvero si vuole uscire dal labirinto, è smettere di cercare il filo di Arianna, cioè staccarsi dall’egomania iperconnessa e seguire l’istinto. La rivoluzione interiore non chiede accelerazioni né attese, ma l’accettazione del caos che già le abita.


