In Italia, il secondo dopoguerra fu caratterizzato da forti tensioni politiche e sociali, che furono la diretta conseguenza dei fatti bellici e della cruenta guerra civile da poco terminati.
Anche nella nostra provincia si verificarono diversi episodi, riconducibili a quelle tensioni, che si conclusero in modo drammatico.
Alcuni di questi episodi si svolsero a Lerici o ebbero come protagonisti dei suoi abitanti.
Infatti il primo di questi tragici fatti avvenne a Genova, il 28 maggio 1945, dove alcuni ex partigiani di Lerici prelevarono con la forza dalla sua abitazione Manfredi Domenico, nato a Lerici nel 1913, ex sottufficiale della Marina della RSI, e condottolo in un luogo appartato, lo uccisero con un colpo di pistola.
Il secondo episodio, invece, si svolse a Lerici in via Cavour, vicino alla piazza del mercato; qui la sera del 29 giugno 1945, alle ore 23.30, due donne che stavano rincasando, dopo essere state al cinema, Caterina Frau e la madre, Angela Muzio, furono uccise da diverse raffiche di mitra. I carabinieri rinvennero nei pressi dei corpi ben 36 bossoli di mitra Sten; sulle scale della loro abitazione fu ritrovato anche un biglietto con scritto “Venduta”.
Su Caterina Frau circolavano in paese voci contraddittorie: per alcuni era stata una staffetta partigiana per altri invece una spia, collaboratrice dei tedeschi e dei fascisti. La madre fu vittima innocente e casuale poiché del tutto estranea alle vicende.
Anche in questo caso le indagini portarono all’arresto di alcuni ex partigiani lericini.
Il terzo episodio si svolse poco distante da Lerici, a Romito Magra, dove la sera del 9 luglio 1945, alcuni ex partigiani di Lerici entrarono con la forza nell’abitazione di Passalacqua Faustino, che era in compagnia della sua amante, Emilia Tartaruga. I due furono prelevati e condotti in aperta campagna. Il Passalacqua, però, riuscì a fuggire in modo rocambolesco, mentre la donna, Emilia Tartaruga, fu uccisa con un colpo di pistola alla tempia e gettata in un fosso in località Martino.
Su entrambe le vittime circolavano voci che fossero state in tempo di guerra borsari neri e che in alcune occasioni, spacciandosi per partigiani, avessero perpetrato degli espropri di merci ai danni della popolazione
locale.
Per tutti questi crimini il 18 marzo 1947, presso la Corte d’Assise Ordinaria della Spezia, che aveva sede in piazza Verdi, si aprì un processo a carico di una dozzina di ex partigiani lericini. A condurre il processo fu il Procuratore Generale Vincenzo Carta, mentre il Presidente era Oreste Chiarini.
Dietro le sbarre della gabbia degli imputati comparvero: Lazzerini Giuseppe, 34 anni, di Lerici; Mazzoli Luigi, 45 anni, di Lerici; Lagomarsino Corrado, 35 anni, di Arcola; Bibolini Andrea, 21 anni, di Lerici; Campanella Pasqualino, 19 anni, di Lerici; il cugino Campanella Pasquale, 23 anni, di Lerici; Loffredo Renzo, 23 anni, di Lerici; Passalacqua Edoardo, 23 anni, di Lerici; Del Santo Domenico, 22 anni, di Lerici; Colotto Renato, 39 anni, di Lerici; Baldereschi Giovanni, 36 anni, di Lerici; fu imputato anche Tomaso Lupi, 46 anni, di Lerici, che all’epoca dei fatti era sindaco della cittadina, ma che era latitante.
A difendere gli ex partigiani una squadra di avvocati tra i quali spiccavano per fama forense l’avv. Toracca, già ex gerarca spezzino del PNF, e gli avvocati Squadroni, Malatesta e Bianchetti.
Durante il processo, che durò una decina di giorni, emersero alcuni fatti: in casa di Passalacqua gli ex partigiani asportarono un orologio, una damigiana d’olio e 29 mila lire, che poi si divisero tra loro. Ad uccidere la Tartaruga Emilia furono i due cugini Campanella. La Frau non fu una staffetta partigiana, infatti la ragazza andava spesso “ai monti” perché tra i partigiani aveva un fidanzato; ella fu comunque arrestata dalla polizia della RSI e detenuta in carcere per tre mesi, durante i quali ebbe un trattamento di favore. I funerali della Frau e della madre furono organizzati dall’Anpi di Lerici e a portare a spalla le bare delle due donne furono alcuni dei giovani ex partigiani che concorsero ad ucciderle. Gli accusati durante le loro deposizioni, accusarono la Frau di essersi in diverse circostanze adoperata per fare liberare dei prigionieri fascisti dopo la fine del conflitto.
Nelle fasi processuali gli imputati si accusarono a vicenda di essere gli esecutori o i mandanti dei delitti: Mazzoli, ad esempio, dichiarò ripetutamente che a dare l’ordine di sopprimere la Frau furono Tomaso Lupi e Renato Colotto.
Lupi, latitante, si presentò a testimoniare il secondo giorno del processo, respingendo le accuse mossegli da Mazzoli. Anche Colotto respinse le accuse e aggiunse che Mazzoli li avrebbe accusati di essere i mandanti dell’omicidio della Frau per vendicarsi del fatto che lo avevano denunciato al CNL per i suoi comportamenti scorretti.
Tra i testi chiamati a deporre vi fu il maresciallo dei carabinieri Luigi Monaco, che raccontò come la “ghenga” costituita da Bibolini, i due cugini Campanella e da altri ex partigiani, stesse terrorizzando Lerici nei mesi successivi la fine della guerra.
Una testimonianza di peso fu quella dell’ex questore della Spezia Renato Jacopini, il quale confermò di avere saputo da Colotto delle “bravate” di alcuni ex partigiani che turbavano la quiete pubblica di Lerici. Jacopini ammise anche che la Frau lo era andata a trovare alcune volte per perorare la liberazione di ex fascisti.
Altra deposizione importante fu quella di Alberto Perego, già commissario di P.S., che dichiarò che su ordine di Jacopini, nell’estate del 1945, provvide ad arrestare diversi ex partigiani di Lerici, che però furono rimessi in libertà poco dopo.
Come teste a difesa degli imputati testimoniò Pietro Galantini, segretario provinciale dell’Anpi, che affermò di avere svolto per suo conto delle indagini dopo i delitti di Lerici, che confermarono il trattamento di favore che la Frau ricevette dai fascisti nei tre mesi di carcere; inoltre disse di avere saputo da Aurelio Gallo, agente del servizio di sicurezza tedesco, che la Frau gli aveva fornito delle informazioni sul CNL lericino.
Giovedì 27 marzo 1947, il Procuratore Generale Vincenzo Carta lesse le sentenze: condanne detentive da 17 a 11 anni per Lazzarini, Mazzoli, Bibolini, i due cugini Campanella, Del Santo; assoluzione per non avere commesso il fatto per Tomaso Lupi, Edilio Lupi, Giovanni Baldereschi, Renato Colotto, Agostino Vigo.
Assolti perché i delitti rientravano nell’amnistia Renzo Loffredo e Edoardo Passalacqua. L’amnistia in questo caso fu quella del 22 giugno 1946, voluta dal Guardasigilli Togliatti, ministro della Giustizia nel governo di coalizione nazionale, guidato da De Gasperi; questa amnistia fu estesa a tutti i reati politici commessi in tempo di guerra civile sino al 31 luglio 1945.
Il 18 settembre 1953 intervenne una seconda amnistia e indulto, approvata dal governo Pella, che fu estesa a tutti i reati politici commessi entro il 18 giugno 1948.
Proprio a seguito di questa seconda amnistia ed indulto, presumo che gli ex partigiani riconosciuti colpevoli degli omicidi di Lerici, non abbiano scontato per intero la loro condanna.
Fonte delle informazioni: articoli apparsi sul quotidiano del PCI “L’Unità” – cronaca locale dal 18 marzo 1947 al 27 marzo 1947 a firma del giornalista A.Z.

La Spezia, 15 aprile 2025 prof. Riccardo Borrini