15 Maggio 2025
Appunti di Storia

Josip Broz in arte Tito – Maria Cipriano

E’ sepolto in un candido sepolcro in mezzo ai fiori, anzi a verdeggianti piante che paiono vegliarlo e mollemente lambire i bordi immacolati della sua tomba quasi accarezzandolo, come fosse il figlio della Fata Turchina o del dio Pan, in quel di Belgrado, città di cui fin da principio si disinteressò, la sua concentrazione essendo tutta appuntata su Trieste, Gorizia e il nostro confine orientale, sognando di arrivare al Tagliamento dopo aver passato l’Isonzo: il chiodo fisso, l’ossessione, il tarlo rodente degli jugoslavi fin da quando Napoleone Bonaparte cominciò a dischiudere loro le porte di quel versante a scapito dell’Italia. Ma Napoleone uscì presto di scena, e ci pensò Vienna dopo di lui a favorire e sviluppare adeguatamente l’opera malefica dell’usurpazione. Ebbe un secolo di tempo l’Austria, quanto basta per riuscire a estromettere gli italiani dalla Dalmazia e da Ragusa, e mettere in serio pericolo anche l’Istria, Fiume, il Friuli orientale e la stessa Trieste. Tito sapeva tutto questo, ma continuò per decenni dopo la guerra a recitare la sceneggiata contraria di fronte alle sue folle esagitate, ululando che il confine orientale era “slavo fin dalla notte dei tempi”, intimorendo i nostri governanti di allora, oppressi dai sensi di colpa per la guerra fascista, né c’è da meravigliarsene, visto che ancora adesso dopo 80 anni, anche se la legge del ricordo ha cambiato molte cose, la sceneggiata, se pur con altri attori, comprimari, comparse e addetti ai lavori continua senza ritegno, aggravata dall’aver scoperto che noi italiani “non siamo brava gente”, una delle frasi più cretine udite negli ultimi tempi.

Di Tito si è vociferato addirittura che non fosse lui, cioè che non fosse il vero Josip Broz di padre croato e madre slovena nato nella gretta, triste e povera Croazia asburgica bramosa di espandersi nell’Adriatico sostituendosi agli italiani in quei territori che chiamiamo confine orientale, bensì che fosse un altro, nella fattispecie un ufficiale russo spacciato per jugoslavo, inviato in Jugoslavia da Stalin per far la rivoluzione dopo aver eliminato il vero Josip Broz, e, con la rivoluzione bolscevica da brandire in mano, impiantare così le cellule comuniste clandestine nel Regno dei Serbi dei Croati e degli Sloveni nato all’indomani della Grande Guerra sotto la guida di Re Alessandro Karadordevic di Serbia, e poi, dopo il 1941, incitare, pianificare e dare pratica attuazione alla cacciata degli invasori italo-tedeschi e degli altri due che in comunione con questi parimenti avevano invaso, vale a dire bulgari e ungheresi.

E in effetti, considerando la funzione che svolse il cosiddetto Tito (l’origine di tale  pseudonimo echeggiante il più amato degli imperatori Romani non è chiara), fidato agente del tiranno georgiano detto Stalin e della Terza Internazionale, centrale semiocculta di potere deputata a propagare il comunismo nel mondo, possiamo dire che la definizione di stalinista e russofilo gli calza a pennello, mentre a parer mio non si può avallare la supposta realtà anagrafica, in quanto il fatto che questo personaggio sapesse suonare il pianoforte come alcuni hanno attestato, ritenendolo un dato non credibile se riferito al vero Josip Broz, non prova che non fosse lui, in quanto il pianoforte può averlo imparato proprio nei proficui anni trascorsi in Unione Sovietica come diligente discepolo dell’Istituto Lenin di Mosca e di quei numerosi apparati, uffici, scuole, etc., che con metodica e burocratica efficienza e puntigliosità nascevano come i funghi in tutte le repubbliche socialiste sovietiche onde indottrinare le masse e i quadri dirigenti: e guai a chi sgarrava anche col pensiero, la Santa Inquisizione Spagnola avrebbe da imparare. Ma qualche angolo di tempo libero ci doveva pur essere tra una lettura e l’altra, tra un apprendimento e l’altro, tra un lavaggio del cervello e l’altro, tra un arresto e l’altro di presunti oppositori e nemici del popolo, intervalli riposanti in cui Tito può aver imparato a suonare il pianoforte per rilassarsi (anche Putin lo sa suonare), probabilmente insegnatogli da una donna, visto che la sua aria da rubacuori, la sua vanità e la convinzione di essere perfino bello lo accompagnò fino a tarda età, da qui i dissapori e litigi con la moglie Jovanka, l’ultima di una lunga serie di consorti, amanti e figli “fantasma” che non starò qui ad elencare.

Insomma: il rozzo Josip Groz di modesti natali e altrettanto modesta istruzione implementò grandemente la sua formazione in Unione Sovietica, il che spiegherebbe anche il fatto che il suo accento e il suo modo di parlare la lingua serbo-croata conservarono sempre in sottofondo un’impronta russofona.

Fino al 1948, anno dello strappo con Mosca, Tito agì in comunione simbiotica con Stalin, affiancato e aiutato dall’Armata Rossa che poi avrebbe conquistato Belgrado nonostante qua da noi si continui a recitare la solfa che “gli jugoslavi si liberarono da soli”. Egli s’incontrava sistematicamente con ufficiali e inviati di Stalin, ragionando con loro e ricevendo aiuti consistenti anche se si lamentava che la Madre Russia non lo aiutava abbastanza, e, peggio, che i fratelli russi non si comportavano affatto bene in Jugoslavia, macchiandosi di ruberìe, violenze, prepotenze e perfino stupri. Ma da un amico così potente com’era il tiranno assiso a  Mosca si potevano anche sopportare le prevaricazioni e passarci sopra, e del resto Tito poteva vantare ben altri e più potenti e ricchi amici negli anglo-americani, che, oltre a rifornirlo sistematicamente di armi e quant’altro, lo seguivano passo passo nella sua aspra campagna contro i nazifascisti e contro tutti coloro che non la pensavano come lui, vale a dire quei non pochi jugoslavi che del comunismo non volevano saperne e dunque gli si opponevano, a cominciare dal governo di re Pietro in esilio, finito elegantemente accantonato e tolto definitivamente dai piedi da quegli stessi angloamericani che lo avevano inizialmente esaltato promettendogli un felice rientro a Belgrado.

Ecco spiegato il perché, a fronte di tanti nemici in Patria, Tito dovette sbarazzarsi, stando ai conti dello storico americano specialista in democidi Rudolph Joseph Rummel, di oltre un milione di suoi connazionali tra cui donne, vecchi e bambini. Ebbene: poiché il suddetto Rummel ebbe il torto di quantificare con tale mastodontica cifra il numero degli uccisi per mano dell’osannato dittatore, viceversa imputando agli occupanti italiani un paio di migliaia di morti maschi adulti per fucilazione, insomma poiché il suddetto Rummel osò andar per la sua strada in anni in cui anche negli Usa con tutta Hollywood a fare da contorno si santificava Tito, il quale non a caso ricevette più di cento onorificenze straniere, proprio per questo, incurante della nube irrealistica che avvolgeva il dittatore, dietro i cui sorrisi, abiti di alta sartoria e anelli con diamante si nascondevano i più atroci delitti, lo storico americano docente a Yale fu accusato di non aver detto il vero, di aver commesso errori di calcolo per faziosità politica, superficialità o pregiudizi personali, mentre proprio i fatti odierni gli hanno dato ragione: si tenga presente che a tutt’oggi, anche se ne trapela ben poco, non s’arresta il discoprimento di fosse di tutti i tipi, perfino nelle isole adriatiche, ove giacciono i resti delle vittime di Tito, per non parlar di quelle sparite nel mare e nei lager, e soltanto nel 2020 erano già stati scoperti 750 di questi macabri sepolcri nella sola Slovenia che è più piccola della Sardegna, il che non ha fatto altro che avvalorare i calcoli di Rummel, tutt’altro che campati per l’aria. E detto per inciso: il dittatore Tito massacrò anche donne e bambini, adolescenti e ragazze, vecchi inermi, suore e preti, ammalati e invalidi, ma poi, con tutta la polizia segreta di cui si vantava, si lasciò sfuggire il criminale Ante Pavelic capo degli ustascia e responsabile di centinaia di migliaia di vittime il quale riparò in Spagna, mentre il nazista Friedrich Rainer fu catturato dagli americani e consegnatogli gentilmente da questi, sennò sarebbe sfuggito anche lui. Ma per anni dopo la guerra egli si dedicò piuttosto a inscenare contro i militari italiani uno strillamento di accuse lamentando che non gli venivano consegnati i vari Roatta, Pirzio Biroli, Robotti e quant’altri da lui e dagli inglesi marchiati come criminali, ben sapendone il motivo, e cioè che un processo contro di loro si sarebbe tradotto per lui e la sua reputazione in un boomerang, in quanto sarebbe emerso, anche non volendo, tutto ciò che con angloamericani e sovietici egli s’industriava a nascondere, e cioè che se quelli erano criminali, lui era molto peggio.

Ma il mito dell’astuto dittatore che sapeva vendersi all’estero così bene, unito a quello degli jugoslavi spacciati per povere vittime degli italiani sopraffattori e fascisti, ripetuto in continuazione da chi non sa quanto furono sopraffattori gli jugoslavi nei nostri confronti ben prima dell’avvento dei fascisti, per quanto affievolito continua a resistere a casa nostra, perché “lui era dalla parte giusta”: come se trovarsi dalla parte giusta in un certo momento complesso della Storia possa giustificare, scusare, sminuire e coprire le nefandezze compiute, il che è completamente assurdo, anzi l’essere dalla parte giusta aggrava, semmai, le male azioni compiute, finendo per degradarne anche la parte giusta, deturparla e addirittura annullarla. Non ci vuole molto per capire che il metro di valutazione della “parte giusta” non serve a un emerito nulla ai fini del giudizio morale sull’operato di chi se ne ammanta, se questo operato non è conforme alla vantata giustizia della propria parte, il che non significa che nel caso della Jugoslavia non si doveva combattere e reagire, ma c’è un limite a tutto, anche alla violenza, alla cattiveria, alla vendetta, e perfino alla guerra, e questo limite gli jugoslavi avevano cominciato a superarlo con le loro malefatte fin dal tempo degli austriaci che li coprivano e li aiutavano, come ho spiegato nel mio libro sul confine orientale e continuerò a spiegare in quello di prossima uscita, e l’hanno superato abbondantemente durante e dopo la seconda guerra mondiale, sfoderando una malvagità, un sadismo, un cinismo e, lasciatemelo dire, una bestialità, che, uniti alle fandonie e alle più disinvolte alterazioni dei fatti prese per buone dai creduloni di casa nostra e dai ciarlatani furbetti che li guidano, continuano a inquinare le scene della Storia.

Anche oggi, se osi parlar male di questo pressochè intoccabile personaggio, taluni ti guardano storto o alzano le spalle perché “era dalla parte giusta”.

E con ciò?

Peggio ancora.

Maria Cipriano

 

 

 

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