17 Luglio 2024
Cinema

“Dante” diretto da Pupi Avati – Fabio S. P. Iacono

Pupi Avati agli spettatori e ai cineasti superficiali spesso appare presuntuoso. Dopo essere uscito dal Cinema Lumière, a Ragusa Superiore, mi è personalmente risultato pre-sontuoso. “Dante” Alighieri, che Pupi Avati ha cercato di trasporre in pellicola già da anni, è una creazione cinematografica non soffocata e resa sterile dalla gigantesca letteratura mondiale pubblicata da secoli intorno, probabilmente, al maggiore scrittore e poeta del mondo di sempre. La pellicola raccoglie nel corso delle riprese alcuni limiti, sia nella narrazione, sia in scena, ma la maestria del regista ha una personalità tale non solo da coprirli, al contrario, li registra ed alla fine si piegano per elevarli nel copione attori e attrici compresi sul set.

Trasposizione riuscita non senza fatica, qui risiede l’abilità di Pupi Avati. Boccaccio “sostituisce” Virgilio. Boccaccio, umanista (attributo prematuro per Dante) che verso l’Alighieri ha un’ammirazione pressoché simile a quella tipica di una forma religiosa, a tratti debordante e commovente. Il viaggio verso la figlia del poeta, a Ravenna, per consegnarle un sacchetto di monete che la città di Firenze le elargisce come tardivo e poco elegante e delicato risarcimento per l’ingiusto esilio imposto al padre, è, tappa dopo tappa, l’occasione di flashback che ci raccontano un Alighieri non conforme all’identità “classica” impartita dalla scuola, dall’accademia, dalla narrazione folkloristica e popolare.

La pellicola di Avati ci mostra un Dante non ancora maturo, irrequieto e impulsivo, tra romanticismo e languori ma con carattere, personalità ed eros, un romanticismo ricalcante ruoli passati cari ad Avati, come quelli interpretati ad esempio da Nick Novecento, che non annacqua le indicazioni date alla produzione dalla direzione intorno alla “politica” della pellicola. Alighieri uomo, prima che poeta d’eccezione, del quale Avati cerca di ricrearne in scena la dualità con stile (il suo tipico) quasi perfetto L’Inferno e il Paradiso, verrebbe da dire. Dante è un film in cui Beatrice non è solo una donna angelicata, ma una figura dal fascino estremo, sensuale, a tratti provocatorio, dove le proiezioni fisiche sono messe in scena con cura e senza pudori plebei o basso borghesi. Nell’estetica gotica di Avati fa capolino il diavolo, per mezzo di una bambola inquietante, o di “divinità” infere dove, nei pressi, sono collocati i morti di peste anonimi.

Dante è una pellicola dove gli orientamenti cinematografici di Avati, quella romantico-nostalgica e quella “gotica”, si intrecciano in modo coerente, compiuto e mai banale. Si tratta di una pellicola “irregolare”, ma non apocrifa. In “Dante” sembrerebbe scorrere come un fiume eracliteo tutto il cinema di Avati. La biografia e la letteratura dantesca, a fatica come ci aspettavamo, è stata comunque rispettata, buona anche la riproduzione dell’arte, dell’architettura, degli “usi e costumi” dell’epoca. Riuscita e pregevole la scelta dei luoghi per le riprese, anche il cast, superate alcune incertezze manifestate dagli attori più acerbi, ma corrette nel risultato finale da Avati, con in testa il veterano Sergio Castellitto, Alessandro Sperduti Carlotta Gamba, buone le interpretazioni non tarlate da artificio di trasposizione di musa di Erica Blanc, Mariano Rigillo e Gianni Cavina. Pupi Avati ha iniziato ascrivere il soggetto nel 2003. Nell’incipit della primavera del 2021 Sergio Castellitto è stato scritturato nel ruolo di Giovanni Boccaccio. Le riprese sono iniziate nel corso della prima settimana d’estate 2021: in Umbria, Emilia-Romagna e Lazio. La colonna sonora della pellicola è stata composta da Lucio Gregoretti e Rocco De Rosa. In novantaquattro minuti, il regista bolognese, che per sua e nostra fortuna ha scelto in tempo utile di esprimersi per mezzo del codice artistico del Cinema e non del Jazz, ci invita a leggere e nel nostro caso a rileggere le opere di Durante di Alighiero degli Alighieri da Firenze.

 

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