11 Maggio 2024
Fantascienza

Un senso dell’umorismo al servizio del “tecno-fantastico”: i racconti Sci-Fi di Primo Levi

Niccolò Ernesto Maddalon


 

Sono in parecchi, a torto, a credere che la fantascienza dei paesi anglofoni sia la principale detentrice in fatto di monopolio-fucina di importanti scrittori e romanzieri quali, a titolo d’esempio, Douglas Adams con la sua celeberrima saga della Guida Galattica per gli Autostoppisti, lo statunitense Mack Reynolds ed i suoi divertentissimi romanzi di satira sociale futuribile quali Ed Egli Maledisse lo Scandalo e Effetto Valanga, Ron Goulart coi suoi Nel Sistema della Follia e Cosa Nostra che sei nei Cieli, tanto per citarne alcuni.

A prima vista si potrebbe pensare che a rappresentare l’Italia come rari esempi di fantascienza umoristica vi siano attualmente solo scrittori quali Stefano Benni, naturalmente senza tralasciare il cosiddetto filone della proto-fantascienza italiana, che più di un secolo fa prosperò grazie all’attività di autori come Luigi Motta, Ulisse Grifoni, Antonio Ghislanzoni e lo stesso Emilio Salgari[I].

Pochi sono al corrente del fatto che, senza tralasciare le sue emblematiche opere autobiografiche sulle proprie esperienze concentrazionistiche, un autore come Primo Levi (1919-1987) ci ha lasciato in eredità diverse antologie di racconti dell’Immaginario (o come amava definirli egli stesso “del fantastico e del fanta-tecnologico”), scritti e pubblicati in un periodo, quello degli anni Sessanta-Settanta, in cui nella fantascienza tricolore tenevano il campo nomi come Roberto Vacca, Guido Morselli, Inisero Cremaschi, Pierfrancesco Prosperi o Antonio Bellomi, e le incursioni di Levi in questo ambito si rivelano all’altezza dei citati “colleghi” dimostrando stile e idee efficaci, se non sorprendenti. Fra storie singole ed antologie, Levi (che, nel caso della raccolta di racconti brevi Storie Naturali, si firma con lo pseudonimo di Damiano Malabaila), ci ha fatto dono di circa una cinquantina e forse più di racconti umoristici, di cui almeno la metà fantastici e fanta-tecnologici; un tipo di narrativa, peraltro, in cui l’autore torinese s’inoltrò anche grazie al supporto e all’interessamento di Italo Calvino[II].

Proprio nell’esordio narrativo di Levi, Storie Naturali del 1966 (il quale raccoglierà, tra l’altro, alcuni racconti precedentemente comparsi sui quotidiani il Mondo, il Resto del Carlino e l’Espresso, e a cui seguiranno Vizio di Forma nel 1971 e la raccolta di tono più prettamente autobiografico Il Sistema Periodico nel 1975), l’autore propone racconti come Angelica Farfalla o Versamina, ambientati nella Berlino dilaniata del dopoguerra, che rivelano in realtà toni cupissimi e tematiche agghiaccianti legate alle degenerazioni della ricerca scientifica, una tra le pagine più oscure della Germania nazista sulla quale Primo Levi, da scienziato e da testimone dei lager, non poteva rimanere indifferente. Quasi trent’anni prima di Jurassic Park di Michael Crichton, quindi, le prime pagine fantascientifiche di Levi ci mettevano in guardia da coloro che pensano che con la scienza si possano violare impunemente le leggi di Madre Natura.

Tutte queste brevi novelle sono delle piccole-grandi perle colme di sagace e allegramente irriverente umorismo, tipico marchio di fabbrica e biglietto da visita della cultura popolare yiddish (come ha detto in una recente intervista radiofonica lo scrittore Moni Ovadia, lo humour yiddish ha alla sua base lo scopo di far riflettere tramite l’arma del grottesco e della satira[III]). E Primo Levi, da scrittore ed esperto di chimica, nel narrare i suoi racconti fanta-tecnologici non ci delude né viene meno alle aspettative, in fatto di umorismo al vetriolo: nel racconto Quaestio de Centauris (edito anche col titolo de I Centauri), l’Io narrante Levi s’interroga sull’origine di certe creature mitologico-archetipiche quali, ad esempio, i centauri. E si diverte, inserendosi nel solco della tradizione ebraica, a sostenere una seconda Creazione dopo l’ecatombe del Diluvio. È questo il retroscena da cui proviene Trachi, giovane centauro di origine greca custodito nella stalla della famiglia del protagonista. Nel racconto dai toni decisamente più umoristici Alcune applicazioni del Mimete troviamo invece una riflessione burlesca sulla avveniristica questione della clonazione: il protagonista è da poco uscito di prigione per uso illecito d’un marchingegno chiamato replicatore tridimensionale o, molto più semplicemente, il Mimete, prodotto dalla multinazionale statunitense NATCA (una società corporativa di proprietà dell’enigmatico Sig. Simpson specializzata in elettronica, cibernetica ed ingegneria genetica ad uso solitamente domestico, che ritornerà in altri quattro racconti costituenti quasi una piccola saga dai risvolti profondamente kafkiani e quasi, si potrebbe dire… fantozziani). Nonostante l’Io narrante dia saggi consigli ad un suo amico, l’ingegner Gilberto Gatti, quest’ultimo ignorerà i moniti del collega (il quale sa bene che rischi può avere l’uso improprio del Mimete, essendo egli un impiegato della NATCA che, a suo tempo, tentò di “clonare” dei diamanti per poi impegnarli in cambio di denaro). Tale truffa costò al narratore «una temporanea residenza a San Vittore», dato che era da poco entrata in vigore una legge anti-contraffazione che metteva al bando i primi modelli immessi sul mercato di Mimeti. La suddetta legge anticlonazione non impedirà a Gilberto Gatti di “duplicare” biologicamente sua moglie Emma. Dando il via ad una serie di grotteschi equivoci in crescendo su “è meglio Emma 1 o Emma 2?” e se tale trio coniugale non sia considerato dalla legge italiana come una forma di poligamia.

Anche nel racconto Trattamento di quiescenza, il narratore e impiegato della NATCA viene convocato dal Sig. Simpson per provare l’ultima invenzione della sua società: il Torec (acronimo compresso di “Total recorder”), un apparecchio di simulazione virtuale capace di “neuro-proiezioni di emozioni vissute da altri”; l’Io narrante proverà, nell’ordine: l’urlo di gioia per aver fatto gol d’un calciatore del Milan, l’orgasmo provato da una pornodiva nell’atto dell’amplesso e la sensazione di volare (in realtà un’esperienza vissuta da un’aquila); basito e turbato, il dipendente della NATCA abbandona la stanza. Qualche tempo dopo, il narratore verrà a sapere che Simpson, abusando del suo Torec, ne è divenuto totalmente assuefatto. Al punto da subirne sulla sua pelle gli effetti collaterali più devastanti (su tutti un rapido ed inesorabile invecchiamento precoce ed un altrettanto rapido accorciamento degli anni residui di vita). In notevole anticipo sui tempi (e anche su tematiche analoghe trattate nel film del 1995 Strange Days e, rivelando notevoli similitudini col racconto We Can Remember It For You Wholesale di Philip K. Dick, uscito nello stesso anno) si vede come Levi sia stato sorprendentemente “profetico” nell’immaginare la dipendenza da apparecchi elettronici e informatici (dai videogiochi agli odierni social network) con cui convive l’umanità dei giorni nostri.

Nella successiva antologia del 1981 Lilìt e altri racconti, sotto la sezione Futuro Anteriore troviamo quindici racconti brevi ambientati in un futuro più o meno prossimo, e caratterizzati dai consueti toni tragicomici. Su tutti, tre storie spiccano notevolmente per la loro scorrevolezza e facilità d’immedesimazione del lettore in alcuni dei personaggi principali: Una Stella Tranquilla, sostanzialmente una lunga riflessione scientifico-filosofica di Levi che ci narra la storia unica e allo stesso tempo uguale a tante altre di una stella ribattezzata Al Udra, dal nome di un astronomo arabo che la scoprì a metà del XVIII Secolo. Tale astro ricompare una seconda volta nel 1950 sotto forma di una supernova in esplosione. Ironia della sorte vuole che a riscoprire (per caso e con molto poco entusiasmo) Al Udra, sarà alla fine un giovane misconosciuto astronomo di nome Ramon Escojido, ben più preoccupato di organizzare le sue ferie famigliari, piuttosto che di controllare i fenomeni celesti.

Segue il racconto grottesco-distopico I Gladiatori. Qui Levi mette alla berlina l’ossessione viscerale e morbosa per gli sport più estremi e violenti, visti come una sorta di panem et circenses dell’odierna civiltà di massa occidentale: in un futuro non molto lontano in cui l’Italia è finita sotto protettorato dell’Unione Sovietica (vengono spesso descritti tipici elementi dei paesi facenti parte dell’allora Patto di Varsavia, seppure appena lievemente accennati come dettagli del contesto narrativo d’un ipotetico domani successivo a un enigmatico 1991), una coppia di fidanzati, Nicola e Stefania, decidono di andare allo stadio-arena della loro città per poter assistere ad un torneo del TotoGlad: due feroci criminali psicotici e dalle chilometriche fedine penali si sfideranno in tre round consistenti in due duelli veicolari a bordo di bolidi blindati e truccati dal vistoso stile estetico vagamente à la Mad Max e in un terzo ed ultimo scontro all’arma bianca. Il vincitore fra i due contendenti potrà concedersi lussi e privilegi solitamente preclusi ai reietti utilizzati per tale brutale e neo-barbarico “sport”, così come anche chi fra il pubblico pagante fosse in possesso del biglietto TotoGlad corrispondente al colore della bandana indossata dal gladiatore giunto vincente all’ultimo match, può arrivare a vincere un premio di qualche centinaio di migliaia di nuove lire; anche se, come spiega un attempato clochard-tifoso (probabilmente avvinazzato) a Nicola «si fanno sempre aspettare, è incredibile: prendono subito delle arie da prima donna. Ai miei tempi era diverso, sa. Invece dei paraurti di gommapiuma, c’erano i rostri, mica storie. Era difficile farla franca (…) già, lei è giovane, e non può ricordare che i campioni venivano fuori dalla scuderia di Pinerolo, e meglio ancora da quella di Alpignano. Adesso, cosa crede? Vengono tutti dai riformatori o dalle Carceri Nuove, qualcuno anche dal manicomio criminale: se accettano gli condonano la pena»[IV]. Insomma, in questa storia di nuova barbarie e decadenza sociale, sembra quasi di avvertire l’atmosfera di film come Rollerball (1975) o di una delle scene madri di 1997: Fuga da New York (1981).

Infine, in La Bestia nel Tempio, un novello Virgilio di nome Augustìn guida due coppie di turisti lungo un complesso storico poco conosciuto in una non ben definita località dell’America Centrale, attraverso un tratto di antichi ruderi costeggianti un edificio di forma labirintica nel quale si dice sia relegata una misteriosa belva feroce infestante un bizzarro anfiteatro sito al centro del suddetto dedalo. Anfiteatro noto a tutti gli abitanti del luogo per la sua struttura architettonica di fattura geometricamente impossibile (e questa “geometria non euclidea”, come l’atmosfera onirica che avvolge tutta la storia, darebbe adito a qualche, neanche troppo vaga, influenza lovecraftiana…). Fintanto che si atterranno strettamente alle istruzioni di Augustìn, gli “esterni” al complesso delle antiche rovine da lui guidati, non avranno alcunché di cui aver timore. A fine escursione, tuttavia, una volta ritornati in superficie, Augustìn rivelerà ai visitatori che in realtà il labirinto attorno al “recinto” della misteriosa bestia serve a proteggerla dai rozzi abitanti del vicino villaggio di contadini, morbosamente e follemente bramosi di poter cibarsi delle carni della fiera al fine di adempiere ad un antico rito espiatorio locale. Ed è qui che la trama arriva a capovolgersi: la misteriosa e mostruosa bestia diventa ora un animale ridotto praticamente in cattività, oltre che pressoché virtualmente docile e inoffensivo, mentre i villici del posto si rivelano essere dei sanguinari trogloditi legati alle loro tradizioni pagane.

In conclusione, a chi conosce Primo Levi “soltanto” come testimone degli orrori della Shoah, e voglia approfondire i suoi contributi alla storia della Sci-Fi nostrana, consigliamo vivamente una lettura dei suoi numerosi racconti fantatecnologico-umoristici. Un corpus di storie apparentemente non così sofisticate o impegnative, ma ancora oggi in grado di catalizzare l’attenzione del lettore grazie alla potenza narrativa di Levi, capace di amalgamare riflessioni scientifiche e metafisiche, amare risate figlie dell’umorismo yiddish e impressionanti visioni distopiche su un futuro che, per molti versi, è ormai già il nostro presente.

 

Note

[I] Cfr. Gianfranco de Turris, Claudio Gallo, a cura di, AA.VV., Le Aeronavi dei Savoia. Protofantascienza italiana 1891-1952, Editrice Nord, Milano, 2001

[II]Ernesto Ferrero, Introduzione, in Primo Levi, I racconti, Einaudi, Torino, 1996, p. XI

[III] Moni Ovadia e l’Esilio degli Ebrei, “Dio ride e io faccio altrettanto”, www.lastampa.it, Milano, 2/10/2018

[IV] Primo Levi, i Gladiatori, in I racconti, cit., p. 453

 

L’Autore:

Niccolò Ernesto Maddalon è nato a Montebelluna, il 23/03/85

Ha la licenza media inferiore, quattro anni di liceo presso l’indirizzo Scienze Sociali (ora Scienze Umane. Ritirato il secondo tentativo di quarta superiore per motivi di salute)

Nei suoi interessi una buona fruizione di letteratura e cinema, lettura, scrittura creativa (sia narrativa che saggistica), scacchi, modellismo, orienteering e survivalismo, softair semiprofessionale, collezione di fumetti e libri rari.

È il secondo più giovane esperto di tutta la zona di Treviso e dintorni di H.P. Lovecraft (assieme al suo concittadino, collega e amico Jari Padoan) con cui ha scritto un saggio che a breve vedrà la luce presso una webzine specializzata proprio su HPL). Alcuni suoi racconti brevi (con lo pseudonimo di Demetrio Godorno) di SciFi umoristico-grotteschi sono apparsi nell’antologia Sotto i Raggi di Sahaloth (scritta assieme allo storico amico Jari Padoan e per il momento distribuita in tiratura limitata fra amici e famigliari).

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