11 Aprile 2024
Giornata del Ricordo

Noi, “Italiani dell’Est” – Claudio Antonelli

 

Il 10 febbraio si è celebrato il “Giorno del Ricordo”, in coincidenza con la data di quel trattato di pace punitivo (Parigi, 10 febbraio 1947) che comportò la perdita delle terre dell’Adriatico orientale e l’esodo di più di 300.000 Istriani, Fiumani e Dalmati.

Molto è stato detto e scritto, in questi ultimi anni, sull’esodo e le foibe; questi “buchi neri” in cui scomparvero migliaia d’italiani vittime della ferocia slavo-comunista, nelle terre dell’Adriatico orientale.

Sono stati pubblicati articoli e libri di sopravvissuti e di studiosi. Piazze e strade sono state intitolate alle vittime degli eccidi commessi dai partigiani di Tito. La nostra storia è giunta in TV. Alla voce “Foiba”, nell’edizione 2000 del dizionario omonimo, De Mauro fu costretto a far riferimento ai nostri morti. È stato istituito il “Giorno del Ricordo”, con l’attribuzione della medaglia d’oro ai discendenti degli infoibati (Legge 92 del 2004, “Legge Menia”). Vi è stata l’emissione di francobolli sulle nostre terre perdute. Nell’estate del 2010 vi fu il “concerto dell’amicizia”, alla presenza dei tre presidenti (tutti ex comunisti) d’Italia, di Croazia, e di Slovenia.

Il recente “Magazzino 18”, del  geniale e generoso Simone Cristicchi, cantore dei vinti, ha arrecato agli esuli grandissimo conforto.

Tutto ciò è avvenuto solo dopo la caduta del Muro. Solo da allora il silenzio su di noi è cessato. Dopo un’indifferenza durata cinquant’anni. Mezzo secolo. Durante il quale – ricordo i miei genitori – le nostre amate terre sono state una fonte costante di doloroso rimpianto, acuito da un’impressione d’indifferenza e d’abbandono verso di noi, esuli. Abbandono che culminò, nel 1975, nella rinuncia definitiva dell’Italia alla Zona B.

Sì, tante cose sono avvenute, ma quei cinquant’anni e piu’ d’indifferenza rimangono nella nostra anima, e nelle ossa dei nostri morti.

È caduto il confine di Gorizia tra Italia e Slovenia (2004). Ma i confini tra gli italiani, divisi tra loro per clan, partito, parrocchia, campanile, odi civili, non sono caduti. L’Istria fa parte ormai dell’Europa. Ma l’Europa si è

rivelata un esperimento in gran parte fallito, perché costruito senz’anima. Il confine che in Istria divide la Slovenia dalla Croazia è oggetto di accese dispute, e ciò nonostante l’avvenuto “concerto dell’amicizia”.

La Jugoslavia si è disfatta nel ferro, nelle lacrime e nel sangue. Ma troppo tardi per noi. Tito fu idolatrato – che si pensi a Pertini – dalle forze “progressiste” italiane.

Lo smantellamento della Jugoslavia avrebbe dovuto rimettere sul tappeto intese e trattati. Ma il governo italiano ha voltato le spalle alle occasioni di quel momento storico.

Nelle piazze per anni furono ammesse solo le bandiere rosse. L’Italia francescana e pacifista espresse la violenza terroristica delle Brigate Rosse.

Le lettere col francobollo del liceo-ginnasio “G.R. Carli” di Pisino giunsero troppo tardi in Canada per i miei genitori. La medaglia d’oro per il padre trucidato dai titini arrivò invece appena in tempo, sul letto di morte, a mia cugina Luisa, figlia di Lino Gherbetti.

L’apparente “presa di coscienza” degli italiani circa l’esodo e le foibe cozza – e cozzerà sempre – contro l’odio ideologico, quintessenza dell'”italianità” di gente adepta della fazione, delle faide e degli odi civili. Tutti in Italia, governo in testa, continueranno a usare i nomi slavi per le nostre località di nascita, la cui toponomastica per secoli fu italiana. Sergio Romano ci etichetta come “revanscisti” perché noi osiamo chiamare la nostra Fiume, “Fiume” e non “Rijeka”. Su Cristicchi è stato apposto il marchio “fascista” perché ha osato parlare – nobilmente –  della nostra tragedia. Luigi Nieri, quando era vicesindaco di Roma, oppose un “niet” al “Giorno del Ricordo” dichiarando: “Roma è medaglia d’oro della Resistenza, ha subito il fascismo e il nazismo, la deportazione  del ghetto. È quella la nostra memoria. Altre città ricorderanno le foibe.”

L’ANPI vomita falsità e odio su chi osa commemorare i propri familiari infoibati. L’onorificenza di Cavaliere di Gran Croce della Repubblica Italiana, concessa nel 1969 al nostro carnefice Tito, non è stata revocata. La medaglia d’oro per Zara, concessa alla città martire, ma “congelata” per volere della Croazia, dovrà ancora aspettare. Vi è chi definisce “martirologio mediatico” le foibe e l’esodo. La negazionista Claudia Cernigoi continua tranquillamente le sue conferenze, nonostante i nostri “pericolosi” “estremisti”. Gli atti di vandalismo contro targhe e cippi dedicati alle foibe continuano. E continuano i discorsi d’odio con la contabilità dei morti inserita nel libro mastro del dare e avere: “Sìperò anche noi…”

Il conferimento di un’onorificenza a Paride Mori, che morìdifendendo la nostra frontiera nord-orientale, suscito’ raccapriccio e orrore nei professionisti contabili del libro del dare e avere – quello ufficiale, omologato, il solo permesso – destinato a perpetuare nei secoli gli odi civili. Tutto sulla colonna dei vinti, anche quando questi pagarono con la vita l’amore per la Patria, deve essere contabilizzato con un enorme zero. Altrimenti si è condannati retroattivamente come fautori di Auschwitz.

Grazie al nuovo “palinsesto” l’Italia televisiva ha parlato di noi. Peccato che in Italia si parli “per parlare”. Perché l’Italia rimane la stessa. Un popolo non cambia carattere. Il senso della storia e del destino nazionale, non sarà il “palinsesto” a crearli.

Nulla poi riuscirà cambiare la vulgata del lieto fine della seconda guerra mondiale. Io vorrei solo che in uno dei ricorrenti riti celebranti il trionfo definitivo – avvenuto 70 anni fa – del bene sul male, qualcuno ricordasse che l’Italia, nell’ultima guerra, fu sconfitta. E che conquistammo, sì, la democrazia – una democrazia parlamentare di cui gli italiani beneficiano ogni giorno e che oggi tutti in Europa ci “invidiano” – ma che tra le tante cose perdemmo anche la parte nord-orientale del territorio nazionale. Parte piccola invero, ma quanto preziosa per coloro che vi nacquero; per noi “Italiani dell’Est”, che in quelle terre tormentate “italo-balcaniche” ricevemmo nel cuore alla nascita una fiamma che brucia e fa male: l’amor patrio. Sentimento profondo, e anche doloroso, che in Italia, patria di retori, di esterofili e di opportunisti, sono in pochi, oggi, a  conoscere.

Claudio Antonelli (Canada)

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