11 Aprile 2024
Antropologia

Arvo e “L’origine delle specie secondo l’esoterismo”: una rilettura – Michele Ruzzai

Come noto, nella seconda metà degli anni ‘20 del secolo scorso, un sodalizio di notevoli personalità dalla diversificata provenienza culturale ma unite nel comune interesse verso la ricerca esoterica, costituì quel “Gruppo di Ur” sulle cui attività molto si è scritto, tanto che il presente articolo non ha l’intenzione di andare a ripercorrere nella sua globalità. A un giovanissimo Julius Evola venne affidata la prima direzione della relativa rivista, “UR”, che raccoglieva i materiali elaborati, sotto pseudonimo, dai vari aderenti (oggi riuniti in tre volumi – nota 1) e che spaziavano in vari campi della ricerca “di confine”, tra i quali anche quelli legati al tema della Tradizione iperborea e della genesi umana da una prospettiva non materialista. Su questo particolare tema, a nostro parere, un interesse tutto particolare riveste il pezzo “L’origine delle specie secondo l’esoterismo” scritto da “Arvo”, sotto il cui enigmatico nome molto probabilmente si celava il nobile Giovanni Antonio Colonna di Cesarò. L’obiettivo del presente scritto non è tanto quello, superfluo, di ripercorrere le linee già espresse da Arvo, quanto di proporre alcuni elementi integrativi alla visuale ed allo schema che Colonna di Cesarò illustrò nel suo notevole contributo. Un breve riassunto sarà comunque utile per inquadrate il tema nelle sue linee più generali e sviluppare di conseguenza le nostre osservazioni.

Lo schema di Arvo ed alcune considerazioni preliminari

Arvo contesta decisamente le teorie evoluzioniste come orizzonte interpretativo della genesi umana, in ultima analisi da ricercare nell’animalità, e prende posizione – anche se, come vedremo, non senza qualche ambiguità – a favore delle visuali tradizionali che riportano, al contrario, il tema generale di un’origine “più che umana” (ed anche iperborea, ma non è questo ora il punto fondamentale) della nostra specie. L’uomo attuale, cioè, non sarebbe sorto a seguito di un miglioramento progressivo delle altre specie viventi, ma piuttosto come il discendente più diretto di una forma antichissima che invece, in direzioni più laterali, avrebbe generato le altre classi del vivente. Tutte queste, quindi, non andrebbero considerate come dei “gradini” di un’ininterrotta scala che dal basso avrebbe condotto verso il culmine – Homo Sapiens – ma come il risultato della stessa spinta portata da questa “proto-umanità primordiale” che, nel loro caso, sarebbe arrivata a degli esiti morfologicamente molto diversi. Bisognerebbe quindi parlare più di “cugini” nostri collaterali e non di residui di ceppi a noi ancestrali che si sarebbero via via “trasformati”, uno dopo l’altro, in quello che oggi è l’uomo. E tuttavia, osserva Arvo, anche qualora venisse evidenziata una sequenza “a gradini” di forme viventi che potrebbe sostenere l’idea di un progressivo trasformismo di queste, ciò non indicherebbe necessariamente la direzione che tale processo avrebbe comportato.

Arvo comunque sottolinea la notevole distanza morfologica tra la proto-umanità primordiale rispetto a quella odierna, sia che si parli della sua parte cosiddetta “civilizzata”, sia che si tratti di quella sussistente allo stadio di “caccia-raccolta” (per quest’ultima vengono citati studiosi quali Leo Frobenius e Herman Wirth che, in termini analoghi rispetto alle precedenti considerazioni di più ampia scala, non inquadrerebbero gli attuali “selvaggi” come i residui di un’umanità “primitiva” ma come dei tronconi involuti di ben più alte culture preistoriche). E’ quindi, sottolineiamo, in rapporto a questa proto-umanità originaria – e non a quella attuale – che per Arvo si rende possibile un ribaltamento totale di prospettiva rispetto al darwinismo classico: non sarebbe cioè l’uomo a derivare “evolutivamente” dall’animale, bensì invece l’opposto, “involutivamente” l’animale dall’uomo. Un correlato a questa idea – e che per Arvo spiegherebbe anche la difficoltà di reperire oggi i resti fossili di tale forma primigenia – è che una simile plasticità morfologica dovrebbe necessariamente trovare fondamento in una corporeità primordiale molto diversa da quella odierna. Bisogna però dire che qui forse emerge un primo punto critico del discorso di Colonna di Cesarò: nel momento in cui suggerisce di superare non necessariamente il concetto “materiale, ma soltanto minerale della corporeità”, probabilmente si spinge un po’ oltre ad un ragionamento scientificamente solido. Il passaggio è stato opportunamente messo in luce dal paleontologo Roberto Fondi (nota 2), ricercatore comunque noto per le posizioni di critica alle teorie evoluzioniste e che, in collaborazione con il genetista Giuseppe Sermonti (purtroppo recentemente scomparso), a suo tempo pubblicò un testo di fondamentale importanza in chiave anti-darwiniana (nota 3). In rapporto a tale posizione di Arvo, Fondi infatti dubita che una corporeità solamente de-mineralizzata dell’umanità primordiale – ad esempio, un apparato scheletrico di tipo cartilagineo – ne avrebbe potuto garantire una statura eretta; senza considerare che una simile corporatura avrebbe comunque potuto benissimo giungere fino a noi sotto forma fossile, se consideriamo i reperti antichissimi di specie quali ad esempio le meduse, che sono stati effettivamente rinvenuti nei più antichi strati sedimentari.

Non è dunque lungo la linea biologica che tale primordiale plasticità umana avrebbe potuto rendere plausibile un rapporto di derivazione delle varie specie animali, ma secondo un altro versante: quello essenzialmente “tipologico” e “pre-biologico”. E nel momento in cui Arvo propone l’idea di un’umanità primordiale solamente de-mineralizzata ma comunque provvista di una sua corporeità (anche se diversa da quella attuale), è evidente che non ci si schioda ancora dal piano biologico. Ma continuiamo a riflettere su questa teoria anche con l’aiuto dell’immagine (figura 1) che Arvo utilizzò, riprendendola dal paleontologo Edgar Dacqué. In questo schema, l’uomo primordiale viene fondamentalmente rappresentato come una “direzione di avanzamento” lungo l’asse centrale “U” verso un dato punto di traguardo, in un contesto che oppone una certa resistenza a tale movimento. L’energia che viene lateralmente dissipata e deviata, fino all’arresto, rappresenta i tentativi abortiti e bloccati di tale dinamica – ovvero, le varie specie animali come residualità “lasciate indietro” da questa spinta – mentre ciò che in linea retta riesce infine a giungere al punto di destinazione prefissato è l’uomo nella sua condizione attuale. Tali linee di derivazione, quindi, come ricorda Fondi andrebbero interpretate sotto un profilo eminentemente “tipologico” e non biologico, ed è proprio in questa stessa ottica che si potrebbe interpretare l’idea di Meister Eckhart (nota 4) secondo la quale gli animali rappresenterebbero delle “realtà imperfette” ed incomplete rispetto alla centralità dell’uomo. Anche da un’altra fonte, pur completamente diversa come alcune concezioni native nordamericane – secondo le quali nei tempi aurorali gli animali erano simili agli esseri umani e solo successivamente avrebbero acquisito le caratteristiche che distinguono le diverse specie (nota 5) – si dovrebbe leggere tale rapporto in chiave essenzialmente sovra-biologica e non materiale.

Da tutto ciò riteniamo si possa portare anche un’altra osservazione alle analisi di Arvo, questa volta sotto il profilo del fattore temporale. Se per Colonna di Cesarò l’uomo primordiale – quello che Edgar Dacquè chiama “Urmensch” – è cioè antichissimo e non rinvenibile negli strati sedimentari a causa del summenzionato discorso sulla corporeità “non minerale”, l’uomo materializzato secondo i canoni attuali appare invece al termine di tutto questo processo, quindi in tempi effettivamente più recenti rispetto alle altre specie viventi: ciò perché, sottolineata, essendo egli manifestazione di “ciò che sta più all’origine, più all’interno, più al centro, non può che esser l’ultimo ad apparire nel movimento verso l’esterno”. Un’idea che, a ben vedere, viene accolta anche da Julius Evola quando rimarca come l’uomo primordiale debba essere “entrato per ultimo in quel processo di materializzazione , che ha conferito – dopo che agli animali – ai suoi primi tronchi già degenerescenti, deviati, mescolati con l’animalità, un organismo suscettibile a conservarsi sotto specie di fossile” (nota 6). Non ci sentiamo di condividere questa linea di pensiero in quanto riteniamo che, al contrario, la stessa posizione filetica dell’umanità materializzata – cioè della specie biologica Homo Sapiens, non dell’Urmensch “prototipica” – sia effettivamente antichissima, se ad esempio ricordiamo che secondo il biologo Max Westenhofer, l’uomo potrebbe essere inquadrato come il più antico dei mammiferi (nota 7) se non, secondo altri ricercatori (ad esempio Klaatsch, Samberger, Frechkop) risalire a tempi ancora più remoti (nota 8). A conferma di tale idea si potrebbero anche citare ritrovamenti Sapiens, o inaspettatamente molto vicini a tale forma, che la paleoantropologia ufficiale non menziona volentieri perché assolutamente non spiegabili nel suo orizzonte evoluzionista (ed, aggiungo, anche afrocentrico): reperti che sorprendentemente arriverebbero ad una profondità temporale anche dell’ordine di qualche milione di anni, quali, ad esempio quelli dell’isola di Giava a Trinil, in California a Calaveras, in Argentina a Buenos Aires, Monte Hermoso e Miramar, in Kenia nei pressi del lago Turkana (cranio “KNM-ER 1470”), in Tanzania con le famose impronte di Laetoli, in Spagna a Burgos, in Inghilterra a Ipswich e Foxhall, in Francia ad Abbeville e Clichy, in Svizzera a Delemont, ed infine anche in Italia a Castenedolo e Savona (nota 9).

Dunque lo stesso Homo Sapiens sembra essere antichissimo, anche se, lo anticipiamo già da ora, a nostro avviso assoggettato ad una storia non lineare ma ciclica che tuttavia lo “rinnova” periodicamente riportandolo ogni volta alla sua forma originaria (su questo consideriamo di fondamentale importanza la visuale indù dei vari “Manvantara”, o cicli di umanità, come tratteggiata da René Guenon – nota 10 – e poi dettagliata da Gaston Georgel – nota 11); di conseguenza, riteniamo alquanto problematico seguire lo schema di Arvo nella sua strutturazione che, di fatto, appare interamente sottoposto alla condizione della temporalità, motivo per il quale più avanti verranno proposte alcune modifiche piuttosto significative al suo disegno. Ma continuiamo ad analizzare nel dettaglio lo schema originale, prima di proporre una rappresentazione alternativa. La linea marginale del movimento di avanzamento – in pratica, il perimetro dell’elissoide che nella figura 1 si sviluppa attorno all’asse “U” – per Arvo rappresenta dunque il punto in cui dalle linee di deviazione della Urmensch centrale si passa all’effettiva emersione delle varie specie animali: specie che appariranno morfologicamente tanto più distanti dalla forma umana quanto più lontano si troveranno sul perimetro in rapporto al traguardo raggiunto dalla direzione principale. Dal punto in cui si manifestano le varie forme animali, per ciascuna di queste si sviluppano poi dei cammini evolutivi indipendenti (le frecce a tratto continuo), però di scala più ridotta e ben lungi dal poter giustificare la differenza tra le specie – non traendo, queste, origine l’una dall’altra come il darwinismo vorrebbe ma da una dinamica filogenetica molto più profonda – cammini che implicano delle modificazioni, potremmo dire, “microevolutive” e appunto del tutto secondarie: ad esempio, la differenziazione di ciascuna forma in sotto-specie o, al limite, l’ibridazione tra quelle più vicine e tra loro geneticamente compatibili. In ogni caso, nello schema proposto da Arvo è presente questo fondamentale elemento: la separazione tra l’area interna e quella esterna all’elissoide solo per mezzo del perimetro della figura, che costituisce l’unica linea contornante la summenzionata direzione di avanzamento “U”.

Un disegno alternativo

A questo schema ora proporremo delle modifiche sintetizzate nella figura 2, che d’ora in poi andrà tenuta ben presente per comprendere tutte le considerazioni che seguiranno. L’integrazione graficamente più visibile che abbiamo ritenuto di apportare è, innanzitutto, l’interposizione tra le due aree, quella interna e quella esterna dell’elissoide di Arvo, di una zona intermedia di passaggio, oltre che, come vedremo, anche l’attribuzione di un diverso significato allo spazio interno rispetto all’accezione che egli ne diede. Riteniamo che a tal fine possano essere particolarmente utili alcune notazioni derivanti dall’opera di René Guenon sulla tripartizione della manifestazione cosmica e ben applicabili al nostro caso. Il metafisico francese ci ricorda, soprattutto nella sua opera dedicata all’Advaita Vedanta della Tradizione indù (nota 12), come la manifestazione cosmica totale derivante dal Principio supremo e trascendente, possa essere divisa in un ambito sovra-formale e sovra-individuale (comunemente anche definito come “spirituale”) ed in una sotto-partizione maggiormente soggetta a delle condizioni limitative di esistenza che ne definiscono, invece, il carattere formale ed individuale. A sua volta, quest’ultima viene ulteriormente suddivisa in un contesto dagli aspetti relativamente più “sottili” e psichico-animici, e in un altro dalle caratteristiche “fisico-grossolane”, ovvero l’ambito nel quale è possibile il manifestarsi delle corporeità dense e pesanti che normalmente percepiamo con i nomali sensi dello stato di veglia. L’applicazione di tale tripartizione cosmica allo schema di Arvo ci ha portato, in primis, a far corrispondere l’area interna – quella dove ha luogo il movimento “U” costituito dalla Urmensch di Dacquè – con la manifestazione di ordine sovra-individuale: quindi secondo un significato effettivamente “sovra-biologico”, diversamente da quanto sembra invece fare Arvo quando a tale forma centrale è disposto comunque ad attribuire un certo grado di corporeità, seppure non minerale. Nella figura 2, tale area è circoscritta dalla linea rossa, mentre tutta la parte esterna costituisce l’insieme della manifestazione di ordine formale: quella che a sua volta, come detto, viene a suddividersi nei due ambiti sottile e grossolano, nell’immagine separati tra loro dalla linea blu. A discendere dalla manifestazione sovra-formale, quindi, la manifestazione individuale “inizia” con il campo psichico-animico, del quale è utile ricordare ora un aspetto che ci sembra di particolare importanza. Evola infatti ci segnala (nota 13) come sia proprio quest’ambito “vitale” che assolve al compito di sviluppare l’Essere – in sé immutabile ed eterno – nella dimensione temporale, tant’è che la stessa esistenza del Tempo, anche per Roberto Fondi (nota 14), è del tutto correlata e dipendente da quella del piano psichico. Un piano del quale, in termini cosmologici, è notissimo l’accostamento alla sfera della Luna che, non a caso, rappresenta universalmente il simbolo centrale del divenire (note 15 e 16). Solo ciò che è “sub-lunare” è assoggettato alla condizione della temporalità e quindi, ai fini del nostro schema, tutto l’ambito “spirituale”, sovra-formale ed interno alla linea rossa va considerato ad esso trascendente: un “eterno presente” che non ha né un “prima” né un “dopo” e, contrariamente alla formulazione di Arvo, non vede “infine” l’uomo corporeizzarsi nella forma Sapiens dopo tutte le altre specie biologiche, perché il suo stesso “procedere” lungo l’asse centrale non va inteso in termini temporali ma unicamente in chiave logica e super-storica.

E’ dunque solo in quest’ottica che, a nostro avviso, va interpretato anche lo “sgranarsi”, rispetto alla linea centrale, di quelle deviate e laterali: cioè come in un Archetipo centrale dove, in rapporto a un’Idea “assiale” ed omnicomprensiva se ne dipartono altre, periferiche perché parziali e meno complete. Ma sono tutti archetipi che evidentemente, come ci ricorda Titus Burckhardt (nota 17), non si escludono l’un l’altro ma anzi si ricomprendono e sintetizzano nell’unità centrale, ad essi sovraordinata. Il movimento (o “posizione”, se preferiamo ragionare in termini statici) al centro è quello corrispondente all’archetipo omnicomprensivo – “arch.0” nella figura 2 – dell’Uomo Universale, pertinente al livello di manifestazione sovra-formale e sovra-individuale; a partire da questo, una serie di linee a tratto continuo, simboleggianti una serie di archetipi “subordinati” e parziali, si dipartono lateralmente (nel disegno sono le sei denominate “arch.1”….”arch.6”, ma ovviamente nella realtà ve ne sono moltissime di più). Queste sette linee (6+1) incontrano la linea rossa che, come dicevamo, separa l’ambito della manifestazione sovra-formale da quella individuale “sottile”, in altrettanti punti “i”, cioè da “i0” a “i6”. Abbiamo deciso di denominare con “i” questi punti come la lettera iniziale della parola “immagine” che tali linee archetipiche, interpretabili come una sorta di “luce spirituale” prodotta da un “Sole” centrale, vanno a formare sulla linea rossa quasi fossero un riflesso che appare su di una superficie acquea: in termini cosmico-simbolici è lo stesso rapporto che intercorre tra il Sole-Spirito-Nous, produttore diretto dell’irraggiamento verticale e luminoso, e la Luna-Anima-Psyche che tutto raccoglie e riflette orizzontalmente (nota 18).

La radice profonda delle varie forme viventi che appariranno ancora più perifericamente, anzi lo stesso concetto di “specie”, è dunque da ricercarsi essenzialmente in quest’ordine di realtà, in questi “archetipi ontologici” (nota 19) che Guenon ricorda corrispondere sia alle “idee” di Platone sia a ciò che negli Scolastici veniva definita “forma” (nota 20) non senza, lo rileviamo di passata, qualche equivoco derivante dal fatto che invece più sopra tale ambito è stato definito come “sovra-formale”. In effetti è più propriamente il mondo sublunare a rappresentare la “corrente delle forme” (nota 21), il punto di partenza della manifestazione individuale e l’ambito cosmico nel quale vengono elaborate nello stato “sottile” (nota 22) le strutture di base – cioè un primissimo abbozzo di corporeità che è già qualcosa di più circoscritto e definito rispetto alla pura immagine archetipica sovrastante – di quella che poi sarà materia densa e pesante. E l’elemento acqueo che abbiamo preso a base di questo livello, ben si presta, come ci ricorda Frithjof Schuon (nota 23) a rappresentare proprio un livello di esistenza di ordine “sottile”, fluidico e non ancora propriamente biologico.

L’ambigua funzione demiurgica

In ogni caso, è fondamentale rilevare come questa parte della manifestazione sia il campo d’azione di entità che svolgono quella funzione intermediaria che è stata definita “demiurgica”.Se inquadriamo il tema sotto una prospettiva “teistica”, si potrebbe cioè dire che Dio non porta a compimento tutta l’opera della creazione in modo diretto ma che, ad esempio in rapporto all’antropogenesi, per giungere al suo scopo si serva di entità subalterne (nota 24): già Meister Eckhart infatti ipotizzò che l’uso della persona plurale nel passo genesiaco “facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza” possa rappresentare un’indicazione dell’intervento di potenze intermedie tra il piano puramente divino e quello umano, potenze che qualcuno ha identificato proprio nei biblici “figli di Dio” (nota 25). Oltretutto va sottolineato come, attraverso tali potenze, l’azione di “plasmatura” ricordata nel testo biblico non vada necessariamente intesa sotto il profilo della corporeità pesante (nota 26), ma che possa senz’altro riferirsi ad un evento verificatosi sul piano psichico (nota 27) cioè a livello di “forma sottile” (nota 28); un tema che ben si accompagna a quello della “polvere” (‘afar) utilizzata per modellare l’uomo (nota 29), la cui corporeità non è ancora densa ed opaca ma leggera e luminosa (nota 30), quintessenziale, come rilevò Jakob Bohme (nota 31) e ad esempio, molto dopo, anche Frithjof Schuon (nota 32 e 33). Indicazioni tutto sommato simili arrivano anche da una prospettiva diversa com’è quella gnostica e dove, riferendosi alla genesi umana, le potenze demiurgiche creano sia il corpo sia la sua forma più sottile, animica (nota 34) e nella quale, tale posizione di intermediario tra il mondo delle Idee e quello della materia viene accostata al Serpente (nota 35): figura la cui particolare collocazione cosmica lo riveste sia dell’indispensabile funzione di “collegamento” tra i due ambiti, sia di quella di “separatore” tra di essi (nota 36), arrivando così a conferire a tutto il mondo psichico, come opportunamente evidenzia Guenon (nota 37), un aspetto duplice, ambiguo.

Eccoci a un punto di particolare importanza, anche ai fini del nostro schema: la possibilità di una doppia modalità di azione che viene a svilupparsi nell’ambito animico e sottile. Le entità che presiedono alla funzione demiurgica possono cioè ricevere le immagini archetipiche provenienti dal sovra-formale e, in coerenza con la loro posizione ontologicamente subordinata, farsi mero strumento di tali Essenze per rivestirle di una forma e portarle senza deviazioni verso i piani manifestati più bassi. Oppure queste, in una prospettiva di illusoria indipendenza dal livello superiore (nota 38), possono agire in modo non coerente con la loro collocazione gerarchica: ad esempio, per fare un’analogia di carattere microcosmico con quelli che nell’uomo sono i “Marut” dalla mutevole azione (nota 39), tali “potenze dell’anima” possono ribellarsi alla naturale struttura universale e svolgere la loro funzione di “plasmazione/corporeizzazione” degli Archetipi rifrangendo in modo deviato e deformante tali immagini verso il basso. Nella figura 2 l’azione demiurgica ha luogo nello spazio della manifestazione sottile, ovvero in quella sorta di “intercapedine” compresa tra la linea rossa e la linea blu, e si estrinseca in una serie di segmenti di colore violetto che partono dalle varie immagini archetipiche (i1, i2, i3…) riflesse alle soglie del sovra-formale: la suddetta doppia possibilità di azione viene rappresentata attraverso una diversificazione delle traiettorie di questi segmenti violetti. Ovvero, quelli che semplicemente prolungano in linea perfettamente retta il “raggio luminoso” dei vari archetipi (arch.1, arch.2, arch.3…) e più in basso impattano la linea blu portando alla nascita di altrettante specie biologiche “centrali” (s1, s2, s3…) rispondono alla prima funzione; quelli che invece, pur partendo dalle stesse immagini (i1, i2, i3…) deviano dall’originaria traiettoria del raggio archetipico ed incrociano la linea blu in punti più laterali (s1’ e s1’’; s2’ e s2’’: s3’ e s3’’…) rispondono alla seconda funzione (ricordiamoci sempre, comunque, che al di qua della linea rossa ci troviamo sotto la condizione temporale, elemento da cui discenderanno altre considerazioni che faremo più avanti).

Ecco perché in tante concezioni e mitologie, antiche ed attuali, le entità di quest’ambito intermedio non vengono ricordate come “unidirezionali” ma in tutta la loro complessa ambivalenza, sia positiva che negativa: è ad esempio il caso del “daimon” greco (nota 40) o quella del “trickster” (“il briccone”) presente in molti contesti etnografici (tipico il caso dei miti cosmogonici californiani nei quali tale figura, demiurgica ed ambigua, viene rappresentata dal coyote – nota 41). E’ probabilmente in relazione a questa polifunzionalità del trickster che Karoly Kerenyi propone l’interessante idea di opporre un “trickster-god” a un “trickster-hero” (nota 42): si potrebbe rilevare che qui ci si muove in un contesto di scala più ristretta, nel quale il personaggio non è tanto interpretabile come “plasmatore” di varie specie viventi, ma soprattutto per il suo significato nei confronti della cultura umana. Ma tuttavia, sforzandoci di compiere un ragionamento di tipo analogico, azzarderemmo che il “trickster-god” possa corrispondere al Demiurgo nella sua veste di “regolare” trasmettitore verso il basso dell’ordine divino, mentre al “trickster-hero” si potrebbe associare una funzione correlata alla condizione di un uomo ormai decaduto e necessitante alcuni elementi “correttivi” di carattere culturale. O anche – ma ammettiamo di spingerci in un campo puramente ipotetico – la stessa formulazione in chiave “culturale” di questa figura potrebbe risentire, a sua volta, di una duplice accezione a seconda degli elementi portati alle comunità umane e al loro conseguente orientamento spirituale: più diretto e “solare” in alcuni casi, più indiretto e “lunare” in alcuni altri, non senza rilevare anche la stessa multiformità riconducibile all’astro lunare nelle sue varie fasi di espressione (la totale riflessione luminosa della luna piena è qualcosa di molto diverso – se non, sotto certi aspetti, di nettamente opposto – al suo totale assorbimento come “luna nuova”). Tuttavia, un aspetto a nostro avviso particolarmente intrigante di tutto il discorso è rappresentato dal concetto che potrebbe declinare la duplicità del Trickster in una chiave forse ancora più particolare, ovvero quella di una sua natura contemporaneamente sovrumana e subumana (nota 43), punto che riprenderemo anche in conclusione.

“Centralità” umana

In ogni caso, tutto ciò ci porta a riflettere più da vicino sul tema della genesi umana e quindi, se guardiamo la nostra figura 2, alla sua parte più bassa. Qui, il prolungamento della linea mediana “arch.0” incrocia la linea rossa nel punto “i0”, a nostro avviso quello dove si manifesta l’Imago Dei alla soglia tra sovra-formale e formale-sottile: un’immagine divina che, solo in questo preciso luogo geometrico, è perfettamente centrale e “sintetica” (cioè non parziale come può essere nelle più laterali i1, i2, i3…) e rappresenta il modello di ciò che nell’uomo – quando più in basso ancora verrà a corporeizzarsi – sarà la sua parte eminentemente noetica e spirituale. E’ quanto, ad esempio, riteneva Onorio da Ratisbona (nota 44), Giovanni Scoto Eriugena (nota 45), Gregorio di Nissa (nota 46 e 47) e alessandrini quali Clemente, Origene, S.Atanasio (nota 48). In pratica, si tratta della rappresentazione più completa di quell’Uomo Universale, cuore e sintesi di tutta la manifestazione cosmica, che nella Tradizione indù corrisponde a Vaishwanara (nota 49) ed in ultima analisi è riconducibile all’unione di Purusha e Prakriti (nota 50), le due polarità universali che tuttavia rimangono esterne alla manifestazione e quindi non sono rappresentabili in questo schema.
Se dunque dal sovra-formale l’Uomo Universale proietta la sua immagine più completa in “i0”, e qui viene correttamente elaborata dal Demiurgo nella sua funzione di regolare “trasmettitore/plasmatore” delle Idee archetipiche verso la più bassa materialità, ci troviamo sul segmento “i0-s0”, ovvero quella parte della manifestazione sottile inerente specificatamente il processo dell’antropogenesi e che abbiamo già incontrato in precedenza con il concetto di “polvere” utilizzata per modellare la “forma sottile” dell’uomo. Si tratta di un momento già sottoposto alla condizione temporale ma non ancora alla corporeizzazione più grossolana, la quale si manifesterà solo in “s0” con l’Homo Sapiens, da cui la sigla “H.S.” nello schema (che, seppur sulla linea centrale, rappresenta comunque un punto di caduta rispetto ai livelli superiori). Per inciso, questa fase “sottile” non viene ricordato solo nell’esegesi biblica ma in vario modo anche in altre tradizioni: ad esempio in quella celtica con il primordiale e paradisiaco “Paese dei Viventi” abitato da stirpi eteree ed elfiche (nota 51); in quella afro-occidentale dei Dogon con l’idea di un uomo primordiale plasmato con “argilla celeste” e spiritualizzata (nota 52); in quella greca con l’umanità “prototipica” di età prometeica che prima dell’episodio di Mecone è ancora priva di donne (nota 53) o anche con il significativo termine di “uomini trasparenti” che Erodoto utilizza per definire gli antichi Iperborei (nota 54); in quella indotibetana dove i “devas” inizialmente creano l’uomo con un corpo fluido e mutevole (nota 55); o in quella cinese, dove Li-Tze ricorda gli antichi “uomini trascendenti” con le “ossa deboli” (nota 56) che però, come già anticipavamo sopra, pare inverosimile possano materialisticamente indicare una mera demineralizzazione dell’apparato scheletrico, quanto invece alludere ad una corporeità di diverso tipo, appunto meno densa di quella attuale.

Tutto ciò, dicevamo, quale conseguenza della funzione demiurgica estrinsecatasi secondo una modalità regolare e coerente con la collocazione cosmologica occupata; ma nel caso invece di un’azione deviante, nella figura 2 il segmento da prendere in considerazione non sarebbe più quello perfettamente in asse con la linea archetipale “arch.0” (cioè “i0-s0”) ma gli altri due più laterali, cioè “i0-s0’” e “i0-s0’’”. Ciò, appunto, per quanto riguarda le diverse rifrazioni dell’immagine centrale “i0” e che, sulla linea azzurra – cioè dove emergono le varie specie viventi – avrebbe portato alla nascita di tutta una serie di forme biologiche più o meno “antropomorfe” raggruppabili in quella che tassonomicamente è definita “famiglia”, ovvero per noi gli “Ominidi”: specie anche piuttosto diversificate e, per quelle tra loro più distanti sulla linea azzurra, nemmeno interfertili tra loro, sebbene tutte accomunate dallo stesso riferimento alla medesima immagine archetipica “i0” (nota 57). Se quindi consideriamo la figura 2 nel suo complesso, per l’Uomo Primordiale dalla corporeità sottile (segmento “i0-s0”), e Homo Sapiens dalla corporeità grossolana (punto “H.S.”), si può parlare – ciascuno per il suo livello – di una “centralità assoluta”. Inoltre, come già anticipato, la dinamica collegata al diverse modalità del Demiurgo, consente di estendere questo discorso anche in termini più generali: nello schema, a partire dalle varie immagini archetipiche i1, i2, i3…, sorgono varie serie di specie (s1, s1’, s1’’; s2, s2’, s2’’; s3, s3’, s3’’…) alcune delle quali, sulla linea azzurra, in posizione più centrale (ma, appunto, è una “centralità relativa”) ed altre in posizione più periferica. Poi, le linee tratteggiate dipartitesi da ciascuna specie – quindi ora in campo pienamente fisico-biologico – ne starebbero a rappresentare dei percorsi “microevolutivi” ancora più ridotti (avevamo già menzionato le frecce a tratto continuo nello schema di Arvo) e riconducibili, ad esempio, al definirsi di “sub-specie” o “razze” attraverso meccanismi di vario tipo, quali mutazioni interne, meticciamenti reciproci, derive genetiche…: ma l’elemento che vorremmo aggiungere adesso è che tale dinamica “microevolutiva” potrebbe non essere la sola, in quest’ambito, ad entrare in gioco.

Il fattore-tempo

Tutte le specie del medesimo gruppo possono essere considerate come delle “variazioni sul tema” attorno ai relativi archetipi, campi di variazione che appunto definiscono le “famiglie” tassonomiche di riferimento: quelle che nella figura sono 2 denominate “fam. 1”, “fam. 2”, “fam. 3”… e appaiono separate tra loro dalle linee verdi “A”, intese come “argini”. Ciò per evidenziare una netta demarcazione tra questi insiemi, solo all’interno dei quali riteniamo che le relative forme biologiche potrebbero essere sottoposte anche a delle spinte involutive e “trasformiste” di ampiezza ancora più marcata rispetto a quelle meramente microevolutive, lineari e contingenti, relative alla singola specie. Si tratterebbe cioè di derive ben più macroscopiche, la cui genesi sarebbe forse da ricercare in una particolare interazione tra le summenzionate dinamiche microevolutive ed il fattore-tempo: ma, a nostro avviso, non senza considerare l’importante dato del suo incedere “ciclico-discontinuo”, come più sopra ricordato in merito ai Manvantara che tra loro sono separati da cesure epocali molto nette, i “Pralaya”.

E’ paradossale osservare come, su questo punto, alcuni elementi possano trovare un comune terreno interpretativo anche adottando una prospettiva di tipo opposto, cioè lineare-evoluzionista e postulando “progenitori comuni” tra le varie forme: il fatto è che però, se analizziamo il caso particolare dell’uomo, le evidenze riscontrate non sembrano confermare quella che, in ottica darwiniana, è l’idea della sua posizione filetica in rapporto alle specie ominidi più vicine. Se infatti consideriamo la nostra famiglia tassonomica e ad esempio mettiamo a confronto il genoma di Homo Sapiens con quello degli scimpanzé, muovendo appunto dall’ipotesi evoluzionista di un “antenato comune”, da una stima sul numero di mutazioni intervenute nel DNA mitocondriale a partire da questo ipotetico e condiviso punto di partenza, A.R. Templeton ne dedusse che l’uomo attuale vi si sarebbe allontanato molto meno rispetto al cugino scimmiesco (nota 58). Alle stesse conclusioni giunse anche Morris Goodman, che confermò una velocità evolutiva molto minore nella linea umana rispetto a quella dello scimpanzé (nota 59) e che pare coerente con l’idea di Louis Bolk, che inquadrò lo sviluppo umano come essenzialmente “conservativo” al contrario di quello “propulsivo” della scimmia (nota 60). Se però abbandoniamo la prospettiva evoluzionista, tutto ciò potrebbe essere interpretabile in modo completamente diverso: ovvero nell’ottica di un Homo Sapiens che – in quanto forma più direttamente, e compiutamente, connessa con i livelli manifestati superiori – rende concreto e visibile tale aspetto di “centralità ontologica” attraverso una condizione di particolare stabilità biologica e genetica, smarrite le quali si trova a regredire verso livelli sub-umani. E’, questo, il tema della provenienza delle scimmie odierne da antiche umanità decadute e rinvenibile ad esempio in alcune credenze sudamericane (nota 61) ma formulata già da Platone (nota 62): quelle scimmiesche sarebbero forme già umane ma ormai completamente animalizzate e rappresentanti il traguardo finale di un percorso che qualcuno ha ipotizzato aver toccato dei passaggi intermedi (Neanderthal, Pithecantropus, Australopitecus… – nota 63) mentre invece altri hanno pensato dallo sviluppo più breve, una metamorfosi subitanea come ad esempio avviene per la farfalla dal bruco o per la rana dal girino (nota 64).

La nostra opinione è che queste diverse idee – tutte comunque, va sottolineato, di impostazione decisamente “involuzionista” – potrebbero essere entrambe valide tenendo però nel debito conto alcune variabili connesse agli spunti e alle interazioni già accennate sopra, ovvero le dinamiche “microevolutive” della nostra specie ed anche la molteplice modalità “solare/pluri-lunare” di impatto demiugico sulla genesi delle singole etnie: razze, stirpi, correnti ed anche individualità ben diversificate, sulle quali avrebbero agito in modo non uniforme le “spallate” del Tempo, nel suo discontinuo avvicendarsi ciclico. Producendo, a seconda del contesto Sapiens sul quale avrebbero impattato, delle forme subumane morfologicamente diversificate e/o delle involuzioni più graduali accanto ad altre, fin da subito, più devastanti. E tutte, comunque, colpite anche dai “Pralaya” dei cicli successivi, oltre che affiancate ogni volta dai “nuovi involuti” derivanti dai Sapiens dell’ultimo Manvantara appena chiuso: con la possibilità di sovrapposizioni, estinzioni, parziali ibridazioni e interazioni di diverso tipo fra tutti questi ceppi, in fondo però derivati – sebbene in modi e tempi diversi – dalla stessa forma centrale. Ma la domanda che a questo punto riteniamo ineludibile, è quale rapporto intercorra tra questa modalità involutiva (in un modo o nell’altro, dipendente dal tempo) e quella, descritta più sopra, connessa all’azione del Demiurgo nella sua dinamica “irregolare” in rapporto al Principio trascendente.

L’idea che ci siamo fatti è che le due possano fondamentalmente descrivere la stessa possibilità, seppure espressa in modi diversi. Nella figura 2, come dicevamo, l’opzione “deviante” del Demiurgo viene espressa per mezzo delle linee violette oblique rispetto a quelle più centrali di ciascuna famiglia zoologica: una rappresentazione “sincronica” che abbiamo privilegiato perché più adatta a descrivere comparativamente i vari elementi cosmologici in gioco, ed anche perché costruita a partire da quella di Arvo, che riprende nella sua struttura di fondo. Tuttavia riteniamo che vi sarebbe anche la possibilità di illustrare il tutto in modo “diacronico”, ovvero secondo una concatenazione temporale (la cui integrazione nel nostro schema sarebbe però piuttosto problematica), cioè ponendo come elemento centrale il discorso dei cicli cosmici. Ma, significativamente, è proprio questo tema a fornirci lo spunto per collegarci alla figura demiurgica, essenzialmente attraverso uno dei suoi simboli più noti e che abbiamo già incontrato in precedenza, ovvero quello del Serpente. René Guenon ci ricorda infatti (nota 65) come il rettile, con le sue tortuose spire, possa senz’altro essere preso a simbolo dell’insieme dei cicli della manifestazione universale che “incatenano” l’Essere in una situazione limitativa, condizionata. E’ vero che il tema ciclico interessa anche Homo Sapiens – inserito com’è nei vari Yuga del suo Manvantara – ma qui il Demiurgo, secondo l’interpretazione che abbiamo proposto più sopra, non è realmente separato dal Principio sovra-formale che lo sovrasta: ne è piuttosto lo strumento, la “longa manus”. Ecco perché l’essenza profonda, “qualitativa”, che tramite la corretta azione demiurgica si imprime in Homo Sapiens lo preserva dalla corrosione dei cicli cosmici in un modo tutto particolare: non, cioè, evitando che alla fine di ogni Manvantara esso possa involvere e regredire, ma piuttosto ripresentando ad ogni suo inizio – con un nuovo intervento “dall’alto” (nota 66) – la stessa forma umana di partenza, perché evidentemente quella più adatta a portare – e ri-portare, perennemente – l’Imago Dei sul piano biologico.

Homo Sapiens è sì nel Tempo, ma in qualche modo è anche al di là di questo. Ed è il tema, già toccato sopra, della sua estrema antichità paleontologica pur secondo una prospettiva non lineare ma discontinua, spezzata dai “Pralaya” che separano tra loro i vari Manvantara. Quando però il Demiurgo “ci mette del suo”, ripiegando separativamente su sé stesso rispetto al sovra-formale che lo sovrasta, ecco che viene pienamente a dispiegarsi, nel suo illusorio impulso di esistenza individuata, ciò che a lui – e a lui soltanto – è precipuamente riconducibile: ovvero “la deviazione” se pensiamo in termini sincronici, o la “reiterazione ciclica” se pensiamo in termini diacronici. Da cui potremmo spingerci a dire che le forme via via generate per involuzione da Homo Sapiens alla fine di ogni ciclo umano (e forse, come detto, anche queste diversificate a seconda del ceppo razziale Sapiens di provenienza), rappresentino sul piano temporale e materiale le manifestazioni più vicine alla sua hybris. Forme biologiche che, come vedremo sotto, in qualche modo gli corrispondono. Anche questo concetto era già stato accennato quando avevamo sottolineata la profonda – ma interessantissima – paradossalità della natura demiurgica che è, contemporaneamente, sovrumana e subumana (nota 67): quindi passibile di un’azione che, in rapporto all’umanità Sapiens e “centrale”, può essere esercitata “da sopra” e “da sotto”.

Tradizione Primordiale ed influenze culturali

“Da sopra” abbiamo già visto cosa significhi: in quanto “sovrumana” l’azione demiurgica va inquadrata nei termini della sua coerenza con i principi sovra-formali e la conseguente, regolare, “plasmatura” antropogenetica. E forse, aggiungiamo adesso, anche di una sua successiva funzione di tipo “spirituale” e solare (il “trickser-god” di Kerenyi?) o, meglio ancora, “pleni-lunare” vista la posizione cosmologica occupata: ovvero, quella di Nume intermedio tra un uomo che, nel frattempo, è sceso di livello e non è più diretta espressione del “Sole” nella manifestazione formale (ciò che era stato l’Androgine di Platone, il “trasparente” di Erodoto, il “trascendente” di Li-Tze…) e del quale il Demiurgo, nella sua retta azione, aveva solo plasmato la forma-veste “sottile” di cui doveva necessariamente ricoprirsi nel flusso temporale. Ora, cioè, è divenuto l’Homo Sapiens che si manifesta ad un certo punto del Manvantara, ma che tuttavia è ancora “aperto” agli impulsi più elevati: quelli che dal Principio sovra-formale il Demiurgo porta a lui, anche se ormai in modo indiretto e mediato, tuttavia nella forma più piena possibile e compatibilmente con la nuova situazione esistenziale. Come la Luna piena appare in armonica complementarietà con il Sole, del quale rimanda la luce al massimo grado della sua potenzialità, così forse l’uomo ormai biologizzato proietta sul Demiurgo il tema di una particolare vicinanza con la sua condizione precedente. Secondo Evola, infatti, erano stati veri e propri “uomini gloriosi” (nota 68) di un tempo aureo e primordiale coloro che poi vengono concettualmente sovrapposti a quegli enigmatici “Veglianti”, che Guenon significativamente colloca nel dominio intermedio (nota 69) e sembrano corrispondere alla prima razza esiodea (nota 70): una stirpe che non perì ma divenne una schiera di demoni epictonii – invisibile, però benigna e tutelatrice nei confronti di un’umanità più ordinaria – e per la quale sempre Esiodo usa l’espressione di nostri “fratelli potenti” (nota 71) vissuta ai tempi di Crono.

In termini teistico-cristiani, il tema potrebbe corrispondere a quello della “doppia corporeità”, nel momento in cui, come rileva Jakob Bohme, è lo stesso “corpo celeste” ed angelico ad avere forma umana, rappresentata in modo supremo proprio da Lucifero (nota 72), corpo che è quello che anche Adamo possiede, assieme ad uno terrestre e perituro (nota 73) ma che si manifesterà solo in un secondo momento. Una prospettiva, in fondo, analoga a quella di Scoto Eriugena, che ipotizzava nell’uomo la coesistenza di due stati onto-esistenziali eterogenei e corrispondenti a due tappe del processo antropogenetico (nota 74). Situazioni e ruoli, quindi, di sovrapposizione concettuale che effettivamente sfiorano il paradosso. Ma la cui enigmaticità può forse mitigarsi proprio aiutandoci con la nostra figura 2: nel momento in cui proviamo ad immaginare lo schema a tre dimensioni, a ruotarlo di 90° verso il nostro sguardo e ad osservarlo nella sua linea centrale a partire dalla nostra specie (il che, in effetti, è la prospettiva che normalmente utilizziamo nella vita di tutti i giorni), noteremo infatti che tutto ciò che si presenta “in asse” non fa che unificarsi sotto la nostra vista, sovrapponendo cioè in un’unica concatenazione l’Uomo Universale (arch.0), l’Uomo Primordiale “sottile” ed il relativo Demiurgo nella sua retta azione (segmento “i0-s0”), con infine l’Homo Sapiens quasi a rappresentare la punta di una tale “iceberg”, seppure capovolto. In quest’ottica il Demiurgo, che si identifica/corrisponde all’elemento mediano, è in effetti il soggetto portatore di influenze “celesti” verso l’Homo Sapiens ma, in rapporto alla nostra specie, oltre a quelle prettamente antropogenetiche e morfologiche, sovrapponendosi all’Uomo Primordiale e “sottile” è anche trasmettitore di un preciso ordine “spirituale” e sovra-formale che viene da più in alto ancora: una consegna che altro non è se non quella Tradizione Primordiale spesso citata, la quale, però, l’uomo corporeizzato e non più identificato nel livello superiore, non può che cogliere dall’esterno, cioè in modo “lunare” ed indiretto, sebbene nella più assiale e piena definizione.

Non a caso, infatti, l’etimo di “tradizione” rimanda sia al concetto di “trasmissione” di un deposito sapienziale (quasi un “oggetto” che pare ormai esterno alla propria più intima essenza), sia al concetto di un “tradimento” del messaggio più autentico – esistenziale e esperienziale – che la sua stessa formulazione, necessariamente discorsiva, sembrerebbe compiere. Ma, come dicevamo, il concetto della natura demiurgica che appare, contemporaneamente, sovrumana e subumana, implica che questa, oltre all’azione “da sopra”, possa aver esercitato verso l’uomo anche un’azione “da sotto”, quindi richiamando il tema della “sub-umanità”. E se per “sub-umanità” intendiamo la distanza dallo standard morfologico umano in una direzione ferina ed abnorme, ecco che ci sembrano estremamente interessanti quei riferimenti mitici nei quali la figura che svolge una funzione di tipo demiurgico si trova accostata al tema della deformità. Come avviene nel caso di alcune mitologie nordamericane, dove il già incontrato coyote tenta maldestramente di imitare il Creatore supremo che ha formato l’uomo, non riuscendo però a generale altro che esseri imperfetti (nota 75). O, molto similmente, nel noto episodio della ribellione di Lucifero, dove l’angelo si rifiuta di riconoscere la superiorità di Adamo quale portatore dell’Imago Dei (nota 76), e che per Frithjof Schuon potrebbe aver prodotto la genesi di una forma parodistica di uomo (nota 77) oltre alla sua stessa caduta dalle sfere celesti (tra l’altro, di notevole interesse anche il fatto che, per Guenon, Lucifero rappresenta l’attrazione verso l’esistenza individuale – nota 78 – quindi verso un particolare ambito, cioè proprio quello “formale”, della manifestazione universale).

Su una scala diversa, ma connesso a delle tematiche fondamentalmente similari, si potrebbe interpretare il Caino biblico che “perde il volto di Yahweh” (nota 79) e che qualche autore pone al principio di una linea nettamente sub-umana (nota 80). Anche il mito greco sembra in grado di offrire chiavi similari con la cacciata dall’Olimpo di Hefestos, egli stesso rappresentato come nano (nota 81), zoppo e deforme (e forse divenuto tale proprio a causa della caduta), eppure, sorprendentemente, considerato civilizzatore dell’umanità (nota 82). Dunque una significativa sovrapposizione di deformità provocate e ricevute, e come più sopra si è proposta un accostamento tra il Demiurgo nella sua “retta azione” con l’Uomo Primordiale e “sottile”, ora si potrebbe ipotizzare un’analoga corrispondenza tra il Demiurgo nella sua “modalità ribelle” rispetto all’ordine divino e l’imperfetta progenie che la sua superbia ebbe a generare. Qui ci ricolleghiamo all’altro versante di analisi, “sincronico” e letto in funzione del tempo, del quale dicevamo sopra quando alludevamo a tutte quelle forme ominidi, via via sorte per involuzione da Homo Sapiens alla fine di ogni suo ciclo, e che a nostro avviso potrebbero rappresentare sul piano biologico la “traccia” dell’hybris demiurgica.

Ma in figure come Hefestos e Caino si fondono sia aspetti bio-morfologici che culturali: elementi che, decine di migliaia di anni fa, potrebbero aver avuto una precisa realtà a livello storico? Forse sì, se ad esempio andiamo ad approfondire, per restare nel nostro continente, il rapporto che dovette intercorrere tra i primi Sapiens ed i “subumani” più noti di queste latitudini, ovvero i Neanderthal. In tempi recenti, stanno infatti emergendo alcune significative testimonianze di un probabile passaggio di alcuni elementi della cultura materiale da questi ultimi verso i nostri progenitori cromagnoidi e capelloidi, come alcune tecniche di livello piuttosto raffinato per la lavorazione di strumenti in osso (reperti in due grotte francesi di circa 50.000 anni fa – nota 83), fino a diversi oggetti di carattere ornamentale rinvenuti in contesto castelperroniano ma senza precedenti tra i Sapiens extra-europei, quindi molto plausibilmente acquisite proprio dai gruppi neandertaliani del nostro continente (nota 84). Ma forse non è azzardato pensare che, a fianco di tali elementi materiali, possano essere transitate anche alcune conoscenze di ordine diverso.

Alcuni rudimenti operativi e stregoneschi, tecniche di manipolazione “sottile” delle forze naturali che potrebbero spiegare l’evidente paradosso di quella figura folklorica, presente con tratti indubbiamente comuni in molti contesti culturali, nota come “uomo selvatico”: esclusa ed estranea alle comunità umane “civili” (il ricordo della progressiva marginalizzazione degli ultimi gruppi neandertaliani circa 40.000 anni fa?) eppure, a dispetto della sua ferinità, depositaria di antiche ed arcane conoscenze (nota 85). Ma, come dicevamo, forse conoscenze incomplete, spezzate, prive della parte più alta – “metafisica”, sottolineerebbe Guenon – che ogni forma autenticamente tradizionale conobbe almeno ai suoi esordi e, per contro, probabilmente ipertrofiche sul versante di un psichismo deviato e crepuscolare: quello di una luce non piena ma mutevole e parziale come le fasi lunari. Fino al completo oscuramento, alla totale ed irreversibile animalizzazione (nota 86).

Note

• Nota 1: Gruppo di Ur – Introduzione alla Magia – Edizioni Mediterranee – 1987
• Nota 2: Roberto Fondi – La critica della scienza e il ripudio dell’evoluzionismo – in: “Testimonianze su Evola”, a cura di Gianfranco De Turris – Edizioni Mediterranee – 1985
• Nota 3: Roberto Fondi / Giuseppe Sermonti – Dopo Darwin. Critica all’evoluzionismo – Rusconi – 1980
• Nota 4: Meister Eckhart – Commento alla Genesi (a cura di Marco Vannini) – Marietti – 1989 – pag. 86
• Nota 5: Alessandro Bongioanni / Enrico Comba – Bestie o Dei ? L’animale nel simbolismo religioso – Ananke – 1996 – pag. 41
• Nota 6: Julius Evola – Rivolta contro il mondo moderno – Edizioni Mediterranee – 1988 – pag. 226
• Nota 7: Giuseppe Sermonti – La Luna nel bosco. Saggio sull’origine della scimmia – Rusconi – 1985 – pag. 61
• Nota 8: Arnold Gehlen – L’uomo. La sua natura e il suo posto nel mondo – Mimesis – 2010 – pag. 171
• Nota 9: Elementi ripresi da vari testi: Michael Cremo & Richard Thompson – Archeologia proibita: la storia segreta della razza umana – Gruppo Editoriale Futura – 1997 – varie pagine; Michael Cremo – Le origini segrete della razza umana – OM Edizioni – 2008 – varie pagine; Maurizio Blondet – L’Uccellosauro ed altri animali (la catastrofe del darwinismo) – Effedieffe – 2002 – pag. 100; Giovanni Monastra – Le origini della vita – Il Cerchio – 2000 – pag. 63; Harun Yahya – L’inganno dell’evoluzione – Edizioni Al Hikma – 1999 – pag. 99
• Nota 10: Soprattutto in “Forme tradizionali e cicli cosmici – Edizioni Mediterranee – 1987”
• Nota 11: Gaston Georgel – Le quattro Età dell’umanità. Introduzione alla concezione ciclica della storia – Il Cerchio – 1982
• Nota 12: René Guenon – L’uomo e il suo divenire secondo il Vedanta – Adelphi – 1997
• Nota 13: Julius Evola – Metafisica del Sesso – Edizioni Mediterranee – 1996 – pag. 148
• Nota 14: Roberto Fondi – Organicismo ed evoluzionismo. Intervista sulla nuova rivoluzione scientifica – Il Corallo / Il Settimo Sigillo – 1984 – pag. 144
• Nota 15: Mircea Eliade – Trattato di storia delle religioni – Bollati Boringhieri – 1999 – pagg. 138, 156, 160
• Nota 16: Adolf Ellegard Jensen – Come un cultura primitiva ha concepito il mondo – Edizioni Scientifiche Einaudi – 1952 – pag. 195
• Nota 17: Titus Burckhardt – Scienza moderna e saggezza tradizionale – Borla – 1968 – pag. 114
• Nota 18: Titus Burckhardt – Introduzione alle dottrine esoteriche dell’Islam – Edizioni Mediterranee – 1987 – pag. 24
• Nota 19: Piero Di Vona – Evola, Guénon, De Giorgio – SeaR Edizioni – 1993 – pag. 440
• Nota 20: Renè Guenon – Il Regno della Quantità e i Segni dei Tempi – Adelphi – 1995 – pag. 21
• Nota 21: Jean Marc Vivenza – Dizionario guenoniano – Edizioni Arkeios – 2007 – pag. 87
• Nota 22: Jean Marc Vivenza, ibidem, pag. 219
• Nota 23: Frithjof Schuon – L’esoterismo come principio e come via – Edizioni Mediterranee – 1997 – pag. 96
• Nota 24: Aspetto, nella tradizione cristiana, ribadito dalla Controriforma (Pietro Omodeo – Creazionismo ed evoluzionismo – Laterza – 1984 – pag. 60)
• Nota 25: Pietro Paolo Zerafa – Antropologia biblica – in: Angelicum, vol. 80, fasc. 2 – Aprile/Giugno 2003 – pag. 350
• Nota 26: Jean De Fraine – La Bibbia e l’origine dell’uomo – Nuova Accademia Editrice – 1965 – pagg. 63-64
• Nota 27: Titus Burckhardt – Scienza moderna e saggezza tradizionale – Borla – 1968 – pag. 100
• Nota 28: Ubaldo Zalino – Cosmologia e evoluzionismo – in: Rivista di Studi Tradizionali, n. 35, luglio-dicembre 1971 – pag. 146
• Nota 29: Mario Cimosa – Genesi 1-11. Alle origini dell’uomo – Editrice Queriniana – 1984 – pag. 34
• Nota 30: Vito Genua – Antropogenesi e nozione di doppia creazione dell’uomo in Origene – in: Pan, vol. 23 – 2005 – pag. 174
• Nota 31: Pierre Deghaye – L’uomo virginale secondo Jakob Bohme – in: “Androgino” (aa.vv. – a cura di Antoine Faivre e Frederick Tristan) – ECIG – 1986 – pag. 220
• Nota 32: Frithjof Schuon – L’uomo e la certezza – Borla – 1967 – pag. 68
• Nota 33: Frithjof Schuon – Sguardi sui mondi antichi – Edizioni Mediterranee – 1996 – pag. 46
• Nota 34: Ezio Albrile – Che cos’è lo gnosticismo – in: Vie della Tradizione, n. 141, gennaio-marzo 2006 – pag. 28
• Nota 35: Ezio Albrile – L’Adam Qadmon e il Serpente, ovvero il Salvatore Imprigionato (breve saggio su un teriomorfismo gnostico) – in: Vie della Tradizione, n. 101, gennaio-febbraio 1996 – pag. 21
• Nota 36: Ugo Bianchi – Prometeo, Orfeo, Adamo. Tematiche religiose sul destino, il male, la salvezza – Edizioni dell’Ateneo & Bizzarri – 1976 – pag. 147
• Nota 37: Renè Guenon – La Grande Triade – Adelphi – 1991 – pag. 94
• Nota 38: Claudio Mutti – Il Demiurgo nella tradizione Magiara – Heliodromos, n. 24 (vecchia serie) – dicembre 1985 – pag. 56
• Nota 39: Ananda Kentish Coomaraswamy – Induismo e buddismo – Rusconi – 1994 – pag. 16
• Nota 40: Ezio Albrile – Antichi demoni astrali (note di demonologia tardo-iranica e gnostica) – in: Vie della Tradizione, n. 120 – Ottobre / Dicembre 2000 – pag. 188
• Nota 41: Mircea Eliade – La nostalgia delle origini – Morcelliana – 2000 – pag. 174
• Nota 42: Angelo Brelich – Rassegne ed appunti. Il Trickster – in: Studi e Materiali di Storia delle Religioni, Vol. XXIX – 1958 – pag. 136
• Nota 43: Angelo Brelich, ibidem, pag. 137
• Nota 44: Onorio di Ratisbona – Cos’è l’Uomo – Il leone verde – 1998 – pag. 32
• Nota 45: Francis Bertin – Corpo spirituale e androginia in Giovanni Scoto Eriugena – in: “Androgino” (aa.vv. – a cura di Antoine Faivre e Frederick Tristan) – ECIG – 1986 – pagg. 81, 83, 90
• Nota 46: Francis Bertin, ibidem, pag. 102
• Nota 47: Mario Girardi – L’uomo immagine somigliante di Dio (Gen.1,26-27) nell’esegesi dei Cappadoci – in: Vetera Christianorum – fasc. 2 – 2001 – pagg. 309-310
• Nota 48: Giovanni Iammarrone – L’uomo immagine di Dio. Riflessioni su una spiritualità dell’immagine – in: Teresianum, A. 46, fasc. 2 – 1995 – pag. 586
• Nota 49: Renè Guenon – L’uomo e il suo divenire secondo il Vedanta – Adelphi – 1997 – pag. 83
• Nota 50: Renè Guenon – La Grande Triade – Adelphi – 1991 – pagg. 30, 31, 87
• Nota 51: Mario Polia – Il mistero imperiale del Graal – Il Cerchio – 1996 – pag. 19
• Nota 52: Antonio Bonifacio – I Dogon: maschere e anime verso le stelle – Venexia – 2005 – pag. 77
• Nota 53: Ugo Bianchi – Prometeo, Orfeo, Adamo. Tematiche religiose sul destino, il male, la salvezza – Edizioni dell’Ateneo & Bizzarri – 1976 – pagg. 192 e 198
• Nota 54: Christophe Levalois – La terra di luce. Il Nord e l’Origine – Edizioni Barbarossa – 1988 – pag. 49
• Nota 55: Titus Burckhardt – Scienza moderna e saggezza tradizionale – Borla – 1968 – pag. 78
• Nota 56: Julius Evola – Rivolta contro il mondo moderno – Edizioni Mediterranee – 1988 – pagg. 225, 226
• Nota 57: Maurizio Blondet – L’Uccellosauro ed altri animali (la catastrofe del darwinismo) – Effedieffe – 2002 – pag. 118
• Nota 58: Giuseppe Sermonti – Dimenticare Darwin. Ombre sull’evoluzione – Rusconi – 1999 – pagg. 73 e 74
• Nota 59: Giuseppe Sermonti – La Luna nel bosco. Saggio sull’origine della scimmia – Rusconi – 1985 – pag. 85
• Nota 60: Louis Bolk – Il problema dell’ominazione – DeriveApprodi – 2006 – pag. 52
• Nota 61: Silvano Lorenzoni – Il Selvaggio. Saggio sulla degenerazione umana – Edizioni Ghénos – 2005 – pagg. 36 e 37
• Nota 62: Silvano Lorenzoni, ibidem, pag. 23
• Nota 63: Basilio M. Arthadeva – Scienza e verità – Edizioni Logos – 1987 – pag. 54
• Nota 64: Giuseppe Sermonti – La Luna nel bosco. Saggio sull’origine della scimmia – Rusconi – 1985 – pag. 90
• Nota 65: Renè Guenon – Il simbolismo della Croce – Luni Editrice – 1999 – pag. 159
• Nota 66: Piero Di Vona – Evola, Guénon, De Giorgio – SeaR Edizioni – 1993 – pag. 464
• Nota 67: Angelo Brelich – Rassegne ed appunti. Il Trickster – in: Studi e Materiali di Storia delle Religioni, Vol. XXIX – 1958 – pag. 137
• Nota 68: Julius Evola – Rivolta contro il mondo moderno – Edizioni Mediterranee – 1988 – pag. 269
• Nota 69: Renè Guenon – Iniziazione e realizzazione spirituale – Luni Editrice – 1997 – pag. 50
• Nota 70: Julius Evola – La Tradizione ermetica – Edizioni Mediterranee – 1996 – pag. 36
• Nota 71: Mircea Eliade – Storia delle credenze e delle idee religiose. Vol. 1: Dall’età della pietra ai Misteri Eleusini – Sansoni – 1999 – pag. 278
• Nota 72: Pierre Deghaye – L’uomo virginale secondo Jakob Bohme – in: “Androgino” (aa.vv. – a cura di Antoine Faivre e Frederick Tristan) – ECIG – 1986 – pag. 207
• Nota 73: Pierre Deghaye, ibidem, pag. 210
• Nota 74: Francis Bertin – Corpo spirituale e androginia in Giovanni Scoto Eriugena – in: “Androgino” (aa.vv. – a cura di Antoine Faivre e Frederick Tristan) – ECIG – 1986 – pag. 80
• Nota 75: Ugo Bianchi – Il dualismo religioso. Saggio storico ed etnologico – Edizioni dell’Ateneo – 1983 – pag. 80
• Nota 76: Vittorino Grossi – Lineamenti di antropologia patristica – Borla – 1983 – pag. 28
• Nota 77: Frithjof Schuon – Dal divino all’umano – Edizioni Mediterranee – 1993 – pag. 99
• Nota 78: René Guenon – La Tradizione e le tradizioni – Edizioni Mediterranee – 2003 – pag. 76
• Nota 79: Giuseppe Acerbi – La simbologia fitomorfica: l’orticoltura nel mito delle origini – in: Vie della Tradizione, n. 90 – Aprile/Giugno 1993 – pag. 84
• Nota 80: Attilio Mordini – Il mistero dello yeti – Società editrice il Falco – 1977 – pag. 40
• Nota 81: Ernesta Cerulli – Il fabbro africano, eroe culturale – in: Studi e materiali di storia delle religioni, XXVIII – 1957 – pag. 97
• Nota 82: Nuccio D’Anna – La religiosità arcaica dell’Ellade – ECIG – 1986 – pagg. 34 e 35
• Nota 83: Abbiamo un debito culturale con i Neanderthal ? – Sito Le Scienze – 13/08/2013 – Indirizzo internet:
http://www.lescienze.it/news/2013/08/13/news/strumenti_specializzati_osso_neanderthal_trasmissione_culturale-1777785/
• Nota 84: Joao Zilhao (intervista) – I Neanderthal pensavano come noi ? – in: Le Scienze – Agosto 2010 (articolo contenuto anche nel libro-raccolta “Il cammino dell’uomo” edito da Le Scienze – 2014)
• Nota 85: Massimo Centini – L’uomo selvatico – Mondadori – 1992 – pag. 78
• Nota 86: Giuseppe Sermonti – La Luna nel bosco. Saggio sull’origine della scimmia – Rusconi – 1985 – pagg. 102, 103, 107

Michele Ruzzai

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