8 Ottobre 2024
Cultura

Dante e Maometto, argonauti del cielo, sciamani dell’anima – Walter Venchiarutti

 

 

Lo sciamano per definizione è colui che tramite i suoi poteri estatici riesce ad entrare in contatto con esseri intermediari (spiriti, dei, demoni) e attraverso queste esperienze procura il buon andamento del gruppo di appartenenza. In ambito tribale il medicine man si reca dalla divinità celeste o infernale per impetrare una buona caccia, per recuperare e guarire l’anima e il corpo del malato, per indicare la strada all’anima del morto (Mircea Eliade, J. P Culianu, Ed. Settimo Sigillo- Europa, 2008). In sintesi è quello che Dante e Maometto fanno intercedendo presso gli esseri superiori e comunicando le loro acquisite conoscenze al mondo dei vivi, avvertendoli e consigliandoli. L’acquisizione sciamanica del sovrasensibile conosce due strade specifiche: la prima consiste nella ricerca portata avanti del soggetto attivo (l’iniziato) che si pone d’iniziativa perseguendo l’approfondimento della via da percorrere, la seconda avviene per chiamata, per vocazione innata ed è il percorso seguito dal mistico.

 

Le analogie riscontrate da Miguel Asin Palacios, insigne arabista spagnolo, con la pubblicazione del libro “Dante e l’Islam – Escatologia islamica nella Divina Commedia” (Ed. Il Saggiatore, 2005) hanno portato alla luce i non pochi punti in comune che accomunano l’opera di Dante ad alcuni aspetti della tradizione religiosa maomettana. Queste considerazioni hanno trovato recente convalida negli studi condotti da alcuni qualificati dantisti (E. Cerulli, M. Corti, F. Tocco, M. Soresina, M. Piccoli). Il nuovo indirizzo non lede l’opera o sminuisce la statura del poeta fiorentino, bensì pone in evidenza le straordinarie intuizioni e conferma le grandi capacità assimilative del mondo medioevale (Medioevo Fantastico, J. Baltrusaitis – Ed. Adelphi, 1973). Le analogie esaminate nulla tolgono all’originalità dantesca in quanto spunti, input che possono aver indirizzato un estro inventivo che ha assimilato, rielaborato e gettato autonomamente le fondamenta della più grande costruzione poetico-letteraria occidentale. I parallelismi culturali attestano le diramazioni raggiunte anche nel medioevo dall’intertestualità tematica, testimoniano la circolazione delle idee che, anche in campo religioso, sapevano superare le frontiere imposte dalle censure e fronteggiare i severi confini politivi e religiosi. Purtroppo l’emancipato e democratico mondo moderno non ha impedito che alcune pregiudiziali, ancorate ad un gretto accademismo, ostacolassero queste ricerche. Dalla notte dei tempi il non saper giudicare obiettivamente le novità, optare passivamente per la conservazione del dogmatismo cattedratico, scambiare la pigrizia intellettuale per dogma hanno favorito l’erudizione a scapito della conoscenza. Una incontaminata purezza culturale del pensiero sia artistico, letterario o scientifico, anche in tempi esenti dall’esser intossicati dai mass media, non è mai esistita. Le idee rifuggono gli steccati, sanno superare le barriere materiali e dribblare le più vigili autarchie del sapere.

 La capacità del genio è data dalla facoltà di modellare e rendere attendibile la ricchezza di ciò che conosce.

Sempre secondo le tesi del Palacios, per la stesura della Divina Commedia, Dante Alighieri avrebbe tratto ispirazione da fonti islamiche che a loro volta avrebbero ricavato spunti dall’escatologia zoroastriana. Il profeta Zaratustra nel I° millenio a C. diffuse tra le popolazioni dell’altopiano iranico una nuova religione monoteista. La divinità suprema Ahura Mazda, secondo il libro sacro Avesta, governava aiutata da sei spiriti (Amesa Spenta), in perenne lotta contro il male (Ahriman). L’anima del defunto, sottoposta a giudizio, poteva essere dannata o salvata. Post mortem veniva quindi accompagnata da una donna che rappresentava le buone o le cattive azioni, condotte durante in vita. A seconda dei meriti questa guida assumeva sembianze di una brutta strega, quando il dannato veniva condotto al Ponte della Punizione per esser destinato all’inferno, oppure di una bellissima fanciulla se era indirizzato al paradiso. L’inferno era un luogo tenebroso, diviso in comparti alcuni freddi e gelidi e altri caldissimi. I dannati immersi nel ghiaccio o nel fuoco soggiacevano alle torture da demoni scatenati e spiriti maligni. I supplizi erano proporzionati alle colpe terrene. Come nell’inferno musulmano e in quello cristiano vigeva la legge del contrappasso: la punizione era in stretto rapporto con la tipologia del peccato commesso in vita. Ahriman, come Lucifero, dominava negli abissi del male, della menzogna e del castigo. Se il viaggio proseguiva l’anima era destinata a sostare in uno stato d’attesa e di purificazione (il purgatorio). Il percorso dei beati terminava nel regno del sole, corrispondente al paradiso, luogo di luce, bontà e gioia.

 

L’incontro con la figura femminile che funge da guida, l’accanimento dei diavoli, le tenebre e la luce, il caldo e il freddo dei gironi, il ponte passaggio obbligato per il traghetto delle anime, la pesatura e il giudizio inappellabile, l’attesa per l’espiazione delle colpe, la felicità eterna nella luce, costituiscono una interessante mole di dati comuni presenti nella tradizione avestica, nell’escatologia islamica e nel racconto dell’aldilà dantesco.

La XVIIa sura del Corano è dedicata al viaggio notturno (isra), dal tempio sacro della Mecca al tempio più remoto di Gerusalemme, compiuto dal Profeta su un cavallo dal volto di donna e dalla successiva ascensione (mi’raj) ai sette cieli, nella visita dai dannati ai beati, in compagnia dall’Arcangelo Gabriele. Il commento a questa strofa ha dato origine a numerosi racconti, diffuso in tutta la Spagna musulmana (al Andalus) in ambiente mozarabo e cristiano. Se Miguel Asin Palacios nel testo ‘Alchimia della felicità’ di ibn Arabi aveva saputo individuare la profonda sintonia tra l’ascensione mistica islamica e quella cristiana riportata nella Divina Commedia, è nel “Liber scalae” di ibn Abbas e nel racconto di ibn Arabi che il legame tra le due escatologie venne poi confermato storicamente. La traduzione francese e latina di quest’opera era avvenuta nel 1264 da parte dell’esule fiorentino Bonaventura da Siena. Ciò ha reso possibile un nesso con l’ambasciata condotta di Brunetto Latini (maestro di Dante) che si trovava proprio in quegli anni a Toledo alla corte di Alfonso X di Castiglia, per motivi di diplomazia politica.

 

Nel Libro della Scala Maometto parla come Dante in prima persona. Dopo un profondo sonno è svegliato dall’arcangelo Gabriele, il viaggio di entrambi è speculare: dall’inferno si sale al paradiso. Il compito di Gabriele è quello di consigliare, spiegare, sorreggere e rispondere ai dubbi. Entrambi Maometto e Dante si rivelano sciamani dell’anima. Le corrispondenti con il paradiso terrestre sono evidenti: il verde lussureggiante del giardino, l’albero e le due fonti dove i beati bevono l’acqua per purificarsi, in entrambi i luoghi si arriva in processione e gli angeli conducono i fedeli beati davanti al trono di Dio. Come Dante, Maometto nel viaggio notturno “Le rivelazioni della Mecca”” di Mohyiddin ibn Arabi discende nelle regioni infernali per poi salire nei diversi paradisi o sfere celesti, un lupo ed un leone gli sbarrano la strada, Virgilio è inviato a Dante, Gabriele a Momammed. L’architettura dell’inferno dantesco ricalca quella dell’Inferno musulmano, tutti e due sono rappresentati nella forma di un gigantesco imbuto, costituito da una serie di piani, ognuno raccoglie una tipologia di peccatori, le colpe si aggravano man mano si scende. Questi inferni nel come sono e nel dove sono si assomigliano e sono situati sotto la città di Gerusalemme. Dante per purificarsi prima di elevarsi al paradiso fa una tripla abluzione, la stessa che purifica le anime nella leggenda musulmana. L’architettura delle sfere celesti è identica: nei nove cieli secondo i meriti sono disposte le anime. Come Beatrice si ritira davanti a S. Bernardo, così Gabriele abbandona Mohammed presso il trono di Dio. Medesima è la descrizione di Dio, focolare di luce intensa, circondato da una miriade si spiriti angelici che emettono raggi di luce.

Le sorprendenti comunanze riscontrate in tanti elementi avvalorano l’ipotesi secondo cui l’Alighieri dovesse essere a conoscenza della famosa leggenda orientale. Alla stregua dei contemporanei il sommo poeta considerava l’islam non una religione ma una eresia. Per questo Maometto condivide, insieme a fra Dolcino, la condanna all’inferno, tra i seminatori di discordia. Se questo rientra nell’ottica di una comprensibile politically correct forse meriterebbe più attenzione la sistemazione nel limbo di personaggi degni di stima come Averroè e Avicenna, per l’intelligenza e di ammirazione e come Salah ad-Din (Saladino) per il coraggio ed l’eroismo. D’altro canto occupano il paradiso anche pagani come Rifeo (Paradiso XX, 82), la condotta conta più della professione di fede.

Sorprendenti appaiono le similitudini tra il capolavoro dantesco e la narrazione islamica. Un vivace dibattito è stato intrapreso in merito ai presunti e reali rapporti tra Dante e l’Islam, tra Oriente e Occidente. Dopo lo studio di Asin Palacios non è più possibile etichettare per semplici infatuazioni orientalistiche e immaginose divagazioni queste assonanze. L’esistenza di una corrispondenza tra la Divina Commedia e gli Hadith della tradizione mussulmana verrebbe attestata dai temi comuni derivati per il tramite della cultura arabo-mediterranea. Così avvenne per l’alimentazione e le scienze (astronomia. Filosofia. Geometria, matematica ecc.).

 

I rapporti di Dante con l’Islam vanno considerati nel trattamento e nella considerazione che il poeta riserba ai rispettivi personaggi. L’incontro con Maometto avviene all’Inferno (canto XVIII 22-42 Bolgia IX) tra i seminatori di discordia. Il Profeta appare orrendamente squarciato dal mento fino all’ano. Lacerazione e animalità contraddistinguono il personaggio e sono state considerate un esplicito esempio della legge del contrappasso. Chi, come Maometto, ha diviso nella fede l’umanità, per corrispondenza simbolica, patisce nelle membra del corpo il dolore dramma della lacerazione. Davanti a lui il genero Alì con il volto spaccato dal mento alla fronte (memento della divisione tra sciti e sunniti). Sempre secondo la legge del contrappasso subisce la condanna per l’opera scismatica che ha svolto alla stregua di fra Dolcino in seno alla cristianità.

Secondo le credenze medioevali Maometto era un monaco che aveva seminato guerra e divisione tra i cristiani. Il giudizio dell’Alighieri è negativo e di netta chiusura dal punto di vista religioso. Ma lo stesso dimostra una apertura e un interesse per l’Islam come entità culturale. Nel Limbo (Inferno Canto IV) Saladino è insieme ai saggi eroi greci e romani, in quanto nemico della cristianità ma ritenuto monarca valoroso e giusto. Così anche Avicenna e Averroè, sono studiosi tenuti in altissima considerazione poichè hanno contribuito alla trasmissione dell’opera di Aristotele (Sabina Beccaro in Rivista di storia e filosofia medioevale “Doctor Virtualis” 2013 Dante e L’Islam).

Riprendendo il dibattito storiografico iniziato con gli studi di Asin Palacios sono state prese in considerazione le diverse possibilità di interferenza. Si è detto che la conoscenza del Libro della scala e l’escatologia musulmana fossero pervenuti a Dante tramite la mediazione del suo maestro Brunetto Latini. Quest’ultimo aveva frequentato la corte spagnola ai tempi di Alfonso X. Il monarca spagnolo era stato un vero poliglotta e favorendo la scuola di Toledo aveva fatto tradurre il libro dedicato al viaggio ultraterreno di Maometto in castigliano e francese nel 1264 da Bonaventura da Siena.

Anche a Sud presso la corte di Federico II era stato favorito il diffondersi di testi della letteratura musulmana. Dopo le scoperte di Enrico Cerulli di testi del Libro della Scala a Parigi e in Vaticano si è compreso che la conoscenza in Europa dell’escatologia musulmana doveva essere maggiore del previsto.

A questo punto è doveroso passare in rassegna le numerose analogie:

 

  • Dante apertamente diventa messia, portavoce al pari di Maometto. Come uomo continua la funzione di indottrinamento e se vogliamo sciamanica iniziata da Gesù. Con il suo viaggio nell’oltretomba e il privilegio di accostarsi alla maestà di Dio diventa al interprete e tramite della volontà divina.
  • Dante e Maometto entrambi viator sono due visionari. Con le loro visiones e il loro viaggio trascendente nell’oltretomba si fanno artefici di un cambiamento ontologico (transumanar) e adempiono a più funzioni:

sono testimoni, hanno visto quanto accade nell’aldilà, sono fedeli osservatori della misericordia e della severità divine

sono visionari, hanno il compito di riportare le loro visiones

sono narratori il loro racconto deve servire da monito alla conversione

sono insegnanti, debbono educare, correggere i comportamenti dell’uomo

sono purificatori il loro insegnamento potrà portare alla salvazione del genere umano

 

  • Il viaggio di Dante (assurto anche lui a ruolo di profeta e maestro) è un vero e proprio percorso iniziatico che si svolge in due parti e anche in questo caso si tratta di un viaggio notturno e ascensione. Mirāj, Isra consistono in una discesa (morte iniziatica, discesa agli inferi) e una risalita al miraggio del paradiso (resurrezione). Ogni iniziazione infatti presuppone una morte apparente (selva oscura, camera oscura, viaggio notturno, sogno estatico, squartamento) e una successiva rinascita, un ritorno alla luce.
  • Siamo davanti ad un doppio viaggio di anabasi-catabasi e viceversa:

-salita al cielo con la morte iniziatica (anabasi)/ discesa in terra, risveglio (catabasi)

-discesa agli inferi (catabasi)/salita al paradiso (anabasi)

  • il viaggio di Dante al pari di quello di Maometto persegue due precisi scopi: un fine teologico di conoscenza e un telos salvifico di aiuto.
  • Anche Muhammad si avvale di due guide Gabriele per la parte iniziale del tragitto e Mosè che lo affianca fino al suo approssimarsi ad Allah.
  • Le analogie dove esplicitamente e implicitamente Dante ha preso spunto sono:

-il canto n VI dell’Eneide dove Virgilio entra nell’Ade con il ramo d’oro da offrire a Proserpina

-Il Viaggio notturno ultraterreno di Maometto a cavallo dell’asino dal volto di donna (buraq) a cui è dedicata la XVII sura del Corano, poi commentata negli Hadith il viaggio spirituale di Ibn Arabi (1165 Murcia 560).

Il topos della figura femminile angelicata (Beatrice) ricorre spesso anche nei testi sufici e nelle elaborazioni del viaggio mistico presenti negli Hadit. La bellezza diventa mezzo attraverso il quale il fedele è attratto verso la conoscenza e partecipa alla dimensione ultraterrena. Il desiderio si cela dietro la poesia d’amore e finalizza la similitudine estasi per la donna che è specchio per la contemplazione del divino. Al pari del sentimento erotico il pensiero dell’amata è visto come epifania del piacere. Viene sottintesa la gioia di poter penetrare i segreti di una conoscenza superiore che può portare ad un annullamento della condizione contingente e aprire le porte, in un continuum, alla felicità. La magia d’amore è il breve riflesso terreno del rapporto uomo donna che si traduce nell’eternità del paradiso.

  • La concezione sufica del califfato si sovrappone alla visione politica dantesca che corrisponde alla sacralità dell’ impero. Dio regge le sorti del cosmo nel mondo celeste, l’imperatore regge le sorti del mondo terrestre.
  • Gli inferi maomettani e danteschi sono caratterizzati dalle fiamme, i paradisi dalla luminosità. L’apoteosi è rappresentata dalla conclusione con la teofania e l’invito ai lettori a compiere una metanoia, cioè a convertirsi.

Alla querelle tra orientalisti filo arabisti e puristi europei ha posto fine Francesco Gabrieli, secondo cui la provenienza e la filiazione letteraria dantesca è indifferente rispetto alla capacità poetica, alla fantasia e all’originalità che caratterizzano l’opera del poeta fiorentino. D’altro canto le analogie con le credenze islamiche sono anche maggiori di quelle contenute nella leggenda meccana. Maria Corti recentemente ha parlato di intertestualità delle due opere che, come abbioamo visto, hanno in comune l’impianto strutturale, elementi architettonici, le pene infernali.

 

 

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