8 Ottobre 2024
Tradizione Primordiale

STRADE DEL NORD. Il tema delle Origini Boreali in Herman Wirth e negli altri – Parte 28 – Michele Ruzzai

(alla fine dell’articolo, prima delle Note, è presente il link dell’articolo precedente)

 

13 – Il Kali Yuga / Età del Ferro: verso la fine del Ciclo

 

13.1 – “Transizioni” neolitiche

 

Un aspetto che di Deucalione ci sembra particolarmente interessante, è il fatto che questo personaggio sia nipote proprio di quel titano Giapeto al quale, in un altro paragrafo, avevamo associato il ciclo dell’umanità “bianca”: è un elemento che troverebbe conferma anche nel suo discendente post-glaciale, per il quale Warren ricorda la provenienza dalla Scizia, interpretando però questo dato come significativo di un’origine precedente dalla radice ancora più boreale (1222). Inoltre, si potrebbe azzardare l’ipotesi che, con Deucalione, il ciclo “bianco” iniziato da Giapeto, sembri arrivare ad una sorta di completamento e di cristallizzazione, quasi un passaggio cruciale in termini antropo-cosmici: ed in effetti, come dicevamo, il relativo diluvio marca una cesura temporale piuttosto importante, collocandosi alla fine del Dvapara Yuga – l’Età dell’Ascia nel Mito Norreno – per lasciare posto, circa 6.500 anni fa, all’esordio del Kali Yuga, in corrispondenza della metà del Quinto Grande Anno del Manvantara. L’inizio dell’ultima età viene ricordato anche altrove, come ad esempio nel testo biblico, dove Gaston Georgel lo pone in connessione con l’episodio della Torre di Babele e la relativa “confusione delle lingue” (1223), immagine che anche secondo Julius Evola alluderebbe al definitivo smarrimento degli ultimi barlumi di Tradizione ancora unitaria dopo il periodo diluviale (1224); nel mito indù è invece con la morte Krishna, ottavo avatara di Vishnu, che prende inizio l’ultimo e più basso degli Yuga (1225).

In ogni caso, dal punto di vista archeologico questo è ormai pienamente il periodo neolitico, e nel nostro continente si sviluppano culture già associabili con minore incertezza all’ethnos indoeuropeo: è ad esempio quanto propone Thieme per il complesso del “bicchiere imbutiforme” (1226), noto anche con la sigla TRB, che durò fra circa 6.000 e 4.700 anni or sono e si estese su un’area simile alla precedente cultura mesolitica di Ertebølle. Tra l’altro è a nostro avviso piuttosto curioso il fatto che, entrando anche questa nel Baltico, sembrerebbe confermarsi una tensione verso il completamento di un “sotto-ciclo migratorio” – quasi un parallelo sul piano geografico del summenzionato nesso Giapeto-Deucalione – che viene a compiersi tutto attorno alla penisola scandinava: ovvero, riassumendo, dagli esordi ario-uralici in un Settentrione non distante dalla penisola di Kola, per dirigersi verso sud-ovest nel Nordatlantico (qui avviando la fase ario-europea), poi da qui virando verso sud-est ed il Doggerland, ed infine puntando verso Oriente, fino a lambire le genti lituane. Quelle stirpi baltiche da Wirth organicamente collegate ai ceppi nordatlantici, anche se in esse si mantengono sempre molto vitali, come già dicevamo, quei significativi arcaismi

derivanti dal primo substrato ario-uralico che, con tutta evidenza, in loro doveva essere rimasto particolarmente influente: quasi un “alfa e omega” che arrivano infine a ricongiungersi.

Inoltre, nel Neolitico, va ricordato che dopo tutti i diluvi succedutisi nei millenni precedenti, la geografia del nostro continente appare finalmente identica a quella attuale nelle sue linee di costa, e a nostro avviso ciò comporta delle conseguenze non secondarie: ora è infatti nel corpo stesso dell’Europa, e non più nelle sue periferie ormai sommerse, che si imprimono gli effetti più profondi della lunga ondata nordoccidentale – di tutte le migrazioni avvenute, probabilmente quella più cospicua in termini demografici – motivo per il quale è plausibile che proprio alla sua eredità sia attribuibile la più rilevante impronta genetica che le nostre terre ancora oggi conservano. Questa chiara traccia è costituita dalla “prima componente principale” (CP) rilevata da Cavalli Sforza, che non a caso presenta un gradiente nettamente trasversale.

Significativamente, lo stesso genetista riconosce che in genere le CP “possono solo indicare una situazione statica e siamo noi ad aggiungere il movimento, in base ad informazioni ricavate da fonti esterne” (1227): come per ogni dato scientifico, quindi, vi è un certo spazio per l’interpretazione a posteriori di tali evidenze e, a dire il vero, non stupisce che il significato di quest’importante risultanza molecolare sia stato, in ambito accademico, letteralmente invertito. Dalla ricerca ufficiale, cioè, la prima CP non viene letta come il risultato di una migrazione dispiegatasi da nord-ovest verso sud-est, ma come un movimento che, all’opposto, da sud-est si sarebbe diretto verso nord-ovest: in quest’ottica ne sarebbero stati artefici i contadini neolitici che, provenendo dall’Anatolia, avrebbero massicciamente introdotto tra i cacciatori-raccoglitori europei sia le nuove tecniche agricole, sia, insediandosi nelle nuove terre e sostituendosi alle popolazioni autoctone, le proprie frequenze genetiche (1228).

Si tratta però di una lettura che, oltre a scontrarsi con i lontani ricordi di molte popolazioni europee – nei cui miti delle origini i richiami al Nord e all’Occidente sembrano nettamente prevalere su quelli al Sud e all’Oriente – presentano anche delle non trascurabili incongruenze individuabili pure sul piano della ricerca preistorica più convenzionale e che, fondamentalmente, potremmo riassumere in tre punti.

Il primo elemento problematico è già rilevabile dalla rappresentazione grafica della prima CP sulla carta geografica, dove uno dei due valori estremi di scala – approssimativamente attestato tra Scandinavia occidentale, costa baltica, Danimarca, Germania del nord, Olanda e settentrione delle isole britanniche – sembra disegnare un’area grossomodo semicircolare: una conformazione che richiama più l’idea di una zona di espansione che di un punto di arrivo, come peraltro anche lo stesso Cavalli Sforza sembra ammettere, in linea teorica, quando menziona il caso dei gradienti concentrici delle varie CP (1229). Non sfugge peraltro che tale zona corrisponde, con buona approssimazione, a quella di stretta pertinenza della razza nordica, cioè nella situazione antecedente alle ultime migrazioni verificatesi nella tarda antichità (1230). Per quanto invece riguarda il valore di estremità opposta della scala, Francisco Villar opportunamente nota come questo non parta affatto dall’Anatolia, come dovrebbe essere se tale “segnale” fosse legato al movimento dei contadini neolitici, ma sorprendemente dalla Mesopotamia se non addirittura dall’Arabia settentrionale, ovvero da zone del tutto incongrue nell’ottica dell’espansione agricola (1231).

Il secondo punto di perplessità riguarda il fondamento stesso del modello demografico “ad onda di avanzamento” (1232), nel quale si ipotizza la diffusione delle tecniche agricole solo per mezzo del flusso immigratorio dei contadini anatolici in cammino verso l’Europa; flusso che però, come ammette lo stesso Cavalli Sforza, dalle analisi di Harding non trova riscontri positivi sul piano craniometrico (1233) e sembrerebbe non offrirne neppure su quello prettamente archeologico (1234). La classica “onda di avanzamento” sarebbe quindi un modello interpretativo semplicistico ed ormai obsoleto, che andrebbe accantonato a vantaggio di quello alternativo, più articolato, proposto da Marek Zvelebil, nel quale l’ipotetico arrivo diretto di genti mediorientali in Europa avrebbe inciso solo in minima parte nella diffusione delle nuove idee produttive, mentre invece la modalità principale di trasmissione sarebbe stata semmai di tipo culturale, su popolazioni quindi rimaste in larghissima parte stanziali ed invariate (1235); sempreché, addirittura, tali procedure non furono in gran parte elaborate proprio nella nostra Europa, magari nell’arco di un periodo lunghissimo ed in una prospettiva che colpirebbe le stesse fondamenta del concetto di “rivoluzione neolitica” (1236) formulato a suo tempo da Gordon Childe. Ciò, dal momento che passaggi culturali estremamente importanti quali la domesticazione del lupo, una certa semisedentarietà dei gruppi umani e un’economia di produzione / stoccaggio delle risorse alimentari, furono consolidati nelle nostre terre fin da tempi sicuramente gravettiani (1237), arrivando a sostenere, anche in un contesto produttivo di caccia-raccolta, popolazioni molto più numerose di quanto un tempo ritenuto (1238). Oltretutto va ricordato come, dal punto di vista linguistico, siano proprio le zone sud-europee – quelle da dove, secondo la teoria di Colin Renfrew, sarebbe partita la colonizzazione neolitica e la parallela espansione indoeuropea – ad evidenziare, al contrario, la presenza (in Grecia, Italia meridionale, Sardegna, Corsica, Iberia) del maggior numero di antichi idiomi formalmente non indoeuropei (1239), anche se, come abbiamo visto e più volte ripetuto, nella nostra prospettiva di ampio respiro, la catalogazione tra le categorie “indoeuropeo/preindoeuropeo” risponde a criteri diversi da quelli classici, ovvero più larghi ed aperti all’idea di una pluri-stratificazione della nostra famiglia etnolinguistica.

Infine un terzo, ma non meno importante, punto problematico di questa interpretazione “ufficiale” della prima CP emerge in rapporto alle stime di derivazione dell’attuale genoma europeo, che in larghissima parte – per alcuni ricercatori fino al 90%, comunque non meno del 65% per altri – non risalirebbe affatto ai recenti tempi neolitici, ma affonderebbe invece le sue radici fino a quelli paleo-mesolitici (1240): con l’ovvia conseguenza che la prima CP europea – la quale, ricordiamolo, sintetizza l’informazione più cospicua sulla distribuzione della diversità genetica nel nostro continente – verrebbe così a rappresentare l’effetto di eventi verificatisi ben prima del Neolitico, cioè assolutamente non connessi alla diffusione delle tecniche agricole.

Tra l’altro, una conferma indiretta di questa diversa interpretazione è desumibile dalla quinta CP europea, nella quale è ben visibile un’ampia area di omogenei valori bassi che, significativamente, attraversa in diagonale l’Europa dalle regioni nordoccidentali a quelle sudorientali, e che potrebbe rappresentare il ripopolamento delle aree poste ad est e ad ovest della direttrice principale dell’antica migrazione trasversale: il relativo gradiente, in rapporto a quello della prima CP, appare infatti grossomodo ortogonale ed è interessante che a parere di Cavalli Sforza tale evidenza potrebbe essersi consolidata in tempi non recenti ma probabilmente preneolitici (1241). Di passata, potremmo anche rilevare che tale vasto ripolamento postglaciale, da Vennemann ipotizzato nei termini di una ri-espansione, a partire dal refugium cantabrico, delle lingue “vasconiche” antenate dell’attuale Basco (1242), oltre a non trovare grosse conferme, come già detto, nei dati dell’idronimia europea indagata da Hans Krahe, è particolarmente problematica da dimostrare soprattutto per l’area scandinava, nella quale Mario Alinei sottolinea la totale assenza di substrati linguistici che non siano indoeuropeo-germanici o uralico-finnici (1243).

Ma anche al di là delle aree disegnate sulla carta geografica dalle componenti principali di Cavalli Sforza, è molto improbabile sia casuale che questa stessa “trasversalità”,  nord-ovest / sud-est, emerga pure sotto un altro punto di vista, seppure più limitato rispetto a quello molecolare, cioè nella distribuzione dei gruppi ematici europei: la stessa direttrice, infatti, risulta grossomodo confermata anche nella progressiva diminuzione della frequenza di sangue di gruppo A ed il parallelo aumento di quello di gruppo B (1244) – come già detto, di probabile origine asiatica – rafforzando ulteriormente l’ipotesi del movimento, e della parallela “diluizione”, in direzione sudorientale della stirpe ario-europea che già durante il Quarto Grande Anno del Manvantara, alle alte latitudini, si era enucleata per “idiovariazione” del gruppo boreale più antico, il cui gruppo ematico era il primordiale “O”.

Ecco dunque un’ulteriore evidenza della pressione esercitata da nord a sud, o, meglio, ora da nord-ovest verso sud-est, che più di 6.000 anni fa si manifesta chiaramente anche in termini etno-demografici per mezzo della cultura mitteleuropea di Rössen (1245): un vasto e duraturo movimento nell’ambito del quale, tra l’altro – forse a causa dei diversi substrati incontrati (abbiamo fatto sopra l’esempio dei Lituani) – le genti indo-europee iniziano a subire quel processo di frammentazione e dialettalizzazione delle loro parlate che alcuni linguisti collocano verso il 4.500 a.c. (1246). Implicazioni etno-demografiche sembrano connesse anche alla decisa spinta portata dalla successiva cultura delle anfore globulari che, più di 5.000 anni or sono, parte dalla Germania orientale in direzione est (1247); secondo Adriano Romualdi, la sezione che si dislocò ad oriente della Vistola andò a costituire il primo nucleo delle lingue “satem” (Baltici, Slavi, Iranici, Indoarii), mentre invece il ramo “kentum” (Celti, Italici, Germani, Elleni) dovette residuare da coloro che rimasero ancora nelle sedi più occidentali (1248), costituendo forse la stratificazione più antica (1249) (anche se, in verità, ciò apre alcuni interrogativi attorno all’arcaicità delle lingue baltiche, che invece, in questa prospettiva, sarebbero state impattate dall’innovazione dell’ondata satem).

In ogni caso, nella prosecuzione del movimento neolitico da nord-ovest a sud-est, dalla Polonia i gruppi indoeuropei più orientali si infiltrarono in Russia ed Ucraina fino alle sponde del Mar Nero, con un afflusso che, nei bacini del Dnepr inferiore, del Donets ed in Crimea, sembra costituito da una popolazione più robusta di quella precedente, mesolitica, ed ora essenzialmente incentrata sul tipo Cro-Magnon (1250): ciò, a testimonianza dell’ormai indissolubile fusione che doveva essersi conclusa, in tempi tardo-paleolitici o al massimo mesolitici, tra le popolazioni più nordiche, “bianche”, e quelle più occidentali, “rosse”.

 

 

13.2 – Kurgan: gli ultimi epigoni?

 

L’interrogativo su quale rapporto dovette intercorrere tra l’ondata migratoria trasversale e le prime fasi delle culture kurganiche nella Russia meridionale, da cui le note teorie di Marija Gimbutas, rimanda in primis al tema essenziale della loro indoeuropeicità o meno, ed, in caso positivo, alla questione di quanto peso esse possano comunque aver avuto nei processi di indoeuropeizzazione del nostro continente.

In merito al primo punto, è innanzitutto interessante ricordare l’ipotesi di Mario Alinei che ne nega decisamente l’appartenenza alla nostra famiglia linguistica, attribuendole invece ad un ethnos del tutto estraneo, cioè “turcico” e di matrice essenzialmente centro-asiatica (1251). Ma oltre a questa posizione, sicuramente più radicale, vi è anche quella di chi comunque nutre diverse perplessità sul fatto che l’area pontica possa aver costituito l’Urheimat primaria proto-indoeuropea, sulla base dell’idea che quest’ultima doveva trovarsi nettamente più a nord, o ad ovest, o a nord-ovest della Russia meridionale: e parliamo di un numero piuttosto significativo di autori, che abbiamo già incontrato, sia recenti (i vari Devoto, Bosch-Gimpera, Georgiev, Schmid, Diakonov, Gornung, Bourdier, Haudry…) che meno (ovviamente Tilak, ma anche Biedenkapp, Krause, Poesche, Penka, Wilser, Gorsleben, Rhys, Kossinna, Taylor, Latham, Schulz…).

Tuttavia, vi sono dei margini per contemplare un certo ruolo recitato dalle culture kurganiche anche a prescindere dal tema dell’Urheimat primaria: in tale quadro, ad esempio, per la formazione e la diffusione della nostra famiglia etnolinguistica, il quadrante pontico potrebbe aver esercitato un’azione non trascurabile, ma comunque subordinata, rispetto a “snodi geografici” precedenti.

In effetti, già nel 1970 Ward Goodenough aveva proposto di considerare l’area kurganica come una semplice propaggine secondaria, di cultura pastorale, di una più antica e settentrionale area formativa indoeuropea (1252) e con il tempo tale ordine di idee è stato riproposto, o quanto meno tenuto in debita considerazione come ipotesi di lavoro, da un buon numero di autori (1253); in particolare sono stati ricercatori come L.Kilian, A.Hausler, I.Ecsedy, J.Makkay che hanno contestato l’idea di “primarietà” dei Kurgan nell’etnogenesi indoeuropea a vantaggio di culture nettamente più settentrionali ed antiche, in una prospettiva che, in definitiva, ne collocherebbe i fattori formativi nel contesto del Paleolitico nordico (1254), come peraltro già ampiamente visto in precedenza. Al limite, le prime parlate protoindoeuropee potrebbero essere state arricchite in un secondo momento da elementi derivanti dalle più meridionali culture kurganiche, soprattutto con una gamma di termini legati alla vita nomadica: quindi “segmentando” il problema della nostra Urheimat in più nuclei formatori entrati in gioco in tempi diversi (1255) anche se, probabilmente, in misura e con incidenze piuttosto dissimili tra loro.

In ogni caso, nel quadro dell’attuale revisione della preistoria europea, è stato significativamente rilevato l’importante dato di fondo dei numerosi tratti culturali presenti nelle società cosiddette “preindoeuropee” che però appaiono anche nei “successivi” Indoeuropei e senza essere affatto peculiari delle sole genti Kurgan (1256): evidenziando quindi una continuità di base che ha portato ad una sostanziale riconsiderazione, da un punto di vista soprattutto archeologico, delle linee generali basate sulle presupposte e traumatiche “invasioni indoeuropee” del Calcolitico (1257). Ciò, anche vista l’oggettiva difficoltà di continuare a sostenere un modello che prevedeva un drastico mutamento glottologico indotto da una sola famiglia linguistica e nella quale, oltretutto, non vi era alcuna evidenza di una chiara superiorità demografica dei presupposti “nuovi venuti” rispetto ai substrati autoctoni (1258): un massiccio cambiamento linguistico che, come osserva Adriano Romualdi, storicamente in Europa non è mai stato introdotto da alcuna popolazione proveniente dalle steppe eurasiatiche (1259). Francisco Villar inoltre contesta l’eccessiva semplificazione teorica implicita nella teoria kurganica e l’impossibilità fattuale che ipotetici eventi migratori di datazione così recente possano aver prodotto l’attuale straordinaria omogeneità etnica dell’Europa (1260), sia  dal punto di vista molecolare (1261), sia da quello glottologico: un tanto, dal momento che circa il 97% dei nostri conterranei è linguisticamente indoeuropeo e, tra l’altro, popolano il quadrante geografico dove, al mondo, è attestato il più basso numero di lingue regionali distinte (1262).

Ma anche accettando, in ogni caso, l’ipotesi che tali “incursioni kurganiche” verso ovest abbiano recitato un qualche ruolo nell’indoeuropeizzazione del nostro continente, comunque molto relativa dev’essere stata l’incidenza genetica di tali ondate (1263); e se pure contemplassimo, con Cavalli Sforza, la possibilità di associare tali eventi alla terza componente principale europea – che, presentando un picco nella Russia meridionale ed un gradiente concentrico, potrebbe confermare le ipotesi di Marija Gimbutas – per il genetista è però anche perfettamente plausibile l’eventualità che questa CP evidenzi, invece, la traccia di fenomeni migratori verificatisi in tempi molto più recenti (1264), forse anche tardo-antichi ed alto-medievali.

In ogni caso, se pur si riuscisse a stabilire un’associazione certa fra la terza CP europea e le espansioni kurganiche del Calcolitico, va ricordato che il relativo peso nel nostro genoma sarebbe ovviamente inferiore rispetto a quello delle prime due CP, che abbiamo ipotizzato essere relazionabili, la seconda alla migrazione paleolitica/pleniglaciale nord-est => sud-ovest (inerente la fase primordiale “ario-uralica”), e soprattutto la prima, collegabile alla migrazione mesolitica/postglaciale nord-ovest => sud-est (inerente la fase finale “ario-europea” o, in altri termini, “indoeuropea in senso stretto”). Di passata, potremmo anche osservare che se appare invece più sfuggente e meno chiaramente intercettabile l’eredità molecolare riconducibile alla fase intermedia – “ario-atlantica” e tardoglaciale – ciò sembra comunque coerente con il tema, già sottolineato in precedenza, della netta prevalenza che la componente “bianca” e settentrionale (in termini autosomici, soprattutto ANE) infine assunse nei processi di mistione intercorsi con le genti “rosse” ed occidentali (in termini autosomici, soprattutto WHG): processi che forse implicarono dei lasciti meno sul piano genetico che sul piano linguistico, generando cioè quell’eterogenea congerie di idiomi inquadrabili come “pelasgici” ed “indomediterranei” che poi venne comunque, in larga parte, sommersa dal flusso più recente, cioè quello “trasversale” ed etnicamente “ario-europeo” dei tempi postglaciali.

Ma l’onda lunga di quest’ultimo flusso – non solo in termini geografici, ma anche temporali – supera, o più probabilmente ingloba, il mondo pontico-kurganico, per infine uscire anche dai confini continentali e, ormai al limitare dei tempi protostorici, penetrare in Asia per varie vie ed in più scansioni. L’ingresso in Medio Oriente porta, attraverso diverse stratificazioni, prima gli Ittiti ed i Luvi, poi Lidi, Frigi, Armeni, ed anche i Celti – dei quali Guénon sottolinea infatti la significativa assonanza con il nome dei Caldei mesopotamici (1265) – percorrendo vari itinerari: da quello balcanico/anatolico a quello trans-caucasico, fino a quello caspico, quest’ultimo privilegiato dai sorprendenti Tocari del Sinkiang e probabilmente anche dagli Indoiranici, che raggiungono gli altopiani persiani ed addirittura il Golfo del Bengala, capolinea orientale della lunghissima migrazione trasversale. Qui, nel secondo millennio a.c., si sovrappongono alle genti dravidiche, ma forse trovano anche un’antichissimo substrato ario-arcaico che, come abbiamo visto in precedenza, era probabilmente giunto da Occidente alcuni millenni prima, nel quadro di una possibile doppia indoeuropeizzazione dell’area che nemmeno Colin Renfrew esclude a priori (1266): perché anche in India – e crediamo sia il modo migliore per concludere qui il nostro lungo viaggio – con Julius Evola ci piace pensare che, su scala globale, il tutto si sia svolto “a grandi ondate, con flussi e riflussi, incroci e scontri con razze aborigene, o già miste, o diversamente derivate dallo stesso ceppo” (1267).

Michele Ruzzai

 

NOTA FINALE: Chi è interessato a ricevere il testo completo della serie “Strade del Nord” in documento unico reimpaginato, può richiederlo all’indirizzo mail “michele.ruzzai@libero.it”

 

 

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Parte 27

 

 

NOTE

 

1222. William F. Warren – Paradise found. The cradle of the human race at the North Pole – Fredonia Books – 2002 (ristampa anastatica dell’edizione del 1885)  pagg. 186, 187

 

1223. Gaston Georgel – Le quattro Età dell’umanità. Introduzione alla concezione ciclica della storia – Il Cerchio – 1982 – pag. 148

 

1224. Julius Evola – Rivolta contro il mondo moderno – Edizioni Mediterranee – 1988 – pag. 245

 

1225. Piero Ardizzone – Gli avatara di Visnu. Esoterismo a confronto – Jupiter – 1995 – pag. 29

 

1226. Adriano Romualdi – Gli Indoeuropei. Origini e migrazioni – Edizioni di Ar – 1978 – pag. 51

 

1227. Luigi Luca Cavalli Sforza, Paolo Menozzi, Alberto Piazza – Storia e geografia dei geni umani – Adelphi – 1997 – pag. 253

 

1228. Luigi Luca Cavalli Sforza, Paolo Menozzi, Alberto Piazza – Storia e geografia dei geni umani – Adelphi – 1997 – pag. 548

 

1229. Luigi Luca Cavalli Sforza, Paolo Menozzi, Alberto Piazza – Storia e geografia dei geni umani – Adelphi – 1997 – pagg. 465, 555

 

1230. Madison Grant – Il tramonto della grande razza – Editrice Thule Italia – 2020 – pag. 236

 

1231. Francisco Villar – Gli Indoeuropei e le origini dell’Europa. Lingua e storia – Il Mulino – 1997 – pag. 88

 

1232. Albert J. Ammerman, Luigi Luca Cavalli Sforza – La transizione neolitica e la genetica di popolazioni in Europa – Boringhieri – 1986 – pag. 17

 

1233. Luigi Luca Cavalli Sforza, Paolo Menozzi, Alberto Piazza – Storia e geografia dei geni umani – Adelphi – 1997 – pag. 501

 

1234. Barbara Bramanti – Il DNA antico riscrive l’avventura del Neolitico – in: Darwin, Luglio/Agosto 2006, pag. 92

 

1235. Mario Alinei – Le conseguenze per la linguistica corsa delle nuove teorie sulle origini indoeuropee – pag. 6 – https://www.researchgate.net/publication/242533955_LE_CONSEGUENZE_PER_LA_LINGUISTICA_CORSA_DELLE_NUOVE_TEORIE_SULLE_ORIGINI_INDOEUROPEE; Mario Alinei – Origini delle lingue d’Europa. Volume 1: La Teoria della Continuità – Il Mulino – 1996 – pag. 420; Harald Haarmann – Sulle tracce degli Indoeuropei. Dai nomadi neolitici alle prime civiltà avanzate – Bollati Boringhieri – 2022 – pagg. 30, 34, 116

 

1236. Gabriele Costa – Continuità e identità nella preistoria indeuropea: verso un nuovo paradigma – in: Quaderni di Semantica, 22 –  2001 – pag. 11 – http://www.academia.edu/1269673/Continuit%C3%A0_e_identit%C3%A0_nella_preistoria_indeuropea_verso_un_nuovo_paradigma_in_Quaderni_di_Semantica_22_2_2001_pp.215-260 ; Harald Haarmann – Sulle tracce degli Indoeuropei. Dai nomadi neolitici alle prime civiltà avanzate – Bollati Boringhieri – 2022 – pag. 28

 

1237. Silvana Condemi, Francois Savatier – Noi siamo Sapiens. Alla ricerca delle nostre origini – Bollati Boringhieri – 2019 – pagg. 121, 123

 

1238. Marek Zvelebil – Caccia e raccolta nelle foreste dell’Europa postglaciale – in: Le Scienze, Luglio 1986, pag. 78

 

1239. Gabriele Costa – Continuità e identità nella preistoria indeuropea: verso un nuovo paradigma – in: Quaderni di Semantica, 22 – 2001 –  pag. 9 – http://www.academia.edu/1269673/Continuit%C3%A0_e_identit%C3%A0_nella_preistoria_indeuropea_verso_un_nuovo_paradigma_in_Quaderni_di_Semantica_22_2_2001_pp.215-260

 

1240. Mario Alinei – Un modello alternativo delle origini dei popoli e delle lingue europee: la “teoria della continuità” – in: AA.VV (a cura di Gianluca Bocchi e Mauro Ceruti), Le radici prime dell’Europa. Gli intrecci genetici, linguistici, storici, Mondadori, 2001, pag. 206; Barbara Bramanti – Il DNA antico riscrive l’avventura del Neolitico – in: Darwin, Luglio/Agosto 2006, pag. 93; Luigi Luca Cavalli Sforza – Il caso e la necessità. Ragioni e limiti della diversità genetica – Di Renzo Editore – 2007 – pag. 64; Luigi Luca Cavalli Sforza, Paolo Menozzi, Alberto Piazza – Storia e geografia dei geni umani – Adelphi – 1997 – pag. 720; Gabriele Costa – Continuità e identità nella preistoria indeuropea: verso un nuovo paradigma – in: Quaderni di Semantica, 22 –  2001 – pag. 19 – http://www.academia.edu/1269673/Continuit%C3%A0_e_identit%C3%A0_nella_preistoria_indeuropea_verso_un_nuovo_paradigma_in_Quaderni_di_Semantica_22_2_2001_pp.215-260; Gabriele Costa – Linguistica e preistoria. II: linguaggio e creazione del sacro – in: Quaderni di Semantica, 27 – 2006 – pag. 6 –   http://www.academia.edu/1269693/Linguistica_e_preistoria._II_linguaggio_e_creazione_del_sacro_in_Quaderni_di_Semantica_27_1-2_2006_pp.199-223; Harald Haarmann – Storia universale delle lingue. Dalle origini all’era digitale – Bollati Boringhieri – 2021 – pag. 188; Harald Haarmann – Sulle tracce degli Indoeuropei. Dai nomadi neolitici alle prime civiltà avanzate – Bollati Boringhieri – 2022 – pag. 33; Elisabeth Hamel, Theo Vennemann, Peter Forster – La lingua degli antichi europei – in: Le Scienze, Luglio 2002, pag. 69; Steve Olson – Mappe della storia dell’uomo. Il passato che è nei nostri geni – Einaudi – 2003 – pagg. 192, 193; Bryan Sykes – Le sette figlie di Eva. Le comuni origini genetiche dell’umanità – Mondadori – 2003 – pagg. 158, 292, 293; Spencer Wells – Il lungo viaggio dell’uomo. L’odissea della nostra specie – Longanesi – 2006 – pag. 211

 

1241. Luigi Luca Cavalli Sforza, Paolo Menozzi, Alberto Piazza – Storia e geografia dei geni umani – Adelphi – 1997 – pag. 554

 

1242. Elisabeth Hamel, Theo Vennemann, Peter Forster – La lingua degli antichi europei – in: Le Scienze, Luglio 2002, pag. 67

 

1243. Mario Alinei – Origini delle lingue d’Europa. Volume 1: La Teoria della Continuità – Il Mulino – 1996 – pag. 332

 

1244. Louis Charpentier – Il mistero Basco. Alle origini della civiltà occidentale – Edizioni L’Età dell’Acquario – 2007 – pag. 67

 

1245. Giacomo Devoto – Origini indeuropee – Sansoni – 1962 – pag. 97

 

1246. Harald Haarmann – Sulle tracce degli Indoeuropei. Dai nomadi neolitici alle prime civiltà avanzate – Bollati Boringhieri – 2022 – pag. 53

 

1247. Giacomo Devoto – Origini indeuropee – Sansoni – 1962 – pag. 106

 

1248. Adriano Romualdi – Gli Indoeuropei. Origini e migrazioni – Edizioni di Ar – 1978 – pagg. 39, 69

 

1249. Maria Luisa Porzio Gernia – Introduzione alla teoria dell’Indoeuropeo – Giappichelli Editore – 1978 – pag. 46

 

1250. Adriano Romualdi – Gli Indoeuropei. Origini e migrazioni – Edizioni di Ar – 1978 – pag. 68

 

1251. Mario Alinei – Un modello alternativo delle origini dei popoli e delle lingue europee: la “teoria della continuità” – in: AA.VV (a cura di Gianluca Bocchi e Mauro Ceruti), Le radici prime dell’Europa. Gli intrecci genetici, linguistici, storici, Mondadori, 2001, pagg. 186, 193

 

1252. Alain de Benoist – Visto da destra. Antologia critica delle idee contemporanee – Akropolis – 1981 – pag. 33

 

1253. Enrico Campanile, Bernard Comrie, Calvert Watkins – Introduzione alla lingua e alla cultura degli Indoeuropei – Il Mulino – 2005 – pag. 49; Luigi Luca Cavalli Sforza, Paolo Menozzi, Alberto Piazza – Storia e geografia dei geni umani – Adelphi – 1997 – pag. 566; Silvano Lorenzoni – Il Selvaggio. Saggio sulla degenerazione umana – Edizioni Ghénos – 2005 – pagg. 106, 107; Alberto Piazza – I geni e le lingue umane. Due alberi genealogici a confronto – in: AA.VV (a cura di Gianluca Bocchi e Mauro Ceruti), Le radici prime dell’Europa. Gli intrecci genetici, linguistici, storici, Mondadori, 2001, pag. 77; Francisco Villar – Gli Indoeuropei e le origini dell’Europa. Lingua e storia – Il Mulino – 1997 – pag. 69; Felice Vinci – I segreti di Omero nel Baltico. Nuove storie della preistoria – Leg Edizioni – 2021 – pag. 306; Felice Vinci – Omero nel Baltico. Saggio sulla geografia omerica – Fratelli Palombi Editori – 1998 – pag. 378

 

1254. Bernard Marillier – Gli Indoeuropei – Edizioni Età dell’Acquario – 2020 – pag. 25

 

1255. Giovanni Monastra – Rileggere l’antropologia della preistoria europea – in: Julius Evola, Il mistero dell’Occidente. Scritti su archeologia, preistoria e Indoeuropei 1934-1970, a cura di Alberto Lombardo, postfazione di Giovanni Monastra, Quaderni di testi evoliani n. 53, Fondazione Julius Evola, 2020, pag. 212

 

1256. Giovanni Monastra – Rileggere l’antropologia della preistoria europea – in: Julius Evola,  Il mistero dell’Occidente. Scritti su archeologia, preistoria e Indoeuropei 1934-1970, a cura di Alberto Lombardo, postfazione di Giovanni Monastra, Quaderni di testi evoliani n. 53, Fondazione Julius Evola, 2020, pag. 202

 

1257. Mario Alinei – Le conseguenze per la linguistica corsa delle nuove teorie sulle origini indoeuropee – pag. 4 –  https://www.researchgate.net/publication/242533955_LE_CONSEGUENZE_PER_LA_LINGUISTICA_CORSA_DELLE_NUOVE_TEORIE_SULLE_ORIGINI_INDOEUROPEE;  Gabriele Costa – Continuità e identità nella preistoria indeuropea: verso un nuovo paradigma – in: Quaderni di Semantica, 22 – 2001 – pag. 5 – http://www.academia.edu/1269673/Continuit%C3%A0_e_identit%C3%A0_nella_preistoria_indeuropea_verso_un_nuovo_paradigma_in_Quaderni_di_Semantica_22_2_2001_pp.215-260

 

1258. Gabriele Costa – Continuità e identità nella preistoria indeuropea: verso un nuovo paradigma – in: Quaderni di Semantica, 22 – 2001 – pag. 10 – http://www.academia.edu/1269673/Continuit%C3%A0_e_identit%C3%A0_nella_preistoria_indeuropea_verso_un_nuovo_paradigma_in_Quaderni_di_Semantica_22_2_2001_pp.215-260

 

1259. Adriano Romualdi – Gli Indoeuropei. Origini e migrazioni – Edizioni di Ar – 1978 – pag. 30

 

1260. Edoardo Castagna – Ariani. Origine, storia e redenzione di un mito che ha insanguinato il Novecento – Edizioni Medusa – 2012 – pag. 92

 

1261. Luigi Luca Cavalli Sforza – Geni, popoli e lingue – Adelphi – 1996 – pag. 49

 

1262. Harald Haarmann – Storia universale delle lingue. Dalle origini all’era digitale – Bollati Boringhieri – 2021 – pag. 384

 

1263. Edoardo Castagna – Ariani. Origine, storia e redenzione di un mito che ha insanguinato il Novecento – Edizioni Medusa – 2012 – pagg. 49, 56¸Gabriele Costa – Linguistica e preistoria. II: linguaggio e creazione del sacro – in: Quaderni di Semantica 27 – 2006 – pag. 6 – http://www.academia.edu/1269693/Linguistica_e_preistoria._II_linguaggio_e_creazione_del_sacro_in_Quaderni_di_Semantica_27_1-2_2006_pp.199-223

 

1264. Luigi Luca Cavalli Sforza, Paolo Menozzi, Alberto Piazza – Storia e geografia dei geni umani – Adelphi – 1997 – pag. 552

 

1265. René Guénon – Forme tradizionali e cicli cosmici – Edizioni Mediterranee – 1987 – pag. 40; Marco Mattarollo – L’origine nordica di Adamo – Yume – 2021 – pag. 49; Felice Vinci – I misteri della civiltà megalitica – La clessidra edizioni – 2020 – pag. 178

 

1266. Colin Renfrew – Archeologia e linguaggio – Editori Laterza – 1989 – pag. 236

 

1267. Julius Evola – Rivolta contro il mondo moderno – Edizioni Mediterranee – 1988 – pag. 243

 

 

 

 

2 Comments

  • Tiziana Pompili Casanova 20 Settembre 2023

    Me lo sono davvero goduto questo “viaggio”. STRADE DEL NORD è un lavoro di grande pregio di cui sentivo fortemente la mancanza. Merita una rilettura più rilassata e più accurata a cui mi accingerò quanto prima. Da perte mia, Michele, i più sinceri complimenti.
    Tiziana

    • Michele Ruzzai 20 Settembre 2023

      Grazie mille, Tiziana, davvero onorato del tuo apprezzamento!
      Con l’occasione ti segnalo che il documento cumulativo di tutta la serie è quasi pronto e confido di mettervelo a disposizione entro un paio di giorni.
      Un caro saluto.
      Michele

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