10 Aprile 2024
Archeostoria Indoeuropei

L’eredità degli antenati, settantacinquesima parte – Fabio Calabrese

Questa serie di articoli, o rubrica, ha subito a partire dall’anno scorso un notevole cambiamento. Come vi ho spiegato, non era mia intenzione che cessasse del tutto, ma in ogni caso mi sono ritenuto in dovere di apportarvi una sostanziale revisione. La cosa, lo ricorderete, è partita la scorsa estate a causa del disprezzo nei nostri confronti manifestato dagli Inglesi in occasione dei campionati europei di calcio, che io come italiano, e fiero di esserlo, ho trovato intollerabile. Non si è trattato solo dei soliti hooligans, notoriamente la tifoseria più violenta d’Europa, ma dei giocatori della nazionale (e una squadra nazionale non ha forse titolo per rappresentare il Paese di cui indossa la maglia?) e dei membri della casa reale, disprezzo che d’altronde si inserisce in una lunga “tradizione” di gesti in proposito. “Qualcuno” aveva ragione da vendere nell’invocare su di loro la stra-maledizione del Cielo.

L’odio si può sopportare, il disprezzo no.

Poiché capita che buona parte del lavoro che avevo svolto fin allora era basato su fonti inglesi come “Ancient Origins” e/o trattava di monumenti megalitici britannici come Stonehenge, il minimo da farsi era un radicale ridimensionamento per evitare qualsiasi sospetto di anglofilia. Come l’amore, anche l’amicizia e la simpatia sono sentimenti che richiedono reciprocità, non possono esistere da una parte sola.

Sinceramente, non credo che gli Inglesi, o meglio le Isole Britanniche abbiano una storia remota più ricca e importante della nostra, ma, e di questo gliene va dato atto, hanno per il loro passato un interesse maggiore di quello che noi abbiamo per il nostro, e di conseguenza, ci sono più ricerche e più informazioni.

Poiché sono solito preparare gli articoli per “Ereticamente” con un certo anticipo e mi seccava buttare via tutto il lavoro già fatto, ho continuato per un certo tempo a pubblicare su “Ereticamente” gli articoli de L’eredità degli antenati già pronti, dopo aver espunto da essi qualsiasi riferimento alle Isole Britanniche (il che, fra tagli e accorpamenti, ha comportato la scomparsa di un paio di essi). L’ultima Eredità degli antenati “regolare”, la settantesima parte, è stata pubblicata su “Ereticamente” il 27 settembre 2021.

Hanno fatto seguito una settantunesima parte dedicata alle recensioni librarie, una settantaduesima in cui vi ho raccontato delle conferenze da me tenute nel 2021 al festival celtico triestino Triskell, poi due articoli della serie Ex Oriente lux, ma sarà poi vero? (dovevano essere quattro, ma sempre l’esigenza di eliminare qualsiasi riferimento alle Isole Britanniche mi ha obbligato a cancellarne due), infine una settantatreesima e una settantaquattresima parte dedicate al riepilogo annuale di ciò che il 2021 ci ha presentato.

Adesso è forse il momento di un’altra Eredità degli antenati “fuori serie” che dedicherò alle osservazioni e alle obiezioni dei lettori.

Come alcuni di voi probabilmente sapranno, io, dopo la pubblicazione su “Ereticamente”, ho l’abitudine di postare i miei articoli su diversi gruppi facebook, questo allo scopo non di vedere il mio nome scritto in più luoghi possibile, ma per tenere quanto più viva possibile in tutti gli spazi disponibili una piccola luce di verità contro le tenebre incombenti che ci minacciano da ogni parte.

Bene, proprio in risposta a uno di questi articoli pubblicati su un gruppo FB, un lettore di cui preferisco non farvi il nome, perché le sue osservazioni non rivelano grande competenza in materia, ha commentato che, a suo dire, i Celti non erano un preciso gruppo etnico, bensì questa parola indicherebbe genericamente tutte le popolazioni barbare e seminomadi con cui i Romani avevano a che fare.

Sbagliato, del tutto sbagliato: il Celti erano una precisa etnia  del gruppo indeuropeo, parlanti le lingue celtiche, da cui ancora oggi discendono (ci sono ancora) Irlandesi, Scozzesi, Gallesi, Cornici, Bretoni e Galiziani, e hanno, oltre a numerose tracce archeologiche, lasciato un’impronta genetica riconoscibile anche nell’Italia settentrionale (Gallia cisalpina).

Io non vi cito questo caso se non per un fatto, esso è emblematico di una tendenza che affiora di quando in quando, quella di negare che i Celti e/o la cultura celtica esistano o siano mai esistiti, o, parallelamente, trovare il modo di inserirli a forza nello schema del passaparola di civiltà Egizi-Mesopotamici-Fenici-Ebrei-Persiani-Greci-Romani. Noi abbiamo già visto che qualcuno, e non in uno scritto su FB dove circolano bestialità di ogni genere, ma nell’ “Enciclopedia del Friuli Venezia Giulia”, è riuscito ad attribuire ai Celti, contro ogni evidenza storica, un’origine mesopotamica. In altre parole, è sempre lo strabismo mediorientale che colpisce ancora, il non voler ammettere a tutti i costi che possa essere sorta una grande cultura europea indipendente da influenze “da est”. I Celti la confutano, così come la confutano le costruzioni megalitiche sparse in ogni angolo del nostro continente, e che l’archeologia “ufficiale” continua bellamente a ignorare.

Ma ora veniamo piuttosto ai commenti che i miei articoli hanno ricevuto sulle pagine di “Ereticamente”.

Comincio da alcune osservazioni a margine della settantesima parte. Charles Vinson ha scritto:

In realtà, il punto di vista secondo il quale i sapiens erano scuri ma si sarebbero “sbiancati” in Eurasia è contraddetto dalla stessa teoria evoluzionistica, per la quale l’accumulazione di mutazioni genetiche favorevoli all’ambiente (in questo caso più freddo e con meno radiazione solare, da cui la progressiva perdita della melanina, ed altre conseguenze) abbisogna di un tempo enorme, di una serie di generazioni molto lunga, centinaia di migliaia di anni; con questi presupposti venire a dire che gli etruschi o i villanoviani o altri neolitici (biologicamente parlando: ieri) erano neri è una cosa che non sta in piedi proprio per una questione di banale aritmetica da scuole elementari”.

Un ragionamento che io trovo ineccepibile. D’altra parte sappiamo, e l’ho documentato più volte, che tutte le storie che raccontano, e vengono principalmente dagli Stati Uniti dove l’istruzione è scesa a un livello pietoso di degrado e il sistema mediatico rende inclini a credere a qualsiasi favola, di Etruschi, antichi Romani e via dicendo “neri”, non sono altro che baggianate inventate per motivi ideologici, ma c’è di più: la stessa cosa si può dire per gli agricoltori neolitici. Dobbiamo a Tom Rowsell, lo ricorderete, il merito di aver sbugiardato la ricostruzione “negrizzata” che è stata fatta dell’uomo di Cheddar. Nella realtà dei fatti, per quanto indietro risaliamo nel tempo, è evidente che l’Europa non è stata finora mai popolata da altro che da europei.

Sempre a proposito di Etruschi, vi riferisco un altro commento di Vinson, che è in realtà anteriore, (Sessantanovesima parte) ma che per comodità espositiva, è meglio citare ora. Il nostro amico menziona i risultati di una ricerca genetica sugli Etruschi che ha dimostrato senza ombra di dubbio che essi erano geneticamente affini agli Indoeuropei, del che mi pare non vi sia mai stato un reale motivo di dubitare, a parte le fregnacce ideologiche “politicamente corrette”, ma è forse l’occasione per evidenziare un concetto importante: “caucasico”, bianco in una parola, è un concetto antropologico, “indoeuropeo” è un concetto linguistico. Può essere benissimo, ed è appunto il caso degli Etruschi che popoli antichi innegabilmente caucasici (o europidi) abbiano costruito nell’antichità culture importanti senza parlare lingue indoeuropee. Quando si parla di “non indueuropei” sui testi di storia, non dovete necessariamente pensare a popolazioni “scure”. D’altra parte, ancora oggi in Europa non parlano lingue indoeuropee né i Baschi, né gli Ungheresi, né i Finlandesi, ma nessuno metterebbe in dubbio la loro appartenenza al ceppo caucasico o europide.

In linea di massima, in epoche pre-moderne, troviamo popoli etnicamente omogenei che parlano uno stesso linguaggio, quindi i due concetti si sovrappongono, ma oggi che ci si impone la disgrazia della società multietnica, non è più così. Gli afroamericani, ad esempio, parlano inglese che è una lingua germanica, quindi dovrebbero essere considerati “dei germanici”, il che non si capisce se debba essere maggiormente motivo di ilarità o di collera.

Una piccola nota umoristica: i siti afroamericani, mi fa notare Vinson, che oggi stanno costruendo la “verità” “politicamente corretta” degli Etruschi neri, tentano di spiegare il fatto che essi appaiono visibilmente europidi in tutte le pitture parietali e vascolari che ci sono pervenute, con l’ipotesi che si dipingessero il corpo di giallo.

Forse – ho risposto a Vinson – confondono gli Etruschi coi Simpson.

Sempre a margine della settantesima parte, vi riferisco uno stralcio di un lungo commento di Michele Simola:

Sappiamo bene che qualsiasi reperto osseo o manufatto rinvenuto in medio oriente o africa trova sempre una grande cassa di risonanza sui media ufficiali proprio perché giustifica la loro favola del politicamente corretto che le razze non esistono, che l’homo sapiens proviene dall’africa, che la civilizzazione umana ha avuto, secondo i loro dogmi, la direzione sud-nord”.

Mentre la realtà, va da sé, è esattamente opposta. Lo sappiamo, l’abbiamo visto continuamente, la storia “ufficiale” delle nostre origini è tutta una mistificazione. Io non conosco personalmente Michele Simola, ma l’ho sempre trovato un lettore attento dei miei scritti, che ha spesso commentato con osservazioni puntuali e intelligenti. Dovesse mai venirmi un dubbio sulla fondatezza di quello che scrivo, mi basterebbe andare a rileggere i suoi commenti.

Aggiungerei una considerazione di Simola che è uno stralcio dell’ampio intervento che ha messo a commento della trentesima parte di Ex Oriente lux, ma sarà poi vero?

Sono profondamente convinto che la narrazione ufficiale del nostro remoto e prossimo passato sia volutamente alterata per imporre la sostituzione etnica nei paesi europei, già la farlocca ue serve come assistiamo oggi, oltre che a portare ricchezza a pochi individui, solo allo scopo di privare gli stati della loro sovranità, militare, economica, decisionale e portare alla sostituzione dei veri popoli Europei”.

Cosa aggiungere? Io non avrei saputo dirlo meglio, ed è un concetto di una grande importanza: la falsificazione della storia serve alla sostituzione etnica, è un elemento del piano Kalergi, ed è nostro dovere contrastarla con ogni mezzo.

Forse non è corretto andare sul piano personale, ma è un piano personale che poi ci porta a considerazioni di ben più ampia portata. Si tratta di un commento che il buon Simola ha postato a margine del mio articolo Il trionfo della stupidità, seconda parte. L’articolo e del 12 febbraio 2018, ma il commento di Simola è molto più recente, del 22 novembre 2021 (il che mi dà la soddisfazione di constatare che i miei scritti vengono riletti anche a distanza di anni).

Simola nota:

Lei ha vissuto questa esperienza, questa scuola democratica e accogliente, e da ciò che ho capito si è retratto nauseato”.

Il che è assolutamente esatto, per me la fine della mia esperienza di docente con il pensionamento, è stata la fine di un incubo. Non si tratta di idiosincrasie personali: oggi un docente che voglia fare seriamente il suo lavoro si trova stretto fra genitori iperprotettivi pronti a fare ricorso in caso di mancata promozione dei loro pargoli, presidi che invece di sostenere gli insegnanti, danno loro addosso “per non avere grane”, ragazzi sempre meno interessati ad apprendere qualcosa e sempre più indisciplinati, la funzione di un insegnante diventa sempre meno la trasmissione di cultura e sempre più il tentativo di tenere sotto controllo classi che somigliano a gabbie di animali selvatici. In queste condizioni, la speranza che gli allievi comprendano la grandezza della storia e della cultura che abbiamo alle spalle, diventa sempre più utopica. In tutta franchezza, specialmente negli ultimi anni, ho avuto l’impressione che il vero luogo dove sia riuscito ad appagare la mia vocazione all’insegnamento, siano proprio le pagine di “Ereticamente”.

Vi ho raccontato della presentazione che ho tenuto a Udine sabato 20 novembre 2021. Certamente vi sarete resi conto che riassumere un libro di 270 pagine, e ancor più anni di ricerche, in un testo relativamente contenuto (tenendo d’occhio i 45 minuti che di solito rappresentano la “lunghezza standard” di una conferenza), non è stata proprio una cosa facilissima, era quasi inevitabile che ci fossero delle omissioni anche consistenti.

Probabilmente, la maggiore riguarda la questione delle origini degli indoeuropei. Secondo una teoria oggi diventata la “verità ufficiale” a questo riguardo, pure le lingue e i popoli indoeuropei, così come quelli semitici e camitici avrebbero avuto origine in Medio Oriente, da un centro iniziale dove si sarebbe sviluppata l’agricoltura, e poi i tre gruppi si sarebbero diffusi verso il Nordafrica (camiti e poi semiti) e l’Europa (indoeuropei) in uno con l’espansione delle culture agricole. Si è preteso addirittura di aver ricostruito una presunta proto-lingua ancestrale all’indoeuropeo, al semitico, al camitico, che è stata chiamata “nostratico” (dal latino noster, nostro).

Dire che tutto ciò è molto sospetto, è francamente il minimo. Innanzi tutto, vediamo che essa coincide fin troppo bene con la storiella biblica dei tre figli di Noè, e si capisce bene da quale ambito salta fuori, considerando che uno dei suoi foondatori, Aaron Dogolpolskij, dopo la caduta dell’Unione Sovietica, ha rinunciato alla cittadinanza russa e si è trasferito in Israele, ma soprattutto vediamo bene che essa contrasta con tutto ciò che sappiamo della storia più antica dell’Europa. Quando abbiamo a che fare con l’espansione di una cultura agricola in territori precedentemente abitati da popolazioni nomadi di cacciatori-raccoglitori, essa cancella letteralmente possibili sostrati di origine diversa, perché i nomadi, che hanno possibilità demografiche molto inferiori, vengono assimilati o allontanati. L’esempio classico è quello dell’antica Cina. L’espansione degli Indoeuropei in Europa, invece è avvenuta a macchia di leopardo, lasciando sussistere non solo ampi sostrati di più antica popolazione autoctona, ma ampie culture non indoeuropee: Etruschi, Minoici, Iberi, e via dicendo, cosa molto più compatibile con l’idea di un’élite di conquistatori, allevatori e cavalieri, che si sovrappone a preesistenti popolazioni di agricoltori sedentari.

C’è poi, molto chiara, la prova della genetica. La presenza di geni di origine mediorientale non è, negli Europei di oggi, superiore al 14%, mentre, fosse vera l’ipotesi del nostratico, essa dovrebbe essere molto più alta.

Infine, consideriamo il contesto psicologico, questa ipotesi (mi rifiuto di considerarla teoria) non è che l’ennesima espressione dello strabismo mediorientale, per di più con l’intento di togliere di mano ai nostri antenati l’ascia da combattimento sostituendola con la zappa del contadino, per disarmare psicologicamente noi.

Al momento, non so dirvi se L’ eredità degli antenati continuerà, e in che modo, ma in una forma o nell’altra, sarò qui finché mi sarà possibile a darvi testimonianza di quel patrimonio storico e culturale di cui “la cultura” mondialista “democraticamente corretta” ci vuole derubare.

 

NOTA: Riprendo da “Camminare in Abruzzo” questa ricostruzione di guerrieri indoeuropei dell’Età del Bronzo.

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