10 Aprile 2024
Archeostoria

L’eredità degli antenati, sessantunesima parte – Fabio Calabrese

Va bene, lo ammetto, sono uno che subisce il fascino dei “numeri tondi”, delle coincidenze temporali, delle ricorrenze. Era mia intenzione, come avevo già fatto per la cinquantesima e poi per la centesima parte di Una Ahnenerbe casalinga, anche in occasione della cinquantesima Eredità degli antenati, presentarvi una sorta di riepilogo del cammino finora fatto, un ripercorrere brevemente la strada percorsa per riprendere fiato ed essere pronto a ripartire di slancio. E’ capitato che la cinquantesima parte l’avrei dovuta scrivere quasi a ridosso dell’articolo in cui già avevo tracciato una sintesi di ciò che ci aveva riservato il 2020, anno, nonostante la pandemia di covid19, intensissimo di nuove scoperte, e due articoli “riepilogativi” a così breve distanza mi sono sembrati troppo, avevo così pensato di dedicare a questa ricapitolazione la sessantesima parte, quella che ha immediatamente preceduto il presente articolo, ma, come avete visto, proprio in quel mentre, abbiamo avuto una panoplia di novità, in particolare gli articoli di “Ancient Origins”, di cui era impossibile non parlare, allora questo lavoro lo facciamo ora, anche se il numero 61 non è “tondo” e non ha nulla di speciale.

Vediamo allora di capire cosa ci hanno insegnato questi sessanta numeri rispetto alle acquisizioni che avevamo già raccolto con Una Ahnenerbe casalinga, avendo presente che in ogni caso si tratta di un faticoso cammino per ricostruire un’immagine veritiera delle nostre origini e di noi stessi a dispetto della “scienza” ufficiale.

Sul piano delle origini della civiltà, abbiamo avuto numerose conferme dell’antichità della civiltà europea, perlomeno coeva di quel Medio Oriente che ci viene indicato come origine di tutto ciò che è civile da archeologi che sembrano ancora oggi guardare più alle pagine della bibbia che ai fatti. In particolare, abbiamo visto che la Russia e l’Europa dell’est, dove queste ricerche erano scoraggiate sotto i regimi comunisti, si rivelano delle vere miniere di informazioni preziose.

Per quanto riguarda l’Italia in particolare, abbiamo visto che due tipologie di monumenti, le piramidi-altare e le statue-stele fanno pensare a una civiltà antichissima, addirittura precedente a quella etrusca. L’Italia è terra di antichissima civiltà per quanto indietro si risalga nel tempo, sebbene sembri che la maggior parte dei nostri connazionali lo ignorino o non se ne curino.

Se ci addentriamo più in profondità all’indietro nel tempo, fino alle origini della nostra specie, ci appare chiara la totale smentita della favola dell’Out of Africa, sebbene costituisca l’ortodossia, la vulgata, il dogma sulle nostre origini, la versione ufficiale cui ogni ricercatore ufficiale si deve adeguare pena l’espulsione dalla comunità “scientifica”.

La nuova disciplina della paleogenetica ha dimostrato che gli uomini “anatomicamente moderni” si sono ripetutamente incrociati con gli uomini di Neanderthal e Denisova, dando luogo a una discendenza fertile, noi, che portiamo nel nostro DNA le tracce di questi antichi accoppiamenti, questi ultimi appartenevano dunque alla nostra stessa specie, erano semmai (e bisogna usare una parola che per l’antropologia attuale è una bestemmia) razzialmente diversi da noi.

Allora si comprende bene che è una totale assurdità pretendere che Homo sapiens sia uscito dall’Africa poche decine di migliaia di anni fa, quando popolava l’Eurasia già da centinaia di migliaia di anni.

Ma c’è di più, molto di più, alla luce delle acquisizioni più recenti, si può mettere in dubbio la stessa teoria evoluzionistica, perlomeno nel senso che non c’è nessuna reale prova della transizione dalla scimmia all’uomo.

Recenti studi di anatomia comparata hanno dimostrato essere falso che gli australopitechi africani camminassero eretti, e si noti che questo presupposto era l’unico elemento che ha spinto a considerare precursori dell’umanità queste creature con un cervello di dimensioni inferiori a quello di uno scimpanzé, con una laringe inadatta al linguaggio articolato, che non producevano strumenti né usavano il fuoco, erano con ogni probabilità solo un genere di scimmie estinte.

Dall’altro lato, scopriamo che l’Homo erectus, l’unica altra specie umana che conosciamo (posto che abilis, heidelbergensis, antecessor non reggono a un’analisi approfondita) era molto più umano di quanto abbiamo a lungo supposto, non meno umano di quanto lo siamo noi, che si prendeva cura dei parenti anziani ed edentuli (Dmanisi), che conosceva tecniche come riscaldare la selce per lavorarla più facilmente (Qesam), che disponeva di una qualche forma di navigazione (isola di Creta, dove sono state trovate asce acheuleane, cioè tipiche di erectus).

In sostanza, umanizzando gli autrolopitechi e brutalizzando “scimmificando” l’Homo erectus e l’uomo di Neanderthal, si è creata una specie di scala che dovrebbe portare dalle scimmie a noi, questa è l’immagine presentata da un sacco di testi divulgativi e da un sacco di illustrazioni che la descrivono come una serie di bruti man mano meno scimmieschi. Bene, ora sappiamo che i gradini di questa scala non esistono!

Un punto riguardo al quale sarebbe utile un riesame, non tanto della questione in sé, ma del modo davvero bizzarro con cui è stata presentata, non solo al grosso pubblico ma sulle pubblicazioni scientifiche che si suppone rivolte principalmente agli specialisti, è quello dell’introgressione africana.

Ricapitolando brevemente; le ricerche sul DNA antico hanno evidenziato la presenza nel genoma di europei e asiatici le tracce di antichi incroci con neanderthaliani e denisoviani che hanno influito sul nostro genoma attuale in una proporzione stimata fra il 2 e il 6%.

Questo invece non si riscontra nei neri subsahariani (lasciamo stare il fatto che ricerche recentissime avrebbero evidenziato una traccia molto lieve, attorno allo 0,3% di DNA neanderthaliano anche in quest’ultimi, che sarebbe conseguente a immigrazioni nel continente nero di popolazioni provenienti dall’Eurasia di data relativamente recente). In compenso, però, i neri africani presenterebbero nel loro genoma una componente molto forte, la più alta mai registrata in popolazioni attuali, l’8% e oltre, fino al 19% in alcuni casi secondo le ricerche più recenti, di DNA non-sapiens di origine sconosciuta. Queste presenze di DNA non sapiens nell’umanità attuale sono state chiamate introgressioni, perciò non mi sembra inappropriato riferirci a quest’ultima come introgressione africana.

L’aspetto paradossale della faccenda è che a parlare della questione è stata per la prima volta “Scientific American” (“Le Scienze” in edizione italiana) in riferimento agli studi sulle popolazioni africane compiuti dalla genetista Sarah Tishkoff nel 2012, poi la cosa è riemersa come si trattasse di una novità assoluta, in riferimento a uno studio sulle proteine della saliva condotto da due ricercatori dell’università di Buffalo nel 2017 (sono stati questi ultimi, per indicare l’Homo o ominide sconosciuto le cui tracce sono presenti nel DNA degli africani, a usare l’espressione “specie fantasma”). Come se non bastasse, quest’ultima nel 2019 è stata riscoperta da Jeffrey Wall dell’Università della California, San Francisco, e proprio per non farci mancare nulla, nel febbraio 2020 anche da Arun Durvasula e Sriram Sankararaman dell’Università della California, Los Angeles (la celeberrima UCLA).

Come se ancora non bastasse, nel 2020 i ricercatori di due università americane, la Cornell e la Cold Spring Harbor hanno messo a punto un algoritmo per identificare le tracce nel DNA umano di materiale genetico di origine sconosciuta. si tratterebbe cioè delle tracce di accoppiamenti con ominidi più primitivi avvenute centinaia di migliaia di anni fa.

Sono stati messi a confronto i DNA di tre uomini di Neanderthal, di un uomo di Denisova e di due uomini “moderni” provenienti dall’Africa. In questo modo i ricercatori avrebbero identificato un DNA “super-arcaico” di origine sconosciuta. Tuttavia, il fatto sorprendente non è questo, sono le proporzioni di questo DNA “sconosciuto” nel genoma delle popolazioni interessate, esse sarebbero del 3% per i neanderthaliani, appena dell’1% nel denisoviano e costituirebbero ben il 15% del patrimonio genetico degli africani di oggi.

I risultati di questa ricerca ci portano a delle considerazioni molto importanti: gli africani viventi oggi, si, proprio quelli cui oggi la sconsiderata politica della sinistra immigrazionista permette di invadere l’Italia, sono geneticamente considerevolmente più arcaici di neanderthaliani e denisoviani, ma il discorso non si limita a questo. Per prima cosa osserviamo che questo DNA super-arcaico non è una novità, non si tratta altro che della famosa “specie fantasma” che forse non era altro che il vecchio Homo erectus che in Africa non sarebbe andato incontro ad alcuna evoluzione.

E’ una storia veramente strana che meriterebbe un pezzo a parte di sociologia della scienza, quella di questa scoperta che da nove anni a questa parte viene continuamente scoperta, dimenticata e riscoperta. Ciò dipende probabilmente dal fatto che negli ambienti scientifici deve essere passata una sorta di parola d’ordine, per la quale a questa scoperta è permesso di circolare solo in ambienti ristretti e non raggiungere il grosso pubblico, perché essa è la riprova che il nero africano, ben lungi dall’essere il modello di umanità che cercano di vendere al grosso pubblico, è un vero passo indietro sulla via di Homo sapiens.

E’ anche sintomatico il fatto che per questo raffronto i ricercatori delle due università americane non abbiano utilizzato DNA europide, o del resto asiatico, il che probabilmente si spiega con il fatto che costoro sono partiti con il pregiudizio di base che appunto l’africano dovrebbe essere “il modello” della nostra specie, “il sapiens più sapiens” per così dire, con i risultati sconcertanti e sconfortanti che si sono visti. In altre parole, si tratterebbe di un involontario esempio di quel razzismo anti-bianco che domina oggi la “cultura” americana, costituisce la base ideologica della violenza dei “Black Lives Matter” e a cui la sinistra “nostrana” è pecorescamente prona.

La notizia di questa ricerca è riportata, sempre il 7 agosto, anche da un articolo di Ed Whelan su “Ancient Origins”, e, oltre a quanto riferisce l’articolo di Sky TG24, Whelan aggiunge un particolare veramente strano: a tutt’oggi Homo erectus rimane un personaggio misterioso, nessuno ha mai pensato di sequenziarne il DNA.

Davvero? C’è da rimanere sbalorditi. Questa particolare specie o varietà umana è nota fin dal XIX secolo, dal ritrovamento giavanese di Eugene Dubois, da lui erroneamente classificato come Pitecanthropus, esemplari di erectus sono stati ritrovati in Asia, in Africa, in Europa (non contiamo i resti perduti del cosiddetto Sinanthropus cinese, ma quanto meno il sito di Dmanisi in Georgia ha restituito resti umani in quantità copiosa). Rimane il dubbio che non si sia voluto indagare troppo a fondo su questi nostri antichi predecessori, perché l’analisi del DNA potrebbe rivelare un’ “imbarazzante” somiglianza con gli africani attuali.

Come si spiega questo curioso altalenare di una scoperta che da nove anni in qua sembra apparire, scomparire e poi essere riscoperta di nuovo? Io avanzerei un’ipotesi a questo proposito. Notiamo che questa scoperta va precisamente contro la “teoria” africano-centrica che oggi a dispetto di qualsiasi evidenza rappresenta il dogma, la vulgata ufficiale sulle nostre origini. Perché dimostra che i neri subsahariani, elevati da quest’ultima a modello, prototipo della nostra specie sono invece proprio coloro che hanno la più alta percentuale di DNA non-sapiens, e perché, a meno di meticciamenti recenti, questo DNA “fantasma” non si trova in nessun altro gruppo umano, questo dimostra che il flusso genetico e quindi lo spostamento di popolazioni, non sono avvenuti dall’Africa all’Eurasia, ma semmai in senso contrario.

Qui abbiamo a che fare con una contraddizione della democrazia, che non può abolire del tutto la ricerca scientifica ma deve limitare al massimo “i danni” che nuove conoscenze possono portare. È come se si battesse la mano sulla spalla dei ricercatori dicendo: “Hai fatto la tua ricerca, bene, bravo, ti concediamo anche di pubblicarla, di avere il titolo di un articolo in più da aggiungere al tuo curriculum, a condizione che non arrivi al grosso pubblico né alla maggior parte dei tuoi colleghi, che sia dimenticata in fretta e non intacchi il dogma out-of-africano per noi così prezioso”.

Sarà una coincidenza, ma è certamente una coincidenza significativa, il fatto che io mi trovi a stendere queste note poco dopo il 17 marzo (anche se non oso fare ipotesi sul momento in cui questo articolo potrà apparire su “Ereticamente”). Questa data ci rimanda a una doppia ricorrenza: la festività di san Patrizio e (soprattutto) l’anniversario della nostra unità nazionale, di cui quest’anno ricorre il 160°.

Per quanto riguarda la prima di queste ricorrenze, sebbene io non sia uso a festeggiare santi cristiani, ammettiamo pure che essa è diventata un po’ la festa del mondo celtico e di tutti quanti sono interessati al celtismo per i più diversi motivi, dalla mitologia da cui deriva molta della heroic fantasy, alla musica, al folclore e via dicendo.

Per quanto riguarda me personalmente, mi sono occupato molto di celtismo, ravvisando nei Celti un’importante cultura europea spesso misconosciuta e per nulla debitrice a influssi mediorientali di una qualche specie. Come avete avuto modo di vedere anche attraverso gli scritti pubblicati su “Ereticamente”, ho dedicato una particolare attenzione al fenomeno megalitico che contrariamente alla favola dell’Ex Oriente Lux, per nulla più fondata della favola dell’Out of Africa, dimostra la precocità della civiltà europea rispetto all’Egitto e al Medio Oriente.

Tuttavia è necessario mettere un paletto importante. Pare che a molti italiani schifi letteralmente essere tali, e questa è certamente una conseguenza dell’oppressione che subiamo da tre quarti di secolo da parte della sedicente repubblica democratica, si arriva allora all’invenzione di pseudo-identità “nazionali”, si pretende di essere Celti e Longobardi al nord o Magni Greci o Bi-siculi (delle Due Sicilie) al sud. Le ricerche genetiche hanno dimostrato una lieve componente celtica al nord e una greca al sud, ma non certo tali da intaccare la sostanziale unità genetica dell’etnia italiana. È chiaro che io non ho mai inteso il celtismo in questo modo: non ci si rende mai tanto ridicoli come quando si pretende di essere a tutti i costi di essere quello che palesemente non si è.

Non è di essere italiani che dobbiamo provare nausea, è la democrazia antifascista che deve farci schifo. Noi siamo italiani, latini, figli di Roma, abbiamo alle spalle un’eredità storica di cui possiamo soltanto essere fieri.

A questo discorso si ricollega quello del risorgimento e della nostra unità nazionale. Dovunque, “destra” e “nazionale” sono termini praticamente sinonimi. L’Italia fa eccezione e da noi abbiamo pure, passatemi il termine una “destra antinazionale” che professa nostalgia per gli stati preunitari o addirittura nel nord-est per la dominazione austriaca, professandosi “mitteleuropea”.

Ciò deriva dal fatto che la nostra unità nazionale, bramata per tanti secoli, è arrivata come effetto collaterale del movimento sovversivo liberal-massonico. Io mi sono occupato della questione già dieci anni fa, in occasione del centocinquantenario, in un saggio che mi fu pubblicato su “L’uomo libero”, Il grande equivoco, di cui ora vorrei rendervi i concetti in estrema sintesi.

L’equivoco consiste nell’interpretare il risorgimento come unitario, cosa che non fu. Un conto fu l’insorgenza spontanea degli Italiani contro l’oppressione straniera, e ricordavo che il primo episodio che possiamo considerare risorgimentale non fu una ribellione contro gli Austriaci, ma contro i Francesi, le truppe di Napoleone contro cui Verona insorse, e i Francesi risposero con la dura repressione passata alla storia come “pasque veronesi”.  Chi sostiene come la solita sinistra che sembra aborrire tutto quanto è italiano, che il risorgimento non ebbe una vasta partecipazione popolare, mente, spesso sapendo benissimo di mentire.

Venezia, ad esempio, nel 1848-49 resistette per un anno e mezzo all’assedio e alla riconquista austriaca, e per parecchi mesa altrettanto fece il paesino friulano di Osoppo (e per questo motivo ne prese il nome durante la seconda guerra mondiale la brigata partigiana “bianca” massacrata dai comunisti alle Malghe di Porzus), ora che tutto ciò possa essere stato opera dei soli ceti borghesi è semplicemente impensabile.

Altra cosa fu il movimento liberal-massonico che si impadronì di questa insorgenza per le sue finalità fra le quali non c’era affatto l’unità italiana. Lo scollamento fra le due cose si vede in alcuni tragici episodi come l’eccidio di Bronte, quando i garibaldini repressero con estrema durezza l’insurrezione popolare. Lì c’era la ducea di Nelson, lì c’erano interessi inglesi da difendere.

Voi mi scuserete, ma concluderei questa esposizione forzatamente sintetica ripetendo uno slogan dell’unico regime genuinamente italiano che abbiamo avuto, quello che ha governato l’Italia dal 1922 al 1943, e che avrà avuto mille difetti, ma ha almeno cercato di rendere gli Italiani fieri di essere tali:

“Italiani, prima di tutto!”

NOTA: Nell’illustrazione, statua-stele ritrovata recentemente (6 marzo) nei pressi di Pontremoli in Lunigiana. Le statue-stele e le piramidi-altare fanno sospettare che l’Italia sia stata sede di un’antichissima civiltà addirittura pre-etrusca.

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