9 Ottobre 2024
Archeostoria

L’eredità degli antenati, sessantaduesima parte – Fabio Calabrese

Riprendiamo ancora una volta il nostro cammino. Nel momento in cui inizio a stendere queste note, siamo alla fine di marzo, e mi è difficile stabilire quando potranno comparire su “Ereticamente”, di certo con uno iato temporale non irrilevante, visto che fra un mese abbiamo il consueto appuntamento con la questione fascismo-antifascismo, e in più che, come avete visto la volta scorsa, ho dedicato la sessantunesima parte a un lungo articolo riepilogativo, ma, dato che il mio intento non è quello di farvi un’esposizione nozionistica, ma di evidenziare come l’idea che ci possiamo fare delle nostre origini e di noi stessi, sia in forte contrasto con ciò che vuole imporci l’ortodossia, il pensiero dominante, è anche questa una cosa necessaria, soprattutto oggi quando abbiamo visto che le più recenti risultanze scientifiche, oltre a sconfessare totalmente l’Out of Africa, pongono seriamente in dubbio la stessa teoria evoluzionistica.

In altre parole, la concezione “scientifica” delle nostre origini e di noi stessi che vogliono imporci a tutti i costi attraverso il sistema “educativo” e quello mediatico, democratica, cosmopolita, buonista, non è affatto supportata dalla ricerca scientifica, quella vera, tutt’altro!

Vediamo ora cosa ci presenta questo ultimo scorcio di marzo o di incipiente primavera.

Ricorderete, penso, che varie volte vi ho parlato dell’idolo di Shigir, questa scultura lignea antropomorfa almeno nella parte superiore, che sembrerebbe essere la statua lignea più antica al mondo. Ne aveva parlato a suo tempo anche Maurizio Blondet con un articolo pubblicato sul suo sito EffeDiEffe, dove faceva rilevare la somiglianza di questo idolo datato attorno a 10.000 anni or sono con i pali sciamanici tuttora oggetto di culto presso le popolazioni siberiane, il che farebbe dello sciamanesimo la più antica religione di questo pianeta tuttora praticata.

Bene, dell’idolo di Shigir ci torna a parlare un articolo di Angelo Petrone del 25 marzo pubblicato su “Scienze notizie”. Un team di archeologi composto da Thomas Terberger dell’Università di Gottinga, in Germania, Mikhail Zhilin, dell’Istituto di archeologia dell’Accademia delle scienze russa, e Svetlana Sávchenko, del Museo regionale di Sverdlovsk, ha riesaminato recentemente l’idolo procedendo a una nuova datazione al radiocarbonio, lavorando su un frammento prelevato dal nucleo più interno della struttura lignea, e quindi più al sicuro da contaminazioni:

Il risultato è sorprendente: esso non avrebbe come si era finora pensato, meno di 10.000 anni, ma più di 12.250. Esso sarebbe stato scolpito e la religione sciamanica sarebbe sorta nel pieno dell’età glaciale.

Gli uomini che hanno popolato l’Europa preistorica, impariamo a conoscerli sempre meglio, e soprattutto coloro che sono vissuti dal neolitico in poi, che hanno dato vita a comunità stabili, tanto più li conosciamo, tanto meno ci appaiono diversi da noi.

Parliamo poi di un articolo di Ashley Cowie apparso su “Ancient Origins” il 24 marzo. A Cairns nelle Orcadi sono state scoperte delle grandi fosse risalenti all’Età del Ferro contenenti i gusci di migliaia di molluschi. Secondo il Dr. Martin Carruthers, docente presso l’Istituto archeologico dell’Università delle Highlands e delle Isole (UHI) con sede all’Orkney College, questi sono stati cotti e mangiati in una sola volta, e poi i loro gusci seppelliti nelle stesse fosse dove sono stati cucinati. Si è trattato con ogni probabilità di un consumo rituale di massa durante una cerimonia collettiva, forse un’iniziazione, un matrimonio o un funerale.

E’ apparso anch’esso il 24, ma riporta la data del 13 (E’ un fatto che ho notato più volte, e probabilmente dipende dal fatto che gli articoli consegnati alla redazione non vengono immediatamente pubblicati) un articolo su “The Archaeology News Network” che riporta come fonte il CENIEH (Centro Nacional de Investigación de la Evolución Humana) di Barcellona, che ci parla della Ragazza di Gran Dolina. Si tratta di uno dei resti umani ritrovati nel sito spagnolo di Atapuerca, uno scheletro molto frammentato classificato come individuo H3, e finora conosciuto come “Ragazzo di Gran Dolina”, un (o una, perché non se ne era potuto stabilire il sesso) preadoloescente deceduto/a ad un’età fra i 9 e gli 11 anni. Mancavano le parti più rivelatrici del sesso dello scheletro, come il bacino. Una recente ricerca condotta dalla dottoressa Cecilia Garcia Campos del CENIEH, si è concentrata sulla dentatura, basandosi sul fatto che nella specie umana i canini sono proporzionalmente più piccoli nelle femmine che nei maschi, e scoperto che “il ragazzo” era con tutta probabilità di sesso femminile.

La stessa notizia è riportata anche da un articolo, sempre del 24 marzo di Ashley Cowie su “Ancient Origins”. Cowie titola Il ragazzo di Gran Dolina è appena diventato una ragazza. Viene da sorridere, perché sembrerebbe di avere a che fare con il primo transgender della storia, anzi della preistoria.

Ma il punto importante è un altro, perché Cowie ci fornisce una datazione di questo reperto, che non è riportata da “The Archaeology News Network”, 800.000 anni, e questo è di estrema importanza, perché scopriamo che l’uomo di Atapuerca, geneticamente molto più simile a noi, era quanto meno contemporaneo, e forse più antico di Homo erectus. Capite bene cosa significa? Tutta la filogenesi umana va ripensata. Se non proprio la teoria evoluzionistica, tutta la catena di bruti man mano leggermente più umani che avrebbe dovuto portare dalle scimmie a noi, salta irrimediabilmente.

Lo sapevamo già da tempo: mestieri specializzati diversi dal semplice procacciamento della sussistenza compaiono a partire dalla rivoluzione agricola, perché i cacciatori-raccoglitori nomadi devono dedicare tutte le loro energie a procurarsi quanto basta per sopravvivere (a stento) a loro stessi e alle loro famiglie. Solo con la rivoluzione agricola compare un surplus che può essere scambiato con chi non è direttamente impegnato nella produzione di alimenti, e possono comparire artigiani specializzati: vasai, sarti, carpentieri, minatori, metallurghi.

Bene, adesso scopriamo che questo non riguarda soltanto gli individui, ma intere comunità, e che, a partire dalla rivoluzione agricola, già nella preistoria sono sorte comunità specializzate in attività diverse dalla produzione di alimenti.

Ce ne parla un articolo di “The Archaeology News Network” anch’esso datato 24 marzo. Un team di ricercatori dell’Accademia Austriaca delle Scienze guidato da Andreas Heiss ha recentemente studiato il sito minerario (miniera di rame) dell’Età del Bronzo di Prigglitz-Gastell nelle Alpi orientali attivo tra il XIX e il XI secolo avanti Cristo, e in particolare i residui di piante alimentari, come il miglio e le lenticchie. Mentre si trovano i semi destinati al consumo, non si trovano scarti di lavorazione come pula o altro. Conclusione, questi antichi minatori importavano il loro cibo già lavorato dall’esterno.

L’area corrispondente all’Austria attuale, lo sappiamo, in età preistorica pare fosse proprio specializzata nell’attività estrattiva, conosciamo ad esempio la grande miniera di salgemma di Hallstatt che ha dato il nome alla cultura omonima.

Un articolo del 26 marzo che cita come fonte l’Istituto Max Plank di Jena ci parla di uno studio genetico che lo stesso Istituto ha condotto sui resti umani di 111 persone esumate dalla necropoli scitica di Eleke Sazi nel Kazakistan. Sugli Sciti, sempre presentati come abili cavalieri e feroci guerrieri abbiamo numerose fonti greche, romane, persiane e cinesi, ma poiché non abbiamo nessuna testimonianza scritta di loro pugno, per capire il loro mondo, le dinamiche interne della loro società, dobbiamo affidarci interamente alla genetica.

Prima di esaminare il contenuto dell’articolo sarà bene ricordare che ci siamo già occupati degli Sciti poco tempo fa, da un altro studio genetico è emerso che solo una parte di questo antico popolo, verosimilmente un’élite era composta da guerrieri e cavalieri dediti a uno stile di vita nomadico che hanno spesso servito come mercenari gli imperi romano, persiano, cinese, mentre la maggioranza della popolazione era composta da agricoltori sedentari.

Lo studio dell’Istituto Max Planck ha evidenziato due nuclei di popolazione distinti, uno più orientale di origine altaica, e uno più occidentale, più marcatamente europide, corrispondente con ogni probabilità agli antichi Sarmati, considerati proto-slavi.

La cosa più interessante è però la luce che questo studio getta sulla scomparsa della cultura scitica avvenuta attorno al primo secolo della nostra era, in concomitanza con essa, si scopre nelle sepolture un mescolamento con altre popolazioni e la sparizione del profilo genetico scitico. L’istituto Max Planck e “The Archaeology News Network” parlano di “turn-over genetico”.

Vi è chiaro cosa significa ciò? Una scoperta che contraddice totalmente uno dei postulati dell’ortodossia “politicamente corretta” democratica che cercano di inculcarci a tutti i costi: l’immigrazione e il mescolamento di popolazioni non arricchiscono i popoli e le culture, al contrario, li ammazzano!

Il 29 marzo è “Ancient Origins” a occuparsi degli Sciti con un articolo di Nathan Falde, che però si riferisce alla stessa ricerca genetica dell’Istituto Max Planck di cui vi ho detto più sopra, per cui adesso è superfluo ripetermi, tranne forse che per un’osservazione di Falde, che la principale fonte storica che abbiamo riguardo agli Sciti è rappresentata dallo storico greco Erodoto, che parlava per sentito dire, e non era quindi molto attendibile. Oggi le ricerche archeologiche e gli sviluppi della genetica possono colmare “i buchi” che abbiamo a questo riguardo.

Torniamo in Spagna con un articolo di Ashley Cowie pubblicato il 26 marzo da “Ancient Origins”, precisamente a Matalascanas, una località dell’Andalusia (Spagna meridionale) dove l’anno scorso è stato ritrovato un gruppo di impronte fossili di uomini di Neanderthal risalenti a 100.000 anni fa. Le impronte sono state studiate da un team di paleontologi dell’università di Huelva. Dalla loro posizione, si è potuto dedurre che gli uomini che le hanno lasciate erano intenti a perscare o a raccoglere molluschi. Nel gruppo c’erano anche un bambino intento a giocare con la sabbia, e una ragazza che parrebbe aver danzato. Non c’è che dire, più li conosciamo, questi antichi uomini, più ci appaiono simili a noi.

Il 29 marzo Msn.com riporta una notizia piuttosto singolare: sta per essere inaugurata e aperta al pubblico una ricostruzione della grotta di Cosquier. Questa grotta, scoperta nel 1994 da un subacqueo, Henry Cosquier da cui ha preso il nome, a Chauvet nella Francia meridionale non distante da Marsiglia, è una caverna semisommersa contenente interessanti graffiti paleolitici e, oltre a essere di difficile accessibilità, rischia oggi di essere distrutta dall’innalzamento del livello del mare causato dal riscaldamento globale, da qui la decisione, peraltro contestata da diverse parti, perché si tratterebbe pur sempre di un falso, di farne una copia.

Viene subito in mente un paragone, quello con i templi egizi di Abu Simbel che, minacciati di essere sommersi dal lago artificiale che si sarebbe formato in seguito alla costruzione della diga di Assuan, nel 1968 furono smontati e ricollocati più a monte. Giova ricordare che quest’opera imponente fu portata a termine da marmisti e cavatori italiani. Chissà, se i nostri “cugini” francesi avessero fatto ricorso a noi, forse anche la grotta Cosquier si sarebbe potuta salvare invece di accontentarsi di una riproduzione.

Singolare coincidenza, in questi giorni il canale di Suez, via d’acqua importantissima per il commercio interazionale, è rimasto “tappato” da una gigantesca nave porta-container finita di traverso in seguito a una mareggiata, e ancora una volta per risolvere la situazione si fa ricorso all’abilità e competenza italiane.

Diciamolo fuori dai denti, siamo gente in gamba, e se oggi l’Italia non ha peso, viene “snobbata” nelle relazioni internazionali, questo si deve esclusivamente a una classe politica buonista e servile che esprime il peggio di noi stessi, sono i frutti della democrazia che ci è stata imposta.

Certe volte sembra proprio che il dio delle coincidenze faccia gli straordinari. Contemporaneamente a ciò, è apparsa in internet una nuova ricerca sulla genetica degli Italiani, anche se “stranamente” al momento di stendere questo articolo non sono più riuscito a trovarne traccia. Dovrò pertanto chedervi per una volta di credermi sulla parola. Che la censura democratica, il bavaglio alla libera circolazione delle idee, il “muro di gomma” che è l’arma principale della democrazia abbia colpito ancora?

Cosa diceva questa ricerca di così pericoloso? Sostanzialmente una cosa che io sto ripetendo da anni: che è possibile riscontrare nella popolazione italiana una sostanziale uniformità genetica, che gli italiani esistono, che la nostra Penisola non è abitata, come vorrebbe la vulgata democratica da un’accozzaglia di gente dalle origini più disparate tenuta insieme solo dal fatto fisico della coabitazione e da un lieve collante culturale, ma da un popolo.

Come era sciaguratamente prevedibile, questa ricerca ha destato reazioni isteriche non solo a sinistra, ma anche da parte di una certa destra nostalgica degli stati preunitari, in particolare prima di sparire dal web ha fatto in tempo ad essere ferocemente attaccata da alcuni siti neo-borbonici, e accusata, ça va sans dire, accusa che come sappiamo tocca a tutto ciò che appare sia pur vagamente come nazionale, di essere “fascista”. Essa riportava semplicemente un fatto, e allora si comprende bene che non sono i ricercatori che l’hanno condotta a essere “fascisti”, ma la realtà stessa.

Se c’è qualcuno o qualcosa contro cui va puntato un dito accusatore, è questa tirannide che ci opprime da tre quarti di secolo e che si fa chiamare democrazia, che è pressoché riuscita a distruggere negli Italiani ogni senso di appartenenza nazionale.

È una cosa sorprendente come alle volte coincidenze di fatti apparentemente slegati confluiscono verso un unico discorso. Guarda caso, proprio adesso MANvantara ha annunciato in un post del 27 marzo l’imminente pubblicazione presso l’editore Ritter del libro di Pietro Cappellari Figli di Enea che reca come sottotitolo La stirpe di origine divina, La missione di Roma, Il primato dell’Italia. Ne ho già parlato tempo addietro, il mito di Enea non ha, con ogni verosimiglianza, una base storia. Ma il mito ha una sua verità profonda che prescinde dalla realtà dei fatti. Se esso può aiutarci a ritrovare quella compattezza nazionale di cui abbiamo così disperatamente bisogno, ben venga.

 

NOTA: nell’illustrazione: guerrieri sciti. L’archeologia e la genetica ci stanno dando oggi nuove conoscenze su questo antico popolo.

1 Comment

  • Michele Simola 16 Luglio 2021

    Illustre professore Calabrese, diciamolo pure per molta gente, lo vedo anche con conoscenti, di sicuro non ignoranti e a digiuno di studi storici, filosofici o politici, le nostre idee hanno più di qualcosa di eretico, addirittura folle: andare contro la scienza ufficiale non é solo sinonimo di bastian contrari, ma anche come afferma lei cozzare contro un muro di gomma che ci porta spesso al punto di partenza. Forse negli ultimi anni qualcosa sta portando allo sgretolamento di quella barbarie che é nota come “out of Africa” e sullo stesso evoluzionismo darwiniano. Come ebbi modo di esprimerle qualche tempo addietro non credo proprio che l’uomo discenda dalla scimmia attraverso una serie di primati sempre meno animaleschi e via via più simili a noi, tutt’altro, non troveremo mai l’anello di congiunzione, l’anello mancante perché non é mai esistito, l’uomo é sempre stato tale dalle origini dalla notte dei tempi e pian piano si sta addivenendo alla convinzione che altre specie umane come i Neanderthal o come i Denisoviani erano molto evolute e non propriamente subumane come l’archeologia, che coltivo dal lontano 1972, li descriveva al tempo. Nei libri di eminenti archeologi e certamente validi come il professor Marcel Homet, di cui ho letto alcuni libri con grande interesse ( molto interessante a mio avviso “Alla ricerca degli dei solari” dove tratta anche degli iperborei ), li vediamo descritti come individui con un Q.I. rapportabile agli idioti ( Q.I. compreso fra 25 e 50 ). E’ probabile che ciò avvenisse realmente per conoscenze estremamente esigue ai tempi, oggi tuttavia é necessario ricredersi e affermare che erano specie umane con notevoli capacità di apprendimento e anche con buone se non ottime capacità di inventiva, che li portò a risolvere problemi complessi per il periodo storico: se una specie attraversa quasi un milione di anni prima di estinguersi di certo non è formata da submani inetti e incapaci ma da individui che dovettero soccombere a mutamenti climatici e ambientali mai affrontati prima.
    Le specie umane mostrano il meglio della loro natura nei momenti peggiori, nei momenti in cui per sopravvivere è necessario ricorrere non solo all’esperienza ma anche all’inventiva. Oggi si è provato che gli incroci fra Neanderthal e Denisoviani non furono sterili.
    Come disse qualcuno, è facile capire chi, la natura è provvida e gli incroci sono destinati all’estinzione perché procreano prole incapace a generare e nei meticci manca l’unità di sangue e la capacità decisionale proprio in virtù di una mancanza di appartenenza. Per il politicamente corretto ciò é censurabile ma si dà il caso che sia la nuda verità, piaccia o no.
    L’Italiano é un grande popolo, un popolo di grande cultura che negli ultimi quaranta anni ha perso le sue caratteristiche culturali grazie alle scelte scellerate dei nostri politici sempre più scadenti, scollegati dalla realtà e che nell’ultimo decennio ha esibito i peggiori raschiando il fondo del barile. Cultura e giustizia sono andate a braccetto essendo entrambe
    nelle mani di una sinistra che dopo gente di spessore, anche se non condivisibile dal mio punto di vista, ha mostrato il suo lato peggiore con elementi ideologizzati e di crassa ignoranza che hanno imposto una visione sconcertante della scuola e della giustizia.
    A dispetto di un’unità raggiunta da poco più di 150 anni, e di una uniformità genetica dei suoi rappresentanti, questo popolo meraviglioso e unico continua a coltivare campanilismi preunitari che nuocciono e molto alla nazione. Se smettessimo di pensare in termini di appartenenze regionali e prendessimo coscienza dell’unità reale di questa nazione e dei suoi cittadini forse saremmo destinati ad un futuro migliore, la domanda che sorge spontanea è ne siamo capaci? I politici con le loro lotte tribali di appartenenza regionale di certo non danno un buon esempio, sono sempre più convinto che ad oggi non ci sia una destra né una sinistra, manca l’unità di una destra forte e vera, tutti cercano di apparire moderati, quasi dichiararsi di destra sia una vergogna, al contrario trovo vergognoso cercare di snaturare le proprie idee per apparire moderati. Essere di destra non é una cattiva parola o essere dei feroci assassini, vuol dire avere dei principi inderogabili fra cui parole desuete come Patria, Famiglia, Appartenenza Nazionale, volere difendere il proprio retaggio storico e culturale. Non riconosco la chiesa di Roma come retaggio di importanza storica e culturale, ma come entità giudaica, uno stato straniero sul nostro suolo che per due millenni ci ha affossato.
    I Romani e gli Italiani come figli di Enea pur senza credibilità storica sottende verità profonde : la storia nasce dal mito, ma il mito consacra la storia perché non sottostà alla critica storica.

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