12 Maggio 2024
Archeostoria

L’eredità degli antenati, diciottesima parte – Fabio Calabrese

Ricominciamo da marzo 2020, questo periodo non certo splendido, ossessionato dall’incubo del coronavirus. Nell’attesa che passi anche questa batosta, notiamo che le ricerche sulla nostra eredità ancestrale continuano, e io, come al solito, cercherò di farvene una puntuale relazione.

Si può segnalare che è stata introdotta una nuova tecnica per la datazione dei megaliti, chiamata Luminescenza a Stimolazione Ottica (Optically Stimulated Luminescence, o in sigla OSL), che si basa sul fatto che alcuni minerali presenti nei blocchi di pietra che costituiscono i monumenti megalitici, per esempio il quarzo, perdono la loro luminescenza se esposti alla luce, ma se interrati tendono a riacquistarla per effetto delle radiazioni ionizzanti. La differenza dei livelli di queste radiazioni delle parti emerse e di quelle interrate di questi monumenti, può dunque essere usata per la datazione degli stessi.

Per ora questo metodo è stato usato per datare alcuni monumenti megalitici della Penisola iberica, ma nulla si oppone, in linea di principio, a un uso più ampio e generalizzato. La notizia è riportata nel numero di gennaio-febbraio di “Archeologia viva”, in un articolo che è la recensione del libro di Jean Guilane Le pietre dei giganti, l’architettura megalitica nella preistoria mediterranea.

Si ricorderà che in anni che furono, Colin Renfrew aveva preconizzato che la datazione al radiocarbonio e la dendrocronologia fossero sul punto di introdurre una rivoluzione nel nostro modo di concepire la preistoria, poiché queste nuove scienze ausiliarie dell’archeologia dimostrano in modo inoppugnabile che i complessi megalitici europei sono considerevolmente più antichi delle piramidi egizie e delle ziggurat mesopotamiche.

Niente, non se n’è fatto niente, i decenni sono passati e ha prevalso il conservatorismo, la vischiosità mentale degli ambienti accademici, in tutti i libri di testo e nelle pubblicazioni o nei programmi divulgativi, si continuano a raccontare le solite favole mediorientali.

O forse si tratta di una scelta politica, nel momento in cui la sostituzione etnica degli Europei e la realizzazione del piano Kalergi appaiono ben avviate, non conviene che gli Europei riscoprano conoscenze che potrebbero risvegliare il loro orgoglio che, al contrario, si cerca in ogni modo di addormentare. Ora, con questo nuovo metodo di datazione, continuare a sostenere le menzogne mediorientali potrebbe diventare più difficile.

Il 5 marzo un articolo apparso su “Curioctupus” a firma Lorenzo Mattia Nespoli ci informa che In Galles le tempeste fanno riemergere dalla sabbia un’antichissima foresta fossile.

Si tratta della Cardigan Bay vicino a Ynslay, dove le recenti mareggiate hanno fatto emergere in quella che appariva come un’enorme distesa sabbiosa i tronchi fossili di querce, betulle, pini e altre piante che formavano un’antica foresta circa seimila anni fa. Questo territorio sarebbe poi stato sommerso dal mare che ritirandosi nuovamente avrebbe lasciato spazio alla spiaggia attuale che ha celato per millenni sotto la sabbia i ceppi fossili degli alberi che un tempo esistevano.

L’articolista ci racconta che secondo una leggenda locale, proprio dove oggi si trova la Cardigan Bay, sarebbe esistito un regno leggendario chiamato Cantre’r Gwaelod poi sommerso dalle onde, una piccola Atlantide. La foresta i cui resti sono tornati ora alla luce, potrebbe essere stata una parte di esso.

Noi sappiamo che nei pressi delle Isole Britanniche vi sono tratti di mare che oggi celano territori un tempo emersi e abitati, prima fra tutti l’antica Doggerland che sarebbe esistita là dove oggi c’è il tratto di mare noto come Dogger Bank. Forse quello oggi tornato alla luce è un ulteriore tassello della storia più remota del nostro continente, che appare ancora tutta da scoprire.

Vi riporto poi una notizia che francamente non mi sento di commentare e lascio alle vostre riflessioni. Secondo un articolo (non firmato) apparso su “Social Up Magazine” del 6 marzo, Per la forestale italiana, gnomi e fate esistono realmente.

La fonte della notizia sarebbe la nota agenzia Adnkronos, e a quanto ci viene raccontato, la Guardia forestale, da almeno quindici anni terrebbe un registro sugli avvistamenti di gnomi e fate nei boschi.

La maggiore concentrazione di queste segnalazioni si riscontrerebbe sull’appennino tosco-romagnolo, in particolare nella località di San Pietro a Bagno. Nel fascicolo della forestale vi sarebbe anche la foto di un elfo scattata da un banchiere di Cesena.

Si tratta, naturalmente, del genere di notizie da prendere con le pinze, diciamo tuttavia che se corrispondesse a verità, gran parte dell’antropologia e della storia che conosciamo, sarebbero da riscrivere.

Gli hobbit, quelli, quanto meno ce li abbiamo, o perlomeno, come abbiamo visto altre volte, creature abbastanza simili ai personaggi del Signore degli anelli di Tolkien, da averne ereditato il nome: gli Homo floresiensis i cui resti sono stati ritrovati nell’isola indonesiana di Flores, vissuti fino a 30.000 anni fa, che ai nostri occhi hanno il merito con la loro presenza, di aver dato un bello scrollone alla fiaba dell’eruzione del vulcano Toba come catastrofe planetaria e quindi, indirettamente all’Out of Africa, ma adesso non riesaminiamo una questione che abbiamo visto più volte.

Noi Italiani abbiamo la tendenza non solo a parlare male di noi stessi, ma a sminuirci, ad essere affascinati da tutto quanto è estero, e a ritenere che tutto quanto riguarda la nostra Penisola sia poco importante. Sarà allora forse il caso di rilevare che recentemente “Ancient Origins” si è occupata di due “misteri archeologici” italiani, i giganti sardi di Mont’e Prama e l’ipogeo celtico di Cividale del Friuli.

Riguardo ai giganti, me ne sono di recente estesamente occupato nella seconda parte de L’Italia megalitica. Quest’ultima, lo ricordo, è il testo della conferenza da me tenuta al Triskell, il festival celtico triestino nel giugno 2019. I giganti sono connessi alla cultura nuragica e, più antichi della statuaria arcaica greca, sono probabilmente il più remoto esempio di statuaria litica di grandi dimensioni d’Europa e fra le più antiche del mondo. Ricordiamo anche che dopo la loro scoperta nella necropoli di Mont’e Prama, ridotti a frammenti, con trascuratezza tutta italica, sono rimasti, ignorati, per decenni in un magazzino del Museo Archeologico Nazionale di Cagliari.

Io non mi sono occupato dell’ipogeo celtico di Cividale in L’Italia megalitica perché le Tre Venezie dovrebbero essere l’oggetto della mia conferenza al Triskell del giugno di quest’anno, sempre coronavirus permettendo.

Questo ipogeo, composto di diverse camere sotterranee di età celtica, è un luogo inquietante e misterioso, probabilmente uno spazio sacro che serviva per l’iniziazione dei giovani. Se questa interpretazione è corretta, allora sarebbe il terzo tempio ipogeo dopo quello maltese di Hal Saflieni e quello sardo di Morgongioi, o addirittura il quarto, considerando il pozzo-tempio di Santa Cristina sempre in Sardegna.

Qui sarebbe utile e non priva di interesse una riflessione su questa tipologia di edifici sacri che implicano un contatto stretto con la Madre Terra e si alternano a quelli in superficie. La Madre Terra da cui traiamo origine, e a cui siamo restituiti dopo la morte, aveva certamente un significato sacro molto importante per gli uomini antichi, perlomeno quelli di certe culture; altre, e fra queste la maggior parte delle culture indoeuropee, invece evidenziano l’importanza dell’origine celeste dell’uomo, e appunto per questo praticavano l’incinerazione dei defunti, “restituendoli al cielo” attraverso le fiamme. E probabilmente questo è il motivo per cui nell’Europa antica, prevalentemente indoeuropea, i templi ipogei sono così rari.

Se qualcuno di voi sabato 14 marzo ha seguito su Rai 3 la trasmissione di divulgazione scientifica “Sapiens” condotta in prima serata dal geologo Mario Tozzi, avrà avuto modo di essere sorpreso: la puntata del 14 si occupava precisamente delle origini dell’umanità, e naturalmente presentava da questo punto di vista il più prevedibile e ortodosso evoluzionismo out-of-africano, ma a un certo punto, Tozzi ha ammesso quasi di sfuggita come se si trattasse di una questione di importanza marginale, che la famosa Lucy e i suoi congeneri erano semplicemente delle scimmie e non sono stati antenati dell’umanità.

Vi è chiaro cosa significa ciò? Che Lucy e gli australopitechi fossero semplicemente delle scimmie, lo sapevamo già, fa testo in questo senso l’analisi condotta sullo scheletro di Lucy nel 2017 dal team di anatomisti britannici guidati da sir Solly Zuckermann, il maggior esperto mondiale di anatomia comparata, ma quello che è veramente importante, è il fatto che la verità finisce per infiltrarsi anche nel recinto delle vestali dell’ortodossia “scientifica” democratica, per di più in questo caso, proprio nella più sinistra delle tre reti Rai.

Tutta la storia che ci hanno raccontato sulle nostre origini, traballa sempre più miseramente.

Come certamente sapete, il web è un mare magnum dove è praticamente impossibile riuscire a cogliere con la giusta tempestività tutto quanto sarebbe importante o almeno utile segnalare, ma ragioniamo in base al principio del “meglio tardi che mai”.

Solo ultimamente mi è stata segnalata una vecchia recensione comparsa sul sito “Key to the gate” del libro Certezze provvisorie della dottoressa Cristina Cattaneo, ma la questione è di un’importanza tale da non poter essere ulteriormente ignorata.

Cristina Cattaneo è un’antropologa forense, professoressa associata della facoltà di medicina e chirurgia dell’Università degli Studi di Milano, oltre che direttrice del laboratorio di antropologia ed odontologia forense. Le sue competenze nel campo dell’antropologia fisica sono fuori discussione, tra l’altro fu incaricata di svolgere l’autopsia sul corpo di Yara Gambirasio, la giovane per il cui omicidio è stato condannato all’ergastolo Massimo Giuseppe Bossetti.

In Certezze provvisorie la Cattaneo evidenzia l’assurdità di voler negare l’esistenza delle differenze razziali, che non solo esistono chiaramente dal punto di vista fisico, ma sono determinanti, ad esempio per stabilire l’età di un soggetto (le diverse razze hanno tempi di maturazione diversi, e un minorenne africano è assai diverso, ad esempio, da un minorenne scandinavo).

L’autrice, tuttavia, intende riferirsi al lato fisico, senza intendere una qualche superiorità di una razza su un’altra, sebbene – diciamolo pure – nel clima di mistificazione che pervade la “scienza” democratica, già ammettere che le razze umane esistono, richiede un notevole coraggio.

Tuttavia, ci rimane un dubbio: se veramente non è possibile stabilire una differenza qualitativa fra le diverse razze umane, come si spiegano le clamorose falsificazioni della storia che abbiamo esaminato le volte scorse, tese ad attribuire un ruolo inesistente agli africani nello sviluppo della civiltà umana e a minimizzare quello degli europei? Non è più logico pensare che tutta la “scienza” democratica sia una menzogna da cima a fondo?

A questo proposito, vorrei ricordare qualcosa che abbiamo incontrato già anni fa, ma che ora i fatti che abbiamo visto recentemente, soprattutto il diluvio di vichinghi, inglesi, etruschi e via dicendo che si sono voluti trasformare in genti “nere” o “colorate” nella seconda metà del 2019, ci permettono ora di comprendere meglio: nella sessantunesima parte di Una Ahnenerbe casalinga pubblicata su “Ereticamente” il 27 novembre 2017, vi avevo parlato di un articolo apparso sulla rivista “Eurocanadian” a firma di Ricardo Duchesne, Gli Europei, i più grandi di tutti. L’autore notava che quella che noi chiamiamo (lasciamo stare con quanta proprietà terminologica) “civiltà occidentale” è per intero una creazione degli Europei e/o di genti caucasiche di ceppo europeo come erano in netta prevalenza gli stessi statunitensi fino a tempi molto recenti, e francamente ci sarebbe da meravigliarsi che si debba scrivere e pubblicare su una rivista (perlopiù canadese, evidentemente per la difficoltà a trovare un editore disponibile negli States) per spiegare una simile ovvietà.

Tanto più che questo articolo nasceva come una sorta di difesa del deputato statunitense Steve King che era stato oggetto di accuse di razzismo e attacchi isterici per aver sostenuto la stessa ovvietà.

Come aveva profetizzato Chesterton (devo a un articolo di Roberto Pecchioli apparso sempre su “Ereticamente” questa bellissima citazione), siamo arrivati al tempo in cui bisogna sguainare la spada per poter sostenere che l’erba è verde in primavera. Il motivo per richiamare adesso alla memoria questo episodio increscioso quanto rivelatore, è il fatto che dopo il diluvio di bufale democratiche e “antirazziste” cui abbiamo assistito nel 2019 siamo in grado di capirne meglio il contesto e il significato. Esso infatti, come siamo in grado di capire meglio ora, è appunto un tentativo di rispondere a quel processo di mistificazione della storia già in corso negli Stati Uniti tendente a svalutare il ruolo dell’uomo caucasico e ad attribuire a quello africano-subsahariano una centralità obiettivamente inesistente, sempre in nome della “correttezza politica” e dell’ “antirazzismo”. Cosa sia questo “antirazzismo”, lo vediamo bene: razzismo anti-bianco!

Sono queste menzogne in cui si svela il volto bugiardo e illiberale della democrazia, che oggi in nome del “politicamente corretto” (cioè storicamente farlocco) si insegnano nelle università americane dove non si fa più istruzione ma propaganda. Abbiamo visto anche che a dicembre 2019 è apparso (e reperibile su Amazon) un testo, Not Out of Africa di Mary Lefkowitz, che non si occupa dell’Out of Africa come teoria paleoantropologica, ma della leggenda oggi divenuta “verità” per gli Americani, che l’Europa dovrebbe all’Africa la sua civiltà, e che sarebbe stata sempre multietnica con una notevole componente “nera”. Il sottotitolo del libro è: Come l’ “afrocentrismo” è diventato un pretesto per insegnare miti come se fossero storia.

Noi però abbiamo troppo rispetto per il concetto di mito per applicarlo in questo caso: parleremmo piuttosto di leggende, fiabe, bufale, mistificazioni, bassa propaganda democratica e “politicamente corretta” senza alcun rispetto per la realtà dei fatti. In tutta franchezza, le fate e gli gnomi alla cui esistenza la Guardia Forestale italiana sembrerebbe dare credito, sono decisamente più credibili della fanfaluca di un’Europa multirazziale già nei tempi antichi.

Noi tuttavia sappiamo di dover tenere ferma la nostra posizione su questo punto: queste non sono solo mistificazioni della realtà, ma mistificazioni che hanno un preciso scopo politico: quello di diminuire la resistenza all’invasione allogena, al meticciato, alla sostituzione etnica.

Noi continueremo a batterci non soltanto per la verità sui nostri antenati, ma soprattutto per il futuro dei nostri figli.

NOTA: nell’illustrazione, a sinistra il libro di Jean Guilane Le pietre dei giganti, l’architettura megalitica nella preistoria mediterranea, dove si parla del nuovo metodo di datazione dei megaliti, al centro la dottoressa Cristina Cattaneo, a sinistra uno dei giganti di Mont’e Prama di cui ha parlato recentemente anche “Ancient Origins”.

 

 

 

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