10 Aprile 2024
Archeostoria Stonehenge

L’eredità degli antenati, cinquantatreesima parte – Fabio Calabrese

Riprendiamo il nostro esame delle nuove informazioni riguardanti l’eredità ancestrale dall’ultima decade di gennaio 2021, e vi devo confessare che sono il primo a stupirmi di come questa tematica si arricchisca sempre di nuove informazioni, al punto di consentirmi o avermi consentito fin adesso di trasformare questa serie di articoli su “Ereticamente” in una rubrica con una cadenza quasi settimanale.

Come sempre, non trascuriamo neppure l’attività dei gruppi facebook quando da essa emergano novità particolarmente interessanti. Il 17 gennaio nel gruppo “Il recinto di mezzo” è stato postato uno stralcio del libro di Bernard Marillier Gli indoeuropei, pubblicato nel 2020. Ebbene, sentite cosa ha da raccontarci:

Area nord, nord/est. Questa tesi è stata formulata da L. Kilian nel 1983 e supportata da molti ricercatori (Häusler, Ecksedy, Makkay, ecc.).
Il suo argomento archeologico è la cultura della ceramica cordata o ancora la cultura dell’ascia da battaglia, arma ritrovata in gran numero nelle tombe, preceduta da due culture autoctone: la cultura delle anfore globulari e quella dei vasi a imbuto. Secondo questa tesi la cultura dei Kurgan sarebbe solo un insediamento secondario di queste culture del Nord Europa, essendo gli Indoeuropei presenti nell’Europa settentrionale e centrale fin dal Paleolitico nordico
”.

Non so se è chiaro il concetto: è un rovesciamento pressoché completo delle tesi di Marija Gimbutas e di quanti altri hanno supposto un’origine asiatica delle culture indoeuropee, che invece troverebbero la loro origine nell’area nord-orientale del nostro continente. Marillier non sarà Tom Rowsell, ma diciamo pure che oggi ci vuole coraggio per opporsi e contrastare la nefanda tendenza a minimizzare tutto quanto è europeo in termini di storia e civiltà, tendenza che probabilmente sarà incrementata dopo l’ascesa alla Casa Bianca dell’ex vice Obama nonché della sua vice etnicamente indefinibile.

Il 19 gennaio, su “The Archaeology News Network”, un articolo di Frid Kvalpskarmo Hansen ci parla di ritrovamenti di epoca vichinga nel nord della Norvegia. Una ricerca condotta con il georadar dall’archeologo Arne Anderson Stamnes del NTNU University Museum ha permesso di individuare nel comune di Bodø i resti di 15 tumuli funerari e 32 costruzioni del periodo fra il 650 e il 950 d. C.

Uno di questi tumuli avrebbe un diametro interno di 32 metri che ne fa il maggiore mai rinvenuto non solo qui, ma in tutta la Norvegia, e si suppone fosse la sepoltura di un personaggio particolarmente importante.

Sono stati individuati anche 1257 pozzi o buche di varie dimensioni, alcune delle quali erano probabilmente buche che ospitavano un focolare.

Tutto lascia pensare che si siano trovate le tracce di un insediamento piuttosto importante

Una cosa difficile da capire di “The Archaeology News Network”, sono i criteri di datazione degli articoli. Ultimamente è apparso attorno al giorno 20 un articolo datato 1 gennaio, sono tornato sul sito un paio di giorni più tardi e la data è cambiata diventando 13 febbraio, ma siamo ancora in gennaio. Qualcuno deve aver fatto un po’ di pasticci, ma scusiamoli: gestire una pubblicazione, sia cartacea, sia on line non è mai stato la cosa più facile del mondo.

L’articolo in questione, che porta la firma di Louise Dunderdale, ci parla di un insediamento britannico dell’Età del Ferro, i cui resti sono stati rinvenuti a Tye Green nell’Essex. Anche in questo caso, il ritovamento è stato causato dallo scavo per le fondamenta di nuove costruzioni. Il villaggio britannico pare sia esistito dal I secolo a. C. al III secolo d. C., cioè fino all’epoca romana. Sono state ritrovate le fondazioni di 17 case rotonde, le più grandi delle quali ampie fino a 15 metri. Sono state trovate numerose forcine, spille, una curiosa statuina di rame raffigurante un galletto e monete di età romana. Dalle origini al III secolo il villaggio sembra essere stato costantemente ampliato, ma nel II secolo alcune delle strutture più grandi sono state bruciate. I ricercatori mettono ciò in relazione con la rivolta di Budicca e la successiva repressione romana. Le case dei maggiorenti locali che avevano aderito alla rivolta, sarebbero state date alle fiamme.

L’Europa, perlomeno le regioni dell’Europa centrale, potrebbero aver avuto un’economia monetaria già 4.000 anni fa nell’Età del Bronzo? E’ l’ipotesi che ci propone un articolo di Nathan Falde su “Ancient Origins” del 21 gennaio. L’ipotesi è stata formulata da due ricercatrici dei Paesi Bassi, Maikel H. G. Kuijpers, e Cătălin N. Popa dell’Università di Leida.

Le due studiose sono giunte a questa conclusione dopo aver esaminato i reperti provenienti da un centinaio di scavi risalenti all’Età del Bronzo antica provenienti da Germania, Austria e Repubblica Ceca. In particolare, si sono soffermate su tre tipi di oggetti, collari (torques), anelli e teste di ascia, scoprendo che non solo erano prodotti in gran numero e che sono stati spesso ritrovati in depositi che contenervano solo oggetti appartenenti a queste tipologie, ma che erano, diremmo con un termine moderno, standardizzati, rispettavano quella che viene chiamata la frazione di Weber, ossia la differenza fra l’uno e l’altro era inferiore a quanto un essere umano è in grado di percepire a occhio nudo: la conclusione è che questi oggetti erano prodotti per lo scambio, scambio che doveva avvenire sulla base di un valore fisso riconosciuto, erano in altre parole le monete, il denaro della preistoria.

È sorprendente, ma più conosciamo questi nostri remoti antenati, tanto più ci appaiono civili, lontani dall’immagine stereotipa del selvaggio, di quanto avremmo potuto pensare, o ci hanno finora raccontato.

Io non penso di dovermi scusare per un’altra segnalazione in ritardo. Come certamente sapete, il web è davvero vasto e labirintico, ed è difficile tenere d’occhio con la dovuta tempestività tutto quanto sarebbe necessario tenere presente, soprattutto se le notizie vengono da una fonte che di solito non si occupa di archeologia e antichità, e questo è per l’appunto il caso del sito in questione.

A dicembre (ancora questo interminabile 2020) è apparso sul sito della Società Tolkieniana Italiana un lungo articolo di Alessandro Manfroi, che ci racconta di tre poemi anglosassoni che parlano di altrettante battaglie di età medioevale: la battaglia di Finnsburg, la battaglia di Brunanburg e la battaglia di Maldon. Il primo è un testo di origine scandinava, mentre gli altri due sono autoctoni: nella battaglia di Brunanburg l’esercito anglosassone riportò una vittoria contro gli invasori vichinghi, mentre in quella di Maldon venne disastrosamente sconfitto.

L’aspetto forse più interessante di questi antichi poemi, è che costtuiscono una testimonianza di prima mano dell’anglosassone, detto talvolta antico inglese che è una lingua alquanto diversa dall’inglese moderno e si avvicina di più al tedesco e all’olandese. È un capitolo importante della filologia e della storia. Nel 1066 (battaglia di Hastings) l’isola britannica fu sottomessa dai normanni francesizzati di Guglielmo di Normandia, detto appunto il Conquistatore, da cui, attraverso complessi giri dinastici discenderebbero i regnanti inglesi successivi e attuali. I Normanni imposero il francese come lingua dell’Isola, un francese che fu man mano infiltrato dal sostrato anglosassone e in parte anche celtico. Da questa commistione è nato l’inglese attuale, che è stato codificato durante la guerra dei Cent’anni, quando l’ostilità tra Francia e Inghilterra era massima.

Può sembrarci singolare che un sito che si occupa di letteratura moderna (l’autore del Signore degli anelli è vissuto nel XX secolo) affronti queste tematiche, ma non bisogna dimenticare che Tolkien, e di ciò c’è abbondante traccia nella sua opera, era, oltre che un filologo, un appassionato di storia e tradizioni con un grande amore per il mondo medioevale, sempre alla ricerca, per usare le sue parole, delle “radici profonde che non gelano”, uno spirito che noi non possimo altro che condividere.

Rimaniamo ancora sull’Isola Britannica, non, torno a sottolinearlo, perché essa abbia un patrimonio storico e archeologico più ricco di altre parti del nostro continente, ma perché lì sembra esserci a questo riguardo un interesse maggiore che altrove, più che in questa distratta Italia sempre “in tutt’altre faccende affaccendata”.

Il 22 gennaio un articolo su “The Archaeology Magazine” ci racconta di una nuova scoperta avvenuta grazie all’uso del georadar, questo strumento che a quanto pare sta rivoluzionando la ricerca archeologica permettendo sempre nuove scoperte senza spostare un sasso.

Grazie a esso, Dave Cowley, ricercatore dello Historic Environment Scotland ha individuato sull’isola di Arran quelle che sembrerebbero le buche in cui erano inseriti i pali di una palizzata che delimitava un antico percorso cerimoniale. Forse questo percorso aveva anche una copertura, ma è impossibile saperlo, il legno non si conserva inalterato attraverso i millenni come la pietra.

Evidentemente le ricerche sull’isola di Arran continuano, perché ce ne aggiorna anche un articolo su “Ancient Origins” del 24 gennaio a firma di Ashley Cowie, sempre Dave Cowley avrebbe individuato sull’isola, nel sito di Tormore, nientemeno che i resti di un tempio risalente a 5000 anni fa. A quanto pare il neolitico e l’Età del Bronzo delle Isole Britanniche sono ben lontani dall’aver finito ri rivelarci sempre nuove sorprese.

Sempre il 22 gennaio, il nostro amico Michele Ruzzai ha postato nel gruppo facebook “MANvantara” un link a un’edizione on line del libro di William Fairfield Warren Paradise Fund, the Cradle of the human Race at the North Pole, (Il paradiso ritrovato, la culla della razza umana al polo nord). Il testo è in inglese, e quindi non è una facile lettura per tutti, ma, come sappiamo, una volta portata a termine la traduzione italiana del monumentale Der Aufgang der Menscheit (L’alba dell’umanità) di Hermann Wirth, Michele Ruzzai e il gruppo “MANvantara” si ripropongono di dedicarsi precisamente alla traduzione del libro di Fairfield Warren.

Si tratta di un lavoro di estrema importanza. L’abbiamo visto la volta scorsa quando vi ho citato la breve bibliografia stilata sempre da Michele Ruzzai circa i testi sull’origine nordica o iperborea della nostra specie disponibili in traduzione italiana (o di autore italiano come l’ottimo Iperborea, la ricerca senza fine della patria perduta di Gianfranco Drioli), ma lo si vede ancora meglio andando sul gruppo “MANvantara” e vedendo direttamente la lista stilata da Michele. Si tratta di una lista alquanto scarna, che non si può certo confrontare con l’immensa produzione di testi che sostengono invece l’origine africana.

Il nostro amico Tom Rowsell, vero paladino della nostra visione del mondo faceva notare che sebbene il sentire comune propenda per l’origine boreale o iperborea, i presunti specialisti, i cosiddetti scienziati sono tutti sostenitori dell’Out of Africa. Devoti sostenitori, aggiungerei io, perché questa adesione è molto simile a quella di un’ideologia politica o religiosa, e non tiene conto delle numerose contraddizioni e dei numerosi “buchi” di essa che vi ho più volte evidenziato. Ma costoro, che hanno la pretesa di essere uomini di scienza, sono del tutto ciechi alla lezione dei fatti.

Come sapete, una cosa a cui io tengo molto, è il costante dialogo con tutti voi. Il 21 gennaio un lettore (vi riporto le iniziali del nome con cui si firma), J.P.K. Mi ha posto tramite facebook un quesito al quale sono stato lieto di dare una risposta, e adesso lo riporto qui, poiché si tratta di una questione che interessa tutti.

J.P.K. Mi ha riportato in allegato un articolo di “Repubblica” di qualche mese addietro, di cui in effetti mi ero occupato a suo tempo su queste pagine, ma “repetita iuvant”.

In esso si spiegava che le ricerche genetiche avrebbero dimostrato un’affinità tra il DNA dei costruttori di Stonehenge e quello dei costruttori del tempio anatolico di Gobeckli Tepe. Da qui si saltava all’idea che Stonehenge fosse stato costruito da maestranze turche, il solito pistolotto immigrazionista. Da che mondo è mondo, la menzogna più efficace è quella a cui si mescola un po’ di verità, e quelli di “Repubblica” sono dei veri maestri in quest’arte.

Vi trascrivo, parola per parola, la risposta che ho dato a J.P.K., che del resto riflette in pieno i concetti che avevo espresso a suo tempo su queste pagine:

“Ne ho già parlato in “L’eredità degli antenati” su “Ereticamente”. Che gli abitanti di Stonehenge fossero geneticamente correlati ai costruttori di Gobeckli Tepe è possibilissimo, perché l’Anatolia è stata in epoca medioevale, con l’invasione turca, vittima della più grave sostituzione etnica antecedente all’età moderna. A Gobeckli Tepe sono state ritrovate statuine con inserite nelle orbite a mo’ di occhi pietruzze AZZURRE, e poi non sappiamo in che direzione sia avvenuta la migrazione, ma è probabile che sia avvenuta dall’Europa verso l’Anatolia, dove è sorto lo stato indoeuropeo degli Ittiti, e non il contrario. La tecnica de “La repubblica” è sempre la stessa da quando Eugenio Scalfari creò quel fogliaccio: il modo più efficace di mentire, è quello di dire MEZZA verità”.

Un altro lettore intervenuto nel dibattito (anche in questo caso cito solo le iniziali), A. G.. ha precisato:

“Ai tempi della costruzione di Stonehenge i Turchi non vivevano nemmeno in Turchia: erano ancora nelle steppe dell’Asia centrale, tra il Mar Caspio e la Mongolia”.

Che dire? Ineccepibile!

D’altra parte, questo esempio ci permette di toccare con mano il fatto che quello di cui ci stiamo occupando non è affatto un terreno neutro di cui si possa discettare con serenità, ma un campo che ha assunto un forte significato politico, dove di contro al tentativo di mistificare le nostre origini per confonderci le idee su ciò che siamo, e indurci a delle scelte sbagliate che domani saremo destinati a pagare a caro prezzo, occorre difendere la verità a spada tratta. Come appunto aveva profetizzato Chesterton, siamo arrivati al punto che “Occorre sguainare la spada per poter affermare che l’erba è verde in primavera”.

NOTA: Nell’illustrazione, non occorrerebbe nemmeno dirlo, Stonehenge, il più noto monumento megalitico europeo. Secondo “La Repubblica” sarebbe stato edificato dai Turchi.

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