10 Aprile 2024
Archeostoria

L’eredità degli antenati, cinquantacinquesima parte – Fabio Calabrese

Riprendiamo dal mese di febbraio 2021 il nostro giro d’orizzonte sulle più recenti scoperte riguardanti la nostra eredità ancestrale europea, anche se non sono in grado di dirvi quando questo articolo comparirà su “Ereticamente”.

Non è possibile non cominciare citando una scoperta di cui abbiamo avuto notizia il 31 gennaio, che sembra aver fatto molto rumore in Gran Bretagna, dove la notizia è stata riportata dal “Guardian”, e che qualcuno ha già definito “la scoperta archeologica del secolo”. Da noi, ne hanno parlato “La stampa”, “RAInews” e “MSN.com”.

A Cambridge i lavori di demolizione di un vecchio studentato hanno portato alla luce una vasta necropoli. La maggior parte delle sepolture sono di età altomedioevale, ma alcune risalgono all’età romana e, ancor prima, all’Età del Ferro, al periodo gaelico della storia dell’Isola.

Sono state rinvenute (per ora) 60 sepolture, da cui sono emersi circa 200 reperti tra i quali bracciali di bronzo, collane, spade, pugnali, contenitori di terracotta, fiaschette di vetro.

Come se non bastasse, a causa dell’alcalinità del suolo, lo stato di conservazione dei reperti ossei è straodinariamente buono, sì da permettere di estrarne il DNA, cosa che permetterà di conoscere meglio la storia del popolamento delle Isole Britanniche.

Cominciamo con “Ancient Origins” che ha inaugurato il secondo mese dell’anno con un discreto gettito di articoli.

Tanto per cambiare, per fare qualcosa di inedito e originale, parliamo di Stonehenge. Ci sarebbe da pensare che riguardo al monumento megalitico più famoso d’Europa e alle sue vicinanze non ci sia ormai più nulla da scoprire, ma evidentemente non è così.

Ce lo spiega Ashley Cowie in un articolo del 5 febbraio.

Credo ricorderete la questione di cui vi ho parlato non molto tempo addietro: c’è, da parte della Highways England, la società autostradale britannica il progetto, fortemente malvisto dagli archeologi e dagli apassionati di storia, druidi, eccetera di far passare un tunnel dell’autostrada A303 al disotto del complesso megalitico. Ebbene, gli scavi per la realizzazione di questo tunnel sono già cominciati…e interrotti, perché ciò che è emerso grazie a essi ha richiamato l’attenzione della Wessex Archaeology.

Sono infatti stati riportati alla luce un misterioso recinto a forma di semicerchio, sepolture dell’Età del Bronzo, ceramiche neolitiche. Resta da vedere che piega prenderà la faccenda.

Il 6 febbraio Nathan Falde ci parla del castello di Caernafon, uno dei più noti e bei castelli gallesi nel Galles settentrionale. Due anni fa, a partire dal gennaio 2019, i ricercatori dell’università di Salford hanno iniziato in questo castello una campagna di ricerche e scavi su vasta scala di cui cominciamo adesso a conoscere i risultati.

Il castello fu fatto costruire nella sua forma attuale da re Edoardo I d’Inghilterra nel 1283, ma, data l’importanza strategica della posizione in cui esso è collocato, i ricercatori sospettavano da tempo che potesse essere stato eretto sui resti di costruzioni precedenti, e infatti gli scavi nelle fondamenta hanno fatto emergere le rovine di una torre normanna e di una fortezza romana. Fra i resti di quest’ultima sono state rinvenute ossa di animali e frammenti di ceramica.

Abbiamo parlato varie volte dei Crannogh, queste abitazioni palafitticole scozzesi che hanno una lunga storia che va dal neolitico al medioevo. Di un crannogh in particolare ci parla l’articolo, sempre del 6 febbraio di B. B. Wagner, il crannogh di Dumbuck sul fiume Clyde, a cui è legata una storia particolare e a suo modo drammatica.

I resti del crannogh furono scoperti nel 1898 dall’artista e archeologo dilettante William Donnelly, che ritrovò 27 antichi ceppi posizionati a 7 piedi (2,13 metri) di distanza per formare un motivo circolare, una canoa scavata lunga 9,75 metri (32 piedi), pile di ossa e diversi artefatti intriganti che non assomigliano a nulla mai visto prima, che a suo parere risalivano al II secolo avanti Cristo.

E’ una storia che ricorda un po’ quella di Schliemann, quando le scoperte di un dilettante spiazzano i professionisti, ma Donnelly fu meno fortunato dell’archeologo tedesco. Donnelly fu infatti accusato di falso dall’eminente archeologo Robert Munro, dando luogo a una polemica che si protrasse per decenni e gli rovinò la reputazione. Secondo Munro, il sito era autentico, ma sarebbero stati falsi i manufatti, prodotti dallo stesso Donnelly per rendere la sua scoperta più sensazionale.

La sfortuna di Donnelly fu anche il fatto che in quel periodo l’opinione pubblica inglese era alle prese con la scoperta di un altro controverso ritrovamento, un fossile umano preistorico destinato a rivelarsi una clamorosa bufala, quello del cosiddetto uomo di Piltdown, e questo rendeva sia gli scienziati sia il pubblico assai diffidenti.

In tempi più recenti, tuttavia, in riva al fiume Clyde sono stati ritrovati manufatti, asce di pietra e statuette nello stesso stile, appartenenti alla stessa facies culturale di quelli ritrovati da Donnelly a Dumbuck Crannogh, il che prova l’autenticità delle scoperte di Donnelly, un precursore a cui è ora di rendere giustizia. Tuttavia, diciamo che rimane aperto il capitolo dei falsi in archeologia, un problema molto più diffuso di quanto generalmente non si pensi.

Se c’è un popolo dell’antichità nominato spesso ma di cui in definitiva sappiamo ben poco, questi sono gli Sciti, sappiamo che si trattava di una popolazione nomade dell’Europa orientale e del meridione di quella che è oggi la Russia, che erano guerrieri fieri e bellicosi, eccellenti cavalieri ed arcieri, che molti di loro hanno servito come mercenari sotto le insegne romane, ma potremmo dire che le nostre conoscenze finiscono lì.

Il 9 febbraio un articolo di Nathan Falde ci spiega che forse le nostre conoscenze sugli Sciti stanno per ampliarsi, infatti gli archeologi russi hanno iniziato nel 2020 lo studio di una vasta necropoli scitica scoperta nel 2018 in Crimea vicino a Sebastopoli, e che è stata denominata Kiel-Dere 1.

Questa necropoli appartiene al periodo tardo-scitico, quando i cavalieri delle steppe erano ormai divenuti sedentari, approssimativamente dal 200 a. C. al 375 d. C.

Kiel-Dere 1 era probabilmente un cimitero d’élite riservato ai personaggi più importanti e influenti, infatti, nonostante che il sito rechi le tracce di ripetuti saccheggi, sono stati trovati in 232 sepolture finora esplorate più di 1.200 oggetti che facevano parte dei corredi funebri, tra cui parecchi esempi di ceramica finemente decorata, anche se finora è stato esplorato circa il 75% dell’area.

Ma la cosa che ha colpito di più i ricercatori sono le stele o lapidi, finora ne sono state rinvenute 63, decorate con rappresentazioni stilizzate dei volti dei defunti, o maschere, che si potrebbero forse accostare alle statue-stele italiane.

Come sapete, una cosa cui io tengo in maniera particolare, è il dialogo con voi, le vostre osservazioni, utili e intelligenti sono spesso meritevoli di ulteriori approfondimenti. Una persona che segue con particolare attenzione i miei scritti, è l’amico Michele Simola, che recentemente ha postato due interessanti commenti alla quarantunesima parte pubblicata in dicembre e alla quarantaseiesima pubblicata in febbraio. Vediamo ora di esaminare insieme entrambi i commenti che il nostro amico ha postato.

Nella quarantunesima parte scrive:

“In Africa, se parliamo di out of Africa, perché non si è mai evoluta una civiltà autoctona che abbia raggiunto livelli elevati? (…). E poi perché un essere proveniente dall’Africa continente peraltro ricco di corsi d’acqua, foreste lussureggianti, specie animali che potevano garantire la caccia e quindi l’approvvigionamento del cibo, molto più che nel nostro continente, una volta uscito dal suo ambiente primigenio abbia avuto la capacità di un’evoluzione mirabolante?”

“Bella domanda”, dicono sempre i commentatori televisivi davanti a un quesito imbarazzante, ma in questo caso la domanda è bella davvero. Si tratta di uno dei più grossi inciampi della “teoria” dell’Out of Africa su cui i suoi sostenitori glissano alla grande. Se davvero l’Africa è la terra d’origine dell’umanità, e quella dove l’insediamento umano è più antico, oltre a essere come ricorda il nostro amico, ricca di acqua e di fonti di cibo, oltre che un ambiente che non conosce le asprezze invernali del settentrione, come mai lì non si è sviluppata alcuna civiltà autoctona?

Non vale fare l’esempio degli Egizi, la genetica l’ha più volte dimostrato, e grazie alla pratica della mummificazione, noi conosciamo il loro DNA meglio di quello di qualsiasi altra popolazione antica, gli Egizi provenivano dal Medio Oriente, non solo, ma le élite faraoniche e sacerdotali avevano caratteristiche marcatamente europee, ad esempio il faraone Tutankhamon aveva un cromosoma Y appartenente a un aplogruppo oggi rarissimo in Egitto ma comune nell’Europa settentrionale e in Gran Bretagna.

Senza contare che l’area mediorientale da cui gli Egizi provenivano era millenni or sono molto più “europea” di oggi, ricordiamo ad esempio le statuette dagli occhi azzurri rinvenute a Gobeckli Tepe.

Allo stato dei fatti, si può dire che l’Out of Africa è una favola, e niente altro.

Vale senz’altro la pena anche di riprendere il discorso riguardo al quale torna utile il commento dell’amico Simola postato alla quarantaseiesima parte:

“La razza, così come il termine tradizione non riguarda solo il patrimonio genetico, ma anche il patrimonio di conoscenze e attitudini che ci viene tramandato e che ogni individuo che vi appartiene deve custodire gelosamente e tramandare a sua volta arricchito dalle proprie esperienze, quella che Miguel Serrano definiva memoria del sangue: la memoria genetica che vediamo bene negli animali che possiedono dalla nascita determinate capacità. E non siamo noi animali?
Le pile di Bagdad i bassorilievi egizi che mostrano quelle che sembrano essere lampade potrebbero metterci nel tempo di fronte ad ulteriori sorprese, ma in fondo perché sorprese? Forse per la nostra incapacità a riconoscere che alcune cosi dette scoperte moderne erano già in qualche modo utilizzate duemila anni addietro magari in maniera meno raffinata? O forse abbiamo riscoperto qualcosa che già apparteneva al genere umano?
Le domande che potrebbero scaturire da semplici osservazioni di bassorilievi, attività pittoriche o anche graffiti preistorici, se guardati senza il paraocchi dei dogmi imposti dalla storia e dall’archeologia ufficiale forse ci aprirebbero un universo sconosciuto”.

Qui ci sono due aspetti che vanno sottolineati. Primo: la razza o, se vogliamo essere politicamente corretti e non incorrere nella “democratica” censura, il patrimonio genetico e la serie di caratteristiche da esso trasmesse a un organismo quale che sia, non riguardano solo l’aspetto fisico, ma anche i caratteri comportamentali: una verità semplice e ovvia nota a ogni biologo, ma che la democrazia e le ideologie di sinistra tendono a negare per quanto riguarda l’essere umano, volendo vedere in esso esclusivamente il prodotto dell’ambiente e dell’educazione, per poter coltivare il sogno dell’illimitata plasmabilità dell’essere umano allo scopo di formare società “ideali” secondo i loro gusti. I risultati? Beh, li abbiamo visti soprattutto nel clamoroso fallimento dell’esperimento sovietico.

Secondo: la presenza in epoche remote dei segni di una tecnologia molto più avanzata di quel che ci aspetteremmo. Gli esempi citati da Simola non sono i soli, ma rientrano in una casistica piuttosto ampia oggi nota come OOPARTS (Out of Place Artifacts, oggetti fuori posto – o fuori dal tempo) che sono divenuti il campo di studi di una vera e propria disciplina, ovviamente priva di crismi ufficiali del mondo accademico. Oppure possiamo pensare al fatto che non abbiamo nessuna idea di come sia stato tecnicamente possibile innalzare i circoli megalitici come Stonehenge, le piramidi di Giza, i moai dell’Isola di Pasqua, i lastroni enormi che formano le mura ciclopiche delle città incaiche.

Per capire il contesto in cui va collocato il discorso, è il caso di ricordare che io facevo riferimento a un’articolo apparso su “Ancient Origins” dove si commentava il libro Il mulino di Amleto di Giorgio De Santillana ed Herta von Dechend, libro nel quale si presenta una visione del tempo e della storia decisamente eterodossa rispetto alla concezione dominante. Secondo quest’ultima il tempo è lineare, e la storia della specie umana va da una remota barbarie e animalità a un indefinito ma sampre crescente progresso futuro, la concezione che, saldando storia e biologia, si può definire evoluzionista e progressista.

Questa concezione, su cui si basano tutte le ideologie democratiche e di sinistra, è radicalmente contestata da Il mulino di Amleto, dove invece si recupera l’idea tradizionale del tempo ciclico. Noi possiamo inoltre rilevare che la concezione del tempo lineare, tipica del mondo semitico ed estranea alla concezione europea, fa irruzione in Europa con il cristianesimo e la bibbia, che si rivelano pertanto la vera radice di tutti i movimenti di sinistra. Se invece ammettiamo la ciclicità del tempo, non fa nessuna meraviglia pensare che la nostra storia possa essere stata e potrà essere in futuro un alternarsi di epoche “oscure” ed ere luminose di alta civiltà.

Mi è capitato altre volte di osservare che quella che possiamo chiamare la concezione tradizionale richiede personalità forti, non solo perché si tratta di andare contro quella che è la tendenza “culturale” prevalente dei nostri tempi, ma perché richiede di fare a meno di quel sentimento consolatorio, di quella “filosofia” dell’happy end, dell’ “andrà tutto bene” di cui sembra che le animucce deboli abbiano un così disperato bisogno, una capacità di accettare la tragicità del destino umano, che sembra oltrepassare di molto le facoltà della maggior parte dei nostri fragili contemporanei. Ha tuttavia perlomeno il pregio di trovare maggiore riscontro nei dati di fatto rispetto alla favola progressista.

NOTA: Nell’illustrazione, una suggestiva immagine notturna di Stonehenge. Sorprendentemente, il più noto e studiato monumento megalitico d’Europa continua a riservare sempre nuove sorprese ai ricercatori.

1 Comment

  • Michele Simola 4 Maggio 2021

    Carissimo professore, la ringrazio per avere tenuto conto del mio modesto commento, trovo estremamente interessante ed esaustiva la cinquantacinquesima parte dell’eredità degli antenati, che una volta di più mostra quanto inverosimile sia la teoria dell’out of africa. Il fascino che la preistoria umana esercita su di noi é creato dal fatto che parliamo di un tempo mitizzato per la scarsa conoscenza finora posseduta. La scienza ufficiale in virtù di dogmi consolidati e senza fondamento ci tramanda la favola dell’out of Africa.
    Una ricerca del dipartimento di biologia dell’università la Sapienza di Roma, pubblicata sulla rivista scientifica Pnas mostrerebbe come l’homo sapiens avrebbe origini eurasiatiche e il primo popolamento dell’Europa avrebbe avuto origine da migrazioni provenienti dalle steppe asiatiche e dal nord Europa.
    Una recente scoperta rivelerebbe che la zona del circola polare artico era già abitata dall’homo sapiens 75.000 anni fa quindi molto prima della supposta ondata africana. Più si progredisce con le scoperte archeologiche e scientifiche, più i vecchi miti polari sembrano confermati.
    In Europa fra Grecia e Bulgaria, si avrebbero testimonianze della presenza dell’homo sapiens circa 200.00 anni fa, sulle rive del mar Nero e se ben ricordo Lei ne aveva già parlato.
    Io credo che il mondo ha già conosciuto innumerevoli albe di civiltà e i successivi tramonti in un ciclico rincorrersi di nascita e morte e tante altre ne seguiranno, di certo non é la prima volta che una specie raggiunge il suo massimo splendore e si distrugge vittima del suo ” progresso “.
    Come in molti hanno evidenziato le foreste precedono la civiltà i deserti la seguono.

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