9 Aprile 2024
Archeostoria

L’eredità degli antenati, centotrentatreesima parte – Fabio Calabrese

Riprendiamo il nostro cammino sulle tracce dell’eredità ancestrale a partire dalla seconda decade di agosto 2023. Ricominciamo come al solito da “Ancient Origins”. Un articolo di Ashley Cowie del 13 agosto ci da la notizia che un team di archeologi subacquei dell’Università di Berna ha ritrovato sulle sponde del lago di Ohrid, al confine tra Albania e Macedonia del nord, i resti di un villaggio palafitticolo risalente a 8.000 anni fa che potrebbe essere il più antico d’Europa. L’insediamento si trova a Lin, sulla sponda albanese del lago.

Vi ho raccontato le volte scorse dei ritrovamenti di età romana che sono stati fatti nella città spagnola di Merida, riportando alla luce le antiche terme. Un articolo del 15 agosto di Nathan Falde ci racconta che le ricerche continuano, e hanno portato alla luce una serie di grate in ferro del tipo usato per chiudere le finestre. Il ritrovamento è abbastanza eccezionale, perché le grate sono praticamente intatte, e di solito il ferro non dura così a lungo, si deteriora a causa della ruggine.

Sempre il giorno 15 Ashley Cowie ci racconta che sull’isola gallese di Anglesey due appassionati metal detectorist hanno ritrovato un tesoretto di 15 monete d’oro del tipo noto come stateri, coniate tra il 60 e il 20 avanti Cristo. In Gran Bretagna la passione per questo tipo di ricerche è molto più diffusa che da noi, eppure pensiamo a quanto sia più ricco il nostro passato.

Un articolo di Maxwell Craven del 16 ci parla di un “buco” nella lista degli imperatori romani. Magno Massimo, proclamato imperatore in Britannia, riconosciuto da Teodosio nel 384 come imperatore d’occidente, ma poi rovesciato e condannato alla damnatio memoriae.

Il 17 agosto Ashley Cowie ci parla di Edward Dryas un ricercatore indipendente che avrebbe individuato nella St Mary’s Church, Enville, Stourbridge, Regno Unito, un’antica chiesa templare, e otto sepolture templari all’interno di essa. Quanto meno, si può dire che i Cavalieri del Tempio continuano a essere l’oggetto di un interesse crescente.

“Ancient Pages” ci presenta in questo periodo un articolo ripreso da “The Conversation” e firmato da Linus Girdland Flink dell’Università di Aberdeen e Adeline Morez dell’Università di Tolosa che ci parla di uno studio genetico sui Pitti, questa popolazione della Scozia che ha avuto un’importanza cruciale in epoca antica e altomedioevale, ma che la mancanza di testi scritti dell’epoca rende per tanti versi misteriosa e, al riguardo, le illazioni si sono sprecate. Ora l’analisi del DNA permette di colmare, almeno in parte, il vuoto e di tagliare la testa ad alcune fantasticherie. L’analisi è stata condotta sui resti scheletrici esumati in due cimiteri pittici individuati a Balintore a Easter Ross e Lundin Links nel Fife, risalenti tra il 5 ° e il 7 ° secolo dopo Cristo.

Per prima cosa, questa ricerca ha permesso di evidenziare il tipico genoma presente nelle Isole Britanniche fin dal paleolitico, e questo permette di sfatare la leggenda accreditata da alcuni autori, di una presunta origine mediorientale dei Pitti. Non c’era da dubitarne, il solito strabismo orientale che spinge a cercare le origini degli Europei là dove palesemente non sono, e che ogni volta viene puntualmente smentito dai fatti.

L’altra scoperta è un’ampia varietà del DNA mitocondriale, quello che si eredita per via materna, il che induce a pensare che fossero le donne a passare con il matrimonio da una tribù all’altra, il che rende molto improbabile un’altra leggenda riguardo ai Pitti, che fra essi valesse il principio della discendenza matrilineare.

Come al solito, constatiamo che il vuoto della documentazione storica è stato riempito dalle leggende contemporanee. Di origine orientale e matriarcali, mancava solo che ci raccontassero che erano hippy e figli dei fiori, ma come al solito la ricerca seria spazza via queste chimere.

Passiamo ora a “The Archaeology News Network” che il 18 agosto ci presenta un articolo interessante e curioso. Vi siete mai chiesti cosa mangiassero gli uomini preistorici? Una ricerca dell’Università di Zurigo vuole ora rispondere a questa domanda.

Tracce degli alimenti conservati si depositano nei contenitori, ma su superfici come la ceramica e la pietra esse vengono rapidamente degradate dai microbi, tuttavia la loro azione è contenuta su superfici metalliche che, per così dire, conservano memoria delle proteine dei materiali contenuti. In base a ciò, è possibile avere un’idea delle antiche diete a partire dall’Età dei Metalli.

I ricercatori hanno analizzato i residui proteici sulla superficie di diversi calderoni provenienti dal Caucaso del periodo Maykop, dal 3.700 al 2.900 avanti Cristo. Questi ultimi presentavano segni di intenso logorio e diverse riparazioni, erano probabilmente oggetti di valore trasmessi e usati per più generazioni.

Sono state individuate proteine della carne di bovini e di cervi, di latticini di latte di pecora o capra. Pare inoltre che i proprietari di questi antichi oggetti bevessero una sorta di birra.

Vediamo ora cosa ci riservano i media generalisti, dove, stranamente, nonostante il caldo di questo periodo la ricerca archeologica è non poco presente.

E’ abbastanza ovvio che qui sia soprattutto la nostra Italia a essere in primo piano. MSN.com del 10 agosto ci informa che a Fano continuano le ricerche intorno alla basilica di Vitruvio e che sono stati portati alla luce due scheletri che una moneta ritrovata insieme a essi ha permesso di datare all’età medioevale.

L’11 agosto “Euro News” presenta un articolo di Debora Gandini sulla scoperta del villaggio palafitticolo nel lago di Ohrid di cui vi ho già detto parlando di “Ancient Origins”, per cui, passiamo oltre.

Allo stesso modo, Tgcom24 del 12 ci parla dei fossili cinesi di cui vi ho detto la volta scorsa, e riporta, come era prevedibile l’affermazione che questi fossili che presentano caratteristiche intermedie fra denisoviani e uomini anatomicamente moderni rappresenterebbero “una nuova specie umana” piuttosto che il risultato di un meticciato fra i due gruppi. Vale sempre il discorso che vi ho fatto la volta scorsa e che adesso non mi sembra il caso di ripetere. Come vi ho spiegato, c’è la tendenza a moltiplicare le “specie” umane fossili fino all’assurdo, pur di salvare il dogma dell’Out Of Africa che, alla luce dei fatti, diventa sempre più insostenibile.

Un comunicato ANSA del 12 agosto ci informa che a Copparo (Ferrara) in località Coccanile, una campagna di scavi condotta dalla Soprintendenza con il supporto del Gruppo Archeologico Ferrarese ha portato alla luce un’estesa necropoli di età romana databile al primo secolo dopo Cristo.

L’abbiamo visto diverse volte, spesso è il caso a dare una mano, infatti, un altro comunicato ANSA, il giorno dopo, ci racconta che un bagnino ha ritrovato e subito consegnato alle autorità un frammento, il collo e i manici di un’anfora romana ritrovati sul lungomare di Latina. Parrebbe risalire a fra il secondo e il primo secolo avanti Cristo.

Ma, come è ovvio che sia, le maggiori novità emergono da regolari campagne di scavi, e il 14 è un altro comunicato ANSA a informarcene. A Ostia, nel Parco Archeologico, nella seconda campagna di scavi promossa dall’ente Parco in collaborazione con l’Università di Catania e il Politecnico di Bari sono emersi due nuovi frammenti dei Fasti Ostienses. Questi ultimi erano una sorta di cronaca incisa su lastre di marmo che riportano notizie preziose sulla storia politica e monumentale di Roma e di Ostia e la cui redazione spettava al pontifex Volcani, massima autorità religiosa locale.

Sempre il giorno 14 è invece “Il Resto del Carlino”a informarci che i lavori del cantiere per la costruzione di un asilo hanno portato alla scoperta dei resti di una capanna dell’Età del Rame.

Il giorno successivo troviamo sempre su “Il Resto del Carlino” un articolo di Edoardo Turci, e non ci siamo spostati di molto, siamo sempre nella provincia di Forlì-Cesena, precisamente a Sarsina paese natale di Plauto. Anche in questo caso, i lavori di scavo per le fondamenta del nuovo palasport hanno portato a un’inaspettata scoperta archeologica, i resti di un tempio di età romana di grandi dimensioni, “scoperta eccezionale” la definisce l’articolista.

Sempre il giorno 15, abbiamo un articolo di Roberto L. Zanini su “L’Avvenire” che parla del ritrovamento dei due frammenti dei fasti ostiensi, e aggiunge qualche particolare in più rispetto al comunicato ANSA del giorno prima, apprendiamo ad esempio che dagli scavi di Ostia sono emersi anche dei mosaici.

Il giorno ancora successivo, un articolo su “Quotidiano.net” riporta la stessa notizia di cui vi ho parlato citando “Ancient Origins”, il ritrovamento delle sepolture di otto cavalieri templari nella chiesa di Enville nel Regno Unito, non mi ci soffermo di nuovo ulteriormente se non per dire che si ha davvero l’impressione che oggi le tracce degli antichi Cavalieri del Tempio tornino oggi come fantasmi a molestare una cristianità malata di buonismo bergogliano.

Sempre il giorno 16, un nuovo comunicato ANSA ci informa che a Ozieri (Sassari) sono ripresi gli scavi nel sito di Sant’Antioco di Bisarcio. Per ora non si indaga su strutture preistoriche o antiche, ma medioevali, tuttavia sappiamo che nella nostra Italia, intensamente abitata fin da tempi remotissimi, più in profondità si va, più cose si trovano.

Il 17 RAInews24 ha dato una notizia che mi ha parecchio sorpreso: un team di ricercatori dell’Istituto Max Planck per l’antropologia evolutiva di Lipsia avrebbe proceduto a una nuova analisi del DNA di Ötzi, l’uomo del Similaun. Da essa sarebbe risultato che questo uomo preistorico, la cui mummia è oggi conservata a Bolzano, sarebbe stato di pelle scura, calvo e affetto da varie patologie. Su queste ultime e sulla calvizie non dico nulla, ma riguardo alla pelle scura, permettetemi di essere scettico. La mummia non da una simile impressione, inoltre precedenti analisi hanno dimostrato che i più vicini all’uomo del Similaun oggi viventi, sono i sardi, che non mi risulta siano più scuri di altri italiani.

Ma soprattutto dovremmo aver ben presente la storia dell’uomo di Cheddar e dell’attribuzione pure al più antico fossile umano della Gran Bretagna di un colorito scuro, cosa che, come ha dimostrato sul suo sito “Survive the Jive” il ricercatore indipendente Tom Rowsell, si è rivelata una clamorosa falsificazione dettata da motivi ideologici. La presunzione che gli Europei sarebbero stati scuri di pelle fino a tempi relativamente recenti, infatti, non è altro che un corollario dell’Out Of Africa, dottrina – e non teoria scientifica – che cercano di imporci a tutti i costi per motivi di presunto antirazzismo, e a smascherare la cui falsità ho dedicato un libro (Ma davvero veniamo dall’Africa?, edizioni Aurora Boreale).

Ora, basta usare quella cosa tondeggiante che abbiamo in mezzo alle orecchie: uomini anatomicamente moderni vivono in Europa da almeno 40.000 anni. I sostenitori degli Europei “scuri” ci dicono che i nostri antenati sarebbero “sbiancati” non prima di 8.000 anni fa. Ora, un dato che nessuno può contestare, è che 40.000 meno 8.000 è uguale a 32.000. Se, come è risaputo, alle nostre latitudini, la pelle bianca è un vantaggio selettivo perché permette l’assorbimento della luce solare, quindi la formazione della vitamina B ed evita il rachitismo, è ragionevole pensare che tale caratteristica abbia impiegato 32.000 anni a manifestarsi?

“Il Resto del Carlino” del 18 agosto ci informa che è prevista per settembre la ripresa degli scavi sul colle degli Agolanti nella zona di Riccione, dove nei pressi del castello è stata scoperta la Tomba Bianca, una struttura funeraria di età romana datata fra il II secolo avanti Cristo e il IV secolo dopo Cristo.

L’ANSA del 20 agosto ci racconta una storia molto interessante: nei pressi di Castel Viscardo a pochi chilometri da Orvieto si trova una necropoli etrusca praticamente sconosciuta con 28 tombe in stato di abbandono. Le autorità farebbero meglio a occuparsene prima che ci pensino i tombaroli.

Io vi ho più volte manifestato il timore che questa serie di articoli o rubrica si trasformi in una semplice rassegna di ciò che le nuove scoperte hanno man mano da dirci sulle nostre origini, interessante si, ma priva di quel quid polemico che appaga il mio spirito battagliero e, suppongo, anche il vostro.

Beh, almeno stavolta il rischio è decisamente evitato, la tematica delle origini è tornata a essere un campo di battaglia, ammesso che abbia mai cessato di esserlo.

Per prima cosa, vediamo che quando si parla di antichità, si parla inevitabilmente di Roma, non è soltanto il fatto che i media generalisti cui ultimamente tocca dare un notevole spazio, si occupano principalmente della nostra Penisola. Abbiamo visto “Ancient Origins” occuparsi delle recenti ricerche nell’iberica Merida e della vicenda britannica dell’imperatore “scomparso” Magno Massimo, vicende sempre appartenenti al contesto romano. Siamo gli eredi di una grande civiltà che ha informato di sé tutta l’Europa e il mondo ritenuto civile. Il guaio è che ne siamo fin troppo poco consapevoli, mentre altri nutrono per la loro storia un orgoglio ingiustificato.

Abbiamo visto poi crollare un altro tassello di una favola menzognera non meno ingannevole dell’Out Of Africa, quella della luce da oriente (io non ho finora scritto un libro per confutare la leggenda dell’Ex Oriente Lux come ho fatto per l’Out Of Africa, ma ho scritto in proposito la bellezza di 35 articoli che potete trovare su “Ereticamente”). Come era già avvenuto per gli Etruschi, la genetica dimostra inequivocabilmente che i Pitti non erano di origine orientale.

La menzogna dell’Out Of Africa con le sue implicazioni “antirazziste” e funzionali alla sostituzione etnica, rimane sempre il nemico principale, ed è paradossale che proprio mentre le nuove scoperte cinesi la mettono sempre più in crisi, indicando chiaramente in Eurasia l’origine della nostra specie, qualcuno torni alla carica “africanizzando” l’uomo del Similaun.

Ma noi siamo qui, a ribattere colpo su colpo.

NOTA: Nell’illustrazione, la chiesa di Enville (Gran Bretagna) dove sono state scoperte otto sepolture templari.

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