9 Aprile 2024
Archeostoria

L’eredità degli antenati, centotredicesima parte – Fabio Calabrese

Febbraio. Comincio la stesura di queste nuove note nel secondo mese del 2023, anche se il mio ruolino di marcia mi avverte che non vi sarà possibile leggerle sulle pagine di “Ereticamente” prima di maggio. Ma non lamentiamoci, meglio non riuscire a stare dietro agli eventi “in tempo reale”, che una magra in cui non vi fosse nulla da dire.

Come già le volte scorse, cominciamo a dare un’occhiata ai siti “generalisti”, che di questi tempi sembrano manifestare un interesse finora abbastanza infrequente per il nostro passato.

Partiamo da un articolo di Lucia Petrone su “Scienze notizie” del 24 gennaio che ci parla del rinvenimento presso Scarborough nel nord dello Yorkshire dei resti di un accampamento mesolitico risalente a 10.500 anni fa, un ritrovamento importante, che modifica l’idea che solitamente abbiamo della preistoria:

Le persone spesso pensano che i cacciatori-raccoglitori preistorici vivessero sull’orlo della fame, spostandosi da un posto all’altro in una ricerca infinita di cibo, e che fu solo con l’introduzione dell’agricoltura che gli esseri umani vissero uno stile di vita più stabile e stabile”, ha dichiarato l’archeologa dell’Università di Chester Amy Gray Jones,“Ma qui abbiamo persone che abitano una ricca rete di siti e habitat, che si prendono il tempo per decorare oggetti e si prendono cura del modo in cui smaltiscono resti di animali e manufatti importanti”.

Se noi crediamo di avere una conoscenza approfondita almeno della preistoria europea, di certo ci sbagliamo; all’improvviso, inaspettatamente saltano fuori scoperte che rimettono tutto in gioco. A poca distanza dalla scoperta inglese, eccone un’altra in terra polacca, ce la racconta Conny Waters su “Ancient pages” del 27 gennaio: “Dozzine di tesori unici di 2.500 anni scoperti in una torbiera prosciugata”.

La scoperta è stata fatta dai membri del Gruppo di cercatori di storia della Cuiavia-Pomerania (Kujawsko-Pomorskiej Grupy Poszukiwaczy Historii), che hanno condotto ricerche usando metal detector. Gli archeologi riferiscono che dozzine di ornamenti in bronzo, come collane, bracciali, schinieri, spille decorative e numerose ossa umane, sono stati scoperti nel distretto di Chelmno. Gli scienziati dicono che questi sono molto probabilmente oggetti usati nei rituali sacrificali 2.500 anni fa”.

Come vi ho detto più volte, personalmente sono contrario a dare troppo peso alle notizie archeologiche che vengono dall’Egitto perché, incentivata dai media, esiste una vera e propria egittomania, che io ritengo sia un fenomeno negativo perché induce a sottovalutare le nostre radici europee, ma quando si tratta di una notizia ripresa da svariati media, è meglio parlarne per non mostrarsi disinformati, tanto più che quelli rinvenuti stavolta in Egitto, sono i resti di una colonia romana.

La notizia è stata riportata sabato 28 gennaio su Tg.com 24: nei pressi di Luxor, l’antica Tebe, 500 chilometri a sud del Cairo, sono stati individuati i resti di un’intera città romana, “sono già state portate alla luce “officine metallurgiche” con numerosi utensili e “monete romane in rame e bronzo”, spiega Mostafa Waziri, esperto di antichità, precisando che “gli scavi continuano”.

Ma torniamo in casa nostra, vi ho riferito la volta scorsa che a Roma le ricerche archeologiche stanno riportando alla luce quello che era il primo chilometro perduto dell’antica via Appia. Ebbene, a quanto riferisce “Quotidiano.net” di venerdì 27 gennaio, gli scavi hanno fatto riemergere nella zona di Parco Scott una statua a grandezza naturale di un personaggio che la presenza della clava e della pelle di leone consentono di identificare come Ercole, probabilmente di età imperiale.

Come sapete, e come avete visto anche all’inizio di questo articolo, spesso mi sono lamentato della difficoltà a tenere il passo con gli eventi, se non proprio in tempo reale, perlomeno a distanza ravvicinata, stavolta invece, a quanto pare, siamo addirittura in notevole anticipo, perché l’articolo di “Quotidiano.net” è datato gennaio 2024.

Come avete avuto più volte modo di vedere, io non mi tiro indietro dal citare testimonianze e ricerche sul nostro passato nemmeno quando si tratta di apporti eterodossi, di quelli che la ricerca accademica mai si sognerebbe di prendere in considerazione, poiché la conoscenza non deve essere monopolio di una “casta” di specialisti.

In questo spirito, mi sembra proprio il caso di citare il fatto che la Associazione Archeosofica di Trieste organizza una serie di incontri presso la sede di via Crispi 39/a, che copriranno temporalmente quasi tutto il 2023 da gennaio a novembre, e che nel loro insieme costituiranno (riprendo dalla loro locandina) “Un viaggio nel tempo e nello spazio alla ricerca di testimonianze di quella Tradizione sacra e unica, rivelata e trasmessa in modi diversi a tutti i popoli e in tutte le epoche”.

Si comincia sabato 28 gennaio con le “Pitture rupestri nel mondo”, poi a seguire il 4 febbraio “Dentro le catacombe”, l’11 febbraio “Simboli scolpiti nella pietra”, il 4 marzo “Alle origini di Roma”, l’11 marzo “Costruire un tempio”, il 18 marzo “Il tempio come cosmogramma”. Segue la pausa estiva e si riprende sabato 7 ottobre con “Antichi misteri”, poi il 14 ottobre “Dietro la maschera, drammaturgia e teatro”, il 21 ottobre “L’uomo e il sacro: rituali, cerimonie, investiture”, l’11 novembre “Viaggiando nell’aldilà egizio”, il 18 novembre “Argonauti: una leggenda d’oltremare”, e infine il 25 novembre “Il simbolismo nautico”.

Rimaniamo in Friuli-Venezia Giulia, perché il 31 gennaio l’ANSA di Udine comunica che dall’indomani 1 febbraio apre al pubblico nell’area archeologica di Aquileia, dopo i lavori di restauro, la domus di Tito Macro, una delle più vaste dimore di età imperiale romana rinvenute nell’Italia del nord, che occupa una superficie di 1.700 metri quadri.

Ve ne ho parlato la volta scorsa, un raro caso nel quale archeologia e astronomia si toccano, è rappresentato dalla “Cometa dei Neanderthal”, che è stata chiamata così, perché l’ultima volta che questo astro è comparso nei nostri cieli, il mondo o almeno l’Europa erano popolati da questi nostri precursori, 50.000 anni fa. Bene, un articolo di Alessandro Ferro su “Il giornale” on line del 1 febbraio ci ricorda che proprio la notte seguente, tra l’1 e il 2, sarà quella in cui la cometa sarà più facilmente visibile.

Vediamo cosa ci offre in questo periodo “Ancient Origins”. Anche stavolta notiamo l’interesse per la mitologia, interesse che però non si limita alla mitologia greca e a quella norrena, infatti il 31 gennaio un articolo di Johanna Gillan ci parla della leggenda indiana-tibetana di Shambhala. Shambhala in sanscrito significa “luogo di pace”, sarebbe la terra irraggiungibile celata tra i picchi dell’Himalaya, dove vivono in pace e armonia coloro che hanno raggiunto l’illuminazione (secondo un’altra versione che la Gillan non nomina, sarebbe un regno sotterraneo), in questa forma, essa è connessa soprattutto al buddismo, ma la leggenda è certamente più antica, in forme poco diverse si ritrova nella mitologia cinese e perfino nel folclore russo, è, a quanto pare, la versione asiatica del mito davvero universale del paradiso perduto.

Una leggenda di certo a noi più familiare, è quella di Atlantide, e a questo riguardo va menzionato un articolo di Michael Le Flen del 25 gennaio. Atlantide sarebbe stata una terra esistita nell’area delle attuali isole Azzorre, e le Azzorre stesse sarebbero state le cime delle montagne dell’Atlantide ora sommersa. Questa tesi, lo sappiamo, non è una novità, ma ora, al riguardo, sarebbero emerse prove archeologiche.

“Negli ultimi tre anni, il presidente dell’Associazione portoghese di ricerca archeologica, Nuno Ribeiro, ha affermato che i resti archeologici di strutture scoperte su diverse isole delle Azzorre sono di origine pre-portoghese. Insieme all’archeologa portoghese Anabela Joaquinito, ha identificato dozzine di strutture piramidali simili nella zona di Madalena sull’isola di Pico. Sul sito sono stati trovati anche manufatti che potrebbero precedere l’insediamento portoghese sull’isola (…). le strutture piramidali di Madalena sarebbero analoghe a strutture preistoriche simili trovate in Sicilia, Nord Africa e Isole Canarie”.

Tuttavia, penso che lo scetticismo sia d’obbligo. È veramente difficile indicare un luogo qualsiasi del nostro pianeta che non sia stato prima o poi identificato con Atlantide.

Passando a esaminare cosa ci offre “Ancient Origins” per la parte propriamente archeologica, notiamo che ci sono diversi articoli riguardanti ritrovamenti che ho citato da altre fonti: la città romana scoperta vicino a Luxor, il tesoro ritrovato nella torbiera polacca, la statua di Ercole emersa dagli scavi a Roma nel primo chilometro della via Appia antica, ma ora per evitare ripetizioni, non ne parlerò, tuttavia, espunte queste, il carnet delle novità è ugualmente alquanto ricco.

Cominciamo da un articolo di Nathan Falde del 26 gennaio: in Olanda sono stati scoperti, grazie a una ricerca dell’associazione Erfgoed Gezoeken sponsorizzata dall’Università di Leida e alla collaborazione di 6.000 ricercatori dilettanti, oltre mille tumuli preistorici risalenti alle Età del Bronzo e del Ferro, dal 3.200 al 600 avanti Cristo. Sarebbe possibile una ricerca simile in Italia? Noi abbiamo un patrimonio storico-archeologico di gran lunga più ricco, ma il problema sarebbe quello di trovare ricercatori volontari, dato che mediamente da noi prevalgono interessi ben più effimeri.

Sempre Nathan Falde, il 27 gennaio ci porta invece nella remota preistoria. In un sito neanderthaliano in una grotta vicino a Madrid sono stati ritrovati 35 teschi di grandi erbivori disposti in un modo che fa pensare a un qualche intento simbolico o rituale. Gli uomini di Neanderthal avevano un’intelligenza simile alla nostra, ed erano portatori di una cultura complessa, i cui significati ci sfuggono.

Il 1 febbraio un articolo di Dhwty ci porta a Barnenz in Bretagna. Qui sorge un monumento megalitico, il Cairn de Barnenz, di gran lunga meno conosciuto rispetto a Stonehenge, Newgrange, Carnac, eppure ce ne sarebbe…Si tratta di un tumulo neolitico, una costruzione a forma di piramide tronca a gradoni molto schiacciata, che al suo interno contiene ben undici camere funerarie. Le datazioni al radiocarbonio lo fanno risalire al 5000 avanti Cristo, il che ne fa uno degli edifici tuttora in piedi più antichi del mondo. Lo scrittore André Malraux lo ha definito “Partenone della preistoria”.

Un articolo di Micki Pistorius ci porta poi in Grecia, e precisamente a Olimpia. Nel 12° secolo avanti Cristo, la penisola ellenica fu invasa dai Dori che posero fine alla civiltà micenea e diedero inizio al cosiddetto medioevo ellenico. Forse l’eredità più persistente di questa invasione fu rappresentata dal fatto che la cultura e la società greche successive presentarono una netta predominanza maschile. Un simbolo di ciò furono i giochi olimpici riservati esclusivamente agli uomini. L’autrice (Micki Pistorius è una donna) ci racconta che le cerimonie che si svolgevano proprio a Olimpia precedentemente a questa invasione, avevano un significato ben differente, inizialmente vi si svolgeva lo Ieros Gamos, le nozze sacre, e i giochi erano riservati alle donne come cerimonie in onore della dea madre. E’ da prendere sul serio, o è l’ennesimo tentativo di riscrivere e falsificare la storia per renderla “politicamente corretta”? Visti i tempi che corrono, il dubbio viene.

A proposito di mistificazioni democratiche e “politicamente corrette” della storia, “La repubblica” del 1 febbraio è tornata alla carica con la storiella che, essendo stato Enea un “profugo turco”, la civiltà romana avrebbe origini turche. Non solo totalmente falso, ma ridicolo. Occorre ricordare che: 1. Quella dell’arrivo dei Troiani nel Lazio è una leggenda che non ha nessuna base storica, inventata dai Romani che credevano di nobilitarsi inventando un’origine a oriente (la stessa cosa dicasi della fiaba inventata da Erodoto della presunta origine lidia degli Etruschi, nettamente smentita dalla genetica). 2. I Turchi in età antica non vivevano in Anatolia, ma erano tribù nomadi che vagavano per l’Asia centrale. Con la conquista ottomana dell’Anatolia, abbiamo avuto la più imponente sostituzione etnica che si sia verificata prima dell’età moderna.

Che giudizio si può dare di una democrazia “politicamente corretta” made in USA e poggiante su una sinistra al caviale, che non solo si fonda sulla menzogna, ma sente il bisogno di spararle sempre più grosse?

Per fortuna, però, per “Ancient Origins” la giornata del 1 febbraio sembra essere soprattutto il giorno dei Vichinghi, abbiamo infatti due articoli sull’argomento, uno di Sahir e uno di Nathan Falde.

L’immagine dei predoni vichinghi che saccheggiavano i monasteri delle Isole Britanniche tra l’VIII e X secolo a spese dei monaci indifesi, è diventata abbastanza comune, eppure, ci spiega Sahir, essa non è del tutto vera. Sahir cita a questo proposito uno studio dell’archeologo Gabor Thomas dell’Università di Reading, pubblicato sulla rivista “Archaelogia”, studio condotto, oltre che sulle prove archeologiche, su un’attenta analisi dei documenti dell’epoca, dal quale risulta una notevole resilienza dei monasteri britannici, non solo, ma che gli stessi monaci e la autorità civili del luoghi interessati, impararono presto a prendere misure per proteggersi, misure infine culminate nella vittoria riportata dal re anglosassone Alfredo il Grande contro gli invasori vichinghi.

L’articolo di Sahir si salda bene a quello di Nathan Falde, sappiamo infatti che alla fine del IX secolo l’Inghilterra fu invasa da quella che è stata chiamata la “grande armata” vichinga, non un’incursione “mordi e fuggi” come tante altre, ma un vero e proprio tentativo di conquista dell’Isola. Collegato a questo episodio è il sito funerario di Repton nel Derbyshire (Inghilterra centrale), l’unico sito di sepoltura e cremazione vichingo ritrovato in Inghilterra.

L’analisi dei resti rinvenuti in questo sito ha svelato diverse cose piuttosto interessanti: per prima cosa, si nota una predominanza di incinerazioni. Dato che la cremazione dei defunti era malvista dalle Chiese cristiane allora come oggi, se ne deduce che alla fine del IX secolo i Vichinghi fossero ancora in gran parte pagani. Poi, frammisti ai resti umani, sono stati trovati resti di animali, soprattutto cavalli, ma anche maiali e pollame. Questi ultimi fungevano certamente da scorte alimentari, ma l’impiego dei cavalli, l’esistenza di una vera e propria cavalleria vichinga, dimostra chiaramente che quella progettata dagli uomini del nord non era una scorreria, ma una vera e propria campagna d’invasione dell’Isola. Infine l’analisi del DNA ha rivelato che diversi fra i guerrieri “vichinghi” non erano affatto tali, bensì gente dell’Isola. Evidentemente, i Vichinghi non disdegnavano chi volesse unirsi a loro, e anche questo è un indizio che quella a cui miravano, era un’occupazione stabile dell’Inghilterra.

Per il momento ci fermiamo qui, anche per non comporre un testo troppo chilometrico. Possiamo dire che in questo 2023 la ricerca e il dibattito intorno alle nostre origini sono più vivi che mai, non solo, ma che, proprio come la sparata “turca” di “Repubblica” ci dimostra una volta di più, tutto ciò non è morta erudizione, e, purtroppo, nemmeno fatti analizzati con l’imparziale distacco che dovrebbe essere proprio dei ricercatori, storici ma in qualsiasi altro campo, ma si salda al dibattito politico contemporaneo.

NOTA: Nell’illustrazione, il cortile interno della domus di Tito Macro ad Aquileia, recentemente restaurata, ed aperta al pubblico a partire dal 1 febbraio.

 

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