10 Aprile 2024
Archeostoria

L’ eredità degli antenati, ottantaduesima parte – Fabio Calabrese

Il problema principale di questa serie di articoli (o vigliamo dire rubrica) è la tempistica. A volte le nuove informazioni sul nostro passato ancestrale si accavallano al punto da sembrare un fiume in piena, altre volte si riducono a un rigagnolo. La scorsa estate, irritato per il comportamento offensivo tenuto dagli Inglesi che non hanno mai perso un’occasione per dimostrare disprezzo nei nostri confronti, ho deciso di saltare del tutto le fonti britanniche, intenzionato nonostante ciò a mantenere in vita la rubrica, anche perché ho ricevuto diverse sollecitazioni in questo senso, ho dedicato alcuni articoli a recensioni librarie, a rispondere alle domande dei lettori, alle conferenze da me tenute al festival celtico triestino Triskell, e altro ancora.

A gennaio mi sono deciso a riprendere in mano la tematica principale, e sorpresa, ho scoperto che per quanto riguarda la seconda metà del 2021, anche per quanto riguarda le fonti britanniche di cui avevo deciso di non servirmi, non c’era praticamente nulla da segnalare.

Con il nuovo anno, il carosello è ripreso di botto, al punto che l’ottantesima e l’ottantunesima parte riguardano, come avete visto, le due prime settimane di gennaio.

Tanto per complicare le cose, altrimenti che gusto ci sarebbe se la vita fosse troppo facile?, L’eredità degli antenati non è la sola cosa di cui mi occupo, e quest’anno, in occasione del 10 febbraio, della giornata del ricordo delle foibe e dell’esodo, mi è sembrato doveroso stendere sull’argomento un ampio scritto che è apparso su “Ereticamente” suddiviso in quattro articoli, e va così a succedere che informazioni su nuove scoperte riguardanti la nostra eredità ancestrale comparse nel mese di gennaio, ho avuto l’occasione di parlarvene in aprile, ma quello di stare sul pezzo con una tempestività da telegiornale, d’altra parte, è un obiettivo che ho sempre mancato.

Non so quando leggerete questo articolo, ma al momento in cui scrivo siamo in febbraio, e concluso il doloroso, ma d’altra parte doveroso tour de force su foibe ed esodo, vediamo cosa offre il panorama attuale.

Cominciamo con l’aggiungere qualcosa a una notizia di cui vi ho già parlato. Ricorderete che abbiamo già visto che una ricerca condotta congiuntamente dalle università di Firenze, Jena e Tubinga sul DNA degli antichi Etruschi ha dimostrato che esso non differisce sostanzialmente da quello delle altre popolazioni italiche dell’epoca, smentendo la leggenda di una loro presunta origine anatolica, anche se quest’ultima è avallata da Erodoto, ma non dobbiamo ragionare come se gli storici dell’antichità fossero incapaci di dire sciocchezze (e implicitamente l’altra ancor più ridicola e infondata, il delirio “politicamente corretto” di una presunta origine africana). Gli Etruschi erano italici autoctoni, come ho sempre sostenuto.

Bene, la notizia riportata da Sky Tg24 il 25 settembre scorso, è adesso rimbalzata su diversi siti internet. Quanta più gente è al corrente che la favola dell’Ex Oriente lux è solo una favola e che i deliri africano-centrici sono solo deliri, tanto meglio sarà.

Su uno di questi siti, un lettore ha fatto un’osservazione che si può senz’altro condividere: i Romani hanno mutuato dagli Etruschi tradizioni, istituzioni, simboli: è difficile immaginare che ciò sarebbe potuto avvenire se si fosse trattato di popolazioni etnicamente tanto diverse. Giusto, a cui semmai si può aggiungere che i Romani hanno mutuato dagli Etruschi anche tecniche costruttive, come quella dell’arco, facendolo ruotare hanno poi ottenuto la cupola, e combinandolo con gli elementi dell’architettura greca, hanno creato un modello architettonico che sostanzialmente è rimasto in auge in Europa fino all’età moderna.

Vi cito una curiosità, sia l’articolo di Sky TG24, sia quello di Hadshot News che quest’ultimo ha usato come fonte, presentano come illustrazione l’immagine che ho riprodotto anch’io come intestazione di questo articolo, è certamente un artefatto etrusco, probabilmente un lavoro di oreficeria, non credo decorasse un sarcofago o simili, tuttavia in nessuno dei due testi è spiegato di che si tratti.

Tuttavia la ricerca su Hadshot non è stata del tutto infruttuosa, perché nello stesso numero in cui si parla del DNA etrusco, si parla anche di Erodoto. In particolare, si racconta del ritrovamento in Egitto dei resti di un tipo di imbarcazione che egli ha descritto ma della cui esistenza non avevamo finora prove archeologiche.

Che dire, lo storico greco ha fatto un lavoro grandioso, fondando in pratica la disciplina storica, ma con tutta probabilità non aveva molto modo di accertare la veridicità delle sue fonti. E sugli Etruschi, sbagliava.

Il 30 gennaio la pagina istituzionale del Museo Archeologico Nazionale e Teatro Romano di Spoleto presenta una comunicazione sorprendente: nella necropoli etrusca di Piazza d’Armi risalente al VII secolo avanti Cristo sono state ritrovate alcune sepolture infantili che presentano un corredo funebre tipico di guerrieri adulti. Secondo gli archeologi del museo spoletano, questo testimonierebbe il fatto che i bambini precocemente deceduti appartenevano a famiglie di tradizioni guerriere, e quindi la volontà, importante per capire i rapporti sociali dell’epoca, di stabilire un principio dinastico-aristocratico.

L’ennesimo pugno nell’occhio a quanti vorrebbero attribuire agli Etruschi un’origine africano-matrilineare.

Il 5 febbraio, su “La Sicilia” è comparso un articolo di Marinella Fiume dedicato alla ricostruzione che è stata fatta ricorrendo alle più avanzate tecniche di antropologia forense (“protocollo di Manchester”) del volto di Tea, la più antica siciliana, il più antico scheletro umano rinvenuto in Sicilia, i cui resti furono rinvenuti nel 1937 nella grotta di San Teodoro (da cui il nome) vicino ad Acquedolci (Me). Si trattava di una donna di circa trent’anni vissuta fra 11.000 e 14.000 anni fa. Il bacino molto largo fa pensare che possa aver generato numerosi figli. La dentatura conservatasi perfetta fa supporre che in vita abbia avuto una buona alimentazione, e che quindi facesse parte dell’élite isolana. La Fiume arriva a ipotizzare che fosse una sorta di principessa in una società matriarcale, ma naturalmente questo non può essere provato.

L’8 febbraio la rivista antropologica “Sapiens” presenta un estratto del libro Origins: a Genetic Chronicle of the First Peoples in the Americas della genetista statunitense Jennifer Raff, docente presso l’Università del Kansas. Il testo è un riassunto della storia genetica dei nativi americani. Senza entrare in troppi dettagli, la Raff ci racconta che le ricerche archeologiche e genetiche degli ultimi vent’anni hanno completamente rivoluzionato l’immagine che si aveva della colonizzazione del Nuovo Mondo da parte dei Nativi Americani, soprattutto in due punti essenziali: il primo, essa non risale a 12.000-13.000 anni fa come si è finora creduto, ma è molto più antica, risalirebbe a 36.000 anni fa.

Io forse non dovrei insistere troppo su questo punto, ma questa ricerca viene a confermare quanto ho sostenuto in La storia perduta delle Americhe, “La runa bianca” n. 7, gennaio-febbraio 2012, e anche nel libro Alla ricerca delle origini: la cronologia “ufficiale” sin qui adottata, che fa partire l’espansione umana nel Nuovo Mondo da non prima di 12.000-13.000 anni fa, è “troppo corta” per spiegare la complessità antropologica e genetica del doppio continente.

E se proprio avete buona memoria, ricorderete anche che in uno degli ultimi articoli di Una Ahnenerbe casalinga, prima che questa rubrica cambiasse nome (una precauzione consigliata dal fatto che è meglio non contare troppo sulla libertà di esprimerci concessaci da questa “libera” democrazia), e precisamente nella novantunesima parte, pubblicata su “Ereticamente” il 19 febbraio 2019, vi avevo raccontato delle pitture rupestri che si trovano in Brasile nel Parco Nazionale della Serra da Capivara nello stato di Plauì. Tracce di carbone vegetale hanno consentito di datarle a 20.000 anni fa, una data piuttosto certa, perché ottenuta col metodo del radiocarbonio, tuttavia del tutto “fuori contesto” rispetto a una cronologia che faceva iniziare l’espansione umana nelle Americhe a non prima di 12-13.000 anni fa, ma che invece si inserisce perfettamente nella “cronologia lunga” proposta da Jennifer Raff sulla base di indicazioni tratte dalla genetica.

L’altro punto evidenziato dalla Raff, è il ruolo che deve aver avuto la Beringia, vale a dire la terra oggi sommersa tra Asia e America che un tempo esisteva là dove oggi si trova lo stretto di Bering. Essa non doveva essere, come si è finora ritenuto, un semplice ponte di terra, ma un’area piuttosto estesa, popolata, e in cui gli antenati dei nativi americani sarebbero vissuti piuttosto a lungo, e avrebbe avuto un ruolo chiave nella formazione delle genti che avrebbero poi popolato le Americhe.

Un comunicato ANSA del 10 febbraio ripreso anche da MSN.com ci riferisce che è stato individuato quello che almeno finora è il più antico insediamento sapiens rinvenuto in Europa, che retrodaterebbe la presenza umana nel nostro continente di 10.000 anni.

In realtà, considerata da vicino, la cosa appare meno sensazionale. Prima di tutto, l’uomo di Neanderthal, già presente da un pezzo in Europa, come abbiamo visto più volte, non apparteneva a una specie, ma semmai (parola che ha il potere di gettare i buoni democratici nel panico) a una razza diversa dalla nostra, come dimostra il fatto su cui la genetica ha fatto chiarezza, che si è ripetutamente incrociato con gli uomini di tipo Cro Magnon dando luogo a una discendenza fertile, noi, e quindi parlare di una prima presenza sapiens in Europa è perlomeno inappropriato.

In secondo luogo, non si è trattato di un nuovo ritrovamento, ma di un riesame di materiale fossile già disponibile.

Lo sfondo concettuale da tenere presente è proprio questo: le ricerche di paleogenetica hanno da tempo dimostrato che in passato sono avvenuti incroci tra neanderthaliani e sapiens “moderni” che hanno lasciato una traccia riscontrabile nel nostro patrimonio genetico, ma finora mancava la “pistola fumante” di una riprova di tipo archeologico.

Ora la prova è stata trovata: un team internazionale di ricercatori guidato da Ludovic Slimak del CNRS francese, ha identificato in una serie di denti fossili provenienti dalla grotta Mandrin nella Valle del Rodano (Francia meridionale) e risalente a 54.000 anni fa, denti sapiens “moderni” frammisti ad altri neanderthaliani, il che costituisce non solo una prova che i due tipi umani coabitavano, ma retrodata la presenza del sapiens “moderno” in Europa di quasi 10.000 anni rispetto al più antico insediamento sapiens “moderno” finora conosciuto, le cui tracce sono state trovate nella grotta bulgara di Bacho Kiro.

Vi riporto, riguardo a questa scoperta, un commento del nostro sempre perspicace Michele Ruzzai

Oltretutto, togliere il primato di più antico sito europeo con reperti Sapiens alla grotta bulgara di Bacho Kiro, mette in discussione la preminenza della via balcanica di popolamento del nostro continente, via che presuppone un’origine mediorientale e quindi, in ultima analisi, africana, dell’uomo anatomicamente moderno. In verità, da un certo punto di vista, spostare cosi ad occidente il sito Sapiens più antico, potrebbe far inclinare la bilancia – in chi comunque sostiene l’Out of Africa – verso l’idea di un’ipotetica migrazione diretta dall’Africa attraverso la penisola iberica; vorrei però ricordare che è proprio la penisola iberica l’area dove sembrano attestati i più recenti ritrovamenti Neanderthal, e specialmente la zona di Gibilterra quella che può aver rappresentato l’ultima, o tra le ultime, enclave europee dei nostri cugini. Parrebbe quindi piuttosto strano che i Neanderthal, per evitare i Sapiens, avessero scelto di ritirarsi proprio verso la zona di arrivo di questi: se vuoi evitare chi irrompe in casa tua, di certo non ti metti all’ingresso, ma di rintani nello sgabuzzino più lontano. Quindi forse Gibilterra non fu mai il punto di passaggio dall’Africa all’Europa, ma molto più probabilmente lo fu in senso opposto, cioè quanto circa 20.000 anni fa genti cromagnoidi europee portarono la cultura iberomaurusiana nell’Africa settentrionale, lasciando anche interessanti tracce di altro tipo: il tipo Mechta Afalou e un certo biondismo ancora oggi riscontrabile tra i Berberi dell’Atlante…

Vi cito una curiosità: forse perché ciò che è disponibile uscito dalla grotta Mandrin sono solo denti, ma MSN.com ha pensato bene di illustrare il servizio con un’immagine che conoscevamo già, quella della ricostruzione di uno dei teschi risalenti a 125.000 anni fa rinvenuto nella cava marocchina di Jebel Irhoud. Questo è un altro punto interessante, perché questo ritrovamento, uno dei più antichi resti sapiens “moderni” mai rinvenuti, è ritenuto controfattuale rispetto all’Out of Africa. Certo, il Marocco è Africa, ma il Continente Nero ha una notevole vastità, e il Marocco si trova molto distante dall’area subsahariana dove l’Out of Africa ipotizza che la nostra specie avrebbe avuto origine.

Io non vorrei che il contenuto di questo articolo suonasse come un “l’avevo detto, io”, come una vanteria, anche se troviamo un po’ a sorpresa tesi che ho sempre sostenuto: l’origine italica autoctona degli Etruschi e l’antichità del popolamento delle Americhe, per non parlare del fatto che se spingiamo lo sguardo ancora più indietro nel tempo, vediamo che i nuovi elementi che si stanno assommando rendono sempre più incerta e traballante l’ipotesi out-of-africana, mentre a ogni nuova scoperta aumentano i fatti che la contraddicono, non si tratta di rivendicare una perspicacia personale, bensì del fatto che la visione delle nostre origini che sto cercando di presentarvi in queste pagine non è in ultima analisi che un corollario di una visione del mondo, possiamo dire di una Weltanschauung oggi demonizzata dal potere, compreso quello accademico, ma che è, o dovrebbe essere comune a tutti noi, demonizzata, ma a cui i fatti stanno dando inesorabilmente ragione.

NOTA: nell’illustrazione, il “misterioso” manufatto etrusco che compare sia nel servizio su Sky TG24, sia nell’articolo su Handshot.

 

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