10 Aprile 2024
Poesia

Dionisismo Errante nel Bianco: Poesia Arte Vita – Vitaldo Conte

Con il ricordo letterario di Maria Gabriella Adamo e Luciana Frezza, attraversando Messina

 

«Nulla piace di più agli dei che il bianco» L. B. Alberti

 

 

Viaggi nel bianco verso gli estremi confini

 

  1. Nell’erranza visionaria di Arthur Rimbaud l’arte della pagina bianca è il luogo dei viaggi per l’ignoto, per la veggenza, con occhi che leggono oltre il visibile. Il poeta diviene un ladro di fuoco, ricercando il suo “rientro” nell’assoluto attraverso una lingua universale.

La pagina bianca della poesia ha come riferimento iniziale quella di Stéphane Mallarmè, che calamita il poeta al sempre rinnovabile confronto con il silenzio e con l’assenza significante. Sulla questa pagina bianca emergono le soglie di un oltre indescrivibile, sulla cui rotta vogliono perdersi i marinai del bianco di ogni tempo.

 «(…) e ho letto tutti i libri.

Fuggire! laggiù fuggire! Io sento uccelli ebbri

d’essere tra l’ignota schiuma e i cieli!

(…) il cerchio deserto della mia lampada

sul vuoto foglio difeso dal suo candore

(…) Io partirò! Vascello che dondoli l’alberatura

l’ancora sciogli per una natura straniera!

(…) Ma ascolta, o mio cuore, il canto dei marinai!» S. Mallarmé (trad. di L. Frezza)

  1. Gli estremi confini del bianco coincidono con quelli della creazione stessa. In questa la dispersione interiore ricerca il perdersi nel bianco attraverso le sue estreme erranze: «Navigate! Il bianco abisso libero, l’infinito, / sono davanti a noi» (K. Malevic).

La concezione classica ha conferito al bianco la possibilità di “vestire” e di esprimere la bellezza femminile, fino alla totalizzante e idealistica immagine de La Dea Bianca. Questa, regina dell’isola che dimora, è fonte di ogni creazione: come nel testo di Robert Graves (Adelphi). La figura femminile in bianco è un emblema, «in cui supporto (tela, foglio) e scrittura/pittura coincidono a segnalare un’assenza depositaria di infinite virtualità» (A. Castoldi), che si può amplificare nell’orgia bianca delle Valchirie, le donne-cigno dal bianco collo.

Il bianco ha tra le sue svariate possibilità quella di esprimere una poesia di ri/scrittura verso estremi e segreti confini, esterni ed interni, e una sensorialità oltre che oltrepassa le letture e i confini del visibile.

  1. Diversi miei eventi bianchi, dagli anni ’80 a oggi, diventano “opera-comportamento” di arte-vita. Come quelli nelle esposizioni di Stati del bianco (estate 1994), a cura di Vittoria Biasi. A Bolsena (VT), vestito di bianco, percorro la mostra allestita nella chiesa sconsacrata di San Francesco, tenendo per mano Er…, una ragazza con un abito bianco: siamo accompagnati da Erm…, una creatura dal volto imbiancato che suona il violino. Su un ripiano, come mia opera-concept, c’è una lettera di amore bianco e un libro bianco aperto su cui avevo scritto parole di Max Stirner: Io ho riposto la mia causa nel nulla. In una successiva mostra a Taormina (ME) presso Badìa Vecchia, la mia opera consiste nell’invio di un telegramma in cui “ri-scrivo” la frase di Stirner. Abbozzo, nel libro della mostra, il mio viaggio di arte-vita-anima nel bianco, citando anche mie tecniche di guarigione sciamanica e creativo-corporali poichè ricercavo lo yang bianco “per danzare con il respiro”.
  1. Il 4 dicembre 2002 “parlo” su i Sensi del Bianco all’Università di Messina, introdotto da Maria Gabriella Adamo (docente ordinario di Lingua e Traduzione Francese presso la stessa Università). L’incontro, che ha come indicazione Ré/écritures e correspondances verso gli estremi confini, vuole ricordare Luciana Frezza, traduttrice di Mallarmé.

Il percorso dell’incontro è sintetizzato nell’invito: – La poetica del bianco come linguaggio e sinestesia interlinguistica (in cui i confini della letteratura, delle arti visive e delle altre arti si coniugano e si incontrano) diviene un attraversamento teorico-creativo da parte di Maria Gabriella Adamo e Vitaldo Conte. In questo percorso anche la traduzione diviene possibilità di ri/scrittura e di corrispondenza per ‘relazioni’ pericolose –. L’incontro “attraversa” la scrittura e la traduzione letteraria di Luciana Frezza. Estratti delle nostre relazioni, con mie illustrazioni, sono raccolte nel blocco notes I Sensi del Bianco e oltre (Ed. Gepas, 2003).

  1. Non a caso per parlare su le ré/écritures e correspondances degli estremi confini de i Sensi del Bianco scelgo Messina per un evento-conferenza. Questa città rappresenta per eccellenza il passaggio: non solo quello esile, tracciato dal taglio d’acqua tra la Sicilia e la Calabria, tra l’isola e il continente, ma anche quello, percepibile e sfuggente nello stesso tempo, della vista (velata talvolta da una impalpabile nebbia all’ora del tramonto) dell’altra sponda. Soprattutto se questa è guardata (come preferisco) da una altura: «separando e congiungendo / le due rive opposte e vicine / come le braccia accostate / di una grande madre / Passava bianca e carica di luci» (M.G. Adamo).

Chi esce dalla Sicilia esce da una esistenza interiore di isola; chi dalla Calabria, ha alle spalle la consistenza di un continente, anche se è aspra come la natura di questa appendice. L’altra scambievole sponda, così a portata di mano, quasi da poterla “sfiorare” con le dita, è sempre irreversibilmente “distante”: come il confine bianco tra la vita e la morte, tra il visibile e l’invisibile, tra la realtà e il mito. Questa altra percepibile sponda rappresenta il ritrovo pulsionale e interiore del sacro, del mistero, del fantasma che, talvolta, “veliamo” e “traduciamo”, per l’intraducibilità di queste lingue di estremo confine, in segno bianco.

  1. Maria Gabriella Adamo, sensibile saggista e poetessa, è morta nel gennaio 2021. Per questo voglio ricordarla, insieme a Luciana Frezza, attraversando Messina e la Sicilia in generale. Queste due importanti presenze letterarie, mie amiche, sono presenti per mezzo del ricordo-coinvolgimento dei loro scritti. Che “guardano” talvolta la mia bianca creazione.

 

Maria Gabriella Adamo: Percorsi del Bianco. Note in margine a I Sensi del Bianco e oltre con Vitaldo Conte (Ed. Gepas, 2003). Ricordando Luciana Frezza

«Solitudine, stella, scogliera / a tutto quello che valse / il bianco affanno della nostra vela»; così traduce quella terzina Luciana Frezza, che commenta a proposito di Salut: «Mallarmé volle farne una sorta di prologo alla raccolta delle sue poesie. Il lettore vi potrà trovare alcuni dei suoi simboli familiari: schiuma, scogliera, stella; alcuni dei suoi aggettivi prediletti: bianco, vergine; il suo clima: solitudine, ansia di rischiose avventure del pensiero (…), di avventure sperimentate fino all’estremo limite».

Luciana Frezza, che non è più fra noi, è stata traduttrice, tanto più consapevole in quanto lei stessa poeta, e la sua è stata una duplice sfida, poiché alla già ‘impossibile’ traduzione interlinguistica del testo poetico si affiancava la scelta rivolta ai poeti del Simbolismo francese: da Baudelaire a Rimbaud, a Laforgue, fino allo stesso Mallarmé, il più intraduisible fra loro. A lei, cui si devono dei volumi di traduzione che appaiono ormai un sicuro riferimento e che non sono, come spesso avviene, ‘deperibili’, abbiamo dedicato, insieme a Vitaldo Conte, un incontro presso l’Università di Messina, per ricordare la sua presenza-assenza sotto il segno della Poesia e della ri-scrittura poetica.

(…) Luciana Frezza è anche il filo d’Arianna che ci conduce alla poetica del Bianco elaborata da Vitaldo Conte: una poetica che implica la pluralità dei linguaggi – come il prisma cui il Bianco rimanda –: linguaggi iconico-verbali e altro ancora, secondo i nessi delle sinestesie, e proiettati verso la cancellazione di generi e confini, in una tensione continua verso la scoperta e in un progetto ‘assoluto’ – o extrême – di conoscenza, ri-creazione e invenzione. Un’estetica, quella dell’incrocio e delle correlazioni fra le arti e i diversi codici, che ha lontane radici nel tempo (…).

(…) il Bianco, per Vitaldo Conte, è extrême, trasgressione, dépense ed eccesso nel senso di Bataille, confine e rischio, sfida connessa all’atto della creazione artistica.

 “Scrivere sul corpo come arte”: in un rapporto scritturale-pittorico, i corpi femminili portatori di Parole ed enigmi si ritrovano in Vitaldo Conte, nei suoi collages e nelle ‘ferite’ (che sono movimenti del ‘gesto’, traccia e ‘dispersione’): carta bianca come corpo di desiderio – nel senso, prima indicato, di Barthes –, e corpo come ‘estremo’ alfabeto, che si fa testo e quindi luogo privilegiato di scrittura creativa. Così, nel suo rigoroso perseguire i “nuovi segnali del verbo-visuale”, oltre i confini assegnati, l’artista esplora l’estrema soglia del borderline espressivo ed esistenziale: Bianco come l’ombra di Icaro, uno degli ‘eventi’ da lui realizzati, può essere assunto a simbolo di una volontà di trasgressione e di superamento dei limiti e degli interdetti.

Elementi che si ritrovano anche negli altri versanti che gli appartengono: quello del teorico di un’arte borderline o liminare, derivante anche dalla comune perdita di un centro referenziale – e di una coerente ricerca sinestetica che rimanda appunto alla poetica del Bianco come ‘assoluto’ mentale e dell’extrême: “Intendo polifonìa come iperscrittura di sonorità poetiche che tendono ad organizzarsi in una strumentazione di oralità commiste in proprie possibili commistioni di significato con il materiale del linguaggio verbale fino alle sue scomposizioni estreme”. Ed infine, in un recupero del linguaggio verbale, quello del poeta, sedotto e catturato dalle sue stesse variazioni sul Bianco: così nel poema ininterrotto – che potrebbe richiamare la celebrazione amorosa della poésie ininterrompue di Eluard –, nel quale sono messe in scena le istanze, le inquietudini, le ambizioni d’assoluto di una scrittura hantée dalla fitta rete di codici e simboli inscindibilmente connessa a un dilagante, sconfinato, desiderante B i a n c o:

oh poema mio ininterrotto

il tuo bianco mi adesca

sulla pagina cancellata

 (…)

divenuto poi corpo

danzatore bianco

ossesso

sui suonisegni delle grammatiche

con il canto di sé

oh poema mio ininterrotto…

(V. Conte, Polifonia di Desiderio, Gepas, 1999)

Luciana Frezza (1926-1992), poetessa e saggista, nasce a Roma da madre siciliana. Sin dall’infanzia trascorre i mesi estivi a Cefalù (PA). Ciò contribuisce al suo amore e attaccamento per questa città e la Sicilia. Il suo libro di esordio è infatti Cefalù e altre poesie (Sciascia, 1958). Traduce alcuni dei maggiori poeti simbolisti francesi della seconda metà dell’Ottocento: Laforgue (Lerici), Mallarmé (Feltrinelli), Nouveau (Einaudi), Verlaine (Rizzoli), Baudelaire (Rizzoli), Fargue  (Einaudi), Apollinaire (A. Mondadori). È uscita postuma la traduzione delle poesie di Proust (Feltrinelli).

Luciana, amica in tempi lontani, mi inviò una frase di Baudelaire, mentre traduceva I fiori del male di quest’ultimo, ritenendola forse adatta per le mie giovani poesie di Buffone in esilio: «Tranquillo come un saggio e dolce come un maledetto». Queste parole, indelebili dentro di me, diventando talvolta una citazione che riporto in mie pubblicazioni.

Luciana Frezza scrisse una breve testimonianza sul dionisismo corporale della mia poesia in viaggio verso l’oltre della sessualità stessa: «Lo studio del corpo, come lui lo chiama, portava nel chiuso di Dionisismo sincopato, a un ingorgo di gioia così denso da imboccare naturalmente la via senza uscita. (…) Dopo Dionisismo, il confine è varcato ancora, cioè si trova un’altra uscita, mentale, a quella esplorazione. Vitaldo disegna così l’area in cui si esercita la sua operazione a caldo, che non è più ricerca, scavo nel sesso, ma sorta di disciplina in cui l’esattezza delle valenze è immersa nel fluido continuum del desiderio, e che è anche una specie di rappresentazione, di recita in cui l’attore paga di persona. Quest’area è un tempo-luogo immediatamente successivo, una specie di spettrale aldilà del sesso».

Vitaldo Conte

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