20 Luglio 2024
Ahnenerbe

Una Ahnenerbe casalinga, ottava parte

E’ venuto forse il momento di riorganizzare e semplificare tutta la materia degli articoli “seriali”. Prevedo, salvo casi eccezionali, di tenere in vita una sola sezione che dovrebbe diventare una vera e propria rubrica, questa “Ahnenerbe casalinga” che spero sempre non rappresenti un termine di confronto particolarmente disonorevole con la vera società nazionalsocialista per lo studio dell’eredità degli antenati, perché sul controverso tema delle nostre origini sembra che di questi tempi emergano novità una dietro l’altra.

Mi era anche sembrato utile tracciare un raccordo fra lo smascheramento delle menzogne democratiche riguardo alle origini e quelle della nostra storia recente e, dopo aver trattato l’antichità, il Medio Evo, l’età moderna in tempi molto rapidi, dal discorso sulla contemporaneità non mi pareva possibile riuscire a venirne fuori. Questo spiega perché “Opus Maxime Rhetoricum” (“soprattutto un lavoro di propaganda”, una definizione ciceroniana della storia) si è prolungato fino a dodici parti.

A parte l’affetto per la lingua dei Padri,  “Ex Oriente lux” è un discorso diverso. Che quel che ci viene raccontato   dai libri di storia sulle origini della nostra civiltà con un’interpretazione preconcetta, sia una deformazione che tende a privilegiare il ruolo del Medio Oriente e a sminuire quello della nostra Europa, è una tesi a me cara su cui sono ritornato da varie prospettive. In particolare, negli ultimi due articoli mi sono soffermato su di un punto: la rivalutazione del mondo germanico e nordico, e qui vorrei tornare a evidenziare un fatto fondamentale: quest’ultimo è il cuore dell’Europa non soltanto geograficamente, e al fondo di ogni atteggiamento denigratorio anti-tedesco dobbiamo sospettare uno spirito anti-europeo.

Ma la partita più grossa è forse quella che si gioca proprio sul tema delle origini della nostra specie, perché l’idea assolutamente a-scientifica e anti-scientifica di un’origine africana recente di homo sapiens è stata introdotta senza un reale straccio di prova, allo scopo di distruggere il concetto di razza, fa parte della dogmatica democratica allo stesso titolo della mitologia olocaustica. Vogliono chiuderci gli occhi sul nostro passato e sul nostro presente, in modo che caschiamo inermi e impreparati nel bel futuro che hanno preparato per noi!

Io credo che l’importanza di tutto ciò possa sfuggire solo al prezzo di una considerevole disinformazione, e nell’articolo precedente ho fatto soprattutto un lavoro divulgativo, ma credo sia indispensabile sgombrare il campo dagli equivoci: la questione della presunta origine africana recente della nostra specie è tutt’altra cosa da quella dell’origine africana remota degli ominidi, Lucy e tutte le altre creature i cui resti sono riemersi da un lontano passato.

Stavolta invece ci concentreremo sugli ultimi aggiornamenti veri e propri di un quadro che si sta facendo sempre più sorprendente.

Forse non è una circostanza del tutto secondaria il fatto che al momento in cui sto stilando queste note, sono reduce da una brutta avventura di salute, e la raccolta del materiale per la stesura di questo articolo mi riuscirebbe assai gravosa se non avessi la fortuna di essere nella lista dei corrispondenti di una persona del cui prezioso lavoro di informazione vi ho già parlato altre volte: Luigi Leonini.

Questo articolo si basa su due segnalazioni di Luigi, entrambe del 31 luglio. La prima fa riferimento a un articolo comparso sulla versione on line de “Le scienze” del settembre 2011, Il salto tecnologico di Homo erectus. Qui c’è un discorso preliminare che occorre fare, perché il quadro paleoantropologico può non essere chiaro a tutti. Gli ultimi ominidi non umani appartenenti al genere Australopithecus si sono estinti attorno al milione di anni fa. La nostra specie, homo sapiens, ha qualche decina di migliaia di anni. Quel che c’è in mezzo nel vasto periodo intermedio è appunto l’Homo erectus.

Si tratta di un personaggio assolutamente chiave per la ricerca delle nostre origini. Secondo l’ipotesi formulata dall’antropologo Carleton S. Coon e poi sviluppata dalla teoria multiregionale che si contrappone all’Out Of Africa, non solo questa remota specie umana sarebbe stata ampiamente differenziata con diverse varianti fisiche e culturali, ma proprio in questa differenziazione affonderebbero le differenze razziali che ancora oggi suddividono le varie popolazioni umane. Il passaggio da erectus a sapiens, infatti, non sarebbe avvenuto una sola volta e in un solo luogo.

Questa tesi, che è eresia pura per i sostenitori dell’origine africana e per gli antirazzisti, adesso trova ulteriori conferme, infatti, secondo quanto riferisce il citato articolo de “Le scienze”, finora non ci si era provati ad accostare in parallelo l’evoluzione fisica dell’homo erectus con quella culturale attestata dallo sviluppo degli strumenti litici. Una volta fatto questo confronto, si scopre una complessità tale da escludere qualsiasi ipotesi di evoluzione uniforme e monogenetica.

I campioni della democrazia e dell’antirazzismo non sono sicuramente gente sulla cui sorte valga la pena di impietosirsi. Se così non fosse, verrebbe da chiedersi come faranno in futuro a mantenere in piedi una visione delle cose in contrasto sempre più stridente con i dati di fatto.

Questa domanda viene da porsela con evidenza ancora maggiore considerando la seconda segnalazione del nostro Luigi. Quest’ultima, infatti, fa riferimento all’ampia ricerca su antico materiale genetico degli europei condotta da un team americano-tedesco diretto da Johannes Krause dell’Università di Tubinga e da David Reich della Harvard Medical School del Massachusets, e i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista “Nature”. Se ricordate, io vi ho già parlato di questa ricerca, che però qui è disponibile in una versione più particolareggiata e con dettagli che non finiscono di sorprendere.

Diciamo per prima cosa che analizzando il DNA di resti umani risalenti ad alcune migliaia di anni fa, sono stati individuati tre gruppi genetici fondamentali: il più antico, risalente a 40.000 anni fa, è quello dell’uomo di Cro Magnon per il quale, come abbiamo visto, è stata supposta un’origine africana ma senza poter portare alcun genere di prove a sostegno di questa congettura (semmai, come abbiamo visto, alcuni ricercatori si sono spinti a ipotizzare un’origine sull’altra sponda del Mediterraneo risalente all’epoca del Sahara fertile, prima del formarsi del grande deserto attuale, ma è praticamente certa l’assenza di correlazioni con i genomi delle popolazioni dell’Africa subsahariana attuale), si tratta comunque di un gruppo alquanto localizzato che non permette certo di desumere un’origine africana per la grande maggioranza degli Europei.

Un secondo gruppo, che è quello di gran lunga maggioritario, è quello che è stato denominato eurasiatico settentrionale, il cui genoma è tipico delle popolazioni di cacciatori paleolitici dell’Europa e della Siberia (regione che già da tempi remotissimi sembra essere antropologicamente legata assai più all’Europa che al resto del continente asiatico). Questo secondo gruppo è quello presente con una maggioranza schiacciante fra gli Europei preistorici, antichi, attuali, con una continuità genetica che ha sorpreso i ricercatori.

C’è infine un terzo gruppo più recente che rappresenta un lieve flusso genetico di origine mediorientale che avrebbe risalito l’Europa attraverso i Balcani, e che secondo alcuni ricercatori sarebbe da collegarsi alla diffusione dell’agricoltura che si suppone essere originaria dell’area mediorientale-anatolica.

Su questo punto, senza ripetere tutto quanto ho scritto nella serie di articoli “Ex oriente lux, ma sarà poi vero?”, è il caso di soffermarsi un attimo.

Se davvero la diffusione dell’agricoltura, e con essa quella possibilità di surplus alimentare che ha permesso di avere classi sociali impegnate in attività diverse dall’immediata produzione di cibo, quindi commerci, artigianato, navigazione, città, stati e via dicendo, quindi tutto ciò che noi chiamiamo civiltà, e per soprammercato la diffusione delle lingue indoeuropee come hanno sostenuto i paladini della tesi del nostratico, fossero giunti in Europa dal Medio Oriente, il flusso genetico da esso all’Europa sarebbe dovuto essere molto più massiccio di quel che questa ricerca ha permesso di riscontrare, ma non basta, si dovrebbe anche spiegare la priorità europea nella lavorazione dei metalli, nell’allevamento bovino (preceduto però probabilmente da quello della renna da parte delle popolazioni eurasiatiche settentrionali) e perché la cultura megalitica europea nonché le conoscenze tecniche e astronomiche rivelate dai sofisticati allineamenti di Stonehenge, Newgrange e via dicendo, precedano di almeno un millennio le piramidi egizie e le ziggurat mesopotamiche, perché troviamo mummie dalle caratteristiche nordiche fra le famiglie reali dell’Egitto faraonico, e non resti di sovrani nordafricani nelle sepolture micenee.

Sostanzialmente, questo gruppo eurasiatico settentrionale e che forse potremmo definire euro-siberiano, è la componente nettamente predominante in tutte le etnie europee, oggi e fin dalla più remota preistoria, proprio quella innegabile realtà biologica che oggi i sostenitori del mondialismo vorrebbero confutare per distruggere, la sostanza dell’uomo europeo che oggi la democrazia vuole uccidere.

Un’ulteriore analisi del DNA di un ragazzo siberiano vissuto 24.000 anni fa, ha permesso di stabilire l’origine di questa popolazione euro-siberiana da ovest, dall’Europa.

Anche su questo punto sarebbe il caso di aprire una riflessione che potrebbe portarci molto lontano. Soprattutto nell’età medievale l’Europa è stata varie volte soggetta a invasioni non europee, ma mentre respingere arabi e ottomani ha richiesto lotte spietate protrattesi per secoli fino alla definitiva cacciata degli invasori, Unni, Ungari, Avari sono stati presto assimilati, si sono fusi con le popolazioni europee native. Questa differenza di risultati è con ogni probabilità legata al fatto che questi ultimi discendevano come noi dal ceppo eurasiatico settentrionale, erano nostri parenti più stretti di quanto pensassimo.

E oggi che ci dobbiamo confrontare con l’invasione di genomi a noi del tutto estranei: magrebini e subsahariani, quanti secoli dovremo lottare per sbarazzarcene?

Noi oggi possiamo davvero renderci conto di quanta ragione avesse Adriano Romualdi quando nella sua bellissima introduzione a Religiosità indoeuropea di Gunther sosteneva che è il sangue nordico-europeo a fare di un europeo ciò che è, in qualsiasi proporzione sia presente, a differenziare un siciliano o un andaluso da un arabo, e un russo da un mongolo. Non è un qualche fattore culturale (che semmai arriva dopo) a fare di un europeo quello che è, ma il suo sangue.

Questa ricerca ha ancora in serbo per noi una sorpresa non da poco, infatti, questo genoma eurasiatico settentrionale è risultato presente in circa un terzo del patrimonio genetico degli amerindi nativi americani.

E’ la più chiara conferma della teoria di Clovis, quella che vede nella più remota industria litica del Nuovo Mondo il prodotto dell’arrivo, costeggiando la banchisa artica dell’epoca, di cacciatori paleolitici europei dell’età glaciale, e indirettamente del fatto che all’origine delle civiltà amerindie, così come di quelle eurasiatiche, ci sarebbe sempre un antico popolamento “bianco”.

Un’eredità, la nostra, che le ricerche scientifiche ci svelano quasi a sorpresa essere inaspettatamente preziosa, e che abbiamo il dovere di opporci con tutti i mezzi al “democratico” tentativo criminale oggi in atto di disperderla.

 Fabio Calabrese

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