10 Aprile 2024
Tradizione

Riflessioni sulla vita noetica – Marco Calzoli

Il termine “idea” deriva dal greco con il senso di “forma”. Le nostre idee hanno la caratteristica di costituire la forma con la quale vediamo il mondo. Senza idee, il mondo costituisce un magma indistinto. Sono le idee che danno al mondo la intellegibilità, l’ordine, la struttura razionale. Ogni persona ha in media 6.200 pensieri al giorno. Spesso sono in sintonia, ma a volte è possibile che creino tra loro disarmonia. Contraddizioni tra ciò che siamo e come appariamo, conflitti di motivazione, fino alla malattia mentale vera e propria. Quando sperimentiamo un disagio interiore i nostri pensieri non sono allineati tra loro ma tendono a divergere, in maniera anche molto contraddittoria. Il compito della psicoterapia è quello di riallacciare le connessioni perdute tra parti di noi stessi e tra noi e il mondo esterno. L’analisi della nostra vita, che possiamo fare anche da soli, serve non solo a curarci ma anche a capire chi siamo veramente. La scoperta di noi non avviene sempre e, quando avviene, è, come diceva Jung, una grazia e allo stesso tempo una maledizione. È una grazia perché diveniamo noi stessi, ma è anche una maledizione perché siamo costretti a isolarci dal gregge al quale apparteniamo. Nei primi anni di vita le connessioni cerebrali vanno incontro a un grande modellamento sulla base dell’esperienza. Ciò struttura il cervello in una maniera unica da persona a persona. Per questo abbiamo tutti idee diverse gli uni dagli altri. Spesso le idee divergenti tra persone si scontrano tra di loro anche in maniera violenta. Nei primi secoli i cristiani erano perseguitati e lo sono ancora oggi. Giustino diceva però che i cristiani sono come un albero: se è potato con il martiro ne crescono nuovi rami, cioè nuovi cristiani. L’Islam è stata una grande piaga in Europa soprattutto nel passato. Spesso lungo la costa tirrenica, ma anche in quella adriatica dell’Italia, ci sono ancora molte torri. Servivano ad avvertire la popolazione dell’arrivo dei turchi, che saccheggiavano e massacravano intere città. Addirittura papa Leone X incontrò per caso a Roma il celebre corsaro ottomano Barbarossa che era sbarcato per perlustrare il territorio in vista di una conquista, ma riuscì a fuggire con il cavallo. Barbarossa poteva rapire il papa ma non lo fece per lasciare l’onore della cosa al sultano in una successiva battaglia. Cristianesimo e Islam costituiscono un chiaro esempio di come le idee sono tra loro divergenti. Non è facile aderire alle idee che si professano e tutti se ne accorgono. Abbiamo dentro di noi un fuoco sacro quando le pensiamo ma è molto difficile essere coerenti con noi stessi. Soprato di Pafo è stato un poeta comico greco vissuto tra IV-III sec. a. C. I suoi frammenti sono tutti tramandati da Ateneo. In uno di essi Soprato voleva mettere alla prova gli stoici e la loro vita dedita alla filosofia, alla filologia e alla pazienza. Mentre arrostiscono nella tortura e ritirano la gamba che sta bruciando, dovrebbero essere venduti perché non conoscono il vero pensiero!

Gli epicurei sostenevano che gli Dei siano impassibili. Contro questa tesi Lattanzio nel De ira Dei espone molte argomentazioni. Come dimostra la Bibbia, il Dio adorato dai cristiani ha dei veri sentimenti di bontà. Ora, secondo Lattanzio, la bontà verso i buoni deve avere un corrispettivo speculare: la giustizia verso i cattivi. Se Dio è buono, è anche giusto. In 6, 1 Lattanzio afferma: “Siccome Dio è mosso dalla benevolenza, è necessario che sia oggetto all’ira”, consequens esse ut irascatur deus, quoniam gratia commovetur. In questa tesi “è riposta l’intera essenza della religione e della pietà”, summa omnis et cardo religionis pietatisque versatur. Tuttavia oggi il cristianesimo e le varie religioni tendono a rinnegare il passato ed apparire più concilianti, come quando alcune religioni nel passato perseguitarono i jainisti indiani, considerati fanatici, ma oggi sembra che li lascino in pace. Anche se ci sono a volte alcuni punti in comune tra le varie religioni. Basilio Magno (Omelia I sull’Esamerone) scriveva che Dio “creò” per intendere che la sua opera creatrice non finiva con solo questo mondo. E curiosamente anche l’Islam ha una visione simile, che compare molte volte nel Corano, a cominciare dalla sura 1,1: “Lode a Allah, Signore degli universi”, rabbi l-‘ālamīna. Essere coerenti con noi stessi è una cosa molto difficile perché il mondo delle idee di rado coincide con quello della realtà materiale. La materia, la ricchezza e gli svaghi ci allontanano dai tesori interiori. Per questo Jung diceva che niente ci isola di più del potere e del prestigio. Finiamo con lo smarrire la rotta, perdiamo la nostra anima, non siamo più noi stessi. Le idee tuttavia servono per vivere. Per esempio le leggi nascono dal mondo delle idee e servono per farci vivere in pace e in libertà. Cicerone (Pro Cluentio 53. 156): “Siamo schiavi delle leggi per poter essere liberi”, legum … omnes servi sumus ut liberi esse possimus. I cabalisti insegnano che le risposte sono sempre a portata di mano, ma noi non siamo disposti a riceverle. Le idee vere, quelle che ci guidano nella vita, sono intuizioni sempre presenti in noi, ma non vogliamo vederle. Abbiamo una voce interiore che ci guida sempre, che gli orientali chiamano Osservatore e gli occidentali Coscienza morale. Spesso le idee coincidono tra loro, è in buona sostanza il fenomeno della intersoggettività. Nelle varie culture si parla sempre, nell’uomo, di livello corporeo, livello mentale, livello spirituale. La mente è individuale, invece lo spirito ci apre a dimensioni collettive, transpersonali e divine. La cultura norrena presenta questa terminologia:

 

  1. Corpo: Mott, Megin, Ond;
  2. Mente: Odr, Hugin, Munin;
  3. Spirito: Hamr, Lett, Orlog, Hamingja.

 

La nostra anima sta a metà tra la materia e il mondo non materiale. Da una parte abbiamo facoltà mentali che nascono dalla materia, dall’altra facoltà spirituali incorruttibili che ci avvicinano agli angeli. Sul versante dello spirito sta la libertas selectionis, la libertà di scelta tra bene e male, che, al di là delle contingenze e delle opinioni fugaci, è il giudizio che noi facciamo del mondo nella sua essenza. Galilei scriveva spesso che la mente di Dio ha creato il mondo che ci circonda, quindi la mente umana, fatta a somiglianza di quella del Creatore, può conoscere il mondo. Oggi i filosofi della scienza sostengono che l’uomo può conoscere con la propria mente solo la realtà materiale. Ciò che oltrepassa la materia va oltre la mente razionale e può essere intuito solo dallo spirito. Le persone hanno una conoscenza intuitiva di Dio, che non è razionale, ma spirituale. “Consideriamo fuor di dubbio che gli uomini abbiano in sé, per naturale sentimento, una percezione della divinità. Infatti, Dio ha impresso in tutti una conoscenza di sé stesso, di cui rinnova il ricordo, quasi a goccia a goccia”.[1] Conosciamo la matematica in un modo (con la mente razionale), ma intuiamo Dio in un altro modo (con lo spirito). È la stessa differenza tra il fare un’equazione matematica e lo scrivere una poesia. Per fare un’equazione ragioniamo, per scrivere una poesia sentiamo e trasferiamo a parole quello che abbiamo sentito. Per questo si dice che nella poesia c’è l’Assoluto, quel “succo” o in sanscrito rasa dei pensatori indiani, gustando il quale è possibile addirittura raggiungere il nirvāṇa. Cosa che rende tale una vera opera poetica? L’indiano Mammaṭa rispondeva così: Il suono e il senso uniti, senza errori, dotati di virtù, con o talora senza ornamenti. Si dice che l’emozione estetica (rasa) abbia luogo nello spettatore (rasika) attraverso l’azione di questi elementi:

 

  1. Elementi determinanti (vibhāra): l’intreccio narrativo, il tema, e così via;
  2. Elementi conseguenti (anubhāva): manifestazioni intenzionali di sentimenti come gesti o tono della voce;
  3. Stati emotivi (bhāva): che appartengono ai personaggi teatrali oppure della poesia;
  4. Emozioni involontarie (sattvabhāva)[2].

 

Alberto Magno osservava alla fine del suo De unitate intellectus: l’anima “in sé è incorruttibile e permanente, sebbene sia corruttibile secondo l’essere di alcune delle sue facoltà”, secundum se est incorruptibilis et permanens, licet secundum esse quarundam potentiarum sit corruptibilis. Detto in altri termini, secondo lo stoico Diogene di Babilonia (fr. DB 30 von Arnim), l’anima deriva sia dal nutrimento del corpo sia dallo spirito. La filosofia indiana distingue una parte imperitura della nostra anima, detta ātman e che coincide con Dio (Brahman), e una parte che passa, transeunte, che scomparirà con il finire della illusione materiale. Anche Agostino dice che, confronto a Dio, tutte le cose “non sono” (Confessioni XI, 4: nec sunt). Il filosofo indiano Gautama (Nyāya Sūtra III, 2, 24) riconosceva che esistono anche alcune qualità transeunti dell’anima che però è imperitura, quindi esistono delle conoscenze che subiscono un processo di distruzione, come un suono viene distrutto da un altro suono. Ciò che è nel mondo non è ciò che è sacro e quindi appartiene ad un altro mondo. Nei trattati sui rituali vedici loke, “nel mondo”, si distingue da kratau, “relativo alla cerimonia sacrificale”. Nei Veda il composto lokāloka compare una sola volta e per indicare la contrapposizione tra ciò che è nel mondo e ciò che non lo è[3]. Ātman è talmente diverso dal mondo che è la Beatitudine stessa. “La Beatitudine è fatta di tutte le sue possibilità, si potrebbe dire che ne sia la somma stessa”[4]. In India il primo modo per parlare del Brahman è di intenderlo come la parola dei Veda. I Veda sono veri perché parlano degli dei e dei riti. Il dio non può esistere senza il sacrificio. Il sacrificio acquista verità solo se si pronuncia l’esatto nome del dio. Gli dei non sono veri in quanto tali: l’efficacia del sacrificio e la realtà degli dei è data da una energia che promana dal sacrificio stesso, dalla sua esatta esecuzione e dai nomi giusti. Tale è la dottrina della scuola detta Pūrvamīmāṃsā[5]. Kauṣītaki-Brahmaṇa VI, 11: “Ci sono due piste del sacrificio: l’una è percorsa dalla parola, l’altra dal mentale”. La parola è costituita dai nomi degli dei e dalle formule, invece il mentale dagli atti, intesi come viventi nella mente dell’officiante. Quindi la totalità del sacrificio è formata da parola e silenzio[6]. Secondo altre concezioni indiane, gli dei esistono veramente. Quindi si ottengono benefici se con la parola li onoriamo e se con la mente li studiamo regolarmente, come lascia capire il finale del Bhagavata Purana. La parola e lo studio sono ponti mediante i quali la nostra anima si apre al mistero, ai piani superiori, catturando quella luce che è benefica se non vitale.

Per i popoli antichi il sacro non era “mistero” come lo intendiamo noi oggi, ma era l’essenza del reale, l’ordine cosmico, che tuttavia non era completamente palese. Ogni cosa ha un quid di sacro che la rende viva. Su questo sfondo in cui tutto è sacro, ci sono persone o momenti che esprimono maggiormente il sacro, ed è per esempio il sacerdote nella antica religione greca. “Egli ricorda il rapporto personale che il dio ebbe con gli uomini in questo luogo, alimenta tale rapporto attraverso il sacrificio, in una sorta di agape; egli fa dell’atto di grazia eccezionale (che risale all’evento mitico) qualcosa di eterno e indimenticabile, mantiene viva la memoria della divinità riguardo a ciò che essa a quel tempo promise”[7]. Tutto è quindi concatenato assieme e ogni parte dell’universo si regge mediante innumerevoli rapporti reciproci. Nell’Atharva-Veda (XI, 4, 21) ci sono queste parole:

 

ekaṃ padaṃ not khidati salilad dhaṃsa uccaran

yad anga sa tam utkhiden naivadya na svaḥ syāt

na ratrī nahaḥ syān na vy ucchet kada cana.

 

“Il cigno, levandosi in volo, non estrae il suo unico piede dall’acqua. Se egli appunto lo estraesse, non ci potrebbe essere né l’oggi né il domani; non ci sarebbe né la notte né il giorno; non sorgerebbe mai l’aurora”. Nel Vijñānabhairava (XXXIII) è scritto: “Per colui che mediti come … la realtà di tutto questo, sin nelle sue infime parti e in ogni dove, sia sempre Śiva, si realizza il grande risveglio”. “Secondo la mitologia hindu l’universo non ha sostanza. La materia, la vita, il pensiero non sono che relazioni energetiche, ritmo, movimento e attrazione reciproca. Il principio che dà origine ai mondi, alle varie forme dell’essere, può dunque essere concepito come un principio armonico e ritmico, simboleggiato dal ritmo dei tamburi, dai movimenti della danza. In quanto principio creatore, Śiva non profferisce il mondo, lo danza”[8]. Anche la mentalità dei primitivi vede uno stesso principio, mana, presente in tutti gli esseri e in tutti gli oggetti. Uomini, animali e piante vivono e muoiono e le pietre partecipano a questa vita come le ossa del corpo partecipano alla vita dell’organismo[9]. Tutto ha un denominatore comune: il divino, il Brahman. Per questo chi ha nella mente solo il Brahman ha tutto e non può avere alcun timore di alcunché. Gauḍapāda (Āganaśāstra I 25):

 

yuñjīta praṇave cetaḥ praṇavo brahma nirbhayaṃ

praṇave nityayuktasya na brayaṃ vidyate kvacit.

“Bisogna volgere la mente sul suono significante (OM) perché esso è il Brahman, nel quale non c’è timore. E non c’è alcun timore per colui che è sempre concentrato su di esso”. Presso alcune culture il centro di tutto era la stella Sirio. Essa aveva uno strano comportamento astronomico: estremamente regolare. Alla base di questo fenomeno astronomico, che gli antichi ben conoscevano, la stella Sirio o Sothis o Stella Cane era considerata una divinità potentissima e gerarca rispetto alle altre. Aveva anche connotati metafisici. Era il vero perno di tutto l’universo[10]. Per questo motivo tutti i popoli parlano del sacro e degli dei. Solo la modernità è atea o agnostica nel senso che noi oggi intendiamo. E sempre per questo motivo le storie antiche sembrano ripetersi in un continuo sincretismo. Per esempio il racconto della creazione della Genesi è posteriore alla stesura del canone dei pianeti, dei giorni e degli dei. Infatti, Dio prima crea la luce, poi divide le acque, quindi crea i pascoli e dopo i corpi celesti. È strano questo ordine, ma si giustifica pensando che i primi quattro dei-pianeti dell’antichità sono: Sole (che governa la luce), Luna (governa le acque), Marte (i pascoli), Mercurio (dio degli astri)[11]. Il canone dei pianeti è semitico ma non ebraico, poi fu mutuato anche dai Greci.

 

NOTE

[1] G. Calvino, Istituzione della religione cristiana, vol. 1, Torino 2009.

[2] A. K. Coomaraswamy, La danza di Śiva, Milano 2011.

[3] C. Malamoud, La danza delle pietre, Milano 2005.

[4] R. Guénon, L’uomo e il suo divenire secondo il Vedanta, Milano 1992.

[5] C. Malamoud, Cuocere il mondo. Rito e pensiero nell’India antica, Milano 1994.

[6] C. Malamoud, Femminilità della parola. Miti e simboli dell’India antica, Roma 2008.

[7] F. Nietzsche, Il servizio divino dei Greci, Milano 2012.

[8] A. Daniélou, Śiva e Dioniso. La religione della natura e dell’eros, Roma 1980.

[9] L. Lévy-Bruhl, L’anima primitiva, Torino 2013.

[10] G. de Santillana, H. von Dechend, Sirio, Milano 2020.

[11] R. Graves, La Dea Bianca. Grammatica storica del mito poetico, Milano 1992.

 

Marco Calzoli

1 Comment

  • Rita Remagnino 5 Novembre 2020

    Basterebbe un passaggio per rendere di schiacciante attualità il libro di Guénon “L’uomo e il suo divenire secondo il Vedanta”, citato nell’articolo. Là dove si dissolvono le forme che hanno concluso il corso completo del loro sviluppo sono contenuti anche i germi delle forme non ancora sviluppate, poiché per la forma, come per qualsiasi altra cosa, il punto di partenza e il punto d’arrivo si trovano necessariamente nello stesso ordine di esistenza. Ecco, noi siamo qui. Adesso.

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