10 Aprile 2024
Controstoria

AAA: 4 novembre cercasi – Gianluca Padovan

Caratteristica di Casa Savoia.

È utile ricordare che una delle “caratteristiche” di Casa Savoia, per altro ben nota in ambito europeo e mondiale, è di iniziare una guerra con un alleato per poi terminarla al fianco dell’ex avversario, tradendo così gli accordi e la fiducia dell’alleato iniziale. Nella Guerra dei Nove Anni (1688-1697), o Guerra della Lega di Augusta, anche ricordata come Guerra della Grande Alleanza, il Ducato di Savoia si schiera con la Lega di Augusta costituitasi in funzione antifrancese, ma nel 1696 Vittorio Amedeo II di Savoia firma il Trattato di Torino con la Francia, alleandosi con essa e mantenendo inizialmente segreto tale Trattato nei confronti degli ex alleati. Nella Guerra di Successione Spagnola (1701-1714) il Ducato di Savoia è inizialmente alleato a Francia e Spagna, ma nel frattempo avvia accordi segreti con l’Impero d’Austria-Ungheria per poi allearsi ad esso. La prima conseguenza del “cambio di campo” è l’arresto immediato dei soldati piemontesi di stanza in Lombardia: una parte di essi è incarcerata e l’altra inglobata più o meno forzatamente nell’esercito francese. Di contro, il Ducato di Savoia ottiene cospicui finanziamenti dall’Inghilterra per la conduzione della guerra contro la Francia e a conflitto ultimato, sempre grazie all’Inghilterra, Vittorio Amedeo II di Savoia è nominato re di Sicilia, isola “barattata” poi con la Sardegna.

A “scavare bene” nel passato vi si trovano delineate tutte le politiche savoiarde del XX secolo.

Per non dover ripercorrere l’iter politico di Casa Savoia e del Regno d’Italia si ricorda che l’Italia sigla il 20 maggio 1882 il patto difensivo con Germania e Austria-Ungheria entrando a far parte della Triplice Alleanza. Tale patto è rinnovato più volte a seguito di varie vicende politiche e militari negli anni 1887, 1896, 1908 e 1912. Nel 1914 l’Italia dichiara la propria neutralità, non essendo obbligata ad entrare in guerra accanto ai due stati alleati, ma intrattiene accordi segreti con Inghilterra e Francia.

Nel 1915 il regno sabaudo si schiera “a sorpresa” con le forze dell’Intesa, dichiara guerra all’Austria-Ungheria e solo nel 1916 contro la Germania, pur essendosi scontrata con soldati tedeschi già nei primi giorni di guerra (3 giugno 1915, sbarramento di Son Pòuses; 8 giugno 1915, Ponte Alto – Cortina d’Ampezzo).

 

Parlamento di nome ma non di fatto.

Quasi nessuno s’azzarda a scrivere che il Popolo Italiano e il suo parlamento-fantoccio volevano mantenersi al di fuori del conflitto già mondiale: se il Parlamento italiano avesse contato qualche cosa in guerra non si sarebbe entrati. La propaganda interventista ha potuto beneficiare di soldi a profusione da banche e industrie per agitare innaturalmente gli animi degli Italiani e spingere la Nazione alle armi, ma il suo solo apporto non sarebbe bastato.

L’entrata del Regno d’Italia in guerra è stata definita un “colpo di stato” operato da re Vittorio Emanuele III e dalla sua ristretta corte d’uomini di fiducia. Sull’argomento si legga utilmente il lavoro del magistrato veronese Marco Zenatelli, Breve storia di un colpo di stato dalla Triplice al Patto di Londra. Qualche passo per ogni altro: «Come si sia giunti a una deliberazione parlamentare favorevole al governo e quali forze anche esterne al parlamento siano entrate in realtà in campo per superare trionfalisticamente l’ostacolo della seduta del venti maggio, che sembrava invece a un certo punto uno scoglio apparentemente insormontabile, mai è stato del tutto chiarito e ormai ben difficilmente potrà essere disvelato. Tra le varie ipotesi si parlò anche dell’influenza del denaro francese e di pressioni operate dalla massoneria inglese. Non a caso, dall’estate del 1914, il gran maestro della massoneria Ettore Ferrari aveva sposato senza riserve l’intervento a fianco dell’Intesa imponendolo agli affiliati, pena, in caso di mancato allineamento, la radiazione e la pubblicazione sulla stampa dei nomi dei radiati» (Zenatelli Marco, Breve storia di un colpo di stato dalla Triplice al Patto di Londra. L’intervento italiano nella guerra europea, Gaspari Editore, Udine 2014, pp. 99-100).

 

Prigionieri di guerra.

Un altro argomento di cui si parla malvolentieri o per nulla affatto è quello dei prigionieri di guerra. Difatti la condizione dei soldati italiani presi prigionieri ed avviati nei campi di concentramento, denominati “campi di prigionia”, è raramente trattata nei libri che parlano della Prima Guerra Mondiale. I motivi sono molteplici, ma essenzialmente riconducibili al fatto che lo Stato Maggiore italiano li considerava disfattisti e disertori. In pratica erano bollati come “infami traditori”. Certamente vi furono soldati che si consegnarono spontaneamente all’avversario per non dover più combattere, ma il loro numero non fu così elevato come, tra le righe, una certa prezzolata storiografia italiana vuole lasciare intendere. Altrettanto certamente le vicende belliche conducevano i soldati ad essere catturati, ma sul fronte italiano giocò un ruolo fondamentale l’incapacità militare dei comandi, nonché un gravissimo dolo, soprattutto durante la “disfatta di Caporetto” dove almeno 300.000 uomini furono presi prigionieri.

I prigionieri di guerra italiani soffrirono quindi più di ogni altro soldato e civile e almeno un sesto di loro morì a seguito delle ferite riportate in combattimento, per denutrizione, per malattia e suicidio. Ma non solo: «Si sa di molti nostri poveri soldati fucilati dal nemico perché in quelle zone avevano tentata l’evasione (…). Numerosi sono i tentativi giornalieri di fuga, fatti da ufficiali e soldati, i quali vanno incontro ad ogni sorta di rischi» (Attilio Loyola, La prigionia degli italiani in Austria, Unione Tipografico-Editrice Torinese, Torino 1918, pp. 6-7).

Rimane innegabile la responsabilità, soprattutto da parte austriaca, dell’inaccettabile trattamento riservato ai soldati italiani. Ma questo certamente non assolve lo Stato Italiano savoiardo e massone dall’avere deliberatamente lasciato a loro stesse delle persone comunque appartenenti allo Stato, chiamate alle armi, fatte combattere in condizioni al di là dell’umana e civile accettazione e che comunque e in ogni caso si erano battute.

Le condizioni di vita nei campi di prigionia erano spesso ovunque drammatiche, ma la Croce Rossa e le organizzazioni sorte in ogni Stato belligerante cercavano di fare avere ai prigionieri i cosiddetti “pacchi” contenenti principalmente indumenti e viveri. Il Regno d’Italia vietò fino al 1918 che la Croce Rossa italiana provvedesse ai propri prigionieri e solo durante gli ultimi mesi di guerra si cercò di alleviare le sofferenze degli internati. I pacchi inviati dalle famiglie dei prigionieri spesso non giungevano ai congiunti e il motivo principale era, ancora una volta, che il regno savoiardo non solo ignorava i prigionieri di guerra, ma li osteggiava.

Le sofferenze dei prigionieri di guerra non terminarono con il rimpatrio, perché come già detto furono trattati da traditori e disertori, subirono processi militari e spesso condanne (repetita iuvant).

La guerra non è l’alternativa alla pace, ma la ferma determinazione di pochi individui a non voler assolutamente perseguire una vera politica di pace. Chi guadagna dalle guerre sono banche e industrie, ricordando che la Banca d’Italia, come la Banca d’Inghilterra e le innumerevoli “consorelle”, era ed è privata, non già dello Stato Italiano.

 

Il massacro del Popolo Italiano.

In sintesi ecco un conteggio indicativo, ma comunque approssimativo, delle perdite costate al Popolo Italiano:

 

Soldati morti

780.000 di cui:

406.000 per cause belliche,

274.000 per malattia,

100.000 nei campi di prigionia stranieri (la cifra così elevata è da imputare innanzitutto all’intervento del Governo italiano, che li riteneva dei disertori, rifiutando loro qualsiasi aiuto da parte delle famiglie e della Croce Rossa).

Non si conosce il numero esatto dei soldati fucilati: nel corso delle azioni, per processi anche sommari (per motivi veri o falsi) a seguito di diserzioni, ferite autoinflitte, disobbedienza, disfattismo, etc. Il loro numero è imprecisato e assolutamente sottostimato, ma nelle fonti ufficiali è fissato a circa un migliaio, mentre in quelle non ufficiali è stimato in alcune decine di migliaia.

 

Soldati feriti

950.000 – 1.050.000

 

Soldati ammalati

2.500.000

 

Soldati invalidi

462.800 – 463.000 a causa di ferite o di malattie, secondo i dati militari.

Corrado Tumiati, medico e psichiatra nella Grande Guerra, denuncia invece ben 1.300.000 militari e civili «minati, irrimediabilmente devastati nel fisico e nella mente».

 

Civili morti

500.000 – 1.000.000

Il computo dei civili morti per cause belliche e per cause consequenziali alla guerra, come malnutrizione e malattie, sono ad oggi tutt’altro che definite. Si ricordi che negli ultimi mesi di guerra civili e militari furono colpiti dall’epidemia “Spagnola”, la quale imperversò e falcidiò la popolazione non solo italiana fino al 1919. Ugualmente, il numero dei feriti e degli ammalati non è stato attendibilmente e univocamente stabilito.

 

Emigrati

Numerosi italiani emigrarono all’estero per evitare l’arruolamento, ma il loro numero, anche in questo frangente, non è mai stato computato con esattezza.

 

Calcolo totale

In via del tutto approssimativa si può calcolare che la Prima Guerra Mondiale costò alla popolazione italiana, tra civili e militari:

1.280.000 – 1.780.000 morti,

462.800 – 1.300.000 invalidi permanenti.

 

Vedere utilmente:

– Franco Carnevale, La Grande Guerra degli italiani, in Epidemiologia & Prevenzione, Associazione Italiana di Epidemiologia, novembre-dicembre n. 6, Milano 2014.

– Nial Ferguson, La verità taciuta. La Prima guerra mondiale: il più grande errore della storia moderna, Casa Editrice Corbaccio, Milano 2002.

– Paolo Gaspari -a cura di-, Corrado Tumiati. Zaino di sanità, Gaspari Editore, Udine 2009.

– Ferruccio Ferrajoli, Il servizio sanitario militare nella guerra 1915 – 1918, in Servizio Sanitario dell’Esercito, Giornale di Medicina Militare, Fasc. 6, novembre-dicembre, Roma 1968.

– Francesco Jori, Ne uccise più la fame. La Grande Guerra della gente comune nel Triveneto, Edizioni Biblioteca dell’Immagine, Pordenone 2014,

– Attilio Loyola, La prigionia degli italiani in Austria, Unione Tipografico-Editrice Torinese, Torino 1918.

 

Considerazioni a denti stretti

Detto questo, occorre calcolare con esattezza quante perdite, sempre in vite umane, si sono causate attaccando alle spalle gli ex alleati Austroungarici e Tedeschi. Senza procedere oltre, rimane un’unica considerazione valida: le così dette “terre irredente” dovevano rimanere tali se il prezzo da pagare per farle rientrare entro i confini italiani avesse dovuto costare anche una sola vita umana.

Il 4 novembre di ogni anno, pertanto, che cosa vogliamo festeggiare?

Gianluca Padovan

Copertina: web

1 Comment

  • Nicolo cerni 8 Novembre 2020

    grazie del vero ed interessantissimo articolo storico..

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