17 Luglio 2024
Cultura

Chiamali stupidi – Lorenzo Merlo

I capitalisti prima degli anticapitalisti hanno compreso che il concetto della crescita infinita aveva vita limitata. Non solo, prima degli altri hanno capito come provvedere a se stessi, come non perdere il dominio del mondo, anzi delle menti. Marx ed Engels hanno fatto del loro meglio ma non è bastato. Hanno fatto di tutto per farci presente gli aspetti del capitalismo che il belpensiero neppure concepiva. Questo, sulla cresta dell’onda del progresso, divideva il mondo in due: i ricchi e legittimati da Dio e i poveri o tutti gli altri che, giocoforza, dovevano esserci. Dentro le due classi stavano le due intelligenze, una eletta e una, semplicemente, non eletta. Non c’era altro da fare se non frustare i cavalli e guidare la doga alata verso il futuro e il giusto. Da allora – spiritualmente animata dall’antropocentrismo giudaico-cristiano – una ristretta percentuale di uomini ha tenuto in scacco tutti gli altri.

E lo ha fatto con crescente consapevolezza di sé. Per sostenere se stessi, i capitalisti, i neocapitalisti, i liberisti, i neoliberisti, la nuce non cambia, si sono inizialmente serviti di concetti intellettuali, sostanzialmente tutti in rotazione intorno al perno della redistribuzione della ricchezza. Cosa peraltro anche in qualche misura avvenuta. Una terza classe, la cosiddetta borghesia, originava dal mantenimento di quella promessa. Ma il punto messo a segno dal lento processo redistributivo che era avvenuto non sottraeva sostanza al valore della critica marxiana – sia economica che antropologica – nei confronti del capitalismo. La logica del profitto crescente all’infinito, la proprietà privata dei mezzi di produzione, le forme di alienazione del proletario (non vede l’opera finita del suo lavoro; non possiede il profitto, cioè l’opera del suo lavoro; impiegato come macchina – mercificazione del lavoro umano, plusvalore ­– non realizza se stesso a mezzo della propria creatività, come era stato ed è per l’artigiano) sono alcuni elementi che minano la natura del capitalismo. Un sistema economico che, a differenza dalla imposta e diffusa concezione comune non ha alcun valore universale essendo invece un sistema economico tra più.

Vista la relativamente poca presa sui cuori popolari degli slogan intellettuali e dalle promesse dei primi economisti, la consapevolezza capitalista sapeva che era necessario estrarre nuove idee dal cilindro per mantenere la presa sulla classe proletaria e la propria forza-lavoro ormai divenuta anche elemento sostanziale del mercato o forza-consumo.

Così, come un mago, il capitalismo in frak infilò la mano nel lungo cappello e ne estrasse lo spauracchio del comunismo. Le menti popolari e suggestionabili si intrisero della nuova verità e solidarizzarono contro il nuovo nemico. Lo spirito giudaico-cristiano questa volta mosse gli animi di tutte le parti occidentali in campo. Giocò con maestria però solo a favore dei padroni del vapore. Infatti, da un lato, gli ultimi e i bigotti non potevano che vedere con timore e disprezzo chi rinnegava Dio. Dall’altro, con un solo colpo il capitalismo aveva ottenuto il supporto di chi aveva spremuto e avrebbe seguitato a spremere. Insieme a questi, avrebbero combattuto l’ateo nemico. Una sorta di unità prototalebana si era così radunata intorno alla giostra imbambolatrice del nostrano miscredente. Se fosse possibile dire in cosa consista la consapevolezza, se fosse possibile svelarne il fondamento ultimo, forse si potrebbe fare riferimento alle forze o all’energia che muove e si muove entro un certo ambito. Dunque il capitalismo pareva ricco di questa forma di intelligenza tanto da permettere intolleranze ad esso stesso e permettersi di tollerarle. Poteva agire secondo lo schema dell’ameba: capace di inglobare e fare propri gli elementi ad essa inizialmente estranei. La collana dei cicli dell’avanguardia in tutte le forme dell’umano, non è mai riuscita a divenire più grande dell’ameba. Non è mai riuscita a restarne fuori, a divenire piena alternativa. Il totale di questo processo, sostanzialmente suntzuniano, gli ha permesso di divenire il sistema mentale che ha gradualmente egemonizzato il mondo, ovvero il pensiero della maggioranza delle persone. Le sue vittorie fuori casa, in Russia e in Cina, sono state sufficientemente eloquenti per sancire definitivamente la bontà, o meglio, la forza naturale dell’idea capitalista, per sottrarre alla vista le scelte politiche che lo hanno voluto. Come ben precisato da Mark Fischer nel suo Realismo Capitalista (Nero, 2018):

 “Inutile dire che quello che viene considerato «realistico», quello cioè che sembra plausibile dal punto di vista sociale, è innanzitutto determinato da una serie di decisioni politiche. Qualsiasi posizione ideologica non può affermare di aver raggiunto il suo traguardo finché non viene per così dire naturalizzata, e non può dirsi naturalizzata finché non viene percepita come principio anziché come fatto compiuto. […] Come ricordato da tanti teorici radicali – siano essi Brecht, Foucault o Badiou – ogni politica di emancipazione deve puntare a distruggere l’apparenza dell’ordine naturale, deve rivelare che ciò che viene presentato come necessario e inevitabile altro non è che una contingenza”.

 Essa è riuscita a superare ostacoli e contraddizioni proprio come nella guerra, almeno quelle passate, in cui le regole d’ingaggio erano sostituite dalla banalità dirompente de la guerre c’est la guerre. Ovvero, nulla è impedito verso il nemico. In nome del progresso – internamente chiamato profitto – è riuscita ad andare oltre la morale. È, ogni volta, riuscita a ricucire gli strappi che la sua avidità aveva prodotto e a evitare le condanne ad essa relative. Il suo business is business ha convinto anche i giudici in cui l’etica positivistica aveva la sua ragione, la sua forza, la sua necessità.

Del resto come hanno precisato sociologicamente Foucault (la verità è nel discorso), psicoanaliticamente Lacan (la verità è nel linguaggio), evolutivamente Maturana (la verità è in ciò che non ci manda fuori equilibrio), biologicamente Bateson (la verità è entro la mente) e chissà informalmente quanti altri, scambiamo una convenzione per verità. Ma essa sussiste solo entro l’ambito, che è sempre circoscritto da chi ha i mezzi del potere. Solo la presa di coscienza necessaria ce ne può emancipare. E questa è sempre fuori dalle ideologie, di qualunque misura esse siano.

Dopo molti decenni di battaglie vinte a mani basse, dopo aver superato il periodo dei movimenti operai, dopo aver pilotato e osservato il potere oppiaceo – per soddisfazione immediata, arresa psicologica, dipendenza e assuefazione – dell’opulenza, a sua volta alimentata dalla comunicazione, la prima sua arma dall’aspetto innocuo, ridente e suadente, dopo essersi procurata il necessario per estendere il proprio mercato al globo intero, ha dovuto confrontarsi con nuove dinamiche che, ancora una volta, sembrerebbe fossero state da previste dal capitalismo. L’incremento demografico, la supremazia della tecnologia, la diffusione della comunicazione individuale o il web, l’impossibilità della riduzione della disoccupazione e del debito pubblico, il malcontento dispregiativamente chiamato populismo in quanto cieco e semplicemente reattivo, sono tra i principali rotori con cui il capitalismo occidentale, a causa della sua pendenza protodemocratica si trova ad avere a che fare.

E riecco il cilindro e la marsina. Le oligarchie dopo essere riuscite a mettere mano sulle istituzioni degli Stati, hanno capito che non sarebbe bastato per proseguire secondo la loro biografia. Come la super difesa militare americana è stata sorpresa (secondo la versione governativa) e non è riuscita ad intervenire per evitare l’attacco alle Torri gemelle, così altre sue, e occidentali in generale, intelligence si sono trovate la sorpresa cinese alla porta di casa. Ma il capitalismo orientale, quello fuori dall’egemonia del dollaro, è un problema solo apparente. Il focus dei cinesi e vero punto della questione è presumibilmente contrastare e forse sostituire il dominio globale occidentale. È probabile che il Made in China riempia di beni, dall’obsolescenza ulteriormente programmata, le case del mondo del futuro. Il suo costo del lavoro vince a mani basse la partita con la concorrenza ed ora anche nei settori commerciali più raffinati. Perché non accordarsi con i musi gialli?

I mercati saturi, quelli emergenti prelazionati dai cinesi, la diffusa consapevolezza individuale sulle dinamiche globaliste, non potevano che essere spunti di riflessione per le oligarchie stesse. Ben prima che la ricetta della crescita infinita si dimostrasse intrinsecamente fallace e fosse di dominio pubblico, faceva già parte della loro consapevolezza. Dal cappello non restava che estrarre una sorpresa che superasse, che rompesse con le precedenti. Per evitare il collasso del loro strumento di dominio, per eludere rivolte sociali sempre più a rischio di accadere secondo un effetto domino, hanno optato per autodistruggerlo. Il loro scopo riguarda la popolazione mondiale e la sopravvivenza della terra, almeno secondo i loro canoni. Del passato resterà la cultura scientista e specialistica e il mito della tecnologia come salvatrice di tutti i mali. Tre elementi ormai nel Dna di tutte le culture occidentali. Tre elementi sufficienti a tenere sotto scacco il libero pensiero delle persone. Non si può chiamare stupido un sistema che è riuscito piallare le idee di gran parte del mondo. A far credere che il sostenibile, l’economia circolare e l’impatto zero cambino tutto. Il paradigma capitalista implica lo sfruttamento di uomini e materie prime per il profitto. La sola cosa che cambia è il tempo di agonia della Terra. Ogni moderato che gonfia il petto con i loro nuovi slogan non è che un collaborazionista del sistema. I padroni del libero mercato vendevano sé stessi come produttori di pace e libertà, con dosi di autoincensamento, poi moltiplicate dopo il Muro di Berlino. Tutti compravano a piene mani. I proseliti diffondevano così, come moltiplicati megafoni, gli slogan che il marketing gli aveva insegnato mentre credevano di essere nel giusto, di non fare nulla di male, ad occuparsi della carriera e della villetta.

Nel tempo, cambiano il frac per offrire l’idea del cambiamento, per mantenere lo spettacolo del loro canovaccio preferito, la democrazia come ombra del potere. Il gioco delle tre carte è sempre quello. L’illusione è credere di sapere dove sia l’asso della giustizia, della solidarietà, dell’equità, della libertà di scelta. E continui a giocare anche fino a perdere tutto, dignità, indipendenza di pensiero, equilibrio, creatività. Ma la verità è un’altra: chi controlla l’opinione pubblica detiene il potere del consenso. Non serve altro. A breve ci saranno le prove generali dell’autosottomissione – vaccinazioni popolarmente ambite e sottoscrizioni all’autotracciabilità-punto-due – mentre proseguono quelle per la riduzione della popolazione. Ormai si va soddisfatti a sottoscrivere abbonamenti gratuiti convinti di avere la vita agevolata. Inconsapevoli dell’offensiva invasività nella nostra vita di commercianti e istituzioni, nonché del loro vero significato. Prima c’era l’oro, poi il petrolio e ora i dati. Siamo tracciati quindi prevedibili, siamo rintracciabili quindi ricattabili. Siamo comprabili una volta di più. Ciò che l’uomo sente, la sua relazione col cosmo, è totalmente annichilito dai saperi cognitivi, dall’incantesimo dei dogmi del successo o della paura, la sua strada è necessariamente alienata a se stesso. Le menti sono rinchiuse entro le nuove ideologie. Non più contenuti in libroni divisi in tomi, ma nelle parole dei Dj, dei passacarte del Tg e dei tabloid pornografici nonostante la larga tiratura, nei sorrisi sinceri di genitori e bambini che vendono la loro anima innocente per uno spot pubblicitario, nel nostro giubilo nei confronti dei film hollywoodiani, nella nostra affezione alle miniserie, nel nostro culto nei confronti dei campioni del calcio. Sono contenuti nei modi e nelle parole del superiore in ufficio, in quello del migliore amico, del bocconiano e di chi ci sa fare. Nel mondo del capitale la cultura è solo un’industria come un’altra. Se non vende non serve.

L’infinito che siamo è rovinosamente caduto nella satanica trappola del materialismo e del positivismo, del determinismo. Si è così ridotto entro fatui valori tutti già ampiamente contemplati dall’elenco dei vizi capitali. Elenco di dipendenze e assuefazioni, elenco di un infinito rinchiuso in ego pieni di sé stessi. Ego che hanno sacralizzato il valore che sostiene quegli stessi vizi. Ego che credono di muoversi nella realtà come visitatori di un mondo dal quale si pensano indipendenti. Ego inetti a riconoscere che quel mondo è una loro creazione. E se prima, nelle vecchie ideologie, c’era implicato e vivido il senso di appartenenza e quindi quello della lotta, ora la disgregazione opulento-edonistica ha sottratto a noi stessi l’eros della passione e lo spirito della creatività. In cambio di un videoregistratore, di un soggiorno con Spa, di una Bmw.

Lorenzo Merlo

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