12 Maggio 2024
Archeostoria

L’eredità degli antenati, undicesima parte – Fabio Calabrese

Anche a conclusione di questo 2019, vediamo di fare un compendio della strada percorsa e del lavoro sin qui svolto. La cosa che a tutti voi sarà subito apparsa più evidente, è il cambio del titolo di questa rubrica in cui cerco di esplorare (o cerchiamo di esplorare insieme) i sentieri della nostra eredità ancestrale, e la ripartenza con una nuova numerazione di questi articoli. I motivi di questo cambiamento sono diversi: una maggiore comprensibilità della nuova titolazione, ma anche il fatto che la precedente costituiva un richiamo al Terzo Reich di cui la società Ahnenerbe era un’emanazione, e questo purtroppo nel “libero” clima di democrazia in cui viviamo potrebbe essere già un motivo sufficiente per subire censura e/o repressione.

Noi viviamo in tempi di democrazia, cioè in tempi in cui la libertà di pensiero è un’illusione, appena si esce da certi sentieri o si ha il coraggio di affrontare certe tematiche. Né “Ereticamente” né il sottoscritto ci siamo mai tirati indietro né fatti intimidire, ma perché prestare inutilmente il fianco all’avversario? Anzi, come avete visto, poiché ero già giunto a una novantina di articoli, si è pensato di attendere il raggiungimento del centesimo numero, della magica tripla cifra, prima di procedere al cambio di titolo e numerazione.

Sarò ripetitivo, ma sono il primo a stupirmi del fatto che di queste tematiche, che non sono certo lo sport, la cronaca nera o il gossip, tuttavia parliamo ormai da anni con una cadenza praticamente bisettimanale, e l’argomento sembra sempre lontano dall’esaurirsi.

L’anno scorso in un articolo analogo a questo, al momento di “congedare” il 2018 sono stato alquanto ingeneroso con l’anno appena trascorso. Facevo notare, infatti, che il 2017 era stata un’annata eccezionale, densa di scoperte che avrebbero dovuto far riscrivere completamente la storia remota della nostra specie (o meglio, tanto sarebbe dovuto avvenire se l’Out of Africa, la “teoria” della nostra presunta origine africana non fosse un dogma che ci viene imposto a dispetto di qualsiasi evidenza): la scoperta dell’ominide balcanico Graecopithecus Freibergi, “El Greco”, seguita da quella delle impronte fossili cretesi vecchie di 5,7 milioni di anni, poi la scoperta da parte di due ricercatori dell’Università di Buffalo di una proteina della saliva presente solo nelle persone originarie dell’Africa subsahariana, che sarebbe la traccia lasciata nel loro patrimonio genetico da un antenato non sapiens, la specie fantasma, con cui i Sapiens provenienti dall’Eurasia si sarebbero incrociati, facendo notare che se invece, come sostiene l’Out of Africa, fossimo noi a provenire dal continente africano, la stessa proteina dovrebbe trovarsi, magari minoritaria, anche in gruppi umani non africani, cosa che invece non succede. Poi ancora c’era stato il riesame dello scheletro della famosa Lucy da parte di un team di anatomisti britannici guidato da sir Solly Zuckerman, probabilmente il maggior esperto mondiale di anatomia comparata, che aveva stabilito che questa creatura era una scimmia che nulla aveva a che fare con la genealogia umana.

Al confronto, il 2018 appariva un anno un po’ vuoto, dove forse l’unica novità davvero di rilievo era forse il ritrovamento dei resti di Denny, una ragazzina ibrida di Neanderthal e Denisova vissuta in Siberia 90.000 anni fa.

Un giudizio affrettato che ho poi dovuto correggere: è sempre del 2018 il riesame da parte dei ricercatori russi, dei resti di un altro ragazzo siberiano, solo di epoca molto più recente e chiaramente sapiens il ragazzo di Mal’ta vissuto 28.000 anni fa, resti provenienti da un sito molto vicino all’antico ponte di terra della Beringia da cui si suppone sia partito il popolamento umano delle Americhe, e che ha rivelato un DNA inaspettatamente europide. Questo non ci illumina sulle origini della nostra specie, ma sul più antico popolamento delle Americhe che si rivela molto più “bianco” di quel che potremmo pensare. Ma una notizia forse più importante è stata il ritrovamento vicino a Epplsheim in Germania, nel letto del fiume Reno di una serie di denti ominidi risalenti a ben 9,7 milioni di anni fa, quindi ben più antichi degli esemplari africani.

Non è finita, perché per concludere il bilancio di un’annata che ho decisamente sottovalutato, ci sono ancora due notizie importanti di cui sono venuto a conoscenza molto più tardi (purtroppo, tenere d’occhio la smisurata massa di informazioni che circola nel web è un’impresa improba) e che ho riportato nella prima parte de L’eredità degli antenati. A settembre 2018 il sito “Survive the Jive” ha pubblicato un resoconto che prova che la ricostruzione dell’uomo di Cheddar, il più antico sapiens ritrovato in Inghilterra come di un soggetto con caratteristiche negroidi è un falso ispirato da motivi ideologici, e che i parenti più stretti attualmente viventi di quest’uomo sono gli odierni estoni (e ognuno può vedere quanto neri siano).

Proprio il 31 dicembre, mentre ci apprestavamo a festeggiare il capodanno, su “Ancient Origins” è apparso un articolo che è una vera e propria bomba, circa l’uomo di Petralona. Questo antico uomo risalente a 700.000 anni fa, di cui è stato ritrovato il teschio nella grotta greca di Petralona, presenta caratteristiche che lo pongono sulla linea di ascendenza dei Sapiens e smentisce chiaramente la presunta origine africana della nostra specie, ma forse la cosa più interessante è il fatto che le autorità (democratiche, ovviamente) hanno cercato di creare un muro di gomma di silenzio intorno a questa scoperta, proibendo le ricerche e, come se non bastasse, il professor Poulianos che aveva indagato su di esso e la moglie, sono stati vittime di un attentato i cui responsabili sono rimasti rigorosamente anonimi. Altra arma della democrazia: quando la censura fallisce, si ricorre alla violenza.

Tutti gli eventi, e sono un fiume, che è possibile registrare in questo campo in questo biennio, vanno in un senso preciso, smentiscono l’Out of Africa, svelano la sua natura non di teoria scientifica, ma di assunto ideologico volto a farci accettare l’immigrazione extracomunitaria e la sostituzione etnica.

Nel 2019 le cose sono andate in maniera diversa? Mi pare si possa dire decisamente di no. Intanto, per prima cosa abbiamo una serie di fatti che smentiscono uno dei più diffusi dogmi della democrazia, secondo il quale le razze umane non esisterebbero o sarebbero, come si dice, un mero costrutto sociale.

Il caso è stato sollevato da una donna immigrata residente in Germania. Il figlio, affetto da una rara patologia del sangue, necessita di periodiche trasfusioni, ma il sangue europeo non funziona, viene rigettato dal suo organismo anche quando i gruppi AB0 e Rh sono quelli giusti. Abbiamo visto poi due studi medici apparsi su riviste di medicina americane assolutamente non politicizzate, che rilevano la maggiore vulnerabilità degli afroamericani rispetto ai bianchi per alcune forme di tumore, in particolare il tumore all’utero per le donne di colore, e per il linfoma di Hodgkins per quanto riguarda i ragazzi afroamericani in età giovanile e pediatrica. Tuttavia, possiamo essere sicuri che per l’ortodossia democratica la salute della gente conta assai poco rispetto alla preservazione del dogma dell’inesistenza delle razze umane.

Una certa centralità l’ha avuta il convegno di paleoantropologia di Cleveland nel corso del quale si è cercato di fare luce su quel nostro predecessore ancora poco conosciuto che è stato l’uomo di Denisova. Una cosa tuttavia appare evidente, che se – come sembra – gli uomini di Denisova, di Neanderthal, di Cro Magnon si sono più volte accoppiati dando luogo a una discendenza fertile, non erano tre specie distinte, ma tre varietà di un’unica specie, la nostra, che ha alle spalle una storia diversa, più antica e più complessa di quanto affermato dalla “teoria” della genesi africana.

Bisogna anche segnalare il fatto che in una caverna delle Filippine sono stati ritrovati i resti, risalenti a 50.000 anni fa di quella che è stata presentata come una specie umana finora sconosciuta, che è stata battezzata Homo luzonensis. Data l’area geografica e l’età del ritrovamento, io sarei più incline a pensare che si tratti di una variante dell’uomo di Denisova.

La novità più significativa è però forse quella avvenuta nel mese di giugno, quando è stato reso noto che un teschio rinvenuto anni addietro nella grotta greca di Apidima, e risalente a 230.000 anni fa presenta caratteristiche sapiens moderne che ne fanno il più antico fossile di Homo sapiens anatomicamente moderno conosciuto al mondo, e questo è un fatto chiaramente incompatibile con la “teoria” della genesi africana.

Se ora mettiamo insieme i ritrovamenti di “El Greco”, delle impronte cretesi, di Petralona, di Apidima, altro che Out of Africa, è forse di Out of Balcans od Out of Grece che dovremmo parlare, se poi consideriamo anche che in età neolitica sempre nell’area balcanica troviamo la cultura di Cucuteni, la prima cultura al mondo ad aver creato abitati di grande estensione che si possono definire urbani, e la cultura di Vinca cui va attribuita con ogni probabilità l’invenzione della scrittura, allora verrebbe veramente da dire: macché Mamma Africa, padre Olimpo piuttosto, e se poi qualcuno volesse trarre da ciò conclusioni che oltrepassano l’ambito prettamente scientifico, non sarò io a confutarlo.

Un’altra notizia di questo 2019 che dovrebbe avere un’importanza centrale, ma che è rimasta invece “stranamente” ignorata dal sistema mediatico e dalle pubblicazioni scientifiche, è stata pubblicata solo da un sito di interesse locale della provincia di Ferrara, “Estense.com”, il ritrovamento da parte dei ricercatori dell’università di Ferrara nella grotta della Ciota Cara vicino a Borgosesia (VC), dei più antichi resti umani conosciuti nel nord Italia. Si tratta di un incisivo inferiore e di un osso occipitale (la parte posteriore del cranio) risalenti a 300.000 anni fa di un individuo, probabilmente un giovane adulto. Questi resti presentano delle caratteristiche intermedie, di transizione fra Homo Heidelbergensis e uomo di Neanderthal. Chiaramente, si tratta di una prova lampante a favore della teoria di Ulfur Arnason dell’Università di Lund, secondo la quale mentre in Africa l’evoluzione umana sarebbe rimasta bloccata per centinaia di migliaia di anni allo stato di Homo erectus, in Eurasia esso si sarebbe evoluto in heidelbergensis, poi in sapiens diviso nei tre rami di Cro Magnon, Neanderthal e Denisova. Altro che Out of Africa, Out of Eurasia in tutta evidenza, e non stupisce proprio che l’establishment “scientifico” e il sistema mediatico l’abbiano di proposito ignorato, a costoro non interessa la conoscenza quanto piuttosto l’imposizione di una serie di dogmi utili a una cosiddetta democrazia che mira in realtà alla sostituzione etnica.

Il fatto poi che la scoperta sia avvenuta in Italia, Paese dove esiste una grande disattenzione per queste tematiche, costituisce certamente un’aggravante. Voi ricorderete la storia (che vi ho raccontato prendendola da un bell’articolo sul sito del Centro Studi La Runa) dell’uomo di Savona, un ritrovamento importantissimo i cui resti sono andati “misteriosamente” dispersi.

Non dobbiamo però dimenticare che questo non è un dibattito che si svolge serenamente sul terreno del confronto fra le idee e le prove. I democratici, oltre a una totale disonestà intellettuale, hanno dalla loro il peso del sistema mediatico e di quello (dis)educativo. Non basta che da molto tempo la fabbrica di veleni mediatici hollywoodiana ci proponga l’immagine di un’Europa antica e medioevale contro ogni evidenza storica popolata di personaggi di colore. Ad aprile una rivista “seria” come “Time” ha pubblicato un articolo dove si spiega che i guerrieri vichinghi biondi e nordici sono un’invenzione dei suprematisti bianchi, e che in realtà costoro erano multietnici e multirazziali (come nessun popolo europeo è stato fino a tempi recentissimi). La prova di ciò? E’ il contrario di quel che pensavano i nazionalsocialisti, quindi deve per forza essere vero. Tutto ciò, naturalmente, sempre allo scopo di farci accettare o almeno rassegnarci all’invasione extracomunitaria, al meticciato, alla sostituzione etnica, e tenete presente che la gente comune, l’uomo della strada oggi è spaventosamente ignorante in fatto di storia, gli si può far credere quello che si vuole, basta battere abbastanza la grancassa mediatica.

Tuttavia, questo è stato soltanto l’inizio, e nella seconda parte dell’anno il progetto di “africanizzazione” della nostra storia, dell’imposizione di una visione falsa e deformata del nostro passato, è proseguito alla grande. Tutto ciò, ricordiamolo, dopo che la fogna mediatica hollywoodiana ha da tempo preparato il terreno con pellicole e sceneggiati televisivi nei quali sono stati messi a ricoprire il ruolo di personaggi della storia e della mitologia europee attori di colore, da Achille a Giovanna D’Arco, a Machiavelli.

Dopo “Nature” è stata la britannica BBC, la televisione di stato inglese, a presentare in BBC News un “documentario” sui presunti inglesi di colore, dove si vedono sfilare attori neri vestiti in abiti d’epoca, naturalmente senza citare né un fatto né un personaggio, perché non ce ne sono.

Dopo i vichinghi e gli inglesi, sono arrivati gli etruschi di colore, li ha inventati un sito statunitense, “Liberty Writers of America”, in un articolo on line che espone la tesi delirante secondo la quale l’Europa sarebbe stata popolata da genti nere fino a poche migliaia di anni fa, poi non si sa come, non si sa bene da quale cilindro magico, sarebbero saltati fuori i bianchi caucasici. In questo caso però il discorso (il delirio) è più spiegabile (non giustificabile, sia chiaro), perché “Liberty Writers of America” è un sito afroamericano.

Poiché in Italia ci si tiene a non essere secondi a nessuno in fatto di stupidità e servilismo, ecco che anche da noi ha girato in rete il post di una tizia pidiota che reclama la messa al bando dalle nostre scuole dei Promessi sposi di Alessandro Manzoni, “libro sessista e razzista” perché in esso non compaiono personaggi omosessuali né di colore. Oddio, omosessuali nell’Italia del seicento ce ne saranno certamente anche stati, ma fino a tempi molto recenti, si guardavano bene dallo sbandierare la loro condizione come invece avviene oggi, quanto ai neri, beh, proprio non ce n’erano. Noi abbiamo sofferto a lungo di complessi di inferiorità nei confronti di questi “compagni” che si erano riusciti ad accaparrare tutti i posti strategici nella scuola, nell’università, nella cultura. Oggi scopriamo la verità, oltre a un vergognoso servilismo che li rende totalmente proni ai voleri del potere mondialista, questi pidioti sono anche ignoranti come capre.

In realtà il discorso non è finito, perché il mese di novembre è stato caratterizzato da un dibattito acceso sul presunto carattere multietnico degli antichi Romani, ma c’è da fare i conti con uno iato temporale causato da motivi tecnici, che al momento purtroppo è di un paio di mesi, quindi ne parleremo diffusamente nella dodicesima parte, tenete comunque presente che c’è quest’ulteriore tassello di un piano teso a rendere la nostra storia, o la percezione che ne abbiamo, meno europea, meno “bianca” possibile.

Fermiamoci un attimo a soppesare le implicazioni di tutto ciò. Una rivista un tempo di prestigio come “Nature” ha spiegato con chiarezza su cosa si basa l’asserzione dell’esistenza di vichinghi (e per estensione, di europei) multietnici e di colore. Poiché i nazisti pensavano il contrario, deve essere vero per forza anche in assenza di uno straccio di prova.

Questo significa che si è arrivati al punto di prescindere da qualsivoglia verifica dei fatti: la democrazia ha completamente divorato l’obiettività scientifica, quella che ci viene presentata sotto l’etichetta di “scienza” non è altro che astrazione ideologica, falsificazione del reale. Sono le baggianate che abbiamo visto, che oggi vengono insegnate nelle università americane, il cui livello peraltro è stato drasticamente abbassato assieme a quello delle scuole superiori già a partire dagli anni ’60 per permettere ai ragazzi afroamericani di diplomarsi e di laurearsi e che oggi, possiamo dire, quanto a serietà e correttezza scientifica, non valgono più delle madrase islamiche.

Avevo intenzione di concludere questo articolo dandovi qualche anticipazione sui progetti che ho in cantiere per voi per il 2020, ma vedo che esso ha già assunto una dimensione piuttosto ampia, ragion per cui rimandiamo alla prossima volta, che sarà costituita da un nuovo pezzo di Ex Oriente lux, ma sarà poi vero?, serie che intendo rilanciare nel 2020, seguito poi dalla dodicesima parte de L’eredità degli antenati in cui sviscereremo la nuova “questione romana”. Vi prometto per il nuovo anno una ripartenza densa e battagliera.

E’ sempre più evidente, infatti, che ci stiamo confrontando con un sistema accademico e un sistema mediatico che non sono altro che emanazioni del potere politico tendente a mistificare la nostra storia e la percezione che abbiamo di noi stessi in modo da farci accettare l’immigrazione, la società multirazziale, la sostituzione etnica, un potere che non smetteremo di combattere con tutte le nostre forze.

In altre parole, noi abbiamo la ragione, loro la forza, ma finché ci sarà possibile continueremo a batterci per la verità e per dare un futuro ai nostri figli.

NOTA: l’illustrazione è tratta dall’articolo di Shoaib Danyal pubblicato a settembre da “Scroll.in” e illustra la realtà dell’invasione ariana dell’India, dimostrata dalla genetica, ma che le etnie “scure” del subcontinente tendono oggi a negare. Originariamente doveva accompagnare l’ottava parte, ma per ovvi motivi ho preferito un’immagine tratta da un affresco etrusco per smentire la favola inventata da “Liberty Writers of America” degli etruschi neri. Nell’un caso e nell’altro, vediamo che è palesemente in atto un tentativo di falsificare la storia minimizzando il ruolo delle popolazioni caucasiche.

 

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