12 Maggio 2024
Archeostoria

L’eredità degli antenati, nona parte – Fabio Calabrese

Proseguiamo la nostra disamina di ciò che recentemente ci offrono il web e gli altri mezzi di comunicazione riguardo alle scoperte e alle discussioni sulla nostra eredità ancestrale. Questa volta partiamo dal mese di ottobre. Come avete visto le volte scorse, le informazioni che ci sono pervenute nel periodo estivo sono state davvero tante e, a meno di non fare articoli chilometrici o di tralasciare del tutto sulle pagine di “Ereticamente” gli argomenti politici (cosa praticamente impossibile, stante la crisi di governo di mezza estate e la formazione del governo 5 stelle – PD), il ritardo accumulato è stato davvero tanto. Adesso le acque sembrano essersi un po’ calmate.

Come abbiamo visto, molte delle notizie del periodo estivo non riguardano nuove scoperte, ma il tentativo sempre più massiccio da parte del potere mondialista di mistificare la nostra storia remota. Dalla fase di “persuasione subliminale” portata avanti ormai da anni dalla fabbrica di menzogne hollywoodiana, in cui si è tentato di persuaderci attraverso le fiction presunte storiche, affidando le parti di personaggi della storia europea ad attori di colore, che la mostruosità multietnica che caratterizza gli Stati Uniti e che oggi cercano di imporre anche all’Europa sia qualcosa di “normale” e “sempre esistito”, si passa ora all’attacco diretto ed esplicito, inventando le menzogne di vichinghi, inglesi anteriormente al XIX secolo, etruschi multirazziali o neri.

La stessa cosa vale, come abbiamo visto, per la ricostruzione dell’uomo di Cheddar, il più antico homo sapiens britannico conosciuto, che è stato falsamente presentato come un nero.

Non solo abbiamo visto queste str…zate su riviste finora di prestigio come “Nature” o su un canale finora altrettanto prestigioso come la BBC, ma un amico mi segnala che queste sono precisamente la “scienza storica” che viene insegnata oggi nelle università americane. Se è così, bisogna dire che esse non valgono più delle madrase islamiche, e certamente non è un caso che, come faceva notare il nostro Silvano Lorenzoni, da decenni tutti i progressi scientifici e tecnologici avvenuti negli Stati Uniti sono dovuti a immigrati europei di prima o al massimo di seconda generazione. D’altra parte, sappiamo che negli USA a partire dagli anni ’60 il livello dell’istruzione è stato drasticamente abbassato per permettere agli allievi di colore di arrivare al diploma e alla laurea.

Dove la menzogna non basta, la democrazia ricorre all’altra sua classica arma: la violenza. Non essendo riuscita a impedire per vie legali a Parigi una mostra su Tutankhamon “colpevole” di mostrare il faraone come l’uomo bianco che effettivamente era, l’associazione degli Africani in Francia ha pensato bene di impedirne l’ingresso coi suoi militanti. Costoro esibivano tra l’altro cartelli del tipo “Il vostro DNA è criminale”, evidente e scoperto razzismo anti-bianco, che ci dà uno spaccato preciso di quello che provano nei nostri confronti coloro che accogliamo per motivi umanitari o presunti tali.

Cominciamo dunque a vedere le novità degli ultimi giorni di settembre e di ottobre. Il 26 settembre “Nature, Ecology & Evolution” ha pubblicato un articolo frutto della ricerca e dell’analisi microscopica condotta da un team di archeologi sugli strumenti litici rinvenuti nella Grotta del Cavallo di Uluzzo (Italia meridionale), che ha potuto stabilire che (ed è questa anche la traduzione del titolo dell’articolo) Le più antiche evidenze dell’uso di proiettili lanciati meccanicamente (punte di freccia) sono in Europa.

Sarà bene ricordare che i ritrovamenti nella Grotta del Cavallo di Uluzzo che hanno dato il nome alla cultura uluzziana, risalgono a 40-45.000 anni fa e furono inizialmente attribuiti ai neanderthaliani in ragione della loro antichità, ma l’esame dei reperti ossei ha dimostrato che si trattava invece di uomini anatomicamente moderni. Notiamo inoltre che questi reperti sono coevi di quelli di Tobor in Mongolia di cui abbiamo parlato la volta scorsa, e di altri ritrovamenti che sono emersi in Siberia oltre il circolo polare artico.

Questo non costituisce una smentita diretta dell’Out of Africa ma la rende sempre meno verosimile. E’ credibile che gli esseri umani moderni, appena usciti dal continente africano fossero già espansi in Eurasia su un areale tanto vasto? Quanto meno, poi, l’evoluzione degli strumenti litici (e l’invenzione dell’arco e delle frecce deve aver conferito ai nostri remoti antenati un vantaggio non da poco) in Eurasia precede nettamente quella africana.

Negli stessi giorni, il quotidiano inglese “The Sun” ha pubblicato la ricostruzione del volto di Calpeia (nome che deriva da Calpe, denominazione classica della rocca di Gibilterra), una donna neolitica vissuta 7500 anni fa, e morta fra i trenta e i quarant’anni, di cui appunto a Gibilterra è stato ritrovato in una cava il teschio incompleto. Potrebbe essere una spagnola di oggi, e sicuramente il suo volto non ha nulla di subsahariano.

Sempre il 26 settembre “Science Daily” dà notizia di una scoperta destinata probabilmente ad avere un notevole impatto nel prossimo futuro: un team di archeologi dell’Università del Colorado Builder ha messo a punto un metodo per datare le ossa preistoriche senza danneggiarle attraverso l’analisi agli infrarossi di una proteina in esse contenuta, il collagene. Datazioni più precise potrebbero dare un grande contributo allo sviluppo dell’archeologia. La domanda vera però, io penso, è se gli conviene, in quanto credo sia assolutamente chiaro che tanto più corrette e precise saranno le informazioni che abbiamo sui nostri più remoti antenati, tanto più difficile sarà sostenere l’Out of Africa e tutti gli altri dogmi sulle nostre origini che ci sono imposti senza alcun riscontro nei fatti ma per motivi puramente ideologici dall’ortodossia sedicente democratica.

Il 28 settembre “Antikitera.net” presenta un articolo dedicato alla misteriosa città preistorica di Trypillian in Ucraina, appartenente alla cultura di Cucuteni e risalente a circa 6000 anni fa. Essa è stata recentemente studiata da un team di archeologi ucraini guidati dal dottor Robert Hofmann dell’Università di Kiev. Il dato sorprendente è che essa è composta interamente di edifici di grandi dimensioni (“megastrutture” li hanno chiamati i ricercatori) che erano verosimilmente edifici pubblici o di culto, mentre non c’è traccia di abitazioni private. Una “città degli uffici” che indica forse una precoce concentrazione del potere all’interno di questa cultura. Un nuovo enigma della più remota storia del nostro continente, per far luce sul quale occorrerebbe che gli archeologi dedicassero al passato europeo la metà delle energie che spendono per Egitto e Medio Oriente.

Il 4 ottobre “Dolcevitaonline” riporta una notizia curiosa: un team di archeologi italiani e americani guidato da Alessandra Sperduti, studiando un sito dell’Età del Bronzo risalente a 4500 anni fa a Gricignano di Aversa a nord di Napoli ha notato delle strane striature sui denti dei resti delle donne adulte, esse non dipendono a quanto pare, come si era pensato in un primo momento, da abitudini alimentari (che bizzarramente sarebbero una prerogativa soltanto femminile), ma dal fatto che i denti erano impiegati come “terza mano” nella filatura della canapa che questi antichi campani coltivavano e usavano per la produzione di tessuti.

Io mi sono varie volte occupato dell’enigma di Gobeckli Tepe, questo vasto complesso templare anatolico risalente a 12.000 anni fa. L’enigma in questo caso è rappresentato dal fatto che esso risale a un’epoca paleolitica antecedente la scoperta dell’agricoltura, ed è difficile pensare che cacciatori-raccoglitori nomadi possano averlo realizzato. Probabilmente la spiegazione risale al fatto che i suoi costruttori risiedevano in un’area talmente ricca di risorse da essere di fatto stanziali e da avere tempo ed energie sufficienti da dedicare all’edificazione di un simile monumento anche in un’epoca pre-agricola.

A dedicare un articolo a Gobeckli Tepe l’8 ottobre, stavolta è stato Maurizio Blondet nel suo blog “Blondet & Friends”. Un enigma nell’enigma, ci racconta Blondet, è dove risiedessero i costruttori del complesso e/o coloro che lo utilizzavano, dal momento che intorno a esso non sono state trovate tracce di abitazioni. Ora, a quanto pare, questa parte del mistero dovrebbe essere risolta, perché sulla collina di Koertik a una ventina di chilometri a nord del complesso sono state scoperte le tracce di un villaggio preistorico.

Peccato che Blondet non si soffermi sull’altro aspetto del problema, chi erano i costruttori di Gobeckli Tepe, certo non gli antenati dei Turchi attuali che sono migrati dall’Asia centrale in quella che fu l’Anatolia antica in età medioevale. Un indizio ce lo forniscono certe statuine ritrovate nei pressi del complesso, che raffigurano uomini caucasici, e nei cui globi oculari sono state infilate pietruzze azzurre.

Un articolo comparso su “L’arazzo del tempo” in data 7 ottobre ci spiega che (ed è appunto questo il titolo) Gli europei hanno la pelle chiara solo da 8000 anni. Si tratta di una menata che abbiamo già sentito più volte, e che è un corollario dell’Out of Africa, secondo la quale i nostri remoti antenati erano africani e si sarebbero man mano schiariti dopo il loro arrivo in Europa. In un certo senso dovremmo pure essere grati agli autori di questa pubblicazione che almeno ci concedono otto millenni di caucasicità al confronto di quanti recentemente hanno parlato di Etruschi, Vichinghi, Inglesi “neri”, fino ad arrivare a una cretina che ultimamente ha messo sotto accusa Manzoni perché nei Promessi sposi avrebbe ignorato la componente “nera” degli Italiani del seicento (ammettiamolo, è una tendenza molto umana ignorare ciò che non esiste).

Vediamo allora di dire su questa faccenda una parola di chiarezza (è proprio il caso) una volta per tutte. I pigmenti della pelle in genere non si fossilizzano, e collegare determinati geni o un complesso di geni rilevato nel DNA fossile a un determinato fenotipo è quanto meno un’operazione arbitraria, ma di certo si può dire questo: uomini anatomicamente moderni sono presenti in Europa almeno da 45.000 anni (per la verità la presenza sul nostro continente potrebbe essere molto più antica, il teschio di Apidima colloca la loro presenza oltre l’orizzonte dei 200.000 anni, ma per prudenza, teniamoci alla valutazione più bassa). Ora, un punto difficilmente contestabile, è che 45.000 – 8.000 fa 37.000. Se in ambienti a bassa irradiazione solare una pigmentazione chiara costituisce un vantaggio selettivo, perché permette l’assorbimento della vitamina B ed evita il rachitismo, è logico pensare che tale caratteristica abbia impiegato 37.000 anni a manifestarsi?

La verità pura e semplice è che questa idiozia fa parte della visione africano-centrica che vogliono imporci a tutti i costi per farci accettare l’immigrazione, il meticciato e la sostituzione etnica.

“Times of India” del 10 ottobre presenta un articolo di grande interesse, l’autore si chiama Aarti Tikoo Singh, e ci racconta che (traduzione del titolo in italiano) Gli scienziati hanno ricostruito i volti della gente della Valle dell’Indo.

Come probabilmente saprete, i siti della Valle dell’Indo, i resti di antichissimi e straordinariamente avanzati contesti urbani come Mohenjo-Daro e Harappa costituiscono un bel rompicapo archeologico: si tratta di una cultura che sembra precedere l’invasione ariana dell’India, e che è stata varie volte attribuita alle popolazioni dravidiche “scure” che abitano tuttora la parte meridionale del sub-continente, supponendo che fossero stanziate più a nord di oggi prima dell’arrivo degli Ariani, e questo sarebbe alquanto strano perché almeno lontano dall’India non sembra che le popolazioni ad alto tasso di melanina abbiano mai mostrato una propensione spontanea alla civiltà.

Ora abbiamo una risposta perché un team di 15 ricercatori indiani, inglesi e sudcoreani ha applicato le tecniche di ricostruzione cranio-facciale e tomografia computerizzata ai teschi di 37 persone riesumate dal cimitero di Rakhigarhi risalente a 4.500 anni fa. Quelli che sono riemersi dal buio di secoli sono i volti di persone dai lineamenti prettamente caucasici dal naso leggermente aquilino la cui fisionomia a detta dei ricercatori, ricorda molto quella degli antichi Romani. Possiamo dunque concludere che se la popolazione che ha dato vita alla civiltà della Valle dell’Indo ha preceduto l’arrivo degli Ariani indoeuropei, apparteneva comunque alla stessa famiglia caucasica.

Un tema che esce un po’ da quello della nostra eredità ancestrale, perché si parla di cambiamenti avvenuti negli ultimi secoli, è quello del sempre più evidente regresso biologico della nostra specie, tuttavia è impossibile non menzionarlo. Fra tutte le idee utopiche di cui si nutrono i nostri contemporanei, quella del progresso è probabilmente una delle più false: al contrario, lo stile di vita comodo, la messa in scacco della selezione naturale, la possibilità anche per individui con gravi tare genetiche di arrivare all’età adulta e riprodursi, e non ultimo il declino demografico delle popolazioni caucasiche nei confronti di altre meno dotate intellettualmente, stanno producendo il regresso biologico e intellettivo della nostra specie.

Una ricerca condotta dall’anatomista Robert Corruccini della Southern Illinois University ha dimostrato che negli ultimi 250 anni, cioè precisamente a partire dalla rivoluzione industriale, le dimensioni dei teschi umani si stanno riducendo. Ciò, sottolinea questa ricerca, è alla base di svariati problemi di salute che coinvolgono l’apparato respiratorio e masticatorio, tuttavia mi permetto di dire che il problema più importante è al riguardo la perdita di dimensioni del volume cerebrale che significa una correlativa diminuzione dell’intelligenza.

E’ un argomento scomodo e spiacevole, che tuttavia occorre affrontare. Io l’ho già fatto sulle pagine di “Ereticamente” in un paio di articoli intitolati Il trionfo della stupidità, ma ci torneremo ancora sopra nel prossimo futuro.

Per adesso limitiamoci a dire che dovremmo fare tutto quanto è in nostro potere per conservare la nostra identità storica e culturale, ma anche per evitare il declino biologico della nostra specie.

NOTA: nell’illustrazione, a sinistra Calpeia, donna spagnola dell’età neolitica, al centro una stele del tempio preistorico di Gobeckli Tepe, a destra la ricostruzione del volto di un “romano” abitante della Valle dell’Indo.

4 Comments

  • Daniele Bettini 6 Dicembre 2019

    Ho molti articoli sul ciclo delle varie Civiltà Atlantidee dell’Età dell’Argento che hanno preceduto l’attuale ciclo Ario-Indoeuropeo che si è sviluppato nel Neolitico dopo la Catastrofe del 9600 a.C.
    Ho molti articoli che parlano di quello che gli Odinisti Inglesi chiamano ATLAND e uno di essi tratta la presenza della Runa di Ing a Gobekli Tepe.
    inglinga.blogspot.com/2019/02/the-sign-of-ingwe.html
    Le scoperte negli ultimi anni sono state molte e credo che ci sarà molto da lavorare in quella direzione per gli Archeologi della Tradizione in futuro (se avremo un futuro).
    Quello che chiedo agli amici lettori del Blog e che sto cercando di capire è se c’è un collegamento ed una origine comune fra l’ATLAND Britannico,
    l’Atlantide Classica Platonica nelle Azzorre
    e la civiltà di Moenjo Daro
    E’ un tema che si puo’ sviluppare dopo la lettura dei seguenti tre articoli

    I CICLI AVATARICI E LO SPOSTAMENTO DEI POLI TERRESTRI
    E LE TRE ATLANTIDI
    https://immagineperduta.it/cicli-avatarici-lo-spostamento-dei-poli-terrestri/

    Megaliti di 25000anni in Europa e nel Medio Oriente
    http://www.renegadetribune.com/aryan-giants-megaliths-europe-mideast/

    IL MANU DI ATLANTIDE E LA CIVILTA’ DEL GOBI
    http://cosmicconvergence.org/?p=16629

    Grazie dell’attenzione

  • Daniele Bettini 3 Ottobre 2020

    Qui a pag63 pagine utili sulla comune origine atlantica occidentale di Indodravidi Baschi Sardi e Pellerossa
    https://it.scribd.com/document/420822357/Cosmologia-e-Cicli-cosmici-da-La-Fantasia-degli-dei-e-l-avventura-umana-di-Alain-Danielou

  • Daniele Bettini 3 Ottobre 2020

    Vedete, pian piano anche l’archeologia moderna sta arrivando alle medesime concusioni dei Purana e altri testi tradizionali ,ovvero a riconoscere l’esistenza delle Civiltà del Ciclo Atlantico di cui avevano sempre parlato Guènon, Ignatius Donnelly,Evola e tutti gli altri esponenti della Tradizione.

    https://www.indiadivine.org/indus-civilization-least-8000-years-old-not-5500-scientists/
    https://www.nibiru2012.it/harappa-la-civilta-sommersa-indiana/

    Un sito archeologico al largo delle coste occidentali dell’India indica che la civiltà indiana potrebbe risalire ad addirittura 9000 anni fa, diventando di diritto una delle più antiche del mondo.

    Questa scoperta è il risultato di circa otto mesi di ripresa di immagini sonar del fondo marino, dove sono state osservate strutture che somigliano a quelle costruite dall’antica civiltà Harappa.
    Anche se sono stati individuati alcuni siti paleolitici risalenti a circa 20 mila anni fa nello stato indiano di Gujarata, si tratta della prima scoperta di strutture tanto antiche sotto la superficie del mare. La zona della scoperta, il golfo di Cambay, è stata oggetto di grande interesse da parte degli archeologi, per la sua vicinanza a un altro sito sottomarino, Dwarka, nel vicino golfo di Kutch.

    Guardate anche questi articoli del simpatico Indiano Bibhu Dev Misra che mostrano le somiglianze tra l’India e le civiltà mesoamericane
    https://www.bibhudevmisra.com/2016/08/olmec-yogis-with-hindu-beliefs-did-they.html
    https://www.bibhudevmisra.com/2018/10/12000-year-old-petroglyphs-in-india.html
    https://www.bibhudevmisra.com/2016/11/the-turtle-supporting-mount-meru-in.html

  • Daniele Bettini 20 Novembre 2021

    Qui un ottimo ulteriore articolo che dimostra come non ci sia differenza fra la civiltà Indo mediterranea e la suuccessiva civiltà arya sviluppatasi nella Valle dell’Indo)

    http://decodehindumythology.blogspot.com/search/label/The%20Dance%20of%20Shiva
    (decodehindumytholog è riconosciuto tra i I 30 migliori blog di mitologia nel mondo!)

    Nella loro errata convinzione, alcuni studiosi sostengono che Shiva avesse un’origine pre-ariana perché era adorato nella valle dell’Indo. Ma, come menzionato nella pagina { Hindu History } del blog, la Civiltà Ariana, se non prima, era quantomeno contemporanea alla Civiltà dell’Indo-Saraswati e le scritture vediche, molto probabilmente, riflettono l’aspetto letterale della stesso.

    Il fatto che il Mahabharat segua la percezione di Shiva da parte dell’Indo mostra ancora una volta che i due hanno sviluppato le stesse immagini e che questa penultima battaglia tra il bene e il male si è verificata più o meno nello stesso periodo della civiltà dell’Indo-Saraswati! In un articolo intitolato { The Riddle of India’s Ancient Past } , il protostorico francese Michel Danino ritiene che ci siano forti legami tra i Veda e la cultura Harappa.

    ‘Troviamo statue e sigilli che raffigurano yogi e posizioni yogiche, troviamo una divinità simile a Shiva, adorazione di una dea madre, altari del fuoco, tutti elementi suggestivi della cultura vedica. I simboli harappani includono il Trishul , la svastica , la conchiglia, l’ albero di Peepal , tutti elementi centrali nella cultura indiana. Il Rig-Veda stesso è pieno di riferimenti a città e paesi fortificati, agli oceani, alla navigazione, al commercio e all’industria, tutti elementi che si trovano nella civiltà Harappa.’

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *