28 Aprile 2024
Archeostoria

L’eredità degli antenati, centunesima parte – Fabio Calabrese

Vediamo ora di completare il riassunto di ciò che ci ha portato l’anno 2022 iniziato la volta scorsa. Bisogna dire in premessa che la novantottesima parte l’ho conclusa con un riepilogo fino al mese di maggio, ma dato che adesso suppongo di poter arrivare fino a ottobre/novembre e che, come è già successo gli anni scorsi, prossimamente dovremo affrontare qualche “coda” dell’anno trascorso, le cose si compensano.

Occorre fare una premessa: sembra che negli ultimi tempi i più importanti siti che si occupano di storia, archeologia, del passato in genere, abbiano deciso in maniera sistematica di disinteressarsi di tutto quanto riguarda la più remota storia dell’Europa, quasi si fosse convenuto che, per chi tira da lontano i fili, che gli Europei abbiano la consapevolezza di essere gli eredi di una grande civiltà millenaria, sia qualcosa di pericoloso.

Tuttavia il web è estremamente vasto e difficilmente (o non) controllabile e, con un po’ di fortuna, si possono pescare in siti “minori” informazioni che, se prese nella considerazione che meritano, dovrebbero rivoluzionare del tutto l’immagine che abbiamo del nostro passato.

Da questo punto di vista, il periodo che andiamo ora a ripercorrere, dalla metà di maggio in poi, è stato ricco di sorprese interessanti. Si può ricominciare (ottantasettesima parte) con un articolo di Marzio Forgione apparso sul blog di un’altra ricercatrice, Corinna Zaffarana, in cui, sulla base di un’analisi genetica, si demolisce la leggenda, basata su un’erronea interpretazione dei lineamenti di alcune gigantesche teste di pietra che costoro ci hanno lasciato, che gli Olmechi, creatori della più antica civiltà precolombiana conosciuta, avessero origini “etiopi”. Siamo sinceri, una volta di più verifichiamo che, contrariamente a ciò di cui vogliono persuaderci i media hollywoodiani, il contributo dato dal tipo subsahariano all’incivilimento umano, è prossimo allo zero.

Sempre in questo periodo di metà maggio, l’archeologo russo Oleg Markov ha segnalato la scoperta negli Urali di una vera e propria officina per la produzione di lame di selce risalente a 40.000 anni fa. Il ricercatore fa notare che senza possedere tecnologia e strategie sofisticate, la vita umana a quelle latitudini non sarebbe possibile. Accanto a questa scoperta si potrebbe subito menzionare quella citata da “The Archaeology News Network” del mese di giugno di un grande petroglifo (però molto più recente, “soli” 4.000 anni) nella regione della Transbajkalia. Sembra fatto apposta, più, prendendo a pretesto le recenti vicende politiche, si cerca di eliminare la Russia dalla cultura e dalla storia europee, più saltano fuori elementi che ci ricordano l’importanza del suo ruolo passato e presente.

Io vi avevo già raccontato in passato il fatto che un team di ricercatori britannici guidato da sir Solly Zuckerman, che è il maggior esperto di anatomia comparata vivente, studiando le ossa della famosa Lucy, ha dato uno scrollone fondamentale all’Out of Africa. Lucy è lo scheletro più completo che ci è pervenuto di australopiteco africano. Secondo l’illustre ricercatore, si tratta di una scimmia estinta che non ha nulla a che fare con il lignaggio umano. Bene, un articolo pubblicato dalla rivista “Il timone” aggiunge interessanti particolari: il team di Zuckerman ha studiato non solo le ossa di Lucy, ma quelle di molti altri australopitechi, e la ricerca si è protratta per ben 15 anni, nessuno può dire che si tratti di un parere affrettato, anzi, dovrebbe essere la parola definitiva sull’Out of Africa se questa “teoria” non fosse tenuta in vita per motivi politici.

Alle stesse conclusioni è giunto indipendentemente anche un altro studioso di anatomia comparata di fama mondiale, Charles Oxnard.

Nello stesso periodo, sul sito “Radiospada” è apparso un articolo di Mauro Quagliati su un fossile molto imbarazzante per i sostenitori dell’Out of Africa e per la stessa teoria evoluzionista: lo spagnolo uomo di Atapuerca, che già 800.000 anni fa presentava caratteristiche sorprendentemente e pienamente sapiens.

A giugno, “Ancient Origins” sembra manifestare un risveglio di interesse  per l’archeologia europea. Abbiamo due articoli di Sahir, uno sull’analisi del DNA di due vittime pompeiane dell’eruzione del Vesuvio del 67 dopo Cristo, l’altro sul ritrovamento a Iklaina, oggi un’insignificante località sulla costa del Peloponneso, dei resti di quello che pare essere stato un centro di grande importanza dell’età micenea. Riguardo al primo articolo, va detto in particolare che raramente il DNA si conserva in conseguenza dello shock termico come quello che ha ucciso la maggior parte degli abitanti di Pompei.

Una fonte per noi insolita, il “National Geographic” ci racconta che sarebbe stato individuato sotto i ghiacci della Groenlandia un cratere da impatto meteorico che è stato chiamato Hiawatha. La caduta del meteorite Hiawatha circa 12.000 anni fa avrebbe provocato, sollevando tonnellate di polveri nell’atmosfera e oscurando la luce solare, la mini-età glaciale nota come Dryas recente che avrebbe portato all’estinzione alcune promettenti culture neolitiche.

Il 18 giugno “The Archaeology News Network” ci segnala la scoperta in Polonia di una fornace celtica risalente al III secolo avanti Cristo. Noi, pensando ai Celti, li colleghiamo soprattutto alle Isole britanniche e all’attuale Francia, ma è probabile che la cultura celtica abbia avuto origine nell’Europa centrale e orientale, per espandersi poi verso ovest. La più antica cultura celtica conosciuta è quella di Hallstatt, in Austria.

Il 21 giugno, proprio la sera del solstizio, il canale televisivo “Focus” (canale 35) ha dedicato un servizio a Schnidi, il fantasma del neolitico. Nel 2003 sono stati ritrovati sul passo bernese dello Schnideljoch i resti di quelli che paiono essere i resti dell’equipaggiamento di un cacciatore neolitico che è stato chiamato Schnidi, per analogia con Oetzi che prende il nome dal monte Oetzal dove il suo corpo è stato ritrovato, per ora, però, dei resti di Schnidi non c’è traccia, e rimane “un fantasma”.

Sempre in questa giornata (strano, ma la coincidenza del solstizio estivo sembra risvegliare l’interesse per il nostro passato remoto), abbiamo su “Telegram” (un sito russo in lingua inglese) un articolo di Helena Vetrova sugli “uomini dagli occhi di luna”, un’altra popolazione bianca precolombiana un tempo insediata negli Appalachi meridionali (non è stata la sola, vi ho già parlato dei Mandan, degli Aracani, dei Kilmes, al punto che è possibile ipotizzare un popolamento bianco alla base delle civiltà precolombiane), mentre “The Archaeology Magazine” ci parla della scoperta nella contea del Galway in Irlanda di una fortezza dell’Età del Bronzo risalente a circa 3.000 anni fa.

Il 24 giugno “Greek Report” segnala che resti ominidi risalenti a un periodo fra 8 e 9 milioni di anni fa rinvenuti nel villaggio greco di Nikiti sono stati sottoposti ad analisi da un team di ricercatori dell’Università di Toronto guidato da David Begun. Essi suggeriscono che l’origine della nostra specie non vada cercata in Africa, ma nel nostro continente, e prendiamo atto di quanto afferma Begun:

Secondo un rapporto della rivista New Scientist, Begun prevede che questo nuovo concetto sarà respinto da molti esperti che credono nelle origini africane degli ominidi, ma spera che il nuovo scenario venga almeno preso in considerazione”.

Capite quello che significa? Per l’ortodossia “scientifica” democratica, non sono le teorie che devono adattarsi ai fatti, ma i fatti alle teorie, siamo all’opposto di quello che dovrebbe essere la scienza, nel regno del dogmatismo intollerante.

A luglio, mentre le fonti ufficiali languono di nuove informazioni, posso segnalare una notizia che mi riguarda molto da vicino, l’uscita presso le Edizioni Aurora Boreale del mio libro Ma davvero veniamo dall’Africa?. E’ il mio secondo testo sulla tematica delle origini, dopo Alla ricerca delle origini (Edizioni Ritter), che ne amplia e articola ulteriormente il discorso.

 Come se non bastasse, Michele Ruzzai lo ha commentato non con una recensione, ma con un ampio saggio: Considerazioni su “Ma davvero veniamo dall’Africa?” di Fabio Calabrese, che è stato pubblicato su “Ereticamente” suddiviso in due parti, il 6 e il 12 luglio.

Ora io non so dirvi se è stato il mio (il nostro, perché non va dimenticato il rilevante contributo di Ruzzai) impegno sulla tematica delle origini a richiamare l’interesse in materia, o se la coincidenza temporale è appunto una semplice coincidenza, ma subito dopo Maurizio Barozzi ha postato on line un saggio, Evoluzionismo, suggestione poco scientifica che in sostanza riprende le idee espresse a tale riguardo da Giuseppe Sermonti.

Qualcuno potrebbe accusarci di voler dare un significato politico a tematiche che invece dovrebbero essere trattate con la pacata oggettività della scienza, ma la colpa non è nostra, bensì dei democratici che hanno concepito l’Out of Africa come arma contro la nostra visione del mondo.

Prendendo atto del fatto che l’estate 2022 sembra essere contrassegnata da una stasi, un vuoto per quanto riguarda nuove informazioni sulla nostra eredità ancestrale, ho dedicato due articoli, la novantunesima e la novantatreesima parte, a un “ripasso dei fondamentali”, prendendo spunto nel primo di essi dagli articoli su questa tematica che non sono rientrati in Una Ahnenerbe casalinga/L’eredità degli antenati. Nell’altro, vi ho sintetizzato i contenuti interessanti postati da Michele Ruzzai sul suo gruppo facebook “MANvantara”, cosa, penso, non priva di utilità, perché al dettaglio, alla competenza, alla meticolosità del nostro Michele, corrisponde una scarsa frequenza dei suoi interventi, su “Ereticamente” o altrove. Ma ora non starò a farvi il riassunto del riassunto.

Ad agosto, forse per contrastare la calura del periodo, le ricerche si spostano all’estremo nord, infatti “The Archaeology News Network” ci parla del rinvenimento di una spada vichinga nel tumulo Gausel nei pressi di Stavangen, e “The Arhaeology Magazine” di quello dei resti di una fattoria vichinga risalente all’epoca della prima colonizzazione dell’isola (940-1100), distrutta ma anche conservata da un’eruzione vulcanica, come è avvenuto per Pompei.

E poiché l’Italia non poteva proprio mancare, sempre proprio riguardo a Pompei, “The Archaeology Magazine” ci dà notizia di nuove scoperte, nuovi ambienti, con tanto di suppellettili conservate, che sono stati scoperti nella Casa del Lararium. Ricordiamo che l’antica città distrutta dal Vesuvio è ancora in gran parte da disseppellire. Sempre sullo stesso sito, troviamo poi la notizia del ritrovamento di monete romane e offerte votive nelle sorgenti termali di San Casciano dei Bagni (Siena).

Di solito non dedico molto spazio all’archeologia extraeuropea, anzi ho l’impressione che essa sia spesso enfatizzata per sminuire il ruolo storico del nostro continente, ma questo agosto ho dovuto fare un’eccezione, infatti, con sorprendente contemporaneità, “Ancient Origins”, “The Archaeology News Network” e il canale televisivo “Focus” hanno parlato del sito amerindio di Cahokia (vicino a Collinsville, Illinois), pur non essendovi recentemente avvenuta nessuna nuova scoperta. Questo sito è comunque importante perché in epoca precolombiana era una vera e propria città, e smentisce la convinzione che strutture sociali complesse di questo tipo si trovassero solo in Meso e Sud America.

Io però facevo notare che se fossi un archeologo statunitense, mi sentirei molto imbarazzato a studiare le tracce della cultura nativa americana, sapendo che sono stati i miei connazionali a distruggerla.

Sempre in agosto, “The Archaeology Magazine” ci informa che in Spagna, a Torre La Janera, la secca del fiume Guadiana dovuta alla siccità estiva ha messo in luce quello che pare essere il circolo megalitico più vasto di tutta la Spagna, con 26 grandi pietre erette. Nello stesso tempo è arrivata la notizia del rinvenimento in Italia nelle acque delle isole Egadi del rostro di una nave romana risalente alla prima guerra punica. La notizia è stata riportata anche dai media mainstream, ma RAI News24 non ha fatto a meno di metterci un po’ di italica castroneria, datando la prima guerra punica al III secolo dopo Cristo.

“L’arazzo del tempo” ci racconta del rinvenimento nel sito di Yunasite in Bulgaria, dei resti di quella che pare essere stata una vera e propria città dell’Età del Rame, strappando il record di insediamento urbano più antico del mondo finora attribuito alla mediorientale Gerico.

Possiamo poi segnalare, a dieci anni dall’uscita dell’ultima edizione ampliata di Omero nel Baltico, di Felice Vinci, con due testi: I segreti di Omero nel Baltico e Il meteorite iperboreo, scritto in collaborazione con Syusy Blady e Karl Kello.

Nella seconda parte dell’anno, “Ancient Origins” ha dedicato grande spazio alla mitologia greca, a cominciare da un articolo di Robbie Mitchell del 23 agosto che ci parla di Rea, madre degli dei e regina dei titani, poi l’11 settembre di Nyx la poco conosciuta dea greca della notte. Il 14 settembre Alicia McDermott ci parla di Helios, il dio del sole. Il 28 agosto Lex Leigh ci parla degli inferi nella mitologia greca, una concezione che era spesso la base per rituali negromantici. Il 27 agosto Molly Dodenswell ci parla di Crono, il dio titano padre di Zeus. Abbiamo poi un pezzo di Robbie Mitchell del 13 settembre che ci parla di Eros, il dio greco dell’amore, il 20 settembre è invece Khadija Taueef a raccontarci tutto su Hestia (Vesta per i latini), la dea del focolare. Il 23 settembre Mark Johnston ci racconta di Iperione, dio della luce solare.

Ancora, il 24 settembre Robbie Mitchell ci parla di Tifone ed Echidna, una coppia di titani che avrebbe generato una serie di esseri mostruosi, diversi dei quali sono stati affrontati da Ercole nel corso delle sue dodici fatiche.

Non poteva mancare un articolo dedicato al monte Olimpo, e infatti ci ha pensato Caleb Strom in un pezzo del 23 settembre che mette a confronto l’immagine mitica della sede degli dei con la realtà fisica e geologica di questa montagna che non sarà abitata da divinità, ma è pur sempre la più alta cima della Grecia.

Un articolo propriamente archeologico è quello di Lex Leigh del 21 settembre che ci parla della canoa Pesse. Quest’ultima, l’imbarcazione conosciuta più antica del mondo, è una canoa mesolitica scavata in un tronco di pino, risalente a 10.000 anni fa, ritrovata nel 1955 in Olanda, e oggi conservata al Drent Museum di Assen.

Sempre in tema di imbarcazioni, venendo più vicino a noi, ha avuto un certo spazio sui media la notizia dell’esposizione al pubblico della nave arcaica di Gela, il relitto di una nave greca datato tra il VI e il V secolo avanti Cristo rinvenuto nelle acque siciliane, e oggi esposto al pubblico dopo un lungo restauro conservativo.

A ottobre, c’è poi da segnalare l’uscita del libro di Roberto Giacobbo Storia alternativa del mondo in allegato al numero di questo mese della rivista “Freedom”, parallela dell’omonima trasmissione televisiva in onda su “Focus” (canale 35), è un testo da vagliare con attenzione, contiene molto sensazionalismo, ma anche alcuni spunti interessanti.

Vi ho raccontato poi qualcosa che mi riguarda personalmente, sabato 1 ottobre ho tenuto presso il Circolo del Drago Verde di Udine una presentazione del mio libro Ma davvero veniamo dall’Africa?, analoga a quella che avevo tenuto nella stessa sede il 20 novembre dell’anno scorso per il mio precedente testo Alla ricerca delle origini.

Chiudiamo in bellezza con una notizia che ho trovato di grande soddisfazione: il premio Nobel per la medicina 2022 è stato assegnato a Svante Paabo, fondatore della paleogenetica, ossia della ricerca sul DNA umano antico. Voi avete visto quanto spesso ho fatto riferimento al suo lavoro che getta davvero luce sul nostro remoto passato. Finalmente, si può dire, dopo tanti Nobel assegnati a caspita, da Barack Obama a Dario Fo, uno davvero meritato.

Ci confrontiamo con il solito problema che abbiamo visto gli anni scorsi, ossia “la forbice” temporale fra il periodo di riferimento di questi articoli e il momento in cui compaiono su “Ereticamente”, certamente ci sarà una “coda” riguardante i mesi di novembre e dicembre 2022 di cui dovremo occuparci l’anno prossimo, ma per il momento ci fermiamo qui.

NOTA: Nell’illustrazione, tre testi citati nell’articolo che sono usciti nella seconda metà del 2022: a destra, Il meteorite iperboreo di Felice Vinci, Syusy Blady e Karl Kello, al centro, I segreti di Omero nel Baltico di Felice Vinci, a sinistra Storia alternativa del mondo di Roberto Giacobbo.

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