10 Aprile 2024
Giornata Bruniana

Giordano Bruno tra l’Uno ed il Molteplice – Umberto Bianchi

Tante, troppe se ne son dette sul grande pensatore nolano Giordano Bruno. Taluni hanno ravvisato in lui una specie di precursore del pensiero libertario “beatnik” ante litteram, una specie di anarcoide in totale distonia con il suo tempo oscurantista o, ancor peggio, un primigenio scrittore di fantascienza, nel ruolo di precursore del moderno scientismo evoluzionista e materialista, grazie alla sua intuizione sulla pluralità dei mondi o sulla compresenza nel creato della sostanza divina…Nulla di tutto questo, fu il Nolano. Fu sì, una mente ingegnosa ed intuitiva, ma in tutt’altra direzione orientata, rispetto a quelle delineate dai luoghi comuni del pensiero conforme. Giordano Bruno fu, anzitutto, uomo della tarda Rinascenza. E di questa epoca visse appieno i tormenti e le passioni. La grande stagione del Neoplatonismo delle accademie fiorentina e romana, volgeva oramai al termine. Quell’idea armonica e magica di un mondo costruito a cerchi concentrici attorno ad ordinamenti ed idee che riflettevano la perfetta armonia del circostante Kosmos (Ecclesia, Imperium, Signoria), riflessa nella magica ieraticità dei dipinti di un Botticelli o di un Raffaello, sempre più andava obnubilandosi, tingendo sé stessa dello scuro colore delle incertezze e dei presentimenti che la fine di un’epoca, andava portando. L’affissione delle 95 tesi di Martin Lutero, il 31 Ottobre del 1517, davanti alle porte della cattedrale di Wittemberg, è l’evento che sancisce, in modo irrevocabile, l’inizio della fine di un’epoca. Un nuovo mondo, spaccato, diviso e sempre più incerto nei propri valori di riferimento, presenta il conto ai suoi protagonisti, violenti, irascibili, tormentati, ora come non mai. I Michelangelo Buonarroti, i Benvenuto Cellini, i Caravaggio ed i Giordano Bruno, sono tutti accomunati da vite vissute all’insegna di una violenta passionalità che, spesso, li porterà ad altrettanti, tragici esiti, come nei casi di Bruno e di Caravaggio. Giordano Bruno è studioso “onnivoro”, legge di tutto e di più. La sua appartenenza all’Ordine Domenicano, gli consente la consultazione di testi e la conoscenza di mondi ed idee, altrimenti preclusa.

Platone, Plotino ed i filosofi neoplatonici, il romano Lucrezio Caro ed il suo “De rerum natura”, ma anche tutti quegli autori a lui temporalmente più vicini, da Raimondo da Lullo (per quanto riguarda la mnemotecnica…) ad Agrippa di Nettesheim e la sua opera “De Occulta Philosofia”, passando per l’abate Tritemio, Marsilio Ficino, Pico della Mirandola, Nicola da Cusa, Paracelso , Palingenio, Reuchlin ed altri ancora, sono oggetto della sua attenzione. Il loro Ermetismo e Neoplatonismo venivano, però dal Nolano, sviscerati e reinterpretati in un’ottica assolutamente originale, per gli schemi del tempo. La primogenitura delle tradizioni cristiana ed ebraica (nella sua espressione più prettamente esoterica, data dalla Cabala, sic!) vengono, per la prima volta, messe in dubbio dal Bruno che ne sminuisce decisamente la primogenitura, in favore di una tradizione primordiale che, di tutte le altre seguenti, dovrebbe costituire la sintesi ed il compendio perfetti.

Una soluzione questa, in grado di conciliare ed annullare in un più armonico “Tutto”, i conflitti religiosi che sempre più, andavano lacerando il tessuto politico e sociale dell’Europa del 16° secolo. Quella della “Prisca Theologia” è un’istanza che aveva affascinato tutti o quasi i pensatori rinascimentali, a partire da autori i del calibro di Marsilio Ficino o di un Pico della Mirandola, solo per citarne qualcuno. Mentre per tutti questi autori, alla base di questa costruzione, sta l’assoluto primato delle Sacre Scritture, anche attraverso una versione edulcorata e cristianeggiante della figura di Ermete Trismegisto, qui visto ed inteso quale persona reale, con la pari dignità di un Mosè o di Cristo, in Bruno la cosa assume una ben differente connotazione. Senza mezzi termini o inutili perifrasi, Bruno assegna alla religiosità egizia la valenza di tradizione primordiale, da cui le altre tradizioni attingono, talora in modo imperfetto e distorto, come nel caso delle religioni monoteiste ebraica e cristiana. Ora, ci sarebbe da chiedersi il perché della scelta bruniana a proposito dell’assoluto primato della religione egizia, al posto di quello, più a portata di mano, del politeismo greco. La risposta ci porta nell’ambito della semeiotica e della linguistica. Contrariamente a quella greca, quella egizia, è un religiosità impostata su una scrittura ideogrammatica, ovverosia espressa in segni che, dal semplice ambito fonetico, ci riportano a significati occulti, afferenti alla sfera dell’archetipo e del numinoso, in un continuo di rimandi e concatenazioni senza fine. E questa è la vera natura della religiosità politeista in genere, incentrata su un’interscambiabilità di ruoli e significati tra le forze divine e pertanto, tra gli aspetti della realtà che si presumono pertanto, infiniti. Infiniti come quei mondi, di cui Bruno proclama la molteplicità, al pari di un universo altrettanto infinito.

Ma, contrariamente alle più tarde elaborazioni cosmologiche di un Kant e di un Laplace, quello di Bruno non è un etereo e vuoto spazio, bensì un vitale contenitore di molteplici realtà ed aspetti che si intersecano senza fine. Una vera e propria Unità, che si estroflette in una infinita Molteplicità di aspetti, innervato e compenetrato dalla sostanza divina, che ogni cosa permea di sé. Ben lungi da una forma di ateo e materialistico panteismo, quella di Bruno è una rappresentazione “magica” della realtà, con la quale l’uomo interagisce ed opera, altrettanto magicamente, attraverso la capacità di saper far muovere a proprio favore, le corrispondenze che legano l’intero cosmo, in un’infinita ragnatela di realtà e significati. E questa apertura al molteplice, non può che cozzare con il monolitico e monotematico monoteismo di cattolici, protestanti, ebrei, islamici ed in genere, di chi si fa alfiere di un unico modello di sviluppo socio-economico, riflesso nel reale di questi modelli religiosi. Senza tema di apparire eccessivi, si può dire che il Nolano sia stato il primo pensatore anti globale della storia d’Occidente. Tant’è che la sua vicenda ed il suo pensiero, saranno sottoposti ad una “damnatio memoriae” senza precedenti e che, tuttora, perdura. Di lui si coglieranno solo gli aspetti più esteriori, materialistici, all’insegna di un vuoto ed insipido scientismo. La sua lezione verrà forse recepita da pensatori come Nietzsche o Gilles Deleuze, immersi però in un clima di totale destrutturazione di quella metafisica che nel Nolano è, invece (e sia pur in posizione di aperta critica e contrasto alla aristotelica pedanteria degli scolatici, sic!) ben viva e vegeta. Quello di Bruno è il rogo del Rinascimento e dell’ultima possibilità che si poteva dare al mondo occidentale, di darsi un modello di sviluppo “altro”, improntato sì sui progressi di una Techne, arricchita ed integrata, però, dai vivificanti apporti di un pensiero “magico”, in grado di meglio interconnettere ed armonizzare i vari aspetti della realtà. Ad ultimi epigoni di questa splendida epopea, si porranno i tentativi di confronto di un Robert Fludd con la stolida ottusità di Keplero, il cui scientista scetticismo, altro non farà che spalancare le porte della primigenia Modernità, al Leviatano Tecno Economico.

Quello di Bruno rimane quindi, un esempio di mirabile sintesi, ma anche la metafora del percorso di un pensiero che, come una inesauribile corrente sotterranea, di tanto in tanto riemerge nella storia dell’Occidente, lasciando aperta la porta ad una prospettiva “altra”, da quella offerta dall’attuale appiattimento globale.

Umberto Bianchi

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