19 Aprile 2025
Fumetto d'Autore

FASCISMO & FUMETTO: VIRUS, IL MAGO DELLA FORESTA MORTA (prima parte) di Francesco G. Manetti

“Virus il mago della Foresta Morta”. Edizione in “Albo d’Oro” (1946)

Dopo qualche anno di interruzione, in cui su queste colonne mi sono dedicato alla poesia “politica” di Lovecraft, a recensioni librarie e altro ancora, torno a parlare del grande fumetto italiano durante il Fascismo. Avevamo visto insieme la saga di Saturno contro la Terra di Federico Pedrocchi, il grande sceneggiatore e disegnatore classe 1907 che morì in treno durante un vile mitragliamento aereo alleato nel gennaio del 1945, nei pressi di Gallarate. Torniamo adesso a parlare di questo scrittore che, in compagnia del disegnatore Walter Molino (1915 – 1997), realizzò a partire dal 1939 un altra notevole serie fantascientifica, incentrata sullo scienziato Virus. La prima puntata della prima storia (Virus il mago della Foresta Morta) apparve sul n. 276 del 20 aprile 1939 del giornale “Audace” (A.P.I. Anonima Periodici Italiani – Mondadori); l’avventura proseguì per altre 21 puntate fino al n. 297 del 7 settembre 1939 (ultima uscita del periodico con il marchio Mondadori) per poi passare su “Topolino” giornale (ancora Mondadori), con il n. 352 del 21 settembre 1939 (23a puntata); la storia terminò al 39° episodio (su “Topolino” n. 368 dell’11 gennaio 1940); ci sono alcune incertezze su queste datazioni nelle varie cronologie disponibili in Rete, ma i dati qui riportati sono quelli esatti. Il mago della Foresta Morta ebbe un seguito, sempre per opera di Pedrocchi & Molino e sempre su “Topolino” nel 1940, con la storia Il polo “V”, della quale ci occuperemo prossimamente. Queste due storie di Virus nel 1946 furono ristampate negli “Albi d’Oro”, con pesanti rimontaggi e modifiche delle tavole (le “nuvolette”, per esempio, furono sostituite da didascalie). Nel Dopoguerra le ristampe si succedettero e si approntarono anche edizioni straniere. A titolo puramente informativo citiamo la terza avventura con Virus, scritta da Pedrocchi per i disegni di Antonio Canale, che si sviluppò su “Topolino” nel Dopoguerra (nn. 603/638, 1946/1947).

Il numero del periodico “Audace” sul quale fece la sua prima apparizione Virus.

Gli autori

Per la biografia di Federico Pedrocchi vi rimando al mio primo articolo su Saturno contro la Terra, pubblicato su “EreticaMente” il 24 febbraio 2016. Non resta che dire due parole su Walter Molino. Nato a Reggio Emilia nel 1915, fu illustratore, umorista, vignettista satirico, fumettista e copertinista; fra le sue opere più famose – oltre alle prime due storie di Virus – ricordiamo Capitan L’Audace e Kit Carson; a partire dal 1941 lo troviamo successore di Beltrame alle copertine della “Domenica del Corriere” e poi a “Grand Hotel” (del quale disegnò anche il logo di testata); morì a Milano nel 1997. In un’intervista del 2015 il figlio musicista Pippo (n. 1947) disse del celebre padre, del quale allora cadeva il centenario della nascita:

Di papà ricordo la facilità assoluta nel disegno. In 3 minuti faceva un ritratto degli amici, magari riuniti intorno al tavolo. Se non era soddisfatto stracciava il foglio e ricominciava daccapo. A quel punto tutti chiedevano il proprio ritratto, non lo lasciavano in pace. Era bravissimo anche con la caricatura. Molto cattivo o molto bravo con le donne, a seconda delle simpatie… Praticamente fu un autodidatta, salvo gli insegnamenti che ricevette da mio nonno, pittore pure lui. Iniziò quindi a lavorare per la pubblicità e questo lo fece subito apprezzare. “Libro e moschetto” gli diede la fama: consacrata dal “Bertoldo” ed un po’ da “Candido”. Quando io sono nato era già titolare della “Domenica del Corriere”. Aveva iniziato lì nel 1941, scelto direttamente dal pittore Antonio Beltrame. Lui, con molto orgoglio, sottolineava il fatto di essere, allora, l’unico giornalista-disegnatore. Ed in effetti papà fu un vero giornalista: le sue tavole raccontarono i fatti e gli episodi salienti della storia del nostro Paese. Il lunedì ed il mercoledì mattina erano le giornate delle riunioni di redazione. Lui si alzava alle 5, perché voleva arrivare con le tavole già impostate. Gli argomenti venivano scelti insieme a Possenti e Buzzati.

Walter Molino

La collaborazione a “Libro e moschetto”, secondo quanto Molino dichiarò in un’intervista del 1970 (rilasciata a Rinaldo Traini per “Comics”), fu dovuta a un invito diretto di Mussolini.

Lo scienziato pazzo

Il personaggio di Virus immaginato con incredibile fantasia da Pedrocchi è il classico genio folle che vive solitario (o quasi: ha infatti alle sue dipendenze un fedele servo indù, Tirmud) in una casa-fortezza-laboratorio immaginando ogni genere di macchinazione contro gli esseri umani da lui considerati inferiori in virtù della propria superiore intelligenza. La scienza che padroneggia è talmente avanzata (ha persino una specie di teletrasporto) che è quasi impossibile distinguerla dalla stregoneria; non a caso Virus definisce se stesso un “mago”. La figura dello scienziato pazzo affonda le sue radici nella letteratura gotica europea del XVIII secolo, che lanciò primi vagiti della moderna fantascienza; il dr. Frankenstein di Mary Shelley, che assembla una sorta di golem, di “robot organico” con parti di cadavere, è senza dubbio uno scienziato pazzo, e questo suo aspetto viene magnificato dal cinema, a partire dal capolavoro di James Whale del 1931, che Pedrocchi certamente conosceva. Il dr. Jekyll di Robert Stevenson, con il suo siero che separa fisicamente la parte buona da quella cattiva dell’animo umano, è un altro scienziato pazzo. Virus fa da apripista per tante analoghe figure che troviamo da quel momento in poi nel fumetto italiano; pensiamo per esempio a Satanik, la scienziata brutta e sfigurata creata nel 1964 da Max Bunker (Luciano Secchi) per i disegni di Magnus, che, grazie a una pozione e alla luce di uno speciale cristallo, si trasforma in una bellissima donna fatale. Sergio Bonelli, il grande e mai abbastanza rimpianto editore-sceneggiatore milanese, si era ispirato proprio a Virus per alcune sue indimenticabili storie di Zagor contro Hellingen (dal 1963 in poi), per le quali si firmava Guido Nolitta. In un’intervista che Bonelli concesse a noi ragazzi del Club del Collezionista (il sottoscritto, Moreno Burattini e Alessandro Monti) per il volume Speciale Zagor (che uscì nel febbraio 1990), citando a braccio – con qualche inesattezza – l’edizione di Virus il mago della Foresta Morta degli “Albi d’Oro”, disse a tal proposito, :

Sul mio comodino c’è, da sempre, “Virus” di Molino e Pedrocchi: un racconto di poche pagine che però ha marchiato per sempre la mia vita professionale e di lettore. Si tratta di due albetti stampati da Mondadori nel 1939/40, pubblicati anche su “Topolino”, dove c’era uno scienziato pazzo che aveva costruito delle strumentazioni speciali che facevano risvegliare le mummie. Anche se Molino poi l’ha ripudiata, insieme alla sua intera produzione a fumetti, quella storia è un capolavoro: se dovessi portare una sola pagina sulla famosa isola deserta, io sceglierei quella dove il folle mette un disco su una macchina misteriosa e subito tutte le mummie di tutti i musei si risvegliano. Hellingen è costruito sul prototipo dei mille scienziati pazzi della storia della letteratura scritta, filmata e disegnata, ma soprattutto pensai a Virus, al quale assomiglia persino nei tratti somatici.

In realtà Molino non aveva disconosciuto questa sua attività fumettistica (non so da quale fonte Bonelli avesse pescato questa idea alla fine del 1989): in due interviste, pubblicate nel 1969 (sulla rivista francese “Phenix”) e nel 1970 (su “Comics”), Molino parlò a lungo di quel periodo della sua carriera, con grande nostalgia e rimpianto. Tra le altre cose disse che Virus era, tra i suoi, il fumetto che ai lettori era piaciuto di più, perché era un personaggio affascinante e pieno di mistero. Carlo Pedrocchi, figlio di Federico (che nel 2016 mi diede alcune preziose informazioni su Saturno contro la Terra e su suo padre per il mio articolo), pubblicò estratti di queste interviste, con appunti inediti, sul volume Le grandi firme del fumetto italiano (Grandi Firme Editrice, 1971).

La seconda tavola di “Virus il mago della Foresta Morta” nell’edizione in “Albo d’oro”.

Prima sequenza: episodi 1/3

Andiamo adesso a vedere più da vicino la storia, con un’analisi dettagliata tavola per tavola. La prima sequenza è molto breve e veloce nella narrazione. I due protagonisti, l’aviatore Roberto Sanni e il giovanissimo nipote Piero (classica coppia del fumetto internazionale: pensiamo a Batman e Robin), sorvolano in aereo una zona di campagna non ben identificata. Difficile credere che possa essere l’Italia… Potrebbero essere gli Stati Uniti, una delle versioni immaginarie dell’America rintracciabili sul fumetto dell’epoca fascista. Ci sono infatti spazi molto aperti e allevamenti che fanno pensare a quelli del tipico ranch dei film western. Il velivolo di Roberto (che nel volto somiglia a Clark Gable, e un po’ ad Amedeo Nazzari), finito il carburante, fa un atterraggio di emergenza nella proprietà di Aldo Berter (un cognome italiano, forse scelto o inventato di sana pianta per la sua sonorità straniera), che veste da cowboy, esattamente come i suoi aiutanti.

Lo scopo del viaggio di Roberto e Piero è palesato nell’ultima vignetta: un esplorazione nella terribile Foresta Morta. Nessuno di coloro che vi si sono avventurati ha fatto ritorno, mette loro in guardia Berter, senza successo. La fantascienza, o se vogliamo il “fantahorror”, fa capolino alla fine del secondo episodio. Roberto e Piero, cenato e trascorsa la notte alla fattoria di Berter (che pare funzionare come una sorta di agriturismo), ottengono un pieno di benzina e partono alla volta del loro obbiettivo. Le inquadrature dall’alto rivelano che la Foresta Morta somiglia in tutto e per tutto a un “bosco incantato” delle favole: alberi senza foglie, neri, contorti e malati, vapori densi che si levano dal suolo, aria probabilmente mefitica. Ma nel mezzo a questo scenario fantasy si staglia una moderna “stazione” dotata di un’antenna radio all’avanguardia. Ed è qui che entra in campo la fantascienza: misteriose onde, un raggio, un influsso, un campo elettromagnetico… qualcosa di invisibile blocca il motore dell’aeroplano e Roberto è costretto a fare il secondo atterraggio d’emergenza in poche ore. E i due finiscono, per giunta, nelle sabbie mobili (non siamo in Italia, no)!

Ad accogliere i due incauti aviatori stavolta non c’è l’accogliente Berter, con la pingue moglie che serve a tavola pietanze prelibate. C’è Virus, il mago della Foresta Morta, che compie un’apparizione teatrale, di grande effetto scenico. Lo scienziato sbuca come una talpa tecnologica scavando il terreno protetto da una cupola di metallo montata su un pistone telescopico, si affaccia a un terrazzino, indica e minaccia con aria beffarda Roberto e Piero, visto che hanno invaso il suo territorio contro la sua volontà.

(fine 1a parte)

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