19 Luglio 2024
Controstoria Storia

EPISTEMOLOGIA DELLA MENZOGNA – (Parte prima. La disciplina dell’ottenebramento) di Gianluca Padovan

La “storia ufficiale” è indubbiamente uno strumento tanto di conoscenza quanto di controllo delle masse, quindi una sorta di “persuasione occulta” dal momento che nelle scuole, negli istituti, nei licei e nelle università gli studenti sono invitati ad “assumere” il medesimo programma ministeriale mediante i testi d’apprendimento appositamente architettati.

La “pressione” viene esercitata anche ad ampio raggio dai così detti “organi d’informazione” i quali si avvalgono della diffusione capillare sul territorio nazionale. E tale sistema non si faccia l’errore d’inquadrarlo nei soli e così detti “sistemi totalitari”. In buona sostanza la pubblicità serve non solo a vendere prodotti di consumo, ma pure pensieri, filosofie, tendenze e storie, o storielle, preconfezionate. Tutti prodotti utili per “tacchini all’ingrasso”.

Ad esempio, per quanto riguarda il campo pubblicitario, definito da taluni “quinto potere”, già alla metà del XX secolo Vance Packard scrive: «Le tecniche usate per scandagliare l’inconscio vennero, per la maggior parte, prese a prestito direttamente dalle cliniche psichiatriche. Come precisa il dottor Smith nel suo libro sull’analisi motivazionale: “Per ogni diverso livello di coscienza occorre un diverso metodo di suggestione”».1

Sempre in campo pubblicitario, ecco un passo sul “narcisismo di massa”: «Il narcisismo è una malattia molto diffusa, e il cliente (l’uomo) è attratto, più che da ogni altra cosa, da se stesso. Si poteva quindi indurlo a comprare una proiezione di sé».2

Si può affermare che in campo sociale si riesce a fare “innamorare” tanto un uomo quanto una donna di un’idea, di un modello e quindi d’una tendenza politica, o anche di una “versione ‘storica’ dei fatti”, affinché tali “tacchini” acriticamente si conformino ad essi.

Inoltre: «L’impiego della manipolazione psicologica in campo politico non è, naturalmente, una scoperta degli ultimi anni, né, a dire il vero, del ventesimo secolo. Napoleone istituì un organismo di stampa e propaganda al quale diede il nome, forse in un momento di buon umore, di Bureau de l’Opinion Publique. Suo compito era di fabbricare su ordinazione dei movimenti d’opinione. Perfino in Machiavelli si possono già trovare interessanti spunti in tal senso. La manipolazione del pubblico da parte di un tiranno, data una società irreggimentata e controllata, non è impresa difficile, e può essere condotta con mano più o meno pesante, secondo i gusti. Il vero problema nasce allorché si tratta di operare efficacemente sui cittadini di una società libera, i quali col voto possono detronizzarvi, ignorando, se lo desiderano, tutte le vostre sollecitazioni e negandovi il loro appoggio».3

Sulla questione morale sempre Packard dice: «Come si deve giudicare questo immenso sforzo di persuasione dal punto di vista dell’etica nazionale? Che cosa significa, sul piano morale, l’opera che questi numerosissimi e influentissimi manipolatori vanno svolgendo nella nostra società? Taluni di essi, sospinti dal desiderio di controllare le nostre azioni, finiscono addirittura per comportarsi, sia pure involontariamente, come se l’uomo esistesse solo per essere manipolato».4

Sorvolando sulla parola “involontariamente”, ecco l’interessante conclusione: «Talvolta è più piacevole o più facile essere illogici. Ma preferisco essere illogico di mia libera volontà, senza che nessuno mi ci induca con l’inganno. Il sopruso più grave che molti manipolatori commettono, è a mio avviso, il tentativo di insinuarsi nell’intimità della mente umana. È questo diritto alla intimità della mente – il diritto di essere, a piacere, razionali o irrazionali – che, io credo, abbiamo il dovere di difendere».5

Ma parliamo di “storia”.

Oggi, perché negarlo, taluni attendono lo scocco del 2018 per servire la “Pastasciutta del Centenario”. Al gusto della pasta si negano solo i malati e i deboli di spirito autorelegatisi nelle diete plutonian-astrali.

2018: cent’anni fa il «Regno sabaudo d’Italia» si “copriva di gloria” portando a casa non la Coppa dei Campioni, ma la Vittoria per eccellenza, quella “conquistata con spirito di sacrificio e d’abnegazione” sul campo di battaglia.

Vittoria, perché sottacerlo, pagata con il sangue del Popolo, devastando la terra del Popolo, riducendo a un campo di battaglia i beni storici e culturali del Popolo, opprimendo il Popolo dato per vinto, opprimendo il Popolo dato per vincitore, vilipendendo lo spirito di sacrificio e d’abnegazione d’entrambi.

Vittoria, perché negalo, conseguita dalle banche con i soldi stampati mediante la macchinetta e dalle quali la guerra era stata finanziata. Vittoria clamorosa conseguita dai proprietari di fabbriche d’armi e di rifornimenti bellici vari, i quali incassarono cifre impensabili persin dai più arditi. Assolutamente non raggiungibili in momenti di “pax romana”.

Pertanto, come i golosi vogliono un secondo pasticcino alla crema dopo l’assaggio del primo, così banchieri, industriali e imprenditori vollero e fortissimamente ottennero pasticcini a ruota libera.

Ovviamente a spese dei Popoli.

Parlando della Prima Guerra Mondiale si possono ricordare alcune osservazioni di Enzo Forcella e Alberto Monticone, pur tenendo conto che le parole date alle stampe vennero pubblicate in prima edizione nel 1968 (quando soffiava la “revo-invo-luzione” dei pancini morbidi): «Per circa cinquant’anni l’aspetto punitivo e repressivo della prima guerra mondiale è stato pressoché ignorato dalla cultura italiana. Storici illustri accennavano appena, quando vi accennavano, alle varie manifestazioni di dissenso e ai modi con cui vennero fronteggiate. Da una parte i documenti che avrebbero potuto far luce su queste vicende erano tenuti gelosamente nascosti, dall’altra non v’era neppure l’interesse a disseppellirli (…). Ci sono stati in questo mezzo secolo i vent’anni del fascismo. Ma anche dopo, nelle nuove condizioni politiche e psicologiche create dalla democrazia, non si può certo dire che ci si sia sentiti da questo punto di vista molto più liberi».6

Non parliamo, invece, di Seconda Guerra Mondiale, della quale s’è detto talmente tanto che sarebbe bene varare più e più leggi per impedire che se ne parli ancora. O, più correttamente, che si eviti di parlarne in modo differente da quanto dettato dal “Programma Ministeriale”.

In ogni caso è utile riportare un’osservazione di Roberto Festorazzi sulla “storia della resistenza”, ricostruita grazie soprattutto alla collaborazione di Mario Tonghini, già Comandante della Brigata dei G.A.P.-S.A.P. “Perretta” di Como.

Per chi se lo fosse scordato, detto così per inciso, i G.A.P. erano i Gruppi di Azione Patriottica, nati su iniziativa del P.C.I., il Partito Comunista Italiano, mentre le S.A.P. erano le Squadre di Azione Patriottica. Mario Tonghini è oggi il presidente nazionale onorario della F.I.A.P., ovvero la Federazione Italiana Associazioni Partigiane, con sede centrale a Milano. Il primo presidente della F.I.A.P. è stato Ferruccio Parri, fondatore dell’I.N.S.M.L.I., Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione in Italia.

L’Italia è il paese delle sigle perché l’importante è innanzitutto siglare, così la cosa “s’è detta e catalogata”, ma poi occorre obliare, perché non è mai bene che il Popolo ricordi.

Cosa riporta Festorazzi? Che gli “archivi” italiani sono pagati dai contribuenti, ma vengono “gestiti a discrezione”: «è perfino scontato che i comunisti, e i loro eredi, abbiano gestito, e tuttora gestiscano, la memoria storica degli ormai lontani eventi della Resistenza con mentalità e criteri che abbiamo visto in auge soltanto nei sistemi del socialismo reale. Perché non esiste, nel panorama delle democrazie occidentali, un eguale a quello della rete degli Istituti storici della Resistenza: organi di propaganda politica, istituiti con leggi dello Stato e condotti fino ad oggi anche con fondi pubblici, ma occupati militarmente dall’Anpi, l’associazione rossa dei partigiani, garante del conformismo di partito. La cosiddetta ricerca storica condotta da tali Istituti risponde alle necessità di preservazione del patrimonio dogmatico di un caposaldo identitario sottratto a ogni verifica empirica, al controllo fattuale, allo stesso dibattito culturale. Ne deriva che le fonti della ricerca, oltre ad essere oggetto di una dinamica selettiva, vengono precluse allo sguardo indagatore degli storici individuati come pericolosi o non allineati. Quello dell’esclusione dei ricercatori indipendenti è uno degli scandali maggiori degli Istituti storici della Resistenza, al quale se ne aggiunge un secondo. La totale discrezionalità nella gestione dei propri archivi, i quali dovrebbero costituire un bene pubblico, ma sono sottoposti a una sorta di giurisdizione speciale che li sottrae di fatto al dovere della trasparenza. Parte del patrimonio archivistico della rete degli Istituti della memoria resistenziale non è censito, o, se lo è, non vi è il modo di accedere a inventari completi che segnalino l’esistenza di questo o quel fondo. In tal modo, anche qualora lo storico non amico giunga ad essere ammesso alla consultazione delle carte, spesso viene “guidato” da mani esperte che con ogni probabilità gli portano materiali accuratamente preselezionati e “scremati”».7

Però, care Signore e Signori, non si può negare che questo sia proprio un bel quadretto!

Sulla “storia ufficiale” della Seconda Guerra Mondiale scrive Piero Sella: «Ma come ha potuto diffondersi e perpetuarsi la dolciastra menzogna dei vincitori? La leggenda di una guerra da loro combattuta per nobili motivi e felicemente coronata da una pace giusta? A sorreggere la costruzione hanno provveduto gli intellettuali organici alla cultura dominante, messi in riga col solito meccanismo del premio e del castigo: la carota del successo, il bastone dell’isolamento. Questi intellettuali, piazzisti dell’invadenza globalizzatrice, della primazia dell’economia sulla politica, artefici della bancarotta etica mondiale, hanno garantito alle oligarchie dominanti anche il ricambio generazionale richiesto dal trascorrere dei decenni. Scuola e università hanno consegnato i replicanti necessari».8

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Il dato di fatto è che il solo pensiero nazionale e sociale terrorizza i fabbricanti di carta-moneta straccia.

A questo punto si può affermare che una “storia” ripetuta e propalata in continuazione alle orecchie del Popolo assuma lo status di “verità”, ovvero l’adattamento storico è accettato come verità da chi l’apprende, per quanto l’apprendimento avvenga, di solito, acriticamente.

In ogni caso, nella sostanza dei fatti, ciò che è accaduto non si cambia in quanto, per l’appunto, accaduto. Vite vissute, battaglie, trattati, elezioni, sono tutti fatti reali ed essi, assieme ad ogni singolo e apparentemente insignificante accadimento, concorrono allo svolgersi degli avvenimenti storici nel tempo terrestre.

La parola “storia” deriva da una radice detta “indoeuropea”, o per meglio dire europea, che indica “conoscenza” e dalla quale nel greco antico abbiamo la parola “sapere”, da cui deriva “colui che sa” e anche “colui che vede”.

A mio avviso il termine “indo – europeo” non è corretto, anzi, è fuorviante: andrebbe cambiato in quanto offre immediatamente l’immagine di un popolo che si è spostato da est a ovest e non già viceversa, come avvenuto. Piccole e sottili imprecisioni divengono nel tempo veri e propri blocchi mentali, nonché deviazioni nello sviluppo di un pensiero corretto. E il pensiero corretto è la base indispensabile per una adeguata conduzione delle indagini.9

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Come esplicita Erodoto la Storia è anche l’esposizione dei fatti derivati dalla ricerca stessa. In latino la parola historia è l’indagine, la ricerca, il semplice racconto. Oggi la parola “storia” va ad identificare tanto una esposizione di fatti e avvenimenti ordinata, ma risultante da un’indagine criticamente indirizzata all’accertamento della verità, quanto la semplice narrazione di ciò che è accaduto. O, andando per la maggiore, è la risultante di un programma ministeriale per “tacchini all’ingrasso”.

Lo storico greco Polibio ha scritto più di duemila anni fa e con parole decisamente attuali: «Se gli storici che ci hanno preceduto avessero tralasciato l’elogio della storiografia, sarebbe forse stato necessario incitare i lettori a prescegliere e ad accogliere benevole opere come questa nostra, poiché nessun mezzo è atto a guidare gli uomini sulla retta via più della conoscenza delle vicende passate. Ma in realtà non soltanto alcuni storici incidentalmente, ma tutti senza distinzione, con tale elogio hanno dato inizio e posto termine alle loro opere, dichiarando lo studio della storia la migliore palestra e preparazione all’attività politica e il ricordo delle peripezie altrui il solo e più efficace incitamento a sopportare con fortezza i rivolgimenti della sorte».10

Oggi la conoscenza delle cose è alla portata di tutti, fatta eccezione per i così detti “segreti di stato” o “segreti militari” e similari. Basta saper leggere per avere aperta la porta della comprensione, a patto che si abbia l’intenzione di voler comprendere, quindi il tempo e la voglia di andare a consultare gli archivi e cercare gli scritti a “bassa intensità” di diffusione.

È quindi chiaro che si possa autonomamente pervenire alla conoscenza dei fatti che compongono la Storia e discernere, in una certa ma indicativa misura, il vero dal falso.

 

 

 

Note.

 

1 Vance Packard, I persuasori occulti, Giulio Einaudi Editore, Torino 1958, p. 46.

 

2 Ibidem, p. 57.

 

3 Ibidem, p. 189.

 

4 Ibidem, p. 261.

 

5 Ibidem, p. 271.

 

6 Enzo Forcella, Apologia della paura, in Enzo Forcella, Alberto Monticone, Plotone di esecuzione. I processi della prima guerra mondiale, Nuova edizione, Editori Laterza, Roma-Bari 2014, p. XI.

 

7 Roberto Festorazzi, Gli archivi del silenzio. L’apparato che nasconde i crimini della Resistenza rossa, Il Silicio, // 2016, pp. 8-9.

 

8 Piero Sella, La madre di tutte le menzogne. Il conflitto 1939-1945 al vaglio del revisionismo, in l’Uomo libero, Anno XXX, N. 67, Maggio, Milano 2009, p. 10.

 

9 Gianluca Padovan, Il mito europeo. Le culture che ci hanno preceduto, Ritter Edizioni, Milano 2012, p. 38.

 

10 Polibio, Storie, Carla Schick -traduzione e note-, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1992, p. 3, I, 1.

 

 

2 Comments

  • DAmod1 23 Dicembre 2017

    Immaginiamo per un momento di pensare il mondo nella sua totalità ed in questo momento.
    Bene.
    Cosa sta succedendo dappertutto?
    E chi lo sa cosa sta succedendo!
    Ecco la Storia, allora!
    E’ esattamente questo momento che se ne va nel passato esponenzialmente e non linearmente(100 anni prima dell’anno Mille sono molto più lontani di 100 anni fa!).
    E allora anche gli archivi, che non possono contenere tutti i fatti di quella Storia, non basterebbero cmq a darci la verità.
    La Storia è dunque interpretazione ==> scelta ==> politica.
    Sono vere allora tutte le interpretazioni e allo stesso tempo sono false.
    Per finire, quella mappa dell’eurasia è vera a patto che il centro di diffusione sia la popolazione tra oka e volga dall’anno Mille a venire: prima, quella funzione esponenziale di cui sopra e l’entropia della materia, fanno sprofondare nell’oblio assoluto ogni Storia.
    Ah, dimenticavo: politicamente sono daccordo con chi scrive.

  • DAmod1 23 Dicembre 2017

    Immaginiamo per un momento di pensare il mondo nella sua totalità ed in questo momento.
    Bene.
    Cosa sta succedendo dappertutto?
    E chi lo sa cosa sta succedendo!
    Ecco la Storia, allora!
    E’ esattamente questo momento che se ne va nel passato esponenzialmente e non linearmente(100 anni prima dell’anno Mille sono molto più lontani di 100 anni fa!).
    E allora anche gli archivi, che non possono contenere tutti i fatti di quella Storia, non basterebbero cmq a darci la verità.
    La Storia è dunque interpretazione ==> scelta ==> politica.
    Sono vere allora tutte le interpretazioni e allo stesso tempo sono false.
    Per finire, quella mappa dell’eurasia è vera a patto che il centro di diffusione sia la popolazione tra oka e volga dall’anno Mille a venire: prima, quella funzione esponenziale di cui sopra e l’entropia della materia, fanno sprofondare nell’oblio assoluto ogni Storia.
    Ah, dimenticavo: politicamente sono daccordo con chi scrive.

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