28 Aprile 2024
Strade d'Europa

Viaggio alle Colonne d’Ercole – Umberto Bianchi

Avevo già avuto modo di recarmi in lande desertiche qualche anno fa, in quel del Marocco, in occasione di un solitario rendez vouz motociclistico, pertanto il mio periplo alle isole Canarie e specificamente alle isole di Fuerteventura e Lanzarote, avrebbe potuto apparire una più morbida e turistica versione della precedente escursione. Ad una prima occhiata, difatti, ambedue le isole, caratterizzate da una natura arida e desertica,  sono letteralmente disseminate di lottizzazioni realizzate per le “desideranti” masse di turisti del Nord Europa (Gran Bretagna e Svezia , in particolare, oltre a Germania, Olanda, Francia e via discorrendo…). Ma, girando in modo un po’ più approfondito, ambedue le isole, sia sulla costa che nell’entroterra,  a prendere il sopravvento, è tutt’altra sensazione. Le lottizzazioni selvagge, il sostenuto traffico automobilistico, le vocianti turme di bagnanti nordici, vengono, come d’improvviso, annullate, assorbite e disperse, da selvaggi ed aridi contrafforti montuosi, qui e lì punteggiati da sparuti palmeti e da solitari caseggiati in calce bianca o da altrettanto solitari e silenziosi, borghetti coloniali. Dalle aride montagne o dagli altipiani desertici, spesso si aprono solitari squarci di un mare, i cui colori dall’oceanico blu scuro, ad un tropicale perlaceo, si scontrano con lo scuro delle distese di rocce laviche, presenti in ambedue le isole, o con il bianco intenso di un deserto le cui propaggini lambiscono interi tratti di costa, o in una caleidoscopica combinazione di tutti e due gli elementi, determinando uno straordinario ed inusuale effetto cromatico.

Ma, più di tutto, a farla da padrone, ad inseguirti dovunque si vada e ci si possa trovare, a farla da padrone è l’impressione di trovarsi in un vero e proprio “finis terrae”, al cui interno, il concetto di tempo sembra sospeso, senza soluzione di continuità alcuna. Il fatto è che,  la posizione geografica e la conformazione naturale di questo gruppo di isole vulcaniche e la loro stessa storia, finiscono per riportarci alla misteriosa vicenda di Atlantide, della quale, ancor più del Marocco, sembrano rappresentare le ultime contrafforti, sopravvissute ad un’immane evento catastrofico. Quelli di Atlantide e del Diluvio  Universale, sono mitologemi trattati da un po’ tutte le tradizioni e le scuole di pensiero misteriche.  Il primo, in Occidente, a trattarne in modo ufficiale fu Platone, nei suoi dialoghi filosofici del “Timeo” e del “Crizia”, ove narra in modo dettagliato, del tentativo dell’antica e potente monarchia atlantidea di invadere Atene, subendo una sonora sconfitta. Il dio Poseidone, probabilmente irato per tale blasfemo tentativo, avrebbe deciso il suo repentino sprofondamento nelled buie acque dell’Oceano. Di fronte alle accuse di essersi inventato un mito a fini pedagogici, come in effetti il filosofo era solito fare nei suoi innumerevoli scritti, ai suoi detrattori, Platone rispose che lui si era limitato a riportare un precedente mito egizio.

Il mito di Atlantide continuerà, però, ad avere molti convinti ed entusiasti sostenitori, anche in epoca ellenistica, venendo poi ripreso, (dopo una plurisecolare pausa durante l’Evo Medio) in Età Rinascimentale, arrivando integro sino a noi, in piena Età Moderna. Collocato a più riprese in pieno Oceano Atlantico, o nel cuore del Mediterraneo, a Thera (Santorini) o in Sardegna, sino al bel mezzo degli Oceani Indiano e Pacifico, con i nomi di Lemuria e Mu, o addirittura al Polo Nord, quale sede iperborea ed edenica delle genti indoeuropee, quello di Atlantide è un mito che, con la sua inquietante presenza, sta lì a far da metafora all’intero percorso di una civiltà. Atlantide è, innanzitutto,vista quale epicentro e custode di una primordiale sapienza. Riprendendo i motivi platonici ed ellenistici, la teosofa Anne Petrovna Blavatskji e l’antroposofo Rudolf Steiner, andranno oltre, facendo del continente atlantideo, un vero e proprio centro sapienziale da cui si sarebbero dipartite, a varie ondate, i progenitori delle varie razze umane e delle loro susseguenti civiltà. Rudolf Steiner, in particolare, vede in Atlantide una delle fasi che precedono il completo sviluppo della razza umana che, all’epoca fruiva di una costituzione fisica indefinita, tra l’animalesco e l’umano, altresì dotata di spiccate capacità di connessione con la sfera più eterea della realtà e con i suoi spiriti-guida.  Al suo sprofondare, un genere umano più sviluppato, si dipartirà in tutte le direzioni del globo, dando successivamente luogo alle varie civiltà che oggi conosciamo,   perdendo progressivamente il ricordo di quell’antico continente, di cui rimarrà solo qualche vaga e nebbiosa immagine, fissata in mitologemi senza tempo.

E tra i pochi fisici resti del continente atlantideo di cui ci narra Steiner, vi sono proprio quelle isole Canarie, nelle quali il tempo sembra essersi fermato. Ed è proprio sul significato di tempo e della memoria ad esso interrelata, che si dovrebbe appuntare una approfondita riflessione. Quando gli spagnoli arrivarono alle Canarie, poco prima della scoperta delle Americhe, le trovarono abitate da un popolo, i Guanci, praticamente privo di una precisa memoria storica, chiaro di pelle e dai capelli biondi, che lì viveva in uno stato semi primitivo. Una popolazione di origine berbera o gli ultimi diretti discendenti di Atlantide, la cui memoria storica si era annebbiata nel corso dei secoli?  Le lande deserte del Marocco e le immote spiagge delle Canarie, hanno in comune quella atemporalità che, intesa come fine del tempo, segna anche la fine del mondo comunemente conosciuto, come si conviene ad un vero “finis terrae”.  L’antica immagine delle Colonne d’Ercole, ci pone di fronte non solo di fronte all’idea di un “limes” inteso in un’accezione puramente geografica, bensì di fronte all’immagine di un limite alla conoscenza umana ed alla percezione spazio temporale ed alla memoria che ne accompagna il manifestarsi. Una memoria che, lo sprofondamento di Atlantide, porta con sé nelle profondità dell’Oceano e che ci riporta al problema che dovrebbe far da sfondo a tutta questa nostra breve narrazione, cioè quello della perdita della memoria degli eventi che hanno caratterizzato la storia del genere umano e pertanto, delle nostre origini e dell’essenza della conoscenza stessa. E così le Canarie, al pari di altri consimili “finis terrae”, rimangono lì, immote nella loro atemporalità, indifferenti al caotico svolgersi delle umane cose, preservando tra le loro lande desertiche quell’archetipo alone di mistero che, contrariamente a quello che si potrebbe pensare, costituisce un formidabile incentivo all’accrescimento della conoscenza dell’uomo.

UMBERTO BIANCHI

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