10 Aprile 2024
Archeologia Cultura

Verità e leggenda – Rita Remagnino

 

Fino a quando l’archeologia rimarrà chiusa nel suo cartesianesimo?

Fra le migliaia di tavolette ritrovate da Henry Layard nelle rovine della biblioteca di Assurbanipal a Ninive, la Storia della Creazione era contenuta in sette pezzi e la sua somiglianza con quella narrata dal libro della Genesi era fuori discussione. Una volta decifrate, le tavolette furono pubblicate nel 1876 dal grande «detective» della scrittura cuneiforme, l’assiriologo inglese George Smith, che ufficializzò l’esistenza di un testo accadico, incredibilmente più vecchio delle Sacre Scritture e scritto in babilonese antico, che narrava non solo della nascita di Cielo e Terra ma anche della «creazione dell’Uomo da parte di una divinità».

Allargando gli studi ci si accorse che non c’era un solo popolo sulla Terra che non annoverasse nel suo patrimonio culturale una narrazione analoga, la quale prestava il fianco a tutta una serie di speculazioni e ragionamenti. Si trattava di un fatto specifico avvenuto chissà dove e chissà quando, poi condito nelle più svariate salse etniche? In tal caso, dove si collocava il punto di partenza della trasmissione a catena? La Stirpe Rossa originaria aveva introdotto quel ricordo in Eurasia e nelle Americhe, dopo di che ogni popolo l’aveva declinato a modo suo? Oppure erano stati proprio i civilizzatori a romanzarlo, adattandolo al grado di comprensione dei civilizzati? Ma perché gli «dèi» raccontarono ai futuri Sumeri la storia del prelievo di «una delle parti laterali» dell’Adám per dare vita a una compagna? Geneticamente parlando, non era stata l’Eva mitocondriale (150-200mila anni fa) a precedere l’Adamo cromosomico (50-80mila anni fa)?

Qualcosa non quadra, in effetti, nell’apparizione improvvisa, così … pufff! … come per magia, delle caratteristiche biomolecolari che sono specifiche del nostro genere, quelle che hanno reso possibile lo sviluppo del cervello e ci differenziano dai primati. Ma visto che ancora non abbiamo scoperto da dove sono uscite, non possiamo neppure escludere la possibilità che l’uomo «ignorante» dell’antichità sia stato in grado di produrre uno scatto evolutivo con i mezzi a sua disposizione. Sarebbe un bello smacco, ammettiamolo, se un giorno si venisse a sapere che la trama di Enki e dell’Adámá venne intrecciata dai primi Maestri dell’attuale umanità per far passare la «mezza verità» di un tempo lontanissimo in cui conoscenze complesse erano appartenute a un ordine spirituale, tecnico e culturale superiore al nostro.

Dando voce al creazionismo sia la Bibbia che il Talmud affermano attraverso metafore assolutamente comprensibili che noi siamo il prodotto di modificazioni genetiche apportate da un fantomatico «dio» svariate migliaia di anni fa. Ci si può credere o non credere, dipende da noi, ma dare per scontata l’inferiorità di chi ci ha preceduto è un atteggiamento alquanto superficiale. Cosa sappiamo, in fondo, del nostro più remoto passato? La nota filastrocca che tutti abbiamo memorizzato a scuola: la storia della Terra è iniziata 4,5 miliardi di anni fa, quando la massa terrestre si formò come pianeta in orbita attorno al sole; dopo 600 milioni di anni la palla di lava sciolta si raffreddò e produsse una sottile crosta esterna di roccia solida; pozze d’acqua arricchite di minerali cominciarono a prendere forma al di sotto di un’atmosfera di gas semplici, finché nelle pozze di «brodo» primordiale prebiotico apparvero d’un tratto le più primitive forme di vita come risultato della collisione accidentale di molecole; da cosa nasce cosa e gli esseri viventi sarebbero il frutto di una lunga serie di casualità.

Il biologo premio Nobel Francis Crick, co-scopritore della struttura del DNA, non credette mai alla teoria secondo cui la vita era apparsa sulla Terra così, come per magia. Secondo lui le probabilità della «vita istantanea» erano inferiori a quelle dell’assemblaggio di un Boeing 707 da parte di un uragano in un deposito di ferrivecchi. Indipendentemente da quanto sostanzioso potesse essere il brodo prebiotico, o dai miliardi di anni che i suoi ingredienti fossero rimasti a cuocere, era altamente improbabile che persino una sola proteina completamente assemblata, costituita da una lunga catena di aminoacidi, fosse emersa in maniera casuale.

Crick non aveva nulla contro l’idea del brodo prebiotico ma non capiva come il passaggio successivo (la formazione del DNA) avesse potuto verificarsi spontaneamente, o anche semplicemente verificarsi. Era impensabile per il biofisico britannico che un sistema del genere si fosse instaurato «da solo» per poi mettersi a funzionare «di sua iniziativa».

Il vero mistero da svelare, secondo Crick, non era come la vita si perpetuava attraverso la selezione naturale dopo la comparsa sulla scena del DNA ma come il DNA fosse comparso sulla scena. Un modo elegante per dire che la scienza non era riuscita a risolvere l’enigma e, pertanto, l’esistenza di un meccanismo perfetto come il DNA doveva essere considerata di per sé «eccezionale».

Ancora più straordinario era il fatto che ogni cellula vivente, animale, pianta o microbica che fosse, ne contenesse una versione. Alla fine anche un arcirazionalista e ateo dichiarato come Crick dovette ammettere che l’origine della vita era un «mistero», data la quantità di condizioni che sarebbe stato necessario soddisfare per poterle dare inizio, quindi l’ipotesi creazionista non poteva essere archiviata.

Gli Antichi possedevano un’idea più chiara della nostra su chi/cosa avesse orchestrato, o addirittura creato, il «linguaggio» a quattro lettere del DNA insieme al «linguaggio» a venti lettere delle proteine e il meccanismo di traduzione che li collega? O credevano anche loro che fosse tutta una combinazione? Come si spiega allora la presenza nelle mitologie di tutto il mondo di «serpenti gemelli» che si arrotolano l’uno attorno all’altro su un’asse come la doppia elica del DNA? L’ennesima fortuita coincidenza? E che dire dei primi sciamani convinti che il DNA fosse una sorgente da cui sgorgavano messaggi intelligenti in grado di essere decodificati in stati di coscienza alterata? Una casualità anche questa?

Se non vogliono finire dimenticati in una teca come i cocci che spolverano, molti accademici che continuano a mantenere quel modo un po’ snob di considerare le narrazioni tradizionali dovrebbero cambiare atteggiamento. Mentre il fisico, il chimico, il biologo e l’informatico nell’ultimo secolo hanno lavorato con straordinaria vitalità e pensato in modo trasversale, abbandonando l’idea ammuffita che la realtà debba sempre e comunque essere soddisfacente per la ragione, lo storico/archeologo è rimasto chiuso nel suo cartesianesimo.

Il risultato di questo conservatorismo sono i musei di archeologia traboccanti di reperti classificati «oggetti di culto», un modo come un altro per dire che nessuno sa cosa siano. In alcune caverne del Gobi e del Turkhestan i russi hanno scoperto delle mezze sfere di ceramica, o di vetro, terminanti con un cono che contiene una goccia di mercurio. Di che cosa si tratta? Non si sa. L’antropologo J. Alden Mason ha trovato sull’altipiano peruviano ornamenti di platino fuso. Ora, il platino fonde a 1.730° e per lavorarlo occorre una tecnologia molto avanzata. Come avranno fatto quei popoli «primitivi»? Mistero. Ricerche recenti hanno accertato l’esistenza a Baghdad di una società che migliaia di anni fa possedeva il segreto della pila elettrica e il monopolio della galvanoplastica. Nel Medioevo in Francia, Germania e Spagna, si formarono addirittura gilde di tecnici attorno ai «segreti» del vetro minerale flessibile (quello del procedimento semplice per ottenere la luce fredda, tanto per capirci) e del fuoco greco ottenuto con olio di lino coagulato con la gelatina, che poi sarebbe l’antenato del napalm.

 

 

Troppe vicende legate al nostro passato sono ancora in attesa di essere svelate. Vale lo stesso discorso per tante creature mitiche associate a presunte «divinità», le quali, in realtà, non hanno mai avuto nulla di soprannaturale, essendo retaggi di epoche remotissime parzialmente stravolti dall’ignoranza di popoli imbarbariti e logorati dall’inclemenza del tempo.

Erroneamente ritenuti «fantastici» anche alcuni grandi rettili come i draghi, per esempio, sono stati considerati fino a non molto tempo fa il frutto dell’immaginazione popolare. Una volta, però, che l’idea della loro imponente presenza sulla Terra fu accettata più largamente, da tutto il pianeta cominciarono a spuntare resti di dinosauri. Ora nessuno oserebbe negarne l’esistenza.

Persino fatti liquidati in precedenza come «strabilianti», cioè irreali, oggi stanno trovando riscontri. Vedasi, ad esempio, la vicenda delle piaghe d’Egitto e l’attraversamento «miracoloso» del mare, eventi poi spiegati con la lunga serie di cataclismi che devastarono le regioni a ridosso del Mediterraneo tra il 1900 e il 600 a.C. Oppure l’esistenza di Ninive, confermata dagli scavi che l’hanno riportata alla luce. O il misterioso popolo chiamato Chittim, materializzatosi con la scoperta di Hattusa, la prima città hittita in Turchia. Eccetera, eccetera.

Anche i professori tengono famiglia, per cui una certa pusillanimità tutta politica della categoria è da mettere in conto, ma finché continueremo a snobbare certi enigmatici ritrovamenti, considerando assurdo tutto ciò che le conoscenze odierne non riescono a spiegare, rimarremo al palo. A chi afferma oggi che gli esperimenti di ingegneria genetica di Enki sono futile mitologia, non viene il sospetto che potrebbero avere la stessa reazione i posteri quando, magari tra 12mila anni, troveranno tracce di pratiche mediche come la fecondazione eterologa e l’utero in affitto?

Qualcuno sa spiegare per quale motivo gli Antichi sentissero il bisogno di raccontare che il sesso non era l’unico mezzo per fare i bambini? E come la mettiamo con il lungo elenco delle «madri vergini»? Convenzionalmente si interpretano queste narrazioni come allegorie volte ad evocare in senso metafisico il concetto dell’universo plasmato dal nulla, del vuoto; ma siamo sicuri di essere sulla strada giusta? In fondo, abbiamo sposato una causa tra decine di altre con pari dignità.

C’è da chiedersi se i sicuri-del-fatto-loro non provino qualche imbarazzo nel constatare che popoli appartenuti a culture lontane e differenti abbiano usato contemporaneamente la stessa metafora. Che motivo aveva gente concreta che basava ogni aspetto del quotidiano sulla perfezione dei numeri di adottare un’idea così strampalata? Perché andare a disturbare delle ingenue fanciulle, quando il concetto poteva essere riassunto in un segno, o espresso con un numero?

Sull’argomento non mancano storie di pura fantasia come quella della giovane fecondata da una pianta narrata dal Popol Vuh, oppure da un mirtillo, come racconta il Kalevala, o la nascita prodigiosa del messicano Huitzilopochtli generato da una pallottola di piume caduta tra i seni della futura madre. A titolo di ciliegina sulla torta mettiamoci pure l’immagine del dio frigio della vegetazione Attis, amato per la sua travolgente bellezza dalla dea della fertilità Cibele, che fu concepito il giorno in cui sua madre, la vergine Nana, si mise in seno una mandorla. Ma non tutti i racconti che ci sono pervenuti sono il frutto di un’ignoranza puerile. Caso mai, è ingenuo pensare che gente navigata come quella di cui stiamo parlando «non avesse identificato ancora l’atto sessuale come causa della procreazione».

Ma a chi vogliamo darla a bere? Popolazioni di agricoltori e allevatori che ormai da millenni moltiplicavano il bestiame per vivere, credevano che i bambini nascessero sotto i cavoli? E poi, perché tutte queste vergini davano sempre alla luce neonati sui generis che finivano per diventare personaggi eminenti, re e condottieri, profeti e poeti? Se invece queste «favole» fossero ricordi degenerati di remote fecondazioni artificiali capaci, forse, chissà, vallo a sapere, di dare al nascituro la fatidica «marcia in più»? Crediamo davvero di essere gli inventori assoluti della nascita assistita? Pensiamo sul serio che l’eugenetica sia nata con Francis Galton, cugino del più celebre Charles Darwin? Questa, sì, è buona come favola.

 

 

Chiaramente la struttura esterna, la forma e lo stile di miti e leggende confezionati a scopo educativo e/o celebrativo hanno dovuto adattarsi ai tempi e ai popoli, spesso volgarizzandosi. Nel corso del tempo qualche ghirigoro sarà anche stato aggiunto ma i concetti, le idee e i modelli culturali veicolati, sui quali tra l’altro sono cresciute generazioni di uomini, si sono mescolati all’immensa e tumultuosa comunità umana lottando ostinatamente in difesa del diritto di tramandare la propria eredità degli antenati, e sono sopravvissuti in barba a tutto.

Così come il nostro sapere oggi è diviso, frammentato, parcellizzato da schiere di scientisti in carriera, quello degli Antichi era omnicomprensivo e può darsi che ad un certo punto uomini «superiori» abbiano ritenuto opportuno cominciare ad impastare verità e leggenda nella stessa creta, nello stesso fango, per essere compresi ed incidere in modo significativo sulla crescita di uomini più arretrati.

Ci sarà pure una ragione se in ogni angolo del mondo si sente parlare di Fratelli Maggiori che hanno contribuito allo sviluppo e all’emancipazione di Fratelli Minori. Né è campata in aria l’idea dell’esistenza, alle Origini dell’attuale Ciclo umano, di una grande e avanzata cultura planetaria che sparpagliò in ogni angolo della Terra i semi della conoscenza. Non tutti i nostri primi antenati erano «uomini primitivi», rozzi e anche brutti da vedere, clava in mano e pelle di pecora addosso. Qualcuno lo sarà anche stato, questo è ovvio, ma sempre accanto a individui selvatici ce ne sono stati altri di livello superiore. Un’umanità totalmente troglodita non avrebbe potuto architettare costruzioni oggi irrealizzabili insieme a un’enciclopedia di miti e leggende che dopo di allora nessuno ha più saputo concepire.

Apriamoci, manteniamoci possibilisti. Il futuro necessita di nuove visioni del mondo, di nuove strategie e della consapevolezza che, al di là delle credenze di ognuno, esistono dei principi fondamentali dai quali non si può prescindere per il semplice motivo che non siamo stati noi a scrivere le regole del gioco. Se di «leggenda» si vuole parlare, si parli piuttosto di quella nella quale siamo attualmente immersi senza sapere di esserlo. Dopo averci separato dalla Natura, consolandoci con l’idea di salvaguardia di un ambiente ormai totalmente altro rispetto all’umanità, i Narratori Universali oggi stanno allontanando l’uomo dall’uomo con la scusa di un virus a bassa letalità, il Covid-19. Ammaliati da questa narrazione moltissime persone hanno smesso addirittura di vivere, adattandosi a fare le comparse in un film planetario che proietta l’immagine di un uomo non più uomo impegnato a rendersi asettico e impermeabile ad ogni relazione potenzialmente pericolosa con i suoi simili. Il pubblico è genuflesso davanti al nuovo sovrano taumaturgo capace di dare la guarigione: la Scienza Tecnocratica. Sarebbe questa la realtà?

Rita Remagnino

 

 

Ricercatrice indipendente, scrittrice e saggista, Rita Remagnino proviene da una formazione di indirizzo politico-internazionale e si dedica da tempo agli studi storici e tradizionali. Ha scritto per cataloghi d’arte contemporanea e curato la pubblicazione di varie antologie poetiche tra cui “Velari” (ed. Con-Tatto), “Rane”, “Meridiana”, “L’uomo il pesce e l’elefante” (ed. Quaderni di Correnti). E’ stata fondatrice e redattrice della rivista “Correnti”. Ha pubblicato la raccolta di fiabe e leggende “Avventure impossibili di spiriti e spiritelli della natura” e il testo multimediale “Circolazione” (ed. Quaderni di Correnti), la graphic novel “Visionaria” (eBook version), il saggio “Cronache della Peste Nera” (ed. Caffè Filosofico Crema), lo studio “Un laboratorio per la città” (ed. CremAscolta), la raccolta di haiku “Il taccuino del viandante” (tiratura numerata indipendente), il romanzo “Il viaggio di Emma” (ed. Sefer Books). Ha vinto il Premio Divoc 2023 con il saggio “Il suicidio dell’Europa” (ed. Audax Editrice). Attualmente è impegnata in ricerche di antropogeografia della preistoria e scienza della civiltà.

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