9 Aprile 2024
Tradizione Primordiale

STRADE DEL NORD. Il tema delle Origini Boreali in Herman Wirth e negli altri – Parte 23 – Michele Ruzzai

(alla fine dell’articolo, prima delle Note, è presente il link dell’articolo precedente)

 

10 – I tempi tardo-paleolitici

 

10.1 – La cultura magdaleniana

 

Il Magdaleniano, ultima grande cultura paleolitica della quale ci rimangono, tra le altre, le famose rappresentazioni rupestri di siti quali Lascaux datate a 18.000 anni or sono, o di Les Trois Frères risalenti a 13-17.000 anni fa (1007), è menzionato più di una volta da Herman Wirth, il quale nelle sue ricostruzioni sembra collocarlo in un orizzonte etno-culturale eminentemente sudatlantico: quindi, visto il lungo tempo ormai trascorso dagli esordi “prenordici” del Treta Yuga – almeno 20.000 anni – in un quadro che è plausibile immaginare piuttosto distante da rimandi, forme e stirpi direttamente collegabili al Nord.

Tuttavia al periodo magdaleniano il Nostro non manca di attribuire anche diversi ritrovamenti che, invece, verso Settentrione sembrerebbero puntare in modo ancora piuttosto diretto, quali alcuni tratti grafici identificati come runici, o le marcate somiglianze espressive accostabili addirittura alla cultura eschimese, affinità peraltro rilevata pure da altri autori (1008) soprattutto nei confronti degli Inuit della Groenlandia e del Labrador: aspetto desumibile anche in riferimenti molto caratteristici come ad esempio la rappresentazione del kayak, che Breuil riconosceva in alcuni graffiti paleolitici della grotta spagnola di Altamira.

Tale compresenza di elementi oceanici e di altri più schiettamente boreali – se non proprio contraddittoria, quanto meno di non semplicissima riconciliazione – potrebbe quindi suggerire un’interpretazione del Magdaleniano non solo come fenomeno rigidamente incasellabile nel ciclo atlantico-meridionale, dove i temi dell’Occidente sembrano oscurare quelli del Settentrione, ma piuttosto come grande alveo culturale nel quale confluì sia l’ultima “coda” migratoria sudatlantica, ma anche, nei sui primi esordi, la “testa” di quel successivo ciclo nordatlantico che ebbe a svilupparsi soprattutto in tempi tardo- e post-glaciali: un’interpretazione che, in fondo, lo stesso Wirth pare implicitamente avallare quando, parlando delle migrazioni nordatlantiche – le approfondiremo più avanti – ne segnala l’effettiva sovrapposizione con le genti magdaleniane, alle quali, dunque, dovevano per forza di cose essere contemporanee. Una posizione, quest’ultima, che sembra anche coerente con quella dell’etnologo Leo Frobenius, il quale considerava la civiltà franco-cantabrica di Altamira ed il Magdaleniano come fenomeni di origine essenzialmente nordico-occidentale (1009).

Abbiamo inoltre già visto che, grossomodo a partire dall’ultimo terzo dell’attuale Manvantara, si era progressivamente consolidato il centro euro-nordorientale dell’Airyana Vaējah, dalla quale, in corrispondenza dell’Ultimo Massimo Glaciale (LGM) di 20-22.000 anni or sono, erano comunque già usciti alcuni precocissimi flussi “ario-uralici” di traiettoria soprattutto continentale in direzione Sud e Sudovest, correlabili alla nascita della cultura solutreana; tuttavia, attorno a 16.000 anni fa, si verificò un ulteriore importante evento geoclimatico, ovvero sul Mar di Barents venne a spezzarsi la continuità del fronte glaciale che aveva saldato la calotta scandinava a quella più orientale, estesa sulla Novaja Zemlja e le isole Svalbard (1010), come parte della lunghissima muraglia posta tra l’Irlanda e la Terra di Francesco Giuseppe che, fino a quel momento, aveva praticamente bloccato sul versante Nord qualsiasi comunicazione tra il Settentrione d’Europa e l’Oceano Atlantico. L’apertura di tale varco creò quindi un’ulteriore via di fuga dall’Urheimat ario-uralica della Nenezia, ora però puntata verso Ovest-Sudovest – cioè attraverso il Mar di Norvegia e forse alcune aree ivi emerse, come ipotizzato in precedenza – che probabilmente iniziò ben presto ad essere utilizzata da altri flussi migratori in uscita dall’Airyana Vaējah: a ben vedere, si tratta del medesimo itinerario teorizzato da Felice Vinci nel suo recente libro (1011), anche se a suo avviso sarebbe stato percorso in senso opposto, cioè dal Nordatlantico verso la foce del fiume Pechora ed in tempi molto posteriori rispetto a quelli dell’Ultimo Massimo Glaciale.

Inoltre, non sarebbe da escludere che in zona venne ad aprirsi anche un ulteriore, seppure angusto, sentiero praticabile lungo la costa norvegese, letteralmente schiacciato tra il Mare di Norvegia ed il bordo occidentale della calotta scandinava in progressiva contrazione: l’ipotesi non ci sembra affatto inverosimile se ad esempio la confrontiamo con quella che per buona parte del popolamento nordamericano postula l’esistenza di uno strettissimo passaggio sulle Montagne Rocciose, il già menzionato “corridoio Yukon-Alberta” compresso tra il ghiacciaio Laurentide ad Est e quello della Cordigliera ad Ovest (1012), il quale, con i suoi 1.900 km (1013), fu lungo almeno il doppio del probabile sentiero norvegese. Anche un’altra plausibile via colonizzatoria nordamericana, quella che si immagina sia partita dalle Aleutine / Alaska meridionale per scendere lungo la costa dell’Oceano Pacifico – con la calotta della Cordigliera ad incombere nell’immediato retroterra, a Oriente – doveva aver comportato un modello migratorio molto simile a quello che qui ipotizziamo per il tratto costiero nord-scandinavo.

Se poi a tutto ciò aggiungiamo che, fin da almeno 18.000 anni or sono, pure il Doggerland risultava completamente emerso ed anche quasi del tutto deglacializzato, ne risulta un quadro nel quale potrebbe essere plausibile l’ipotesi dell’arrivo nell’Occidente euro-atlantico di alcune correnti migratorie da nordest che si sarebbero stanziate nella vasta pianura ora sommersa dal Mare del Nord, ma in parte proseguendo anche oltre ed andando così ad innestarsi nella più meridionale cultura magdaleniana del sudovest europeo: ora però giungendo nell’area attraverso percorsi nettamente più nordoccidentali/nordscandinavi/costieri rispetto a quelli eminentemente continentali/centro-esteuropei che qualche millennio prima avevano concorso alla formazione del Solutreano.

I risultati di tali ingressi, ad esempio, potrebbero essere costituiti dal manifestarsi della cultura ahrensburghiana, sulla quale torneremo, e che nel quadro della già incontrata “Teoria della continuità” viene significativamente ipotizzata da Mario Alinei come già associabile a popolazioni di ceppo proto-germanico (1014): idea che forse retrodata eccessivamente l’enucleazione di quello specifico sottogruppo linguistico, ma che tuttavia presenta un’intrigante similitudine con l’analoga ipotesi di Herman Wirth sull’etnia dei Tuatha Dé Danann giunti nella terra di Polsete (appunto, l’antico Doggerland) sebbene collocabili in tempi più tardi. Su questa enigmatico popolo ricordato nel mito celtico avremo modo di soffermarci più avanti, ma tale accenno ci serve ora per tornare su un tema già sfiorato in precedenza, ovvero quello relativo all’incontro/scontro tra “Rossi” e “Bianchi” che iniziò già con le prime fasi dell’Ultimo Massimo Glaciale e dovette protrarsi per diversi millenni. Ricordiamo che Julius Evola propone l’interessante accostamento tra i Tuatha Dé Danann e la stirpe di Eracle menzionata nel mito ellenico, come anche tra la più antica razza dei Nemediani e quella di Kronos (1015): in una imprecisata terra boreale, segnala Plutarco di Cheronea, i due popoli si sarebbero mescolati (1016) ed i “compagni di Eracle” potrebbero aver rappresentare le genti europee (1017) – quindi “bianche” ed “eroiche” – che, nel quadro del ciclo nordatlantico, dal nordest del nostro continente sarebbero penetrate in tempi tardo-paleolitici nei suoi settori più occidentali. D’altro canto, sul piano mitologico si può scorgere una sorta di parallelismo tra le leggende relative a Nemed e a Kronos (1018) ed anche rilevare come quest’ultimo, in termini geografici, sia significativamente accostabile alla Groenlandia (1019), il cui stesso nome potrebbe essere interpretato non secondo la consueta etimologia di “Grønland – Terra verde” ma, come propone Felice Vinci, di “Kronland – Terra di Crono” (1020); tema probabilmente confermato dal fatto che nell’antica geografia classica, il “mare Cronio” degli Elleni, o il “mare Cronide” dei Romani, corrispondeva proprio ai lembi più nordici dell’Atlantico settentrionale (1021), dove appunto la Groenlandia si affaccia.

Va comunque anche riconosciuto che le analogie proposte lasciano spazio a diverse interpretazioni e certamente non forniscono una struttura di corrispondenze precisa ed assoluta: nelle analisi di Herman Wirth non sembra infatti che i Tuatha Dé Danann identifichino completamente il ciclo nordatlantico, ma che piuttosto ne rappresentino solo una delle ondate più recenti. Inoltre, non ci sentiremmo nemmeno di escludere che la funzione dei Nemediani possa, nella sua analogia con la gente di Kronos, sovrapporsi a quella esercitata dalla stessa stirpe dei Fomoriani, nella misura in cui questi ultimi avrebbero rappresentato, almeno nel quadrante occidentale del pianeta, la primissima uscita extra-artica del ceppo primordiale paleocaucasoide, fatto testimoniato dal mantenimento, come detto in precedenza, del gruppo sanguigno “O” che dovette essere quello primordiale.

E’ dunque evidente che ci muoviamo in un quadro fortemente ipotetico, come peraltro è inevitabile in relazione a vicende così antiche e nebulose.

Tuttavia è importante che non ci sfugga il fondamentale dato di base, ovvero quello di un probabilissimo incontro – verificatosi in tempi tardoglaciali ed in un’area genericamente collocabile tra il Nord e l’Ovest d’Europa – fra un gruppo di popolazioni nordorientali, dall’enucleazione etnica più recente e forse più depigmentate (autosomicamente in prevalenza “ANE”?), con altre più occidentali, dalla radice più antica e probabilmente meno depigmentate delle prime (autosomicamente in prevalenza “WHG”?): un quadro che forse potrebbe spiegare anche il tema, già incontrato nel Mito norreno, dell’incontro-scontro tra Æsir nordici e Vanir occidentali, o quello platonico delle ripetute mistioni verificatesi in terra atlantica ricordate soprattutto nel “Crizia”, con vari esiti di carattere etnico, come vedremo nel prossimo paragrafo.

La Grecia ci propone anche qualche ulteriore elemento che, adottando un punto di vista “non convenzionale”, potrebbe essere letto in questa stessa direzione: ad esempio nell’episodio degli Argonauti inseguiti dai Colchi, sempre secondo Felice Vinci, la loro terra di provenienza, la Colchide, potrebbe corrispondere alle isole Lofoten della Norvegia settentrionale, come è pure significativo il fatto che i Colchi non solo giungano in Islanda ma inizino anche a colonizzarla (1022), evidenziando quindi come il loro ingresso in area nordatlantica assuma un significato ben più importante, e gravido di possibili conseguenze etniche, rispetto a quello di un’occasionale sortita.

Anche il mito di Eracle ci fornisce qualche spunto che, in quest’ottica, sembra piuttosto interessante. L’eroe, nella sua undicesima fatica, parte per andare a rubare i “pomi d’oro” nel giardino di quelle Esperidi che sono notoriamente simbolo dell’Occidente geografico (1023): oltretutto, è un Eracle da Euripide significativamente ricordato come biondo (1024) e che intraprende il suo viaggio percorrendo, secondo alcune narrazioni, un tragitto molto settentrionale (1025). Inoltre, non trascurabili connessioni della figura di Eracle con il mondo nordico si trovano anche in Pindaro e Tacito (1026) e tratti arcaico-sciamanici dello stesso furono opportunamente messi in luce da Buckert (1027): quindi, a nostro avviso, rafforzando l’idea di un contesto etno-culturale di riferimento prevalentemente nordorientale e prossimo a quello siberiano, analogamente a quanto in precedenza aveva già evidenziato Perseo.

Peraltro, un’ulteriore versione del mito segnalata da Dionigi di Alicarnasso sembra confermare il racconto sull’antica mescolanza nordoccidentale delle diverse stirpi caucasoidi, quando viene menzionata l’unione di Eracle con l’atlantide Asterope, dalla quale sarebbero nati Ibero e Celta, capostipiti degli omonimi popoli che successivamente popolarono l’Ovest europeo (1028); da questo punto di vista, quindi, potrebbe almeno in parte avere un senso la teoria sostenuta nei primi anni del secolo scorso dal tedesco Willy Pastor, secondo il quale Atlantide era stata “una provincia culturale del Nord Europa” (1029), abbozzando quindi l’idea di una possibile revisione crono-logica delle influenze vicendevolmente esercitate tra le due aree – il Nord e l’Ovest – ed evidenziando anche una certa analogia con quanto si era già accennato in precedenza sulla ridiscussione dei rapporti intercorrenti fra la tradizione celtica e quella atlantidea.

A nostro avviso, comunque, il tema dell’unione di diverse genti nelle terre oceaniche euro-nordoccidentali pare in qualche modo intrecciarsi – rendendo tale fase, va ammesso, alquanto magmatica e confusa – con il problema di quello che potremmo definire come “doppio ciclo” atlantideo. Già infatti René Guénon ricordava che probabilmente esistevano due Atlantidi, cioè una meridionale ed una settentrionale, anche se forse in origine queste non erano separate (1030). E’ un punto sul quale, a nostro avviso, pure Julius Evola sembrava convenire quando, entrando più nel dettaglio rispetto al metafisico francese, definiva l’Età del Bronzo come “secondo periodo atlantico” che è presumibile fosse connotato da caratteri di una maggiore settentrionalità rispetto al periodo precedente, definito infatti “ciclo atlantico meridionale” (1031): ciclo che sembrerebbe visibilmente richiamare la fase “sudatlantica” di Herman Wirth, con la terra oceanica, come già detto, popolata dai “Prenordici” soprattutto a partire dal continente americano (quella “Gava dove abitano i Sughdhas”) ed ivi ospitante la gestazione dei Fomori / Cro-Magnon, con successiva penetrazione di questi in Europa già forse in tempi aurignaziani, ma soprattutto in corrispondenza del Gravettiano di cultura matriarcale.

Se, per l’arco temporale relativo al “secondo periodo atlantico” – quello cioè di impronta più boreale – interpretiamo il summenzionato riferimento evoliano all’Età del Bronzo come allusione al Dvapara Yuga, non possiamo non rilevare che nel mito indù, almeno secondo la cronologia “Guénon/Georgel”, tale fase si sarebbe grossomodo estesa, in totale, fra 20.000 e 6.500 anni or sono: quindi ricomprendendo al suo interno anche il “Diluvio noaico” il quale, come vedremo, dovette verificarsi circa 13.000 anni fa e colpì soprattutto i settori oceanici più meridionali, lasciando però emerse diverse terre nel Settentrione quali ultime eredi della fase nordatlantica (1032). Ma, appunto, già tra 20.000 e 13.000 anni or sono la prima metà di tale fase, più boreale, si era dispiegata, così però venendo a sovrapporsi all’ultima “coda” del ciclo sudatlantico il quale, secondo la prospettiva di Herman Wirth, sarebbe infatti stato ancora ben vitale fino all’epoca del Magdaleniano iniziato 17.000 anni fa: ecco dunque perchè tale cultura tardopaleolitica, anche sulla base di queste considerazioni di ordine più ciclico-tradizionale, si conferma aver rappresentato un grande alveo nel quale confluirono influenze etno-culturali diverse, sia sud- che nord-atlantiche e pure schiettamente artiche, con testimonianze in tal senso disseminate fino a latitudini relativamente basse, come quelle rinvenute nelle grotte spagnole (1033).

A ben vedere, analoghe sovrapposizioni e diversificate compresenze potrebbero essere individuate anche nella stessa figura di Atlante che, da un lato, in quanto Titano sembrerebbe più facilmente associabile alla schiera che fa capo a Kronos – e quindi rappresentare la componente razziale “rossa” e cromagnoide meno depigmentata – ma dall’altro parrebbe invece collocabile in una posizione più prossima al mondo “Ario” – e quindi rappresentare la componente “bianca” – se considerato piuttosto come figlio di Giapeto, il cui significato etnico è stato storicamente associato, attraverso lo Jafet biblico, alle popolazioni nordico-indoeuropee di contro a quelle camitiche e semitiche rispettivamente connesse ai due fratelli Cam e Sem.

E’ quindi presumibile che tali sovrapposizioni concettuali possano aver indotto taluni a cercare in un’Atlantide, più o meno boreale, le origini prime delle popolazioni “Arie” ed indoeuropee (1034); ma se autori come ad esempio Ignatius Donnelly, Karl Georg Zschaetzsch (1035) e, per certi versi, anche lo stesso Herman Wirth, hanno collegato il tema dell’ “arianità” e/o di “indogermanicità” a quello di “Occidente”, riteniamo abbiano battuto una strada che, se non erronea, ci sembra comunque incompleta e relativa solo ad una sezione molto parziale del lungo cammino percorso dalla nostra famiglia etnolinguistica. Ciò, a meno di non operare una precisa e più che opportuna distinzione tra i due concetti essenziali di “Ario” e di “Indoeuropeo”: ovvero considerando il primo in chiave più razziale-aurorale, omnicomprensiva e, come già detto, in qualche modo collegata alla categoria esiodea degli Heroes, ed il secondo come il suo punto di approdo finale (1036) soprattutto sul piano linguistico e riferito alle sole popolazioni indogermaniche stricto sensu, cioè quelle proto-storicamente attestate in tempi relativamente recenti e già sulla via di sub-differenzarsi nei vari sottogruppi interni (celtico, romanzo, germanico, slavo…).

Ebbene, sotto tale necessaria premessa, gli “Indoeuropei propriamente detti” potrebbero effettivamente essersi enucleati, come vedremo, in un’area del nordovest euro-atlantico ed in tempi, grossomodo, mesolitici o anche arcaico-neolitici; ma, lo ricordiamo ancora, questo passaggio a nostro avviso rappresenterà solo la terza ed ultima fase – che chiameremo “ario-europea” – della nostra storia, i cui esordi però affondano le radici fin nelle profondità del Paleolitico ed in quei primordi “ario-uralici” di cui si è già ampiamente detto in precedenza. E tuttavia, nella presente trattazione, il nostro cammino non è ancora giunto a questo terzo snodo, né le nostre genti hanno ancora completato il passaggio dei loro dialetti da uno stadio agglutinante ad uno definitivamente flessivo. Tale specificazione etnica è ancora in fieri e la situazione – con un’Europa che, nel Nord, muove verso l’Atlantico – si presenta linguisticamente e razzialmente magmatica: infatti, dopo gli esordi “ario-uralici” e prima di giungere all’anzidetto traguardo finale “ario-europeo”, il passaggio verso il quale ci stiamo approssimando adesso, in tempi tardo-paleolitici, sarà contraddistinto da una serie di migrazioni che, a latitudini più mediterranee, evidenzieranno un riflusso di direzione quasi opposta a quelle immediatamente precedenti, e cioè ora “orizzontalmente” da Ovest verso Est (1037).

Movimenti umani inquadrabili in quella fase della nostra storia che, appunto, fu intermedia tra la prima “ario-uralica” e la terza “ario-europea”: ovvero la seconda, definibile come “ario-occidentale” o “ario-atlantica”, sulla quale si focalizzerà il prossimo paragrafo.

 

 

Link articolo precedente:

 

Parte 22

 

 

NOTE

 

1007.  Telmo Pievani – Homo Sapiens. Il cammino dell’umanità – De Agostini – 2012 – pag. 89

 

1008.  Renato Biasutti – Razze e Popoli della terra – UTET – 1967 – vol. 4 – 361; Eurialo De Michelis – L’origine degli indo-europei – Fratelli Bocca Editori – 1903 – pag. 332

 

1009.  Julius Evola – Preistoria Libica (dal Corriere Padano dd. 22/2/1936) – in: Julius Evola, I testi del Corriere Padano, Edizioni di Ar, 2002, pag. 175

 

1010.  Luigi Bignami – 10.000 anni fa, alla fine dell’ultima glaciazione – Focus.it – 02/07/2017 – https://www.focus.it/ambiente/natura/10000-anni-fa-alla-fine-di-ultima-glaciazione?fbclid=IwAR03IJeE6Pum81vGRYkqOeWOKnqXp0TeexG9X7U_MOYyBA79OOJZgeeFyL8

 

1011.  Felice Vinci – I misteri della civiltà megalitica – La clessidra edizioni – 2020 – pag. 257

 

1012.  Ivan Briz Godino – Chi erano i primi veri abitanti d’America? – Storica National Geografic – 23/9/2020 – https://www.storicang.it/a/chi-erano-i-primi-veri-abitanti-damerica_14630

 

1013.  Heather Pringle – I primi americani – in: Le Scienze, Gennaio 2012, pag. 62

 

1014.  Mario Alinei – Un modello alternativo delle origini dei popoli e delle lingue europee: la “teoria della continuità” – in: AA.VV (a cura di Gianluca Bocchi e Mauro Ceruti), Le radici prime dell’Europa. Gli intrecci genetici, linguistici, storici, Mondadori, 2001, pag. 188

 

1015.  Julius Evola – Il mistero del Graal – Edizioni Mediterranee – 1997 – pagg. 50, 51

 

1016.  Martino Menghi – L’utopia degli Iperborei – Iperborea – 1998 – pag. 95

 

1017.  Felice Vinci – I misteri della civiltà megalitica – La clessidra edizioni – 2020 – pag. 294

 

1018.  Felice Vinci – I misteri della civiltà megalitica – La clessidra edizioni – 2020 – pag. 64

 

1019.  Felice Vinci – I misteri della civiltà megalitica – La clessidra edizioni – 2020 – pagg. 172, 289

 

1020.  Felice Vinci – I misteri della civiltà megalitica – La clessidra edizioni – 2020 – pag. 173

 

1021.  Julius Evola – L’aurora dell’umanità. Popolazioni primordiali abitarono forse il Polo Nord – in: Julius Evola, Il mistero dell’Occidente. Scritti su archeologia, preistoria e Indoeuropei 1934-1970, a cura di Alberto Lombardo, postfazione di Giovanni Monastra, Quaderni di testi evoliani n. 53, Fondazione Julius Evola, 2020, pag. 110; Marco Goti – Atlantide: mistero svelato. L’isola di Platone – Pendragon – 2017 – pagg. 139, 171; Felice Vinci – I segreti di Omero nel Baltico. Nuove storie della preistoria – Leg Edizioni – 2021 – pag. 72

 

1022.  Marco Goti – Atlantide: mistero svelato. L’isola di Platone – Pendragon – 2017 – pagg. 139, 140

 

1023.  René Guénon – Il Re del Mondo – Adelphi – 1997 – pag. 97; Felice Vinci – I misteri della civiltà megalitica – La clessidra edizioni – 2020 – pag. 201

 

1024.  Adriano Romualdi – Gli Indoeuropei. Origini e migrazioni – Edizioni di Ar – 1978 – pag. 160

 

1025.  Ezio Albrile – Iperborea. Il mito polare tra simbologia, estasi e immaginazione – Il Cerchio – 2018 – pag. 38; Aide Ceschi Piazza – I figli di Atlantide. Il dialogo delle razze noetiche nel mito di Heracle e Teseo – Todariana Editrice – 1980 – pag. 136; Karoly Kerenyi – Gli dei e gli eroi della Grecia – Il Saggiatore – 2001 – pag. 400; Julius Evola – Rivolta contro il mondo moderno – Edizioni Mediterranee – 1988 – pag. 280

 

1026.  Felice Vinci – I segreti di Omero nel Baltico. Nuove storie della preistoria – Leg Edizioni – 2021 – pag. 425

 

1027.  Andrea Piras – Dialettiche dell’estasi. Sciamanesimo iranico e Zoroastrismo – in: AA.VV. – Le origini sciamaniche della cultura europea – Quaderni di studi indo-mediterranei VII (2014) – Edizioni dell’Orso – pag. 157

 

1028.  Thierry Jolif – I Druidi. Gli ultimi rappresentanti della Tradizione primordiale – Edizioni L’Età dell’Acquario – 2021 – pag. 134

 

1029.  Franz Wegener – Il Terzo Reich e il sogno di Atlantide – Lindau – 2006  pag. 94

 

1030.  René Guénon – Forme tradizionali e cicli cosmici – Edizioni Mediterranee – 1987 – pag. 29

 

1031.  Julius Evola – Rivolta contro il mondo moderno – Edizioni Mediterranee – 1988 – pag. 281

 

1032.  Julius Evola – Il mito del sangue – Edizioni di Ar – 1978 – pag. 165

 

1033.  Kurt Pastenaci – La luce del nord. Le fondamenta nordiche dell’Europa – Editrice Thule Italia – 2018 – pag. 18

 

1034.  Giuseppe Acerbi – L’Isola Bianca e l’Isola Verde – Simmetria Associazione Culturale – pag. 8 – http://www.simmetria.org/images/simmetria3/pdf/Rivista_41_2016_A5_booklet.pdf; Felice Vinci – I misteri della civiltà megalitica – La clessidra edizioni – 2020 – pag. 219

 

1035.  Davide Bigalli – Il mito della terra perduta. Da Atlantide a Thule – Bevivino Editore – 2010 – pag. 172; Charles Berlitz – Il mistero dell’Atlantide – Sperling Paperback – 1991 – pag. 13; Franz Wegener – Il Terzo Reich e il sogno di Atlantide – Lindau – 2006  pagg. 40, 41; Lyon Sprague de Camp – Il mito di Atlantide e i continenti scomparsi – Fanucci – 1980 – pag. 92; Karl Georg Zschaetzsch – Atlantide. La patria ancestrale degli Ariani – Editrice Thule Italia – 2021 – pag. 11

 

1036.  Giuseppe Acerbi – L’Isola Bianca e l’Isola Verde – Simmetria Associazione Culturale – pag. 6 – http://www.simmetria.org/images/simmetria3/pdf/Rivista_41_2016_A5_booklet.pdf

 

1037.  Julius Evola – L’ipotesi iperborea – in: Arthos, n. 27-28 “La Tradizione artica”, 1983/1984, pag. 11; Julius Evola – La Tradizione di Roma – Edizioni di Ar – 1977 – pag. 29; Julius Evola – Panorama razziale dell’Italia preromana – in: La difesa della Razza, n. 16, 1941 (nel fascicolo: Le razze e il mito delle origini di Roma, Sentinella d’Italia, 1977, pag. 7); Julius Evola – Rivolta contro il mondo moderno – Edizioni Mediterranee – 1988 – pag. 244; Julius Evola – Sintesi di dottrina della razza – Edizioni di Ar – 1978 – pag. 158

 

 

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