11 Aprile 2024
Ahnenerbe

Una Ahnenerbe casalinga, settantaduesima parte – Fabio Calabrese

Forse potrà sembrare strano, ma, sebbene la parte precedente, la settantunesima parte del nostro lavoro sia stata dedicata all’aggiornamento dell’attività dei gruppi FB e si sia trattato di un articolo di maggiore ampiezza del solito, anche stavolta sarà opportuno procedere sulla stessa falsariga. Il motivo di ciò, in realtà è semplice: la scorsa volta mi sono dovuto fermare alla fine di febbraio per evitare che l’articolo diventasse chilometrico e, come vi sarete accorti, in realtà mi sono limitato a farvi un rendiconto del lavoro del solo MANvantara trascurando gli altri gruppi. Certamente, è vero che quello del nostro amico Michele Ruzzai è un pò il principale di questi gruppi, il primo e quello maggiormente seguito, e che molti post compaiono contemporaneamente su più di un gruppo, ma certamente la sintesi fatta nell’articolo precedente non può vantare la completezza.

Non sarà forse fuori luogo cominciare con il darvi un breve sunto della serie di conferenze con scadenza mensile (l’ultimo venerdì del mese) che sto tenendo qui a Trieste alla Casa del Combattente. Venerdì 30 marzo, per la verità, su richiesta di Gianfranco Drioli, ho interrotto la serie delle conferenze sulla questione delle origini per ripresentare quella sulle Due facce del risorgimento che conoscete già, perché ve ne ho presentato il testo suddiviso in due articoli su “Ereticamente”. Una concessione – capirete – che bisognava pur fare a un ambiente tipicamente patriottico.

Andiamo alquanto fuori dalla tematica delle origini, ma sarà comunque opportuno dirvi che rispetto alla precedente versione della conferenza, ho dovuto fare un errata corrige di importanza non secondaria. Devo la segnalazione a Giorgio Rustia, di cui ricorderete che ho recensito su “Ereticamente” il libro Atti, meriti e sacrifici: ci sono le tracce documentali di un ordine impartito ai massimi livelli dello stato austriaco nel 1867. Come si ricorderà, in quell’anno, in conseguenza della guerra austro-prussiana (per noi terza guerra d’indipendenza, che ci fruttò l’annessione del Veneto) e l’esclusione dell’Austria dalla Confederazione Germanica, si ebbe una generale riorganizzazione dello stato austriaco, con l’elevazione dell’Ungheria a regno autonomo. Francesco Giuseppe aveva dato ordine di pervenire a una graduale eliminazione dell’elemento italiano nelle terre ancora sotto il dominio della corona austriaca, favorendo l’elemento slavo. Una decisione dal suo punto di vista pienamente logica, poiché le guerre del 1859 e del 1866 avevano dimostrato che l’Austria era destinata quasi inevitabilmente a perdere le terre popolate da italiani.

La prima guerra mondiale fu una guerra sbagliata, come dimostrò il trattamento inflittoci dagli “alleati” franco-anglo-americani al tavolo della pace, ma lo sarebbe stata anche una nostra partecipazione al conflitto nell’ambito della Triplice Alleanza. Eravamo fra l’incudine e il martello, e non c’era una decisione “giusta” da prendere.

Il mito dell’ “Austria, Paese ordinato” da cui sono affetti molti triestini, ed è semplicemente la versione locale del disgusto di essere italiani che settant’anni di repubblica democratica sono riusciti a provocare, è un’utopia, la nostalgia per qualcosa che non è mai esistito.

Io vi metterò a disposizione quanto prima su “Ereticamente” i testi di queste conferenze, il problema – a dire il vero – è trovare uno spazio di tempo fra le molte tematiche, forse troppe, che sto affrontando sulla nostra testata e che inevitabilmente si accavallano, senza contare che, ad esempio, quella dedicata alla smentita dell’Out of Africa, è un testo di quasi 8.000 parole, che ho dovuto suddividere in tre articoli.

Vediamo ora di analizzare l’attività dei gruppi FB, facendo sempre riferimento principalmente a MANvantara, che non è soltanto il gruppo che ha inaugurato la tendenza e rimane quello più diffuso, che ha recentemente superato la quota di 1400 membri, ma è anche quello dove le informazioni di carattere paleoantropologico sono presentate con maggiore completezza.

Teniamo sempre presente che, però che questo gruppo si occupa di una realtà ad ampio spettro nella quale la tematica delle origini si intreccia con ricerche spirituali ed esoteriche. Io qui, come ho fatto le volte scorse, mi limiterò a esaminare i soli contributi di carattere paleoantropologico, e tengo a sottolineare che questa mia esposizione è ben lontana dal sostituire un esame diretto dell’attività del gruppo, dove molti lettori potranno trovare più di un motivo di interesse.

Recentemente Michele Ruzzai ha aggiornato il documento contenente le finalità del gruppo sotto forma di un diagramma che riassume “la filosofia” di “MANvantara” e condensandola ulteriormente nell’acrostico NARSEN (No Africa – cioè rifiuto dell’ipotesi “Out of Africa” – Razze Si – Evoluzione No).

Al riguardo devo dire che trovo quest’espressione assai gradevole perché da un lato sembra una parola del linguaggio elfico tolkieniano, dall’altro pare richiamare il sarsen, la particolare pietra con cui è stata edificata Stonehenge. Tuttavia, se andiamo a esaminare il contenuto, mentre per quanto riguarda le prime due sillabe darei un’adesione piena e incondizionata, la terza richiede un discorso più complesso che non si può liquidare semplicemente con un si o con un no.

Io ritengo che quella che correntemente chiamiamo “evoluzione” non rispecchi affatto la concezione del grande naturalista Charles Darwin, ma che sia stata manipolata, falsata per renderla compatibile con l’ortodossia ideologica democratica. Per prima cosa, Darwin parla di trasformazione delle specie nel tempo senza che questo implichi un giudizio di valore tipo “sviluppo ascendente”. In secondo luogo in ordine logico, ma probabilmente più importante, la concezione darwiniana per compatibilità con l’ideologia democratica, è stata castrata dei suoi aspetti essenziali, che sono la lotta per la sopravvivenza e la selezione naturale; concetti che non vanno certo nel senso della democrazia, ma piuttosto in quello della formazione naturale delle élite.

Terzo, ma non certamente d’importanza secondaria, è il fatto che la teoria darwiniana ci mostra come ogni essere vivente normalmente lotta per diffondere nelle generazioni future il proprio genoma, non quello di chissà chi, considerazione che taglia impietosamente le gambe a tutte le utopie cosmopolite, cristiane, democratiche, marxiste e va palesemente a dare sostegno a quelle cose “brutte” (per un democratico) che possiamo chiamare nazionalismo o anche razzismo.

Ampliando il discorso, io penso che si possa dire che il metodo scientifico basato sull’osservazione dei fatti, la formulazione di ipotesi in base ad essi, e l’ideazione di esperimenti per mettere le ipotesi alla prova, il metodo sperimentale “galileiano” in altre parole (ma che ha precedenti molto più antichi di Galileo, basti pensare a Eraclito e Aristotele) sia l’unico che permetta una vera “presa” sul reale, ma la “scienza democratica”, come credo di aver sufficientemente documentato nei sei articoli compresi sotto il titolo Scienza e democrazia sempre su “Ereticamente”, non rispetta affatto questo metodo, è per metà ciarlataneria fumosa, e per metà grossolana falsificazione.

Non avere compreso questo, e peggio ancora, nutrire un senso di inferiorità verso i democratici, quando sono loro a essere sbugiardati dalla ricerca scientifica seria, significa mettersi in una posizione perdente.

Questa puntualizzazione, tengo a sottolinearlo caso mai ce ne fosse bisogno, non riguarda il gruppo MANvantara, il cui lavoro non si può considerare altro che ottimo, e sulle cui pagine ho potuto postare anche i sei articoli su Scienza e democrazia già apparsi su “Ereticamente”, ricevendo anzi da Michele Ruzzai un incoraggiamento in tal senso, poiché la tematica non mi sembrava proprio in linea con quelle trattate dal gruppo.

Il 28 febbraio, l’Amministratore ha postato un articolo da “Science” (science.sciencemag.org). Secondo le ricerche genetiche di un team di ricercatori danesi e russi guidati da Eske Willerslev dell’università di Copenhagen, sembra che le popolazioni europee abbiano manifestato una sostanziale uniformità genetica negli ultimi 37.000 anni.

Da segnalare, l’11 marzo la recensione di Claudio Lanzi del libro di Antonio Bonifacio L’uomo rosso e la tradizione. La cosa più notevole però probabilmente è la copertina del libro, con una nativa americana dai lineamenti nettamente europidi (si veda l’illustrazione). Ciò rimanda al discorso che abbiamo affrontato la volta scorsa, di una presenza “bianca” nelle Americhe molto più antica di Colombo e dei Vichinghi.

Un post di MANvantara del 17 marzo segnala un nuovo articolo sulla ricerca di David Reich, questa volta su “The Atlantic”.

Il 19 marzo “L’immagine perduta” ha pubblicato Le radici antiche degli indoeuropei di Michele Ruzzai, che è il testo della conferenza da lui tenuta a Trieste il 27 gennaio 2016 (uno splendido modo, tra l’altro, di celebrare il “giorno della memoria”).

Una fonte di particolare soddisfazione è poi l’articolo postato dall’Amministratore il 27 marzo, ripreso da Biorxiv.org del 21.  Si tratta di una ricerca di due biologi dell’Università della California, Arun Durvasula e Sriram Shankararaman.

Io credo di avervi già menzionato il fatto che a suo tempo le scoperte di Svante Paabo sulle ibridazioni tra sapiens, neanderthal e denisoviani, avevano dato esca ai soliti imbecilli esaltatori di tutto quanto è colorato, di celebrare la “pura linea sapiens”  africana in confronto a noi europei e asiatici, ibridi di Neanderthal e di Denisova. Le ricerche dei biologi dell’Università di Buffalo hanno poi rilevato la presenza nel DNA dei neri subsahariani dell’eredità di una “specie fantasma” non sapiens. Grazie all’archeologa italiana Margherita Mussi e alle sue ricerche in Etiopia, oggi possiamo ragionevolmente ipotizzare che questa “specie fantasma” non fosse altro che l’homo erectus rimasto immutato in Africa mentre in Eurasia diventava il più progredito heidelbergensis, e dava poi luogo alla tripartizione Cro Magnon-Neanderthal-Denisova.

Bene, ora grazie a quest’ultima ricerca, sappiamo che la proporzione di geni non-sapiens nei neri subsahariani è dell’8%, la più alta riscontrata in qualsiasi gruppo umano.

Il 28 marzo un post ripreso da Storia Controstoria mette a fuoco un personaggio ancora poco conosciuto, l’uomo di Denisova, i cui resti furono scoperti nell’omonima grotta siberiana nei monti Altai nel 2008, e che ha lasciato la sua impronta genetica nelle popolazioni asiatiche e australiane. Stando alle ricerche di un team di archeologi australiani guidati da Chris Clarckson, i primi insediamenti umani nella grande isola-continente sarebbero molto più antichi di quanto si pensasse, risalendo a 65.000 anni fa, 20.000 anni prima della data finora ammessa, i protagonisti di questa prima colonizzazione, però, in base alle ricerche genetiche del genetista Richard Roberts dell’università di Wollong, non sarebbero stati i sapiens classici, ma gli uomini di Denisova, che avrebbero lasciato una traccia molto forte nel DNA delle popolazioni aborigene. La storia della nostra specie è forse in gran parte ancora da scrivere, e si adatta sempre meno al semplicistico schema dell’Out of Africa.

Il 18 marzo, Michele Ruzzai segnala la pubblicazione da parte di Thule Italia del libro di Kurt Pastenaci La luce del nord, le fondamenta nordiche dell’Europa. Per il momento di questo testo siamo informati solo di titolo, autore e immagine di copertina, ma noi sappiamo che le origini dell’uomo europeo e caucasico e forse dell’intera specie umana, le troveremo più facilmente nel nord boreale che non in Africa. Non a caso, il 30 marzo sempre Michele Ruzzai ha postato un link con un sito che si chiama “White People Origins, not out of Africa”, ma ovviamente il discorso non finisce qui.

Il 31 marzo un post ci ricorda i Kalash, gli ultimi pagani d’oriente, dai tratti fortemente europidi, dagli occhi azzurri e la pelle chiara, mai islamizzati, mai piegati, ci ricordano cosa doveva essere l’Asia centrale migliaia di anni fa, prima dell’espansione mongolica e di quella islamica.

Un post del 1 aprile recensisce il libro La fine di Atlantide dei coniugi Rand e Rose Flem-Ath. Senza entrare nel merito dell’ipotesi che identifica Atlantide con l’Antartide, sulla quale si potrebbero avanzare seri dubbi, si può ricordare che prima dei due coniugi americani, molti anni prima, essa è stata avanzata da un ricercatore italiano, Flavio Barbiero nel libro Una civiltà sotto ghiaccio.

Il 28 marzo, l’Amministratore ha postato un articolo del genetista David Reich, di cui vi riporto alcuni stralci:

“Razza” potrà anche essere considerata un costrutto sociale, ma negare le differenze genetiche dei gruppi ancestrali è “indifendibile”. Le persone ben intenzionate che negano la possibilità di sostanziali differenze biologiche tra le popolazioni umane si stiano scavando una posizione indifendibile, che non sopravviverà all’assalto della scienza”.

E’ chiaro? La scienza genetica dimostra l’esistenza delle razze e smentisce i dogmi della democrazia.

Due post del 2 aprile riprendono argomenti che MANvantara ha già affrontato in precedenza, ma, data l’importanza delle tematiche, un richiamo, sia pure breve, non sarà fuori luogo. Il primo, ripreso da “Il fatto storico” riguarda la popolazione di allevatori e cavalieri dell’Età del Bronzo originari delle steppe eurasiatiche il cui DNA costituisce oggi la componente principale del genoma degli europei moderni. Gli archeologi li hanno denominati Jamna, ma noi potremmo chiamarli benissimo Indoeuropei. In ogni caso la tesi “nostratica” che ci vuole discendenti di “pacifici” agricoltori mediorientali (che “stranamente” sembra creata apposta per demolire l’immagine guerriera di sé che gli Europei avevano fino alla seconda guerra mondiale), ne esce totalmente smentita.

L’altro post, ripreso da “La crepa nel muro” riguarda un’altra scoperta di cui avevamo già parlato, il ritrovamento in India di strumenti litici risalenti a 385.000 anni fa, che ha portato ricercatori “ortodossi” a concludere che “l’uomo deve essere uscito dall’Africa molto prima di quanto si pensasse”. E se l’uomo non fosse affatto uscito dall’Africa, ma nato in Eurasia? Questi ricercatori ricordano molto gli astronomi del XVI e XVII secolo che complicavano all’assurdo il “sistema del mondo” per cercare di rendere le nuove osservazioni compatibili con il dogma geocentrico imposto dall’ortodossia cattolica allora dominante.

Il 6 aprile un post ripreso da sciencenordic.com riporta la notizia dell’analisi del DNA di uno scheletro vecchio di 37.000 anni ritrovato in Russia, l’uomo di Kostenki. Risultato? Le popolazioni oggi viventi più simili a questo antico uomo e al popolo di cui faceva parte, sono gli Scandinavi. Abbastanza per far ritenere che il popolamento dell’Europa sia avvenuto da nord verso sud, al contrario di quanto di solito ci raccontano.

Io credo che l’importanza di questa scoperta non possa essere sopravvalutata. Noi abbiamo visto che riguardo all’origine dell’umanità si confrontano le due tesi antitetiche dell’origine africana e dell’origine boreale. Quali sono le debolezze, i buchi, la tendenziosità dell’Out of Africa, il dogma “ufficiale” sulle nostre origini, creato non sulla base di presupposti scientifici ma per motivi ideologici “antirazzisti”, l’abbiamo visto e lo stiamo vedendo. A favore dell’ipotesi boreale vi sono i miti e le tradizioni di tutti i popoli, con un’unanimità che la “scienza ufficiale” si rifiuta di prendere in considerazione, ma dovrebbe pur cercare di spiegare in qualche modo, e osservazioni come quelle dello studioso indiano Tilak che ha notato nei Veda, i libri sacri dell’induismo, la descrizione di fenomeni astronomici come potrebbero essere osservati solo al disopra del circolo polare, ma non disponiamo di prove archeologiche, e il motivo è chiaro: se abbiamo avuto origine nell’area boreale in un’epoca in cui il clima era molto diverso da quello attuale, le prove archeologiche sono andate distrutte o sepolte sotto la spessa cappa glaciale che oggi ricopre quelle terre. Bene, oggi forse siamo arrivati al punto che quello che non può dirci l’archeologia, ce lo dirà la genetica.

Il 5 aprile, un post dell’Amministratore riprende da “focus.it” una questione di cui abbiamo già parlato: I neri subsahariani, ben lungi dal rappresentare la linea sapiens pura, hanno una percentuale di geni “non sapiens” pari all’8%, la più alta che si riscontri in qualsiasi popolazione umana attuale.

Un post dell’11 aprile ripreso da “Il secolo XIX” fa il punto sulle rappresentazioni dell’uomo di Neanderthal nei testi scientifici, scolastici e divulgativi lungo l’arco di un secolo e mezzo. Dalla raffigurazione di un essere scimmiesco che poco o nulla aveva di umano, si è passati poco per volta a rappresentarlo sempre più umano, come l’uomo a pieno titolo che oggi sappiamo che certamente era. Lasciamo che si goda questo momento che forse non durerà. Sappiamo che era antenato nostro e degli asiatici, ma non dei neri e oggi, a opera dei razzisti anti-bianchi di sinistra tira una terribile aria di denigrazione di tutto quanto è “bianco” o comunque non subsahariano.

Noi possiamo rispondere soltanto con la difesa integrale della nostra identità etnica e storica.

NOTA: Nell’illustrazione, a sinistra la copertina del libro di Kurt Pastenaci La luce del nord, le fondamenta nordiche dell’Europa. Al centro, quella del libro L’uomo rosso e la tradizione di Antonio Bonifacio. Si notino le caratteristiche europidi della giovane nativa americana. A destra, la locandina della conferenza di Michele Ruzzai sugli Indoeuropei del 27.1.2016, il cui testo è stato recentemente riproposto da “L’immagine perduta”.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *