11 Aprile 2024
Ahnenerbe

Una Ahnenerbe casalinga, sessantasettesima parte – Fabio Calabrese

Io credo che mi perdonerete se vi confesso che non si riesce a tenere dietro a tutto quanto occorrerebbe perché questa rubrica sia sempre il massimo e il più fedele specchio possibile delle ricerche e delle tematiche certamente vaste che riguardano il nostro passato remoto e l’eredità degli antenati, anche perché la sua cadenza è necessariamente bisettimanale, in modo da avere il tempo di affrontare sulle pagine di “Ereticamente” tematiche più attuali, legate alla politica contemporanea.

Il 2017 che ci siamo lasciati alle spalle è stato un anno eccezionale, denso di scoperte che hanno gettato nuova luce sulle nostre origini. Ricordiamo (in ordine di tempo) la scoperta dei resti dell’ominide balcanico Graecopithecus Freibergi ribattezzato familiarmente “El Greco”, quella dei resti di una popolazione sapiens anatomicamente moderna risalente a 300.000 anni fa nella cava marocchina di Jebel Irhoud, l’individuazione da parte di due ricercatori dell’università di Buffalo di una proteina, la MUC7 presente nella saliva dei neri di origine africana in una variante che non si trova in nessun altro gruppo umano vivente o estinto, che ha permesso loro di risalire a un antenato con il quale i sapiens provenienti dall’Eurasia si sarebbero incrociati, e quindi di arrivare a una elegante confutazione dell’Out of Africa, la teoria della presunta origine africana della nostra specie. Poi ancora il ritrovamento di orme fossili umane o estremamente simili a quelle umane, risalenti a 5,7 milioni di anni fa nell’isola di Creta, e infine, proprio per non farci mancare nulla, la scoperta di un’archeologa italiana, Margherita Mussi, che studiando l’industria litica acheuleana, quella tradizionalmente associata a homo erectus, è giunta alla conclusione che esistono due acheuleani, quello africano più primitivo associato a homo erectus, e quello più progredito, eurasiatico, da attribuire al più evoluto homo heidelbergensis che avrebbe poi dato origine a sapiens.

Questa ricerca dovrebbe essere il tassello mancante del quadro delle nostre origini, nonché la pietra tombale definitiva della “teoria” dell’Out of Africa, infatti chiarisce che la “specie fantasma” da cui i neri africani avrebbero ereditato la variante “africana” della proteina MUC7 scoperta dai ricercatori dell’università di Buffalo e con cui i sapiens provenienti dall’Eurasia si sarebbero incrociati, altri non sarebbe che il “vecchio” homo erectus.

Ora è chiaro che scoperte di questa importanza sulle nostre origini non possono verificarsi a getto continuo, ma c’è un aspetto relativo alla questione delle nostre origini che devo ammettere di aver alquanto trascurato negli ultimi tempi, vale a dire il modo in cui il dibattito su queste tematiche si è sviluppato e si sviluppa sui siti “nostri”. Questa è una tematica tutt’altro che priva d’importanza e, potremmo dire, è un sintomo molto positivo l’interesse che esiste intorno a questi argomenti, quanto meno testimonianza della volontà di resistere a una “cultura” mondialista che ci vorrebbe tutti degli sradicati senza consapevolezza delle nostre origini e senza identità.

Ora, come probabilmente ricorderete, l’ultima parte della nostra rubrica in cui vi ho dato un aggiornamento in tal senso, è stata la sessantunesima, dove vi ho evidenziato soprattutto l’ottimo lavoro svolto dal gruppo “MANvantara” del nostro amico Michele Ruzzai.

La sessantaduesima è stata, permettetemi di definirla così, un piccolo cammeo basato su sei ritratti che evidenziano le nostre origini e mostrano in maniera chiara come il gruppo umano caucasico sia ancestrale rispetto agli altri (soprattutto rispetto al nero africano da cui l’Out of Africa pretende invece che discenderemmo, una mistificazione volta a cancellare il concetto di razza, come abbiamo visto più volte). Più o meno su una linea simile, si è mossa anche la sessantatreesima parte: quali che siano gli antecedenti, il vero crogiolo che ci ha forgiati così come siamo, la nostra vera madre è l’Europa. Il clima più rigido, le variazioni stagionali, hanno probabilmente richiesto per sopravvivere, un’organizzazione superiore prima di tutto a livello mentale, rispetto all’ambiente dei tropici, il senso del tempo, la preveggenza in vista di stagioni inclementi, la cura dei soggetti più fragili, della prole.

Un articolo che mi è sembrato doveroso concludere con le parole scritte col sangue di Dominique Venner, questo samurai della causa europea, il cui suicidio, come estremo, disperato tentativo di risvegliare le coscienze dei popoli europei plagiati che oggi sembrano accettare con rassegnazione la sostituzione etnica, la loro morte, con un fatalismo intriso di sensi di colpa artificialmente indotti, si può accostare a quelli di Ian Palach e Yukio Mishima.

Entrambi questi pezzi, la sessantaduesima e la sessantatreesima parte, sono rimasti a lungo nel limbo dei materiali in attesa di pubblicazione, data la necessità di pubblicare cose di maggiore attualità (ce n’è anche nella ricerca storica e archeologica), e non mi è sembrato il caso di procrastinare ancora.

La sessantaquattresima parte è stata incentrata sulla ricerca di Margherita Mussi, e se quella che potrebbe essere la pietra tombale definitiva sulla “teoria” dell’Out of Africa vi sembra poco importante…!

La sessantacinquesima parte rappresenta un discorso ancora a parte. Come avete visto, avevo usato le parti cinquanta e sessanta, approfittando dei “numeri tondi” per una sorta di riepilogo del percorso fin qui svolto, e in particolare nella sessantesima parte, dove avevo riesaminato i vari contributi alla questione delle origini che non erano rientrati sotto il titolo di Una Ahnenerbe casalinga, mi era parso di aver tralasciato qualcosa di importante. In particolare, l’assalto che oggi vediamo portato da un islamismo invadente contro il mondo europeo “occidentale” “cristiano” è certamente tragica attualità, ma a mio parere rientra, non è che la più recente propaggine di un conflitto che ha travagliato la storia da almeno quattro millenni, lo scontro tra mondo indoeuropeo e mondo semitico.

La religione non c’entra o costituisce solo un effimero pretesto. Ben prima che sorgessero cristianesimo e islam, noi abbiamo visto questo eterno conflitto nello scontro tra Roma e Cartagine, e prima ancora fra la Grecia e un impero persiano che sarà stato guidato da un’élite indoeuropea, ma che raccoglieva un’accozzaglia di popolazioni asiatiche, orientali, semitiche. Il nemico ha mantenuto la stessa aggressività di un tempo, semmai aizzata dalla nostra passività e debolezza. Quello che resta da vedere, è invece se negli Europei lo spirito delle Termopili, di Zama, di Poitiers, di Lepanto, sopravvive ancora o è del tutto morto.

La sessantaseiesima parte, quella che ha immediatamente preceduto questo articolo, è una risposta al nuovo attacco lanciato contro di noi da Ethnopedia, ed è una cosa che proprio non si poteva passare sotto silenzio, anche considerando il fatto che sono venuto a sapere della cosa in ritardo (sempre grazie alla preziosa segnalazione di MANvantara), e non era il caso di ritardare ulteriormente una replica a tono.

Queste e le altre questioni di cui mi sono occupato in questi articoli sono di importanza certo non secondaria, ma mi hanno costretto un po’ a trascurare il discorso sul dibattito sulle nostre origini sempre vivo nei nostri ambienti, dibattito che io ritengo non debba essere sottovalutato in quanto testimonianza della volontà di preservare la nostra identità in faccia a una “cultura” mondialista che vorrebbe farla scomparire nel caos multietnico.

Vediamo ora di recuperare il tempo perduto. Cominciamo con qualcosa che riguarda l’ambiente triestino. Trieste è nel panorama italiano una città piccola e marginale, tuttavia l’ambiente “nostro” è stato sempre molto vivace, probabilmente per la lunghissima e scomoda vicinanza con la Jugoslavia comunista, i ricordi atroci e dolorosi delle foibe, la presenza di una folta comunità di esuli provenienti dalle terre che la disastrosa conclusione del secondo conflitto mondiale ci ha costretti ad abbandonare.

Bene, io penso che ricorderete il nome di Gianfranco Drioli, autore di due bei libri pubblicati dalle Edizioni Ritter: Ahnenerbe (quella vera, quella del Terzo Reich) e Iperborea, la ricerca senza fine della patria perduta. Ultimamente, Drioli è stato eletto alla presidenza della sezione triestina dell’ALTA (Associazione Lagunari e Truppe Anfibie). Questo è un fatto molto importante perché ci dà accesso agli spazi della Casa del Combattente per tenere conferenze, presentazioni librarie e altre attività utili alla diffusione delle nostre idee.

Naturalmente, Drioli mi ha subito “precettato” all’uopo. Due di esse riguarderanno precisamente il discorso dell’italianità anche dal punto di vista genetico, e le bufale e le falsificazioni che stanno alla base della “teoria” dell’Out of Africa. Sempre in ordine alla tematica delle origini, probabilmente riproporrò in questa sede anche la conferenza sulle origini della civiltà europea che ho già presentato l’11 marzo 2016 nella sede del circolo “Identità e Tradizione”, insomma di carne al fuoco ce n’è un bel po’, e non preoccupatevi che su “Ereticamente” vi girerò sia i testi delle conferenze sia resoconti sul loro svolgimento.

Se conosco bene l’amico Michele Ruzzai, credo che cercherà di defilarsi dal dare il suo contributo (se quell’uomo ha un difetto, è quello di sottovalutarsi), ma noi non glielo permetteremo.

Torniamo a parlare dei gruppi facebook. Obiettivamente, non rappresentano una realtà vasta: di solito raggiungono qualche centinaio o bene che vada un migliaio di persone (MANvantara ha però recentemente superato le 1300, il che non è davvero poco), vale a dire in termini numerici, uno o due ordini di grandezza in meno rispetto a quelli che sono i lettori di “Ereticamente”, tuttavia presentano un grande vantaggio rispetto, ad esempio, al lavoro che sto portando avanti io con Una Ahnenerbe casalinga, che si può fare lavoro di squadra, e più paia di occhi vedono più di uno solo, cosa molto importante specialmente oggi in cui occorre pescare le cose che ci interessano in mezzo al grande mare di paccottiglia futile e irrilevante che riempie il web.

Così ad esempio, un collaboratore di MANvantara ha “ripescato” una notizia comparsa nel 2007 su “Scientific American” e allora passata del tutto inosservata (non mi pare sia comparsa nemmeno su “Le scienze”, versione italiana della pubblicazione scientifica americana), circa una ricerca condotta da Maria Matinòn-Torres, paleobiologa del Centro Nazionale di Ricerca sull’Evoluzione Umana di Burgos (Spagna), che studiando la conformazione delle corone dentarie delle popolazioni umane moderne ed estinte, aveva tracciato un albero genealogico che poneva l’origine della nostra specie non in Africa, ma in Eurasia, una ricerca che oggi, dopo quella dei biologi dell’università di Buffalo (che grazie a una proteina della saliva, la MUC7, avrebbero individuato una “specie fantasma” di ominidi africani con cui gli homo sapiens provenienti dall’Eurasia si sarebbero incrociati dando origine alle popolazioni attuali dell’Africa subsahariana), e soprattutto quella di Margherita Mussi, assume ben altra rilevanza.

E’ ovvia, per quanto mi riguarda, la mia piena disponibilità a fare da “cassa di risonanza” al lavoro di questi gruppi.

Vi avevo segnalato una delle volte precedenti che, accanto a “MANvantara” del nostro Michele Ruzzai, si è affiancato il gruppo “Frammenti di Atlantide, Iperborea” gestito da Solimano Mutti, figlio del grande Claudio Mutti, i cui meriti nell’ambito del revisionismo italiano penso nessuno voglia mettere in discussione. Ora, possiamo segnalare la presenza di altri due gruppi simili: “L’immagine perduta” e “Tradizione primordiale”. Questi gruppi non si fanno concorrenza ma si sostengono a vicenda, si pubblicizzano l’un l’altro, spesso gli articoli degli amministratori di uno compaiono negli altri gruppi, e via dicendo. Una realtà forse quantitativamente modesta ma qualitativamente importante.

Una domanda che ci possiamo certo fare, è qual’è quest’immagine che sarebbe andata perduta cui allude il nome di uno dei due. Io penso si tratti proprio dell’immagine, dell’auto-rappresentazione di noi stessi come originari del mondo nordico-boreale o meglio ancora iperboreo, che la “scienza” attuale ha deciso di cancellare con una serie di artifici, l’Out of Africa in primis, che hanno poco a che vedere con lo sviluppo delle conoscenze, ma derivano in realtà da esigenze ideologiche, e sappiamo bene quali.

L’immagine di copertina presentata dal gruppo è quella delle piramidi egizie della piana di Giza, ma questo non contraddice minimamente quanto abbiamo visto finora, infatti, come visto altrove, tutto lascia pensare che all’origine della civiltà del Nilo vi sia stata un’élite di provenienza europea-nordica.

Un discorso analogo si può fare per “Tradizione primordiale” che presenta come immagine di copertina una rappresentazione della terra iperborea con al centro il monte Meru sulla base di quanto ci viene narrato dalla tradizione indiana, in particolare dai Veda.

Ora, direi che è ben visibile il fatto che negli ambienti “nostri” per quanto riguarda le ipotesi sulle nostre origini, l’orientamento nordico-iperboreo, chiamiamolo così, prevale nettamente rispetto a quello che vorrebbe collocare le origini umane “a sud”, nell’Africa al di sotto del Sahara, in netto contrasto con quella che è l’ortodossia “scientifica” ufficiale. E’ anche molto chiaro il fatto che ciò si appoggia, più che a dati archeologici, alle leggende e alle tradizioni, alle testimonianza del remoto passato che ci sono pervenute dagli antichi testi, a cominciare dai Veda, i libri sacri dell’induismo, come hanno bene evidenziato le ricerche di Tilak, ma non solo le sue. Si tratta di un tipo di testimonianze che la “scienza ufficiale” rifiuta in blocco, anche se poi resterebbe da spiegare come mai praticamente tutte le tradizioni di tutte le culture di ogni parte del pianeta indichino l’origine dell’umanità in una direzione che è esattamente opposta a quello che l’odierna ortodossia “scientifica” intende raccontarci.

In queste condizioni, una pronuncia obiettiva e definitiva appare estremamente difficile, tuttavia alla luce di quanto abbiamo visto finora, possiamo dire che l’ipotesi iperborea è senz’altro più credibile dell’Out of Africa.

Come avete visto, ancora non vi ho presentato un’analisi del contenuto degli articoli apparsi in questi gruppi, dove sono comparse cose piuttosto interessanti. Invece di trattare ora la cosa in maniera eccessivamente sintetica, è forse meglio rimandare alla prossima volta. Quello che ora importa sottolineare, è piuttosto il fatto che la battaglia per la difesa della nostra identità storica, culturale e biologica continua, sia sul piano teorico sia su quello pratico.

NOTA: L’illustrazione di questo articolo è una sintesi dei contributi dati dal nostro gruppo triestino al tema della ricerca delle origini: a sinistra la copertina del libro di Gianfranco Drioli Iperborea, la ricerca senza fine della patria perduta (edizioni Ritter), al centro la locandina della conferenza di Michele Ruzzai Le radici antiche degli Indoeuropei tenuta presso il circolo Identità e Tradizione in data 27 gennaio 2016, a destra quella della mia conferenza Alle origini dell’Europa tenuta nella stessa sede in data 11 marzo 2016.

4 Comments

  • Daniele Bettini 26 Febbraio 2018

    Ho appena finito di leggere Le 4 età dell’umanità di Gaston Georgel,
    libro utilissimo e facilmente reperibile su amazon la cui lettura consiglio a tutti i lettori e che Ruzzai conosce benissimo(forse questye domande sono piu’ adatte a lui).E’ degli anni ’80 ed è da aggiornare ma
    è uno dei pochi testi che descrive con prove archeologiche e geologiche l’età dell’or oe le sue suddivisioni e di tutte le 4 età del manuantara attuale.
    Si illustrano i vari cerchi di diffusione ed evoluzione dal polo in giu’della razza Iperborea ,chiarisce la questione dei giganti e le cause delle cesure epocali dovute agli elementi delle varie cesure epocali in correlazione alle varie razze succedutasi.
    E’ un testo completo riguardo all’origine dei vari continenti perduti (tranne MU) chiarendo l’origine di Lemuria ovvero della razza nera e della razza gialla di cui fornisce un’interpretazione interessante.
    Fornisce anche una geologia alternativa e una cronologia geologica alternativa riconducendo nel giusto rango la successione del tempo in questo kalpa.

    Alcuni interrogativi tuttavia sono sorti dal testo :

    1-davvero tutte le razze umane attuali appartengono a questo manu?
    Su questa terra non ci sono ancora resti di selvaggi e archeologici da manu precedenti? (come pare dimostrare Michael Cremo?)

    2-davvero riconducendo le giuste proporzioni del tempo in modo sferico questo kalpa dura “solo”
    432000 anni e il nostro manuantara “solo” 60.000 ?
    Anche qui non vorrei che la Lemuria e Gondwana avessero davvero milioni di anni come dicono recenti scoperte geologiche.

    3-vedi domanda 1 dopo risposte alla 2 e spero che qualcuno mi dia delle risposte e inizi magari a porsi il problema della catalogazione dei manu (umanità)precedenti.

    Grazie dell’attenzione

    • Michele Ruzzai 26 Febbraio 2018

      Salve sig. Bettini, vista la sua cortesia nel menzionarmi, provo a rispondere alle sue interessanti domande ovviamente lasciando all’amico Fabio Calabrese eventuali ulteriori considerazioni che ritenesse opportuno aggiungere. Premetto che in campi controversi come questo è mia ferma convinzione che la “Verità” in tasca non ce l’abbia nessuno, quindi io le posso proporre la mia semplice opinione che vale quello che vale. Per venire al punto, secondo me tutte le attuali Razze umane sono riconducibili ad un’unica origine che si inquadra appunto nel concetto di “umanità” di pertinenza di questo Manvantara, il che è abbastanza coerente con l’idea di un’unica Tradizione Primordiale sorta all’inizio del nostro ciclo. Riferimenti mitici ad una primordialità boreale sarebbero infatti ravvisabili, ancorchè sporadicamente, anche tra popolazioni australi e dal fenotipo ben poco nordico (ad esempio, lo swastika presente nell’Africa occidentale, le ipotesi di Leo Frobenius sull’arcaica civiltà boreale che avrebbe coinvolto anche i Boscimani sudafricani, le interessanti concezioni cosmologiche dei Dogon molto affini a quelle indù, i riferimenti assiali dei pigmei Semang malesi, i ricordi tra alcuni Aborigeni australiani su civilizzatori provenienti da un “indefinito settentrione” ed oltretutto il loro collegamento antropologico agli Ainu giapponesi “bianchi” e premongolici…), idea che in fondo non sarebbe nemmeno troppo distante da quella stessa di Julius Evola che considerava i cosiddetti “selvaggi” come i residui crepuscolari di ben più alte civiltà precedenti. Il punto è: risalenti a quando? Il termine “ciclo” è infatti molto vago e non è detto che questo si riferisca necessariamente al concetto di Manvantara nel suo complesso, ma potrebbe benissimo avere relazione con una sua mera sub-partizione interna: un Yuga precedente, o anche un Grande Anno Platonico. Io dunque non credo che vi possa essere un passaggio tra un Manvantara e l’altro di forme umane, almeno non di forme che consideriamo “Sapiens” in termini antropologici. Quello che credo possa essere avvenuto è che le forme “non Sapiens” (Erectus, Neanderthal, Denisova, Floresiensis…) presenti nel nostro Manvantara rappresentino il residuo involuto di ciò che si era trovato al livello Sapiens nei Manvantara precedenti, magari presentando ora diversi gradi di regressione a seconda della distanza che separerebbe tali stirpi dal Manvantara in cui sarebbero sorte la prima volta e “cadendo” sempre di più ad ogni passaggio di ciclo. Ammetto che questa è una visuale non del tutto conforme a quella di René Guenon, secondo il quale la fine di un Manvantara comporterebbe la completa “volatilizzazione” di ogni forma materiale ad esso appartenuta ed il passaggio ad uno stato “sottile”, ma allora non si spiegherebbe il ritrovamento, qui nel nostro tempo, di tangibili resti archeologici e paleoantropologici risalenti a fasi molto anteriori a 65.000 anni fa. Quanto segnala Michael Cremo non credo sia altro, infatti, che il residuo di cicli umani precedenti al nostro, assieme all’evidenza della straordinaria antichità della forma Sapiens, che appunto si rinnova ogni Manvantara sempre identica a sé stessa, in un “eterno ritorno” per dirla con Mircea Eliade. Gaston Georgel poi spiega, con l’immagine della retta tangente al cerchio, la distorsione temporale indotta dalla visione in termini “rettinei” di quanto invece andrebbe considerato in termini “ciclici”: probabilmente – ma è una mia ipotesi – le enormi antichità di Lemuria e Gondwana si riferiscono a continenti che solo nominalmente corrispondono alle terre australi appartenute al presente Manvantara, all’interno del quale, invece, le datazioni preistoriche nella doppia visuale sarebbero tra loro molto vicine perché l’effetto “distorsivo” spiegato da Georgel sarebbe di poco conto vista la quasi perfetta corrispondenza tra l’arco di circonferenza ed il relativo segmento individuato sulla retta tangente in prossimità del punto di contatto. Per concludere sulle umanità precedenti, credo che la separazione dal nostro Manvantara, già non semplice da indagare (e poi con un “Pralaya” in mezzo) sia tale che appaia alquanto difficoltoso tentare di ricostruirne la storia.
      Un cordiale saluto

  • Daniele Bettini 26 Febbraio 2018

    Ho appena finito di leggere Le 4 età dell’umanità di Gaston Georgel,
    libro utilissimo e facilmente reperibile su amazon la cui lettura consiglio a tutti i lettori e che Ruzzai conosce benissimo(forse questye domande sono piu’ adatte a lui).E’ degli anni ’80 ed è da aggiornare ma
    è uno dei pochi testi che descrive con prove archeologiche e geologiche l’età dell’or oe le sue suddivisioni e di tutte le 4 età del manuantara attuale.
    Si illustrano i vari cerchi di diffusione ed evoluzione dal polo in giu’della razza Iperborea ,chiarisce la questione dei giganti e le cause delle cesure epocali dovute agli elementi delle varie cesure epocali in correlazione alle varie razze succedutasi.
    E’ un testo completo riguardo all’origine dei vari continenti perduti (tranne MU) chiarendo l’origine di Lemuria ovvero della razza nera e della razza gialla di cui fornisce un’interpretazione interessante.
    Fornisce anche una geologia alternativa e una cronologia geologica alternativa riconducendo nel giusto rango la successione del tempo in questo kalpa.

    Alcuni interrogativi tuttavia sono sorti dal testo :

    1-davvero tutte le razze umane attuali appartengono a questo manu?
    Su questa terra non ci sono ancora resti di selvaggi e archeologici da manu precedenti? (come pare dimostrare Michael Cremo?)

    2-davvero riconducendo le giuste proporzioni del tempo in modo sferico questo kalpa dura “solo”
    432000 anni e il nostro manuantara “solo” 60.000 ?
    Anche qui non vorrei che la Lemuria e Gondwana avessero davvero milioni di anni come dicono recenti scoperte geologiche.

    3-vedi domanda 1 dopo risposte alla 2 e spero che qualcuno mi dia delle risposte e inizi magari a porsi il problema della catalogazione dei manu (umanità)precedenti.

    Grazie dell’attenzione

    • Michele Ruzzai 26 Febbraio 2018

      Salve sig. Bettini, vista la sua cortesia nel menzionarmi, provo a rispondere alle sue interessanti domande ovviamente lasciando all’amico Fabio Calabrese eventuali ulteriori considerazioni che ritenesse opportuno aggiungere. Premetto che in campi controversi come questo è mia ferma convinzione che la “Verità” in tasca non ce l’abbia nessuno, quindi io le posso proporre la mia semplice opinione che vale quello che vale. Per venire al punto, secondo me tutte le attuali Razze umane sono riconducibili ad un’unica origine che si inquadra appunto nel concetto di “umanità” di pertinenza di questo Manvantara, il che è abbastanza coerente con l’idea di un’unica Tradizione Primordiale sorta all’inizio del nostro ciclo. Riferimenti mitici ad una primordialità boreale sarebbero infatti ravvisabili, ancorchè sporadicamente, anche tra popolazioni australi e dal fenotipo ben poco nordico (ad esempio, lo swastika presente nell’Africa occidentale, le ipotesi di Leo Frobenius sull’arcaica civiltà boreale che avrebbe coinvolto anche i Boscimani sudafricani, le interessanti concezioni cosmologiche dei Dogon molto affini a quelle indù, i riferimenti assiali dei pigmei Semang malesi, i ricordi tra alcuni Aborigeni australiani su civilizzatori provenienti da un “indefinito settentrione” ed oltretutto il loro collegamento antropologico agli Ainu giapponesi “bianchi” e premongolici…), idea che in fondo non sarebbe nemmeno troppo distante da quella stessa di Julius Evola che considerava i cosiddetti “selvaggi” come i residui crepuscolari di ben più alte civiltà precedenti. Il punto è: risalenti a quando? Il termine “ciclo” è infatti molto vago e non è detto che questo si riferisca necessariamente al concetto di Manvantara nel suo complesso, ma potrebbe benissimo avere relazione con una sua mera sub-partizione interna: un Yuga precedente, o anche un Grande Anno Platonico. Io dunque non credo che vi possa essere un passaggio tra un Manvantara e l’altro di forme umane, almeno non di forme che consideriamo “Sapiens” in termini antropologici. Quello che credo possa essere avvenuto è che le forme “non Sapiens” (Erectus, Neanderthal, Denisova, Floresiensis…) presenti nel nostro Manvantara rappresentino il residuo involuto di ciò che si era trovato al livello Sapiens nei Manvantara precedenti, magari presentando ora diversi gradi di regressione a seconda della distanza che separerebbe tali stirpi dal Manvantara in cui sarebbero sorte la prima volta e “cadendo” sempre di più ad ogni passaggio di ciclo. Ammetto che questa è una visuale non del tutto conforme a quella di René Guenon, secondo il quale la fine di un Manvantara comporterebbe la completa “volatilizzazione” di ogni forma materiale ad esso appartenuta ed il passaggio ad uno stato “sottile”, ma allora non si spiegherebbe il ritrovamento, qui nel nostro tempo, di tangibili resti archeologici e paleoantropologici risalenti a fasi molto anteriori a 65.000 anni fa. Quanto segnala Michael Cremo non credo sia altro, infatti, che il residuo di cicli umani precedenti al nostro, assieme all’evidenza della straordinaria antichità della forma Sapiens, che appunto si rinnova ogni Manvantara sempre identica a sé stessa, in un “eterno ritorno” per dirla con Mircea Eliade. Gaston Georgel poi spiega, con l’immagine della retta tangente al cerchio, la distorsione temporale indotta dalla visione in termini “rettinei” di quanto invece andrebbe considerato in termini “ciclici”: probabilmente – ma è una mia ipotesi – le enormi antichità di Lemuria e Gondwana si riferiscono a continenti che solo nominalmente corrispondono alle terre australi appartenute al presente Manvantara, all’interno del quale, invece, le datazioni preistoriche nella doppia visuale sarebbero tra loro molto vicine perché l’effetto “distorsivo” spiegato da Georgel sarebbe di poco conto vista la quasi perfetta corrispondenza tra l’arco di circonferenza ed il relativo segmento individuato sulla retta tangente in prossimità del punto di contatto. Per concludere sulle umanità precedenti, credo che la separazione dal nostro Manvantara, già non semplice da indagare (e poi con un “Pralaya” in mezzo) sia tale che appaia alquanto difficoltoso tentare di ricostruirne la storia.
      Un cordiale saluto

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