11 Aprile 2024
Ahnenerbe

Una Ahnenerbe casalinga, ottantacinquesima parte – Fabio Calabrese

Come avete visto, il 2018 con l’eccezione del ritrovamento dei resti di Denny, la ragazzina tredicenne di origine mista neanderthaliana e denisoviana vissuta in Siberia 90.000 anni fa, il 2018 non ha, perlomeno finora, offerto novità di rilievo nel campo della paleoantropologia, delle tematiche delle origini. Su queste pagine mi sono dedicato perciò soprattutto all’aggiornamento sull’attività dei gruppi facebook, volendo offrire loro una cassa di risonanza, in considerazione del fatto che attraverso FB anche su tematiche del massimo interesse, non si riesce a coinvolgere più di qualche centinaio di persone. Bisogna tuttavia essere consapevoli che si tratta di un discorso tutto “nostro”, interno ai nostri ambienti.

Tuttavia, anche questo lavoro non riesce estremamente agevole, c’è da fare i conti con un’inevitabile tempistica che rende impossibili aggiornamenti in tempo reale. La volta scorsa ci siamo fermati alla seconda decade di ottobre, e un nuovo aggiornamento è a questo punto necessario.

Comincio subito con il dirvi che l’idea di cui vi ho parlato la volta scorsa, di duplicare il mio gruppo “L’eredità degli antenati” creando un gruppo collegato destinato specificamente ad archivio degli articoli che compaiono qui, in modo da facilitarne la consultazione, per ora almeno l’ho dovuta lasciare in sospeso, poiché il mio profilo facebook è per ora bloccato, per non so quale cosa io possa aver scritto “che non rispetta gli standard della comunità”. Ne riparleremo dopo aver scontato i consueti trenta giorni di pena.

E’ una situazione che non giunge nuova né a me né, suppongo, alla maggior parte di voi. Se vi è capitato di soffermarvi sul profilo di qualche “compagno” avrete senz’altro potuto vedere che sono pieni di insulti livorosi in particolare contro i morti che non possono replicare: Giuseppina Ghersi, Sergio Ramelli, le vittime delle foibe: un odio immotivato e irrazionale che continua ad avere come bersaglio le vittime della violenza “rossa”, nel palese tentativo di persuadersi che costoro abbiano in qualche modo meritato la sorte atroce che “i compagni” hanno loro riservato, di non rendersi conto che l’ideologia “rossa” non è altro che cieca, irrazionale violenza condita di menzogne.

Su tutto questo, la censura di Zuckerberg non trova nulla da ridire. Questo, a parere del conte di Montezucchero, non sarebbe “odio” come invece lo sarebbe quando noi esprimiamo sia pure moderatamente il nostro punto di vista, se osiamo ad esempio dire LA VERITA’ che la cosiddetta immigrazione e la sostituzione etnica rischiano di cancellare il popolo italiano e i popoli europei, e che in questi flussi non c’è nulla di casuale, ma dietro di essi c’è un piano preordinato volto a provocare la nostra estinzione. La democrazia, potremmo dire, è quel regime dove è lecito dire qualunque cosa tranne la verità.

Lo sappiamo, non certo da adesso, di combattere una battaglia impari per rivendicare anche per noi quel diritto alla libertà di opinione che teoricamente la democrazia garantisce a tutti, salvo smentirsi subito dopo per quanto riguarda noi. Guarda caso, l’articolo precedente a questo, Libertà di parola, è dedicato proprio alla lotta diuturna che dobbiamo sostenere per sostenere le nostre idee, non sono contro la censura democratica, ma anche contro la prepotenza “rossa”, prendendo spunto da quel che è accaduto a Trieste lo scorso 3 novembre, dove la manifestazione di Casapound per ricordare il centenario della vittoria italiana nella prima guerra mondiale si è dovuta svolgere “blindata” per evitare scontri con la contromanifestazione “rossa”.

Non ci spaventiamo, e ricordiamo “la preghiera” che John Milius mette in bocca al suo Conan.

“Nemmeno Tu ricorderai se eravamo uomini buoni o cattivi, ma saprai che pochi si sono battuti contro molti, e di questo Ti compiaci”.

Vediamo dunque l’attività dei gruppi FB di questo periodo. Poiché la maggior parte dei post si richiamano da un gruppo all’altro, e/o i loro autori li collocano simultaneamente su più gruppi, come al solito terremo come fil rouge MANvantara del nostro amico Michele Ruzzai, che non è soltanto il più seguito, avendo superato i 1550 membri, ma è anche quello che offre una maggiore completezza e ricchezza di informazioni. A questo riguardo, comincio con il dirvi subito che Michele Ruzzai segnala che la traduzione del libro di Hermann Wirth Die Aufgang der Menscheit (“L’alba dell’umanità”) è ormai a buon punto, e sono stati presi contatti con un editore, per cui si dovrebbe arrivare alla pubblicazione del libro in forma cartacea oltre alla prevista edizione on line. Ricordo che questo testo, finora mai tradotto integralmente in lingua italiana, è fondamentale per la teoria dell’origine artica, e quindi nell’ottica di una risposta all’Out of Africa con le relative implicazioni ideologiche di una presunta inesistenza delle razze umane.

Tuttavia occorre non dimenticarsi che esistono anche gli altri gruppi, ad esempio, uno che mi mette in una situazione un po’ imbarazzante, è Territorio e spiritualità di Pierfederico Rocchetti, perché presenta molte cose di grande interesse, ma proprio di quel tipo spiritualistico da cui ho deciso di prescindere negli articoli di questa rubrica per poter rispondere agli avversari sul loro stesso terreno.

Tuttavia mi rimane un dubbio: da dove le prende quelle belle immagini fortemente cariche di suggestione? E anche questa volta non resisto alla tentazione di copiargliene una. Quale posto migliore da cui guardare il mondo che la prua di un drakkar vichingo? Forse solo  da sotto l’ombra dell’aquila di una legione romana!

Andiamo dunque a vedere cosa ci presenta MANvantara in questo periodo. Il 23 ottobre un collaboratore ci parla di una ricerca sul DNA di resti umani ritrovati in siti della Siberia nord-orientale. Per prima cosa, questa regione prossima alla scomparsa Beringia, è stata oggetto di un popolamento umano molto antico, almeno da 40.000 anni fa, e la cosa si concilia piuttosto male con l’Out of Africa. Oltre a ciò, però, constatiamo che questi antichi siberiani avevano precise affinità genetiche sia con gli Europei che con gli Amerindi, che di conseguenza risultano più strettamente imparentati di quel che avremmo supposto. “L’uomo bianco e l’uomo rosso gemelli diversi?”, si chiede Cristina.

Il 24 ottobre la palla passa a “L’immagine perduta” con un articolo di Renato Ghenone (vabbé, è chiaro che si tratta di uno pseudonimo), che è in sostanza una recensione di Omero nel Baltico di Felice Vinci, un testo di cui mi sono occupato anch’io più di una volta sulle pagine di “Ereticamente” anche con un’intervista all’ingegner Vinci, ma nel pezzo di Ghenone c’è qualcosa di più, perché mette in relazione la ricerca di Vinci con il mito delle origini iperboree, le ricerche di Tilak e gli autori tradizionali. Veramente un eccellente esempio di come si possano approfondire ulteriormente discorsi già ampiamente sviluppati.

Sempre il 24, lo stesso amico di prima ha postato su MANvantara un articolo davvero interessante di Alison George: L’archeologo Von Petzinger esaminando le pitture rupestri e le incisioni su manufatti europei del paleolitico superiore, ha scoperto 32 segni ricorrenti che sembrano costituire una specie di codice, forse addirittura un alfabeto. Come se non bastasse, partendo dal presupposto che essi siano caratteristici di una specifica cultura, si nota un movimento espansivo nel tempo da nord verso sud, e non il contrario. Caso strano: tutte le volte che non si parte dal presupposto ideologico dell’Out of Africa, saltano fuori fatti che lo contraddicono.

Di interesse anche un articolo da universita.it postato il 25 ottobre da Pier Ferreri. Secondo una ricerca condotta dall’Università di Liverpool le differenze fra i gruppi etnici non sarebbero solo culturali ma anche genetiche. Ma va, chi l’avrebbe mai detto? Aspettiamo ansiosamente che i ricercatori britannici annuncino anche la scoperta dell’acqua calda!

Il 25 Michele Ruzzai ci parla dell’uscita prevista per dicembre di un novo testo sul mito iperboreo, Iperborea di Ezio Abrile per le edizioni “Il cerchio”. Per ora, ne abbiamo solo l’immagine di copertina.

Il 26 ottobre due post di Pier Ferreri ci portano in Cina. Il primo è un link ad un articolo di “Aurora umana” che ci parla della presenza nella regione del Gansu di alcuni contadini dalle caratteristiche prettamente europee. Secondo gli storici cinesi, costoro sarebbero i discendenti di una spedizione romana che avrebbe raggiunto la Cina nel 53 a. C. Addirittura, nella zona vi sono i resti di una città abbandonata, Lunmiao, che per le sue caratteristiche “romane” è stata chiamata la Pompei cinese.

Il secondo articolo, linkato da turismo.it, è ancora più sorprendente, ci parla di un ritrovamento paleoantropologico di cui da noi (guarda caso!) si è parlato pochissimo, il teschio di Dali, rinvenuto nel 1978 nell’omonima località della provincia dello Xaangsi nel nord-ovest della Cina. Si tratta dei resti di un homo chiaramente sapiens, forse l’esemplare più antico conosciuto della nostra specie, risalente a 260.000 anni fa, e la sua collocazione geografica e temporale sono decisamente incompatibili con l’Out of Africa.

Il 28 ottobre (indubbiamente una data importante, e ognuno la celebra a suo modo), Alessio Longhetti ha linkato un articolo del “Guardian” che ci parla di una ricerca ad ampio raggio sul DNA antico nelle Isole Britanniche che è stata portata avanti da centinaia di ricercatori, e i risultati sono sorprendenti: il 90% degli Inglesi attuali deriverebbe dal popolo della cultura del Bicchiere Campaniforme (Beaker) che si sarebbe insediato nelle Isole circa 4500 anni fa, dopo essere presente in vaste zone del continente, dall’Europa centrale alla Penisola iberica.

Noi sappiamo che la ricostruzione dei lineamenti del più antico inglese conosciuto, l’uomo di Cheddar, è stata accompagnata da numerose polemiche, anche e soprattutto perché gli si è voluto attribuire un colore di pelle scuro e molto poco europeo. La mia personale impressione è che poiché nella ricostruzione dei lineamenti di esseri umani vissuti migliaia di anni fa e di cui ci sono pervenuti i resti fossili, il colore della pelle è sempre la cosa più opinabile, lo si sia voluto “scurire” non sulla base di valutazioni scientifiche ma in omaggio alla “political correctness” democratica, per fare contente le migliaia di allogeni extraeuropei che oggi vivono in Gran Bretagna, purtroppo oggi talmente numerosi soprattutto a Londra, da essere riusciti a far diventare sindaco della capitale inglese uno di loro, Sadiq Khan. Sappiamo, lo abbiamo visto ad esempio da tutte le falsificazioni e deformazioni prospettiche usate per tenere in piedi la favola “antirazzista” dell’Out of Africa, che ai sostenitori della “political correctness” dell’aderenza ai dati scientifici non importa letteralmente nulla.

Comunque la stragrande maggioranza degli attuali britannici (immigrati esclusi) non deriva dal popolo cui l’uomo di Cheddar apparteneva, ma dagli uomini del Bicchiere Campaniforme (Beakers), che erano europei di alta statura, pelle chiara e occhi azzurri.

Il 29 sempre Alessio Longhetti ha postato un articolo da “Le scienze”. E’ davvero sorprendente che lo ammettano persino loro, una pubblicazione che rappresenta il top dell’ortodossia scientifica politicamente corretta, ma gli agricoltori neolitici europei NON derivano dal Medio Oriente. L’ascendenza europea e quella mediorientale si sarebbero separate già nel Paleolitico 36-39.000 anni fa. Un articolo, vi devo confessare, che ho letto con vivo senso di soddisfazione. Io ho cominciato la mia ricerca delle origini proprio spinto dall’esigenza di confutare la leggenda della dipendenza culturale e, a maggior ragione etnico-antropologica dell’Europa dal Medio Oriente, e l’indagine sulle origini più remote per sfatare la leggenda out of africana, è giunta in un secondo momento come prosecuzione della prima.

Il 30 ottobre Riccardo Gulino ha postato un link a un articolo davvero notevole del sito russo rgdn.info (L’autore si firma semplicemente Vladislav), dove si parla del lago Seydozero. Siamo sempre nella penisola artica di Kola nella zona di Murmansk dove sorgono antiche e misteriose piramidi. In quella che oggi è una delle aree climaticamente più inospitali del mondo, si trovano le tracce di un’antica civiltà, e residui di una conoscenza arcana si troverebbero nelle tradizioni del popolo Sami (Lappone) che abita in quelle zone. Si tratterebbe di ciò che rimane oggi della perduta Iperborea. Almeno, questa ipotesi è stata ventilata più volte dalla stampa russa. Di certo si può dire che la storia – relativamente – lineare della civiltà umana che ci viene raccontata dai libri di testo, è una costruzione ideologica probabilmente falsa.

Come era prevedibile dato il periodo, ci sono diversi articoli che parlano della ricorrenza di Halloween – Samain, (compreso quello di Carlo Giuliano Manfredi linkato da “Ereticamente”). Dandone una valutazione complessiva, penso si possa dire che quest’antica ricorrenza, oggi degenerata in conseguenza dell’americanizzazione a una sorta di carnevale con qualche tocco macabro, era una volta il capodanno celtico, e in particolare la notte tra il 31 ottobre e il 1 novembre, non appartenendo né a un anno né all’altro, e quindi non soggetta né al vecchio né al nuovo “ordine”, era il momento in cui cadevano tutte le barriere, compresa quella che separa il mondo dei vivi da quello dei morti, e i defunti tornavano a fare visita ai loro parenti vivi. Bisogna dire però che si trattava di una tradizione pre-celtica, forse pre-indoeuropea, che si ritrovava in forme simili, ad esempio nell’Italia meridionale.

Il 2 novembre Alessio Longhetti ha postato un articolo proveniente da genomeweb.com. Secondo una recente ricerca della Stanford University, la genetica dimostra che le innovazioni introdotte dal neolitico in Africa settentrionale, come l’agricoltura e la ceramica, dipendono da flussi migratori provenienti dall’Europa. Ma come, verrebbe da dire, non ci avevano insegnato tutto il contrario? Non ci avevano spiegato che l’umanità prima, la civiltà poi, hanno proceduto da sud a nord, che l’Europa è stata l’ultima a ricevere l’una e l’altra?

Certamente conoscete il detto che un’immagine vale più di mille parole, bene, adesso ne abbiamo una conferma. Il 4 novembre su MANvantara, rispondendo alla domanda di un lettore su quale tipo umano sia ancestrale agli altri, tra il caucasoide, il mongolico, il subsahariano, Michele Ruzzai ha risposto postando la foto di un ainu del Giappone, la stessa che includo nell’illustrazione. Si vede che questo soggetto ha una fisionomia prettamente caucasoide, e le caratteristiche mongoliche sono del tutto assenti. Ainu, cioè gli ultimi Jomon, la popolazione originaria del Giappone. Il giapponese di oggi è fortemente mongolizzato per quanto riguarda l’aspetto esteriore, ma a livello animico sospetto sia rimasto più caucasico di noi che abbiamo subito la (disastrosa) influenza mediorientale di cristianesimo, marxismo e psicanalisi.

Il 5 e 6 novembre una serie di post ha creato una sorta di dibattito fra i contributori a proposito degli Hunza e dei Kalash, due popolazioni molto simili che abitano le alte valli del Pakistan e dell’Afghanistan, caratterizzate da lineamenti prettamente europidi, pelle chiara, spesso occhi azzurri e capelli biondi, molto diverse dalle brune popolazioni circostanti. I Kalash, attaccati al loro paganesimo ancestrale sono purtroppo noti soprattutto per le persecuzioni che hanno subito e continuano a subire a opera dei loro vicini islamici, gli Hunza per la leggenda di una straordinaria longevità, si pretende che potrebbero vivere fino a 150 anni. Sul che mi permetto di essere scettico, sappiamo che tra le montagne dell’Asia i dati anagrafici non possono essere molto precisi.

Per quanto riguarda l’origine degli uni e degli altri, l’ipotesi più probabile, io penso, è quella che li riconnette all’antico popolo dei Tocari, cui apparterrebbero anche le famose mummie di Cherchen, rinvenute nel deserto del Takla Makan.

Il 9 novembre Michele Ruzzai ha postato e commentato un articolo del 3 di lescienze.it. Quest’ultimo, firmato Amy Maxmen, si occupa dei genomi delle popolazioni africane. In particolare, sembra che esista una relazione genetica fra i Boscimani e i Pigmei Baka e che queste popolazioni un tempo molto più diffuse di oggi, siano ancestrali rispetto a diversi altri gruppi africani. Ora, come fa notare il nostro Michele, quali che siano le relazioni interne fra i gruppi dell’Africa subsahariana, a differenza di quanto pretende l’autrice, queste ultime non possono dimostrare che essi siano ancestrali rispetto agli altri gruppi umani, ma è chiaro che i sostenitori dell’Out of Africa non sanno più a cosa appigliarsi per tenere in piedi la loro traballante mistificazione.

Bene, noi saremo sempre qui a ributtare loro in faccia le loro contraddizioni e la realtà delle cose.

NOTA:

Nell’illustrazione: a sinistra una suggestiva immagine tratta da “Territorio e spiritualità”, il mondo visto dalla prua di una nave vichinga, al centro la copertina di Iperborea di Ezio Abrile in uscita a dicembre, a sinistra un ainu dell’isola giapponese di Hokkaido, si noti la fisionomia caucasoide, del tutto priva di elementi mongolici.

1 Comment

  • Pier Ferreri 26 Novembre 2018

    Ringraziando il prof. Fabio Calabrese, tengo a precisare che il sito “Aurora Umana” è un nuovissimo forum dedicato alle tematiche surriportate, il cui nome è un omaggio all’opera di Herman Wirth “Die Aufgang der Menscheit” (“L’alba dell’umanità”) e presso il quale siete invitati a contribuire con le Vostre idee “non-conformi”.
    Questo è il link: https://auroraumana.forumfree.it/
    Saluti.

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