13 Maggio 2024
Ahnenerbe

Una Ahnenerbe casalinga, cinquantatreesima parte – Fabio Calabrese

Io credo di avervi altre volte espresso il concetto che è fonte di sorpresa prima di tutto per me il fatto che questa serie di articoli sia diventata sulle pagine di “Ereticamente” una sorta di rubrica fissa a cadenza bisettimanale (più o meno) e se ci pensiamo, la cosa non può non destare un certo stupore, considerando il fatto che noi qui non stiamo parlando di cronaca politica (anche se abbiamo visto che nel discorso sulle nostre origini, discorso che in ultima analisi si riflette sul modo in cui interpretiamo la nostra posizione nell’esistenza, la politica c’entra eccome!) né di cronaca nera né tanto meno di gossip o simili, ma di questioni scientifiche dove si suppone che le scoperte e anche i relativi dibattiti abbiano un altro ritmo.

Sarà che su questo punto si viene a toccare un nervo scoperto. E’ forse il caso di ricordare che nel 2014 “Le scienze” ha pubblicato allegato alla rivista il libro di Nicholas Wade Una scomoda eredità, la storia umana tra razze e genetica, ora al riguardo io devo essere sincero: si tratta di un libro di cui posseggo la versione in PDF ed è un testo di oltre mille pagine, piuttosto faticoso da leggere a schermo (e tralasciando il fatto che non trattandosi di un romanzo, bisogna prendere appunti a ogni capitolo), e per questo motivo ne ho rimandato più volte la lettura a cui conto di dedicarmi appena mi sarà possibile (ho una scaletta di lavori piuttosto fitta, fra cui gli articoli per “Ereticamente” occupano una parte non piccola), ma mi riprometto di farne una recensione come si deve.

C’è tuttavia una domanda a cui è possibile rispondere già adesso: perché la nostra eredità genetica, quel tipo di eredità, faceva notare Konrad Lorenz, che portiamo dentro di noi e che nessun testamento, nessun notaio, nessun tribunale ci può negare, sarebbe un’eredità scomoda? La risposta è scontata: perché le differenze biologiche e genetiche facilmente riscontrabili fra gli esseri umani mettono in crisi il dogma democratico dell’uguaglianza, e la cosa diventa tanto più grave (dal punto di vista di democratici, cristiani e marxisti assortiti, ovviamente), quanto più gli scienziati vanno accertando che non solo le nostre caratteristiche fisiche, ma anche quelle cognitive, comportamentali, sociali ed etiche, dipendono in misura rilevante dall’eredità genetica.

E’ dunque chiaro che su questo terreno si gioca una partita ricca di significati. Nella cinquantunesima parte della nostra serie di articoli (perché la cinquantaduesima è stata invece dedicata a quel riepilogo delle nostre tematiche iniziato con il n. 50) abbiamo visto lo scritto pubblicato su “Ethnopedia” da tale “Kirk” (non c’è pericolo che questa gente si presenti mai col proprio vero nome e la propria faccia) a cui la scoperta dei resti di un antico ominide balcanico che è stato soprannominato “El greco” e che mette seriamente in dubbio l’origine africana dell’umanità, deve aver provocato un vero e proprio travaso di bile, e non ha trovato nulla di meglio che prendersela coi siti “di Area”, “Il Primato Nazionale”, “VoxNews” e (guarda un po’) “Ereticamente”.

Fra poco ci verranno a dire che i resti di una creatura vissuta 7,2 milioni di anni fa sono “fascisti” e che tra le ossa rinvenute sono state trovate le tracce fossili di una tessera del PNF o del NSDAP!

Alla replica che gli ho già dato, varrebbe la pena di aggiungere una noterella: secondo costui, la nostra visione delle cose dipenderebbe da “biases”, cioè distorsioni dettate da motivazioni ideologiche (un altro tratto caratteristico di queste persone è la tendenza a imbastardire il linguaggio che usano riempiendolo di anglicismi di cui si può francamente fare a meno, come se la lingua italiana non fosse idonea a esprimere certi concetti); bene, parlando almeno per “Ereticamente” e per me (su “Ereticamente” a occuparci di paleoantropologia, della questione delle origini della nostra specie siamo soprattutto Michele Ruzzai e io, ma l’ottimo Michele non me ne voglia, con una presenza qualitativamente importante ma quantitativamente molto minore della mia), se si vanno a leggere i testi da me (da noi) pubblicati, si vede che fra le fonti citate spiccano “Le scienze”, “La Repubblica” e simili, tutte fonti di estrema, estremissima destra, per non parlare nemmeno della ricerca che ha mostrato che le differenze del DNA dell’uomo di Neanderthal rispetto a quello dell’uomo moderno sono praticamente irrilevanti, ricerca compiuta da studiosi dell’Università Ebraica di Gerusalemme, cioè – va da sé – un gruppo di nazisti della più bell’acqua.

La verità molto semplice è che queste “democratiche” vestali del Pensiero Unico non sanno più a che santo votarsi pur di continuare a tenere in piedi le finzioni dell’origine africana e dell’inesistenza delle razze umane. Come dice il proverbio, il diavolo fa le pentole ma non i coperchi.

Bene, come se tutto ciò non bastasse, sembra che le scoperte paleoantropologiche in grado di rimettere in discussione la leggenda dell’Out of Africa si stiano succedendo a un ritmo incalzante. Prima di esaminare in dettaglio l’ultima scoperta citata da un numero rilevante di fonti (“Le scienze”, “The Guardian”, “ANSA”, tutte come si vede rigorosamente “di Area”), è importante una precisazione: l’Out of Africa, che non è una teoria scientifica, ma un’interpretazione ideologica delle nostre origini, quindi precisamente un bias nel senso in cui “Kirk” usa questa parola, non si limita ad affermare che la nostra specie avrebbe avuto origine sul continente africano, ma ci sono due importanti corollari, che questa origine sarebbe avvenuta in tempi relativamente recenti e che trarremmo la nostra origine dai neri subsahariani. E’ perfino ironico che un ritrovamento avvenuto proprio in Africa venga ora a smentire entrambi questi assunti.

Il motivo per cui l’Out of Africa è costretta a postulare un’origine recente della nostra specie (non oltre 70.000 anni fa), è questo: circa 100.000 anni fa il nostro pianeta era abitato da diverse popolazioni umane, variamente etichettate come pre-sapiens o sapiens arcaiche (l’uomo di neanderthal è il più noto, ma certamente non il solo), l’OOA pretende che esse siano scomparse senza lasciare traccia nell’umanità odierna, per fare spazio all’uomo moderno che si suppone di esclusiva ascendenza africana. Ora, si potrebbe anche ipotizzare che sia stato il presunto sapiens africano a portarle all’estinzione (magari con qualche bel massacro come gli yankee hanno fatto con i nativi americani e gli israeliani stanno facendo con i palestinesi), ma di sicuro ciò non fa fare una bella figura a questa concezione le cui motivazioni non sono per nulla scientifiche, ma hanno lo scopo di farci accettare l’immigrazione, il meticciato e la sostituzione etnica.

Per togliersi dagli impicci, i sostenitori dell’OOA hanno inventato la favola accessoria secondo la quale l’esplosione del vulcano Toba in Indonesia avvenuta tra 70 e 50 mila anni fa, avrebbe provocato una sorta di inverno nucleare che avrebbe portato all’estinzione tutte le popolazioni umane allora esistenti, eccetto un pugno di superstiti africani che sarebbero diventati i nostri antenati (appena un po’ meno inverosimili di quelli di Italo Calvino). Ora è chiaro che il ritrovamento di fossili umani anatomicamente moderni antecedenti a 70.000 anni fa, anche in Africa ma ben al disopra dell’area equatoriale che si suppone sarebbe stata “l’arca” che avrebbe preservato questi nostri presunti antenati, indebolisce l’OOA.

Quanto all’altra assunzione che questi nostri antenati sarebbero stati vicini antropologicamente al nero sub-sahariano; questo è un punto essenziale di tutto l’ambaradan out-of-africano, anche se viene raramente esplicitato e lo si lascia perlopiù sottinteso, e tuttavia è la vera ragion d’essere dell’OOA, ne fa un corollario di tutto l’apparato ideologico antirazzista (dove per “razzismo” si intende sempre non l’affermazione della superiorità di una razza sulle altre, ma la constatazione che le razze umane esistono), la presunzione in ultima analisi che noi caucasici non saremmo altro che dei neri “sbiancati”.

Bene, proprio questo secondo assunto si fonda sul nulla. Non solo non esiste alcuna prova della pretesa che il nero subsahariano sia ancestrale rispetto agli altri gruppi umani, ma non rappresenta nemmeno il popolamento più antico dell’Africa che con ogni probabilità è rappresentato da un tipo umano diverso, l’antenato comune delle popolazioni khoisanidi (Boscimani e Ottentotti) e pigmoidi. Il gruppo “nero” (congoide) sembrerebbe essere invece di formazione relativamente recente, e secondo alcuni autori la sua formazione sarebbe avvenuta al di fuori dell’Africa nel plateau arabico.

Occorre avere presente questo quadro per capire come mai una scoperta di fossili umani avvenuta su suolo africano possa non rafforzare, ma indebolire l’Out of Africa.

La notizia, come vi dicevo, è comparsa su “The Guardian”, è stata ripresa dall’ANSA e da “Le scienze” (tutte e tre fonti – come è ben noto – fasciste, fascistissime come le leggi del 1925): in Marocco, a Jebel Irhoud, una vecchia miniera 100 chilometri a ovest di Marrakech, sono emersi resti umani fossili (appartenuti pare ad almeno cinque persone) di aspetto molto antico, ma la vera sorpresa è venuta fuori quando questi resti sono stati sottoposti a test volti a stabilirne l’età da parte di Jean-Jacques Hublin dell’Istituto Max Planck per l’antropologia evoluzionista di Lipsia, test dai quali è risultato che questi fossili di uomini anatomicamente moderni, sapiens, risalirebbero a ben 300.000 anni fa, quindi sarebbero ben anteriori a quanto previsto dall’OOA.

La notizia è dei primi di giugno e, come era prevedibile, MANvantara l’ha riportata molto prima di me (il vantaggio di un gruppo facebook è precisamente quello di riuscire a “stare sul pezzo” in tempo quasi reale, mentre quello che sto facendo io è un lavoro di riflessione e rielaborazione, ed “Ereticamente” ha di certo una maggior diffusione, ma comporta una tempistica più lunga) e al riguardo, un collaboratore del gruppo, facendo riferimento alla fonte ANSA ha commentato:

“Anche se qui la Out of Africa Theory non è smentita direttamente, fa riflettere su una necessaria antedatazione del Sapiens e una sua localizzazione in area mediterranea (Marocco) prima di quanto finora ritenuto possibile rispetto all’idea di un’origine subsahariana”.

La distinzione che viene qui fatta tra area mediterranea (compresa la sponda africana) e Africa in senso globale, ma soprattutto subsahariano, non è accademica, infatti occorre ricordare una volta di più che “africano” in senso geografico non significa necessariamente “nero”. Che un’Africa settentrionale abitata da popolazioni affini al Cro Magnon possa aver avuto un ruolo importante nell’antico popolamento dell’Europa ai tempi in cui il Sahara non era ancora un deserto bensì una regione fertile con ogni probabilità intensamente popolata, è un’ipotesi tutt’altro che da scartare. Ernesto Roli, lo studioso già amico e collaboratore di Adriano Romualdi, ad esempio, si era espresso con me in questo senso in una comunicazione privata, ma questa è tutt’altra cosa rispetto all’affermare che il nero subsahariano abbia avuto una qualche parte in ciò.

Andando a esaminare le cose pubblicate da MANvantara in questo torno di tempo, si trova una recensione del nostro Michele Ruzzai del libro di Luigi Brian Il differenziamento e la sistematica umana in funzione del tempo (ed. Martello 1972). Il fatto che questo lavoro sia alquanto datato non deve far pensare che si tratti di un’opera superata: semplicemente è con ogni probabilità uno degli ultimi testi che si sono potuti scrivere, e ha potuto essere pubblicato da un editore generalista prima che intervenisse la censura democratica con la proibizione di parlare di razze.

Riguardo in particolare alle origini della razza nera, il nostro Michele riporta:

Brian ricorda che la razza congoide – definizione che abbraccia le attuali popolazioni subsahariane – viene considerata “ad evoluzione tardiva”, seguendo l’impostazione di Carleton Coon. In effetti possiamo ricordare che reperti dalla chiara morfologia negride sono piuttosto recenti (come peraltro anche quelli mongolidi), mentre i ritrovamenti di aspetto europide sono sicuramente più antichi, ad esempio Cro Magnon e Combe Capelle”.

In poche parole, e questo è il punto realmente centrale, la documentazione fossile ci consente di smentire decisamente che il nero subsahariano possa essere il tipo ancestrale della specie umana, mentre appare piuttosto il frutto tardivo dell’adattamento a un ambiente particolare, quindi anche nell’ipotesi di collocare in Africa il punto di origine della nostra specie, quello che è il cuore dell’OOA, ispirato non da dati di fatto ma dall’esigenza ideologica “antirazzista”, cioè che “verremmo dai neri”, non sta assolutamente in piedi.

Sempre per completare la panoramica di questo periodo, MANvantara riporta il link a un articolo di “Science Daily” del 23 maggio che a sua volta cita come fonte l’università di Toronto dove si parla dei resti di un ominide risalenti a 7,2 milioni di anni fa ritrovati nei Balcani. Non si tratta di altri, l’avrete capito subito, che del nostro “El Greco”.

Bene, potremmo dire, finalmente questa importante scoperta è menzionata non soltanto in siti “di Area” ma in una pubblicazione scientifica ufficiale, il che andrebbe benissimo se non fosse per un fatto, che comunque si tratta di una pubblicazione straniera. In Italia fuori dall’ “Area” tutto tace, eccezion fatto come abbiamo visto, per l’articolo su “Ethnopedia” tendente a denigrare questa scoperta e coloro che ne evidenziano l’importanza. Si direbbe che “El Greco” sia dannatamente scomodo per qualcuno.

Cosa dobbiamo pensare di una democrazia e di una “scienza democratica” che teoricamente proclamano la libertà di opinione e il libero confronto delle idee e che nella pratica hanno paura dei fatti (non delle opinioni, perché l’esistenza del fossile di “El Greco” è un fatto!) e li censurano?

Si ha forse paura di mettere in crisi un’immagine del nostro passato e di noi stessi ortodossa e quindi tranquillizzante. Peccato solo che questa tranquillizzante ortodossia con la pretesa dell’inesistenza delle razze e della riduzione delle etnie a mero fatto culturale, ci porti dritti al suicidio come popolo.

NOTA: Nell’illustrazione (tratta da “Le scienze”) si può vedere la ricostruzione di un cranio di Jebel Irhoud ottenuta al computer sulla base di microscansioni di tomografia computerizzata.

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