Intervista a Oronzo Cilli
Gli ottanta anni de Lo Hobbit, e la regolare pubblicazione di testi inediti o nuove edizioni ampliate alimentano la mai sopita attenzione su J.R.R. Tolkien che però, oltre ad essere un autore di culto è diventato anche un personaggio letterari in storie scritte da altri allo stesso modo di diversi scrittori, soprattutto di narrativa fantastica, come H.P. Lovecraft e Jean Ray. Ne parliamo con Oronzo Cilli, autore di Tolkien e l’Italia (Il Cerchio, 2016) ricco di documenti inediti e di novità che ci riguardano e curatore del sito Tolkieniano Collection.
Dunque è toccato anche a Tolkien diventare protagonista di una storia?
Sì e non sono rari i casi in cui lo si ritrova protagonista principale o comprimario in romanzi e perfino fumetti di vario genere. Ricordo gli inglesi Mirkwood di Steve Hillard, e Where the shadows lie di Michael Ridpath, (L’anello dei ghiacci, Garzanti). In entrambi, Tolkien e Il Signore degli Anelli servono a rendere credibili storie completamente inventate.
In Italia ci sono state opere di questo tipo?
Uno dei primi credo sia stata la storia a fumetti Dietro lo Specchio (Lanciostory Più, 1998), poi c’è Stella del mattino (Einaudi 2008, 2017) di Wu Ming 4 (Federico Guglielmi), nel quale è coprotagonista assieme a C.S. Lewis, Robert Graves e T.E. Lawrence (Lawrence d’Arabia), attorno al quale gira tutta la storia, ambientata a Oxford tra il 1919 e il 1921. Ma il discorso qui è complesso.
In che senso?
Se in altri lavori quasi tutta l’ambientazione, come la maggior parte dei protagonisti, è di fantasia, in Stella del mattino gli attori principali sono tutti realmente esistiti e si muovono in uno spazio e in un tempo ben definito storicamente. Al fianco di Tolkien ci sono anche la moglie Edith, i figli John e Michael, e gli amici Wiseman, Gilson e Smith. Ma la resa finale, oltre a presentare una storia piatta, non suggestiva e noiosa con quel suo realismo minimalista a forza di frasi brevissime, restituisce al lettore un Tolkien molto lontano dalla realtà che l’autore vorrebbe tener presente.
Infatti, nel libro c’è scritto che l’autore si è preso “la libertà di colmare alcuni buchi nelle loro biografie, di romanzare o inventare le circostanze dei loro incontri, di adattare a scopi letterari gli eventi storici che li hanno visti partecipi”.
In realtà di libertà se n’è presa molta, almeno su Tolkien, al punto che ritengo che non abbia “colmato buchi” ma rivisto o cancellato ciò che si conosce della sua vita privata e pubblica. Il Tolkien che ne viene fuori è quasi irriconoscibile e si sposa con l’idea, a mio parere sbagliata, che ne ha Guglielmi. Il suo “colmare” si traduce in molta approssimazione, in un puzzle costruito con tasselli presi qua e là dalla sua vita reale, spesso non coincidenti con il periodo narrato (1919-21), uniti a palesi ed evidenti invenzioni che forniscono al lettore un’immagine distorta di Tolkien che passa per “vera”. Secondo Guglielmi, Tolkien è “un tipo tranquillo, tutto in superficie”, “un borghese piccolo e conservatore”, sicché per questo romanzo ha dovuto affrontare “una bella sfida per ricavare anche per lui un plot che fosse avvincente, una parabola compiuta” in cui ha “immaginato le avvisaglie di una patologia postraumatica che mettesse a repentaglio il suo quieto vivere”. Basta leggere quanto scritto negli ultimi anni all’estero sul piano biografico per capire la differenza tra Tolkien vero e il Tolkien “ricostruito” da Guglielmi.
Quindi non un semplice romanzo di fantasia come si dovrebbe pensare?
Il termine “fantasia” entra in gioco quando si devono far notare all’autore diversi errori e travisamenti nel ricostruire il personaggio e la personalità di Tolkien. Viceversa la risposta di Guglielmi è che non si tratta di “fantasia” in quanto si è “basato su documentazione storica” che si “spinge parecchio in profondità, fino a mappare le relazioni personali tra alcuni personaggi del romanzo”, come egli scrive. E a leggere le diverse recensioni, di gente che non ha dimestichezza con la biografia di Tolkien né con le sue opere, si capisce che il messaggio che passa non è la trama “di invenzione” bensì è legato al secondo aspetto, quello verosimilmente biografico che in alcuni casi Guglielmi asseconda.
Qualche esempio?
Impossibile elencarli tutti: Tolkien mai incontrò T.E. Lawrence; Lewis lo conoscerà solo dopo, nel 1926; di Graves è noto un solo “incontro”, commentato non favorevolmente da Tolkien, addirittura nel 1964. Episodi realmente accaduti ma spostati nel tempo come la conferenza all’Exeter College e l’allontanamento dalla fede cattolica di Edith avvenuto per ragioni diverse da quelle narrate e che Guglielmi tratta in modo alquanto superficiale. E poi, la reazione avuta da Tolkien al ritorno dal fronte che fu diversa da quella descritta da Garth in Tolkien e la guerra (Marietti, 2007), o l’irreale discussione durante (il mai avvenuto) incontro con Wiseman sull’origine della sua visione degli amici morti al fronte. Eppure Guglielmi aveva a disposizione moltissimo materiale edito prima del 2008, su tutti il lavoro biografico di Scull e Hammond. Se lo avesse consultato, avrebbe di certo evitato di raccontare un “altro” Tolkien, ma forse il suo scopo era proprio quello: di mostrare una personale idea dell’autore dello Hobbit. E se così fosse, il risultato non è stato affatto centrato.
Ma in un romanzo di “fantasia” l’autore ha o non ha libertà di inventare anche dettagli biografici?
Certamente, ma in limiti precisi tentando di essere verosimile e non stravolgendo quel che si sa a propri fini non solo narrativi ma diciamo “ideologici”. Di Lovecraft si sono scritte le storie più stravaganti e fantasiose, ma entro i liniti del suo carattere e della sua “mitologia” senza mai pretendere che fosse quella la realtà che riempisse i “buchi” della sua vita… Nessuno ha detto: ma quello non è HPL! Qui le cose stanno diversamente: si è costruito un Tolkien ad usum delphini, o meglio ad usum Guglielmi spacciandolo per quello “vero”… E i lettori hanno creduto che fosse quello reale… non un Tolkien “fantastico”.
A proposito, conoscendo le attenzioni che gli eredi di Tolkien rivolgono a ogni tipo di lavoro in cui centri il professore o le sue opere, qual è stata la loro reazione a questo genere di opere?
Di certo non accondiscendete. La Tolkien Estate scrisse a Hillard, l’autore di Mirkwood, chiedendo la sospensione della pubblicazione in quanto non disponeva dei “diritti di utilizzare a fini commerciali il nome e la figura di Tolkien”. In particolare “non gli avevano mai concesso né il permesso di utilizzare il nome e la personalità di Tolkien per il suo romanzo né altro”. Aggiungendo che il romanzo “banalizzava il nome, la personalità e la reputazione del compianto professore”. E anche se “comprendevano che vi fosse un equilibrio tra la libertà di espressione e la protezione degli interessi legali, questo particolare uso del nome di Tolkien aveva superato la linea di ciò che è permesso.”
Gianfranco de Turris