12 Aprile 2024
Ahnenerbe

Una Ahnenerbe casalinga, cinquantasettesima parte – Fabio Calabrese

Da alcuni anni sto tenendo una serie di conferenze nell’ambito del Triskell, il festival celtico triestino e, come avete visto, ve ne ho riproposto i testi qui sulla nostra “Ereticamente”. Due anni fa, nel 2015, l’argomento era stato Il mito del Graal e il mistero di re Artù, l’anno scorso invece I misteri di Stonehenge. Quella di quest’anno il cui testo mi appresto a collocare anch’esso sulle nostre pagine, riguarda Le altre Stonehenge, cioè il fenomeno complesso quanto sottovalutato e negletto dall’archeologia ufficiale, del megalitismo nelle Isole Britanniche, che è molto più ampio del pur notevole complesso che sorge nella piana di Salisbury, e sarà quest’ultima tematica, divisa in due parti, l’oggetto dei nostri prossimi incontri settimanali.

Ora, è ben chiaro che queste conferenze, rivolgendosi a un pubblico generalista da cui non c’è da aspettarsi che condivida a priori la nostra visione del mondo, non abbordano direttamente le tematiche politiche, tuttavia è chiaro l’interesse che hanno per noi simili questioni nell’ambito di una Weltanschauung identitaria che deve proporsi l’obiettivo di valorizzare le nostre radici profonde e remote, in contrapposizione a una “cultura” mondialista che ci vorrebbe tutti quanti degli sradicati, a cominciare dall’aspetto psicologico, partendo da un’ignoranza del nostro passato appositamente voluta, costruita e diffusa, e lo si capisce bene vedendo quale squallore sono ad esempio oggi i programmi scolastici riguardo all’insegnamento della storia.

In realtà, la prima di queste conferenze annuali l’avevo già tenuta nel 2014 che aveva per oggetto Il mondo celtico alle origini della civiltà europea, ma allora non pensai di collocarne il testo su “Ereticamente”. Lo farò adesso sotto forma di una sintesi quanto più breve possibile, prima di rendervi edotti della mia ultima fatica.

Tutto questo, ci tengo a sottolinearlo, non perché io pensi che le cose che dico abbiano un particolare valore, o che altri non possano affrontare le stesse tematiche meglio di me, ma perché in ogni caso si tratta di contributi utili a rafforzare la consapevolezza della nostra identità storica nei confronti di una “cultura” mondialista che mira alla sua cancellazione.

Come ho detto più volte, il concetto di “origini” è ampio e si situa a diversi livelli, e se stavolta non andremo alla ricerca degli antenati più remoti ma ci atterremo a un orizzonte temporale che è appena al di là di quello della storia documentata, tuttavia la collocazione in Una Ahnenerbe casalinga ritengo sia ugualmente appropriata.

Un punto che sarà ovvio per la maggior parte di noi, ma che è bene rimarcare per evitare ogni possibile equivoco, è che il discorso sul mondo celtico non deve essere preso a pretesto per secessionismi più o meno “padani”. I Celti sono una radice storica e una componente fondamentale dell’ecumene europea, che nell’età antica sono stati portatori di una cultura che ancora oggi la storiografia ufficiale ingiustamente minimizza proprio per la sua non riconducibilità a influssi mediorientali. È opportuno evidenziare anche che la contrapposizione tra mondo latino-mediterraneo ed Europa centro-settentrionale celtica e germanica percepita sempre come irrimediabilmente “barbarica” è qualcosa che non ci appartiene, è un’invenzione del pensiero cattolico-controriformista, e – in quanto cattolica – a noi estranea.

Tutto ciò però non significa che si debba avallare l’idea di una Padania celtica sottomessa a un’Italia latina. I dati della genetica (assolutamente non trascurabili in un’ottica che concepisce la nazionalità come sangue e suolo) ci mostrano un’Italia variegata da una componente celtica nel nord e una greca nel meridione, ma non in misura tale che non si possa parlare di essa come di una realtà unitaria. Quanto all’apporto che essa avrebbe ricevuto nei secoli da altri coloni o invasori, dai Longobardi ai Saraceni, Bizantini, Spagnoli, eccetera, esso appare del tutto marginale.

Chi fosse interessato a leggere integralmente il testo della mia conferenza del 2014, in ogni caso lo può trovare tra i file del gruppo facebook “Pagina celtica” da me curato, sotto il titolo Mondo celtico.

Beh, lo ammetto, in premessa ho barato un poco, nel senso che è tutt’altro che certo che Stonehenge e gli altri complessi megalitici che punteggiano l’Europa neolitica siano attribuibili effettivamente ai Celti o a qualche popolazione pre-celtica o pre-indoeuropea a cui i Celti sarebbero andati a sovrapporsi, ma il punto veramente importante è che il nostro continente ha dimostrato fin dalle origini un livello di civiltà in misura del tutto indipendente da influssi mediorientali ipotizzabili, che l’archeologia ufficiale si ostina a ignorare. Queste costruzioni che si trovano sparse non solo nelle Isole Britanniche ma praticamente in tutta Europa, rivelano non solo una notevole perizia ingegneristica, essendo edificate con monoliti del peso di svariate tonnellate che pure noi con i mezzi tecnici moderni avremmo seri problemi a porre in opera, ma anche raffinate conoscenze astronomiche che hanno consentito di allinearle orientandole nella direzione di solstizi, equinozi ed eclissi, in modo da poter fungere da enormi astrolabi per la previsione degli stessi, e tutto questo un buon millennio prima del sorgere delle piramidi nella Valle del Nilo e delle ziggurat mesopotamiche.

L’origine della leggenda della Mezzaluna Fertile come origine della civiltà umana a dispetto delle prove evidenti in senso contrario, leggenda che permea di sé e distorce tutta la nostra archeologia e storiografia e rappresenta tuttora la “vulgata” illustrata nei testi scolastici, è molto chiara: la concezione storica “occidentale” si è costruita attorno alla narrazione biblica, e non si può riuscire a schiodarsi da essa finché non si ha il coraggio di considerare il “libro sacro” della cultura ebraico-cristiana per quello che effettivamente è, un testo il cui valore storico è praticamente nullo.

Riguardo alla questione dell’identità dei costruttori di megaliti delle Isole Britanniche, riportavo poi il parere dell’insigne archeologo Colin Renfrew che, sia pure in controtendenza con l’orientamento della maggior parte dei suoi colleghi, in un articolo pubblicato su “Le Scienze” nel 1991, ha sostenuto che essi non appartenevano a una qualche popolazione pre-indoeuropea poi assorbita dai Celti, ma erano proprio indoeuropei diretti antenati di quelli che conosciamo come Celti in età storica.

Un punto che dovrebbe essere chiaro, è che non si può parlare di civiltà fino all’innescarsi delle rivoluzione agricola. Solo con la nascita dell’agricoltura le comunità umane hanno potuto abbandonare lo stile di vita nomadico di cacciatori-raccoglitori, perché solo allora gli uomini hanno potuto raccogliere più cibo di quello indispensabile a sostentare se stessi e le loro famiglie, e quindi dare luogo a classi di lavoratori non direttamente impegnate nella produzione di quanto immediatamente necessario alla sussistenza. Bene, il punto successivo che ho esaminato, sono proprio le prove (indirette ma molto convincenti) del fatto che la rivoluzione agricola sia avvenuta non in Medio Oriente ma in Europa. Esse sono essenzialmente la priorità dell’Europa rispetto al Medio Oriente nell’allevamento dei bovini e nella lavorazione dei metalli.

La prima è dimostrata fuori di dubbio dalla tolleranza al lattosio in età adulta, che è chiaramente un adattamento darwiniano alla nuova fonte alimentare che l’allevamento bovino ha reso disponibile: essa è massima nell’Europa centro-settentrionale e decresce mani mano che ci si sposta verso il sud e verso l’est, fino a sparire in Africa e nell’Asia orientale; ciò suggerisce che l’allevamento bovino sia iniziato in qualche punto dell’Europa tra la Scandinavia e l’Arco alpino.

La sostituzione con il metallo degli utensili litici della preistoria, la cui produzione era pienamente adeguata alle esigenze dei cacciatori-raccoglitori nomadi, suggerisce un incremento demografico di popolazioni in espansione numerica che, considerati i limiti demografici cui sono soggette le popolazioni di cacciatori nomadi, non può essere spiegato altro che con l’introduzione dell’agricoltura. Bene, anche qui le prove sono molto chiare: il più antico attrezzo metallico conosciuto è l’ascia di rame di Oetzi, l’uomo del Similaun (di cinque secoli più antica del più antico analogo attrezzo mediorientale di cui si abbia notizia), e la più antica miniera conosciuta si trova a Rudna Glava nella ex Jugoslavia.

Ciò detto, ho esaminato un altro esempio che dimostra in maniera lampante come l’originalità e la creatività dei nostri antenati europei siano costantemente sottostimate. L’invenzione dell’alfabeto è comunemente attribuita ai Fenici, ma i Fenici non fecero altro che semplificare la scrittura demotica egizia omettendo le vocali e riducendo quindi il numero enorme di segni richiesto da una scrittura sillabica. La vera invenzione dell’alfabeto con la divisione della sillaba in consonante e vocale e l’introduzione dello spazio fra le parole, la notazione semplice e pratica che usiamo ancora oggi, fu creata dai Greci, non è un’invenzione mediorientale (fenicia), ma europea (greca).

Andiamo oltre, perché l’invenzione dell’alfabeto è stata preceduta da scritture ideografiche e sillabiche. La più antica scrittura conosciuta non è né quella geroglifica né quella cuneiforme, ma è stata scoperta nel 1962 nel sito di Turda in Romania appartenente alla cultura Vinca dall’archeologo Nicolae Vlassa su alcune tavolette note come tavolette di Tartaria, una scrittura più antica di almeno un millennio dei più antichi pittogrammi sumerici conosciuti, ritenuti fin allora i più antichi esempi di scrittura.

Dal 1962 a oggi, di acqua sotto i ponti ne è passata un bel po’, e il fatto che certe acquisizioni non siano mai arrivate al grosso pubblico cui si continua invece ad ammannire la favola dell’origine mediorientale della civiltà, dimostra l’esistenza di una vera e propria volontà censoria. Non si sa mai che gli Europei ritrovino l’orgoglio delle loro origini.

Mi sono poi dedicato a un’analisi dei complessi megalitici più importanti dell’area celtica e centro-europea, ed è un peccato che il fatto di dovermi rivolgere a un pubblico “celtico” mi abbia qui imposto di non menzionare altri complessi megalitici europei come le mura ciclopiche di Narni, i monumenti nuragici della Sardegna come il complesso di Barumini, e soprattutto gli splendidi templi ciclopici dell’isola di Malta, e vorrei qui sottolineare il fatto che l’Europa mediterranea e la nostra Penisola non erano all’epoca affatto più arretrate del mondo settentrionale.

Delle scoperte avvenute in tempi recenti a Stonehenge (e delle quali perlopiù i media hanno graziosamente evitato di informare il grosso pubblico), ho riparlato con maggiore ampiezza nella conferenza del 2016, il cui testo, I misteri di Stonehenge, trovate sulle pagine di “Ereticamente” sotto forma di due articoli, e ora non vi vorrei accennare se non in estrema sintesi. Soprattutto le sepolture nell’area del complesso megalitico si sono dimostrate in grado di gettare una luce nuova sull’intera concezione che abbiamo dell’Europa preistorica. Uno strumento di grande importanza si è dimostrato l’analisi dello smalto dentario dei resti umani inumati, poiché gli isotopi di ossigeno e lo stronzio in esso presenti consentono di individuare la zona di origine di quelle persone. In particolare quella dell’arciere di Amesbury, un uomo sessantenne afflitto da un grave ascesso che aveva intaccato l’osso della mandibola e da un’accentuata zoppia proveniente dall’Arco alpino, e del ragazzo con la collana di ambra, un quindicenne proveniente dal Mediterraneo (ma la collana è di origine baltica) ci rivelano un’Europa preistorica di gran lunga più civile di quel che avremmo forse supposto nella quale non isolati avventurieri, ma persone malate e gruppi familiari come quello di cui probabilmente il ragazzo faceva parte, nonché merci come la collana di ambra baltica, potevano percorrere grandi distanze, e la stessa cosa avveniva probabilmente per le notizie, se la fama del santuario nella piana di Salisbury, una Lourdes neolitica, come è stato definito, aveva potuto attirare pellegrini da luoghi così lontani.

Il resto della conferenza che, come vedete, ha trattato uno spettro di argomenti davvero ampio, ha riguardato la tomba neolitica irlandese di Newgrange, il complesso di monumenti noti come Cuore neolitico delle Orcadi che nel 1999 è stato dichiarato dall’UNESCO patrimonio dell’umanità (ciò nonostante, quanti di voi ne hanno sentito parlare?), il grande cromlech di Avebury, che copre un’area quattro volte maggiore di quella di Stonehenge, quel singolare monumento che è la collina artificiale di Silbury Hill, quell’autentico mistero archeologico che è rappresentato dai forti vetrificati dell’Età del Ferro, eretti in Scozia, Inghilterra, Francia, (Bretagna), che costituiscono un enigma non solo riguardo alle popolazioni che li hanno eretti, ma soprattutto per le tecniche con le quali potrebbero essere state ottenute le altissime temperature necessarie a fondere il granito in modo che i blocchi di pietra si amalgamassero in un unico impasto vetroso.

Ancora, ho parlato di due scoperte recenti, nelle Orcadi il sito noto come Ness of Brodgar, dove sono emersi i resti di una vasta struttura oggi nota come la “cattedrale neolitica” e, sempre in Scozia, quella che è forse la scoperta più sensazionale: nel sito scozzese di Warren Field l’individuazione di dodici fosse di età mesolitica che sembrano con il loro allineamento aver costituito un vero e proprio calendario lunare, uno strumento di misurazione del tempo di quasi 5000 anni più antico del più antico calendario mediorientale noto.

Altrettanto importanti i ritrovamenti effettuati fuori dalle Isole Britanniche e, come ho detto all’inizio, proprio per il “target” della conferenza, mi sono attenuto all’esame di quelli che interessano in qualche modo l’area celtica, ma l’Europa mediterranea è di certo altrettanto ricca di sorprese, di scoperte inaspettate che non si possono inquadrare nello schema “ufficiale” che sostiene la derivazione della civiltà europea dal Medio Oriente.

A parte gli allineamenti megalitici di Carnac in Bretagna, se ci spostiamo nell’area germanica, c’è da segnalare in primo luogo il complesso megalitico di Externsteine, una vera e propria “Stonehenge tedesca”. Ancora oggi la tradizione attribuisce al luogo la presenza di influenze magiche, al punto che Heinrich Himmler scelse il castello di Wevelsburg che si trova nei pressi del complesso megalitico come “casa madre” dell’ordine delle SS. Tuttavia, Externsteine non è qualcosa di unico: nel 2003 gli archeologi hanno portato alla luce nel sito di Gosek in Sassonia-Anhalt un’altra “Stonehenge tedesca” ancora più antica. Questa scoperta, poi, si pone in relazione con quella di quello straordinario manufatto, un vero e proprio astrolabio preistorico che condensa una conoscenza astronomica raffinata, che è il disco di Nebra.

Infine, proprio per non farci mancare nulla, anche un sito ben conosciuto di età storica come è, sempre in Germania, il sito celtico di Heuneburg, ci ha riservato in tempi recenti con il ritrovamento della tomba intatta, sfuggita ai saccheggiatori, di una principessa celtica, e il materiale ritrovato in essa ci ha permesso di farci una nuova idea della cultura celtica, più evoluta e raffinata di quel che avevamo finora pensato.

Non si rende giustizia a tutte queste scoperte che ci rimandano un’immagine del nostro passato europeo molto diversa da quella che ci è stata finora proposta e viene tuttora graziosamente ammannita dai testi scolastici con un’esposizione così a volo d’uccello, ma abbiamo parlato più volte di queste tematiche e ne riparleremo in futuro. I due prossimi articoli, infatti, saranno le due parti della conferenza che ho tenuto al festival celtico Triskell  quest’anno.

Tuttavia, una cosa è assolutamente chiara: se la “scienza” ufficiale fosse la ricerca spassionata e obiettiva della verità che dichiara di essere, sarebbe veramente incredibile che questi cosiddetti ricercatori e scienziati ignorino una messe di dati così vasta, mentre si esaltano per l’ultimo coccio di vaso ritrovato in Medio Oriente. Una visione della civiltà umana nella quale il ruolo dell’Europa è brutalmente minimizzato fa parte di un preciso disegno politico, è parte di quel cloroformio mentale che vorrebbe indurci ad accettare senza resistenze la sostituzione etnica e la sparizione dei popoli europei.

Noi però sappiamo di avere una grande eredità da difendere, e che la consapevolezza del passato è uno strumento indispensabile per costruire il futuro.

L’illustrazione che correda questo articolo è una suggestiva immagine degli allineamenti megalitici di Carnac (Bretagna).

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