11 Aprile 2024
Tradizione

Thanathos: riflessioni sulla Morte – Luigi Angelino

Nel linguaggio comune, quando si parla di “morte”, si fa riferimento alla cessazione delle funzioni biologiche proprie di ciascun organismo vivente ed, in particolare, ad una condizione che abbia le caratteristiche dell’irreversibilità. La morte, in realtà, non può essere definita se non in relazione alla vita, il cui concetto nel corso del tempo è cambiato e si è sviluppato, a seconda delle varie concezioni ideologiche e filosofiche, ma soprattutto alla luce delle progressive acquisizioni in ambito scientifico (1). Dal punto di vista biologico, la morte (mors in latino) può essere definita “in negativo”, come la definitiva cessazione di tutte le funzioni vitali proprie dell’essere vivente. Il problema, tuttavia, è stato sempre quello di determinare con esattezza quando abbiano fine le funzioni vitali dell’essere vivente, in considerazione del fatto che sia la vita e di conseguenza la morte, appaiono come “fenomeni emergenti” dalla struttura dell’organismo stesso. La definizione di morte, pertanto, si è evoluta nel tempo, di pari passo allo sviluppo della civiltà umana, comprendendo credenze mitologiche, religiose e filosofiche, come uno dei principali eventi drammatici della ricerca del senso ontologico dell’umanità (2). E’ molto interessante osservare che in biologia si distingue la “morte individuale” dalla “morte di un’intera specie”, di solito denominata “estinzione”. Anzi, sotto il profilo evolutivo, la morte individuale rappresenta quasi una necessità ed una conseguenza derivante dallo stesso concetto di “evoluzione”. E tutti i miti antichi sono ricchi di narrazioni in cui i cicli vitali comprendono la morte e la rinascita, per il miglioramento stesso dell’esistenza umana ( si pensi, a tale proposito, al racconto di Demetra e Persefone) (3).

La storia delle diagnosi di morte è complessa ed inquietante allo stesso tempo. Uno dei più grandi studiosi dell’antichità, Democrito, affermava che non c’era nessuna certa caratteristica della morte, sulla quale il medico poteva basarsi. Si stima che fino al XIX secolo vi siano stati numerosi casi di “sepolti vivi”, forse l’incubo peggiore che la nostra mente possa immaginare. Proprio nel XIX secolo si diffuse l’usanza di praticare ferite e mutilazioni ai defunti, in modo da avere la ragionevole certezza che nessuno si sarebbe risvegliato. Addirittura anche l’imbalsamazione ebbe una notevole diffusione, a causa del terrore di ricevere una sepoltura prematura, mentre in alcuni ambienti si arrivò perfino ad apporre dei campanelli alle bare, in modo che i custodi dei cimiteri potessero essere allertati da eventuali risvegli inaspettati (4).

Vediamo, attualmente, qual’ è la normativa italiana in merito. La legge 29 dicembre 1993, nr. 578, fa riferimento alla cessazione irreversibile delle funzioni dell’encefalo, per il cui accertamento il medico deve osservare le tecniche della semeiotica tanatologica. Per verificare la cessazione irreversibile delle funzioni vitali, è necessario rispettare gli adempimenti previsti dal Decreto 11 aprile 2008 del Ministero della Salute, che prescrive tutta la procedura da seguire per accertare e certificare la fine di una vita (5).

La morte più che un preciso momento è costituita da un intero “processo” che si conclude completamente soltanto dopo una serie di trasformazioni: dapprima l’algor mortis, ovvero il raffreddamento del cadavere; poi il rigor mortis, quando il cadavere si irrigidisce; infine, il cosiddetto “livor mortis”, uno degli aspetti più terrificanti, utilizzato dalla letteratura e dalla cinematografia, quando avviene il ristagno e la definitiva coagulazione del sangue che, non a caso, era indicato dagli antichi come “sede della vita”. Gli studi scientifici hanno rilevato come la decomposizione della salma inizi, in realtà, subito dopo l’arresto della circolazione sanguigna, anche se i suoi effetti più plastici emergono solo dopo alcune ore (6).

I rituali funebri si sono sviluppati di pari passo con la civiltà umana. Si potrebbe dire che l’uomo ha iniziato a chiedersi il significato della vita, solo quando ha cominciato a riflettere sulla morte e sulla necessità di seppellire i cadaveri. In Italia sono state trovate tracce che già durante il Neolitico iniziò a diffondersi il culto dei morti, mediante una rudimentale cerimonia che, comunque, dava un particolare significato al rispetto del defunto ed alla cura della sua dimora. Non mancarono elaborazioni antropologiche originali, come la credenza degli antichi Persiani, secondo cui i corpi non dovevano essere seppelliti, ma lasciati alla decomposizione su piattaforme sopraelevate, in quanto sia la terra che il fuoco costituivano elementi sacri. Nella zona amazzonica, invece, era in uso una forma di cannibalismo del morto, poiché il suo corpo veniva dapprima cremato e poi le sue ceneri erano impastate con una pappa a base di banana e mangiate da tutta la tribù. In questo modo si credeva che l’anima del morto rimanesse nel clan. Ciò costituisce anche un’importante traccia di strutture sociali primordiali totemiche, in cui l’uccisione sacrificale del capo doveva servire a rafforzare il vigore dell’intera tribù (7). Nell’ambito della cultura occidentale, a partire dal mondo greco-romano, il defunto può essere destinato a tre diversi principali trattamenti, dopo esser stato deposto in una bara che, anche in maniera semantica, serve a separarlo temporaneamente dal mondo dei vivi. Con l’inumazione, la bara, ermeticamente chiusa e rigorosamente di legno, viene sepolta sotto terra, ad una profondità non inferiore ai due metri; con la tumulazione, la bara sempre ermeticamente chiusa da una cassa di zinco, è murata in un loculo o in una tomba privata di diverse dimensioni, a seconda delle usanze locali e della posizione sociale del “de cuius”. Nella cremazione, più diffusa nel mondo orientale, ma ora ampiamente utilizzata anche nei Paesi occidentali, si provvede all’incenerimento della bara dentro forni speciali e, di seguito, le ceneri raccolte in genere in un’urna possono essere a loro volta tumulate oppure sparse in ambienti naturali (in aria, in mare, sulla terra), secondo le indicazioni del defunto, se espresse in vita, oppure dei più stretti congiunti (8). In tutte le culture, dopo il decesso, si celebra una cerimonia di commemorazione del defunto, chiamata comunemente “funerale”, sia di carattere religioso che strettamente civile. I cimiteri sono vere e proprie “città dei morti” con una regolamentazione amministrativa che cambia da Paese a Paese, ma in tutto il mondo sono considerati luoghi sacri e di rispetto. E ancora nell’epoca contemporanea non si è persa del tutto la consuetudine di imbalsamare personalità importanti come i papi o personalità politiche, come è stato fatto per Lenin o Mao.

Le riflessioni dell’uomo in merito alla morte rappresentano uno dei punti basilari per lo sviluppo delle religioni strutturate, anche se le modalità di definizione e di analisi hanno presentato un ampio ventaglio di interpretazioni a seconda dell’ambientazione storica e culturale. La convinzione dell’esistenza di un mondo oltre la morte, il cosiddetto “aldilà”, si è diffusa fin dagli albori delle civiltà. A tale proposito, è utile ricordare che molti antropologi ritengono che le sepolture già in uso presso gli “uomini di Neanderthal”(9), con tombe ricavate con cura ed adornate con fiori, possano costituire una prova di una ancestrale fede nell’esistenza di un mondo ultraterreno. Per molti studiosi, invece, più orientati alla negazione della trascendenza e della metafisica, il rispetto per i defunti deriverebbe da una necessità psicologica istintiva dell’uomo. Nella maggioranza delle religioni, soprattutto in ambito abramitico (10) ed orientale, con le dovute specifiche differenziazioni, vi è la credenza nella resurrezione dell’anima del defunto che potrà contemplare la Divinità in uno stato di beatitudine eterna. La dottrina cristiana afferma, perfino, che l’anima si unirà al corpo alla fine dei tempi, quando sarà compiuto il giudizio universale da parte di Dio. Si tratta di una elaborazione concettuale del tutto originale che supera sia il dualismo corpo-anima della filosofia greca, sia la stessa spiritualità ebraica che non conosceva il concetto di “resurrezione”. Le religioni orientali, come il Buddismo e l’Induismo, sono ancora legate alla dualità corpo-anima, risolvendo in maniera diversa il ricongiungimento dell’anima all’Uno ed il raggiungimento dello stato di beatitudine, con la trasmigrazione o con la reincarnazione, ma, comunque, con un processo di progressiva separazione dal corpo.

La morte non ha mai smesso di stimolare la fantasia dell’uomo, anche se è logico affermare che non esiste “la morte in sè”, ma vi sono solo “organismi viventi che muoiono”. Tuttavia, nell’immaginario collettivo, la morte è stata spesso associata ad una vera e propria “entità” esterna al vivente, come se si trattasse di qualcosa “che arriva”, con tutte le sue derivazioni mitologiche. L’iconografia occidentale raffigura, solitamente, la morte come “un sinistro mietitore”: è facile distinguere uno scheletro, vestito di saio nero, che impugna una falce fienaia. Tale immagine è presente anche in una carta dei Tarocchi e, precisamente una dei 22 arcani maggiori, nonché ampiamente diffusa nell’ambito della letteratura e delle arti figurative (11). E’ sintomatico come la carta dei Tarocchi associata alla “morte” di per sé non significhi “morte fisica”, ma cambiamento, quasi a sottolineare la speranza e la tensione spirituale dell’uomo orientate a considerare quel passaggio di transizione come l’ingresso verso una realtà, se non migliore, sicuramente diversa. Nei Tarocchi, infatti, la carta peggiore è la “torre” (12), indicante “rovina”, e questa se associata, in determinati contesti, a quella della “morte”, può anche avere il significato simbolico di morte fisica. Nella mitologia greca, la personificazione della morte era rappresentata da “Thanatos” che, secondo il poeta Esiodo, sarebbe stato concepito per partenogenesi da “Nyx” (la Notte), nonché fratello gemello di Hypnos (il Sonno). Thanatos era indicato come uno dei più grandi nemici del genere umano, ma inviso anche agli dei immortali e per questo relegato nel Tartaro, davanti alla porta degli inferi. I simboli più comuni di Thanatos e di sua madre Nyx erano le ali e la torcia capovolta, proprio a simboleggiare la vita che va a spegnersi fino ad estinguersi completamente. In alcune sculture è possibile notare Thanatos con un viso magro, gli occhi chiusi e coperto da un velo, mentre impugna una falce che indica la vita raccolta come il grano (13). Si tratta di un’immagine che influenzerà l’intera iconografia occidentale fino ad arrivare, come si è detto prima, all’iconografia del “sinistro mietitore”. Un altro simbolo che troviamo nel mondo greco è quello di Thanatos che porta in mano una farfalla (psuxè) che, come è noto, ha anche il significato di “anima”. I Romani mutuarono in parte la raffigurazione ellenica, denominandolo “Mors” e raffigurandolo in genere come un silenzioso genio alato, a cui dedicarono anche svariati culti. Di diverso tenore sono le personificazioni della morte nelle religioni orientali: nell’Induismo, Yama è la divinità dedicata al trapasso delle anime da un mondo all’altro, rappresentato come un uomo che cavalca un bufalo nero e vestito di rosso con gli occhi di fuoco e la pelle verde; mentre nel Buddismo Vajrayana, la morte, è considerato uno degli otto difensori del “Dharma” ed è raffigurato come un essere dalla pelle di colore nero-blu, vestito di pelli di animali ed adorno di teschi e di ossa (14). Secondo il “Midrash” ebraico(15), Dio creò l’angelo della morte il primo giorno. Egli abiterebbe nei Cieli ed è concepito con dodici ali, interamente ricoperto da occhi che tiene in mano una spada da cui gocciola fiele. Nel momento in cui un uomo o una donna sarebbero in punto di morte, l’Angelo farebbe cadere una goccia di fiele nella loro bocca, causandone la morte e la successiva decomposizione. Nell’Antico Testamento, l’Angelo della Morte è menzionato in molteplici occasioni, tra le quali si ricorda Esodo (12,23), quando il Signore “percuote”ogni primogenito d’Egitto, ma non fa passare “lo sterminatore” nelle case degli Ebrei (16), o l’episodio narrato nel II libro dei Re, quando l’Angelo del Signore colpisce 185.000 soldati nell’accampamento assiro (II Re. 19,35). Tuttavia, l’immagine biblica della “Morte” più famosa è quella del quarto cavaliere presente nel libro dell’Apocalisse di Giovanni di Patmos (17), destinata ad avere un’enorme influenza soprattutto sulla cultura medioevale.

La morte e la sofferenza sono forse i due dilemmi etici più stringenti della storia di tutti i tempi. L’uomo si è sempre chiesto chi o quale forza possa determinare sia la morte che la sofferenza, anche se, dal punto di vista strettamente biologico, entrambe sono causate dalla stessa struttura ontologica dell’essere vivente. Da queste riflessioni si è sviluppata, negli ultimi anni, un’altra disciplina di studio, la psicotanatologia, che analizza le problematiche riguardanti gli stati psico-sociali delle persone considerate malate terminali. Elisabeth Kubler Ross (18) è considerata la fondatrice di questa branca di studio umanistica così innovativa e particolare. La psicotanatologia risulta anche un importante sostegno di fronte al mistero della morte ed alle incognite di un’eventuale vita ultraterrena, costituendo anche un valido supporto al moribondo ed ai suoi congiunti nei casi di difficoltosa elaborazione del lutto. Si può dire che davanti alla morte l’uomo è portato a confrontarsi con una forza troppo grande, nei riguardi della quale non ha nessun potere ed alcuna possibilità di influenza. Gli stessi rischi che possono condurci alla morte ci orientano alla paura, sia per chi vive la stessa situazione di sofferenza, sia per le persone più vicine. Sono tanti i fattori che giocano un ruolo importante nel modo in cui ci rapportiamo al mistero della morte, come l’educazione ricevuta, le esperienze infantili, il nostro vissuto interiore ed esteriore, nonché il temperamento e la personalità del suo complesso.

In precedenza abbiamo detto che quasi tutte le culture affermano o sperano che vi sia, oltre la morte fisica, un’ulteriore dimensione, denominata comunemente “aldilà”. E’ superfluo ribadire che, a parte le diverse congetture e ricostruzioni di ogni dottrina, che cosa esista e se effettivamente esista un mondo ultraterreno rimane ancora uno dei più grandi misteri dell’umanità. Ciò nonostante, sono state avanzate alcune ipotesi, anche in base a testimonianze personali, su ciò che accade “poco prima e poco dopo la morte”. Dal punto di vista fisico, sappiamo bene che il corpo va in progressiva decomposizione, ma ancora non si conosce quali siano le esperienze a livello psichico o mentale. Molte persone hanno raccontato, però, di aver vissuto situazioni molto particolari e significative, in una sorta di ritorno nel “mondo dei vivi”, riuscendo a ricostruire ricordi davvero affascinanti. Alcuni hanno narrato, soprattutto dopo esperienze traumatiche od interventi chirurgici, di aver avuto la consapevolezza di “essere morti” e di essersi trovati in uno spazio informe, senza stelle e senza luce. Altri, invece, sostengono di aver attraversato un “tunnel di luce”, al cui termine avevano avvertito “una presenza amorevole”, alla quale non ritenevano opportuno avvicinarsi (forse per non rendere definitivo il trapasso). Numerose testimonianze, poi, hanno concordato sulla sensazione di aver ripensato, in maniera molto veloce, alla propria vita, quasi come se si trattasse di un film, o come sfogliando le pagine di un libro, passando repentinamente da un episodio all’altro. In realtà, non si sa se attribuire a questa tipologia di ricordi, la prova dell’esistenza di “qualcosa di ultraterreno”, o semplicemente la dignità di “processi psichici”. La ricerca scientifica, tuttavia, negli ultimi decenni si è occupata di studiare i casi di esperienze tra la vita e la morte, a cui è stato dato il nome anglosassone di Near Death Experience (19). Nel particolare, si comprendono in tale classificazione sia i fenomeni riportati da coloro che hanno ripreso le funzioni vitali dopo aver sperimentato la condizione di arresto cardiocircolatorio, sia da coloro che hanno vissuto l’esperienza del coma. I neuroscienziati hanno ipotizzato che esistano due tipi di Near Death Experience: il primo gruppo sarebbe associato all’emisfero sinistro del cervello e porterebbe ad un “senso alterato del tempo”, dando anche l’impressione “di fluttuare e di volare”; il secondo gruppo coinvolgerebbe l’emisfero destro, portando alla sensazione di aver udito musiche o voci celestiali e di aver visto spiriti. In più, è stato sottolineato che queste esperienze potrebbero essere determinate da una condizione di “depersonalizzazione”, uno stato psichiatrico caratterizzato da un’alterazione della percezione e dell’esperienza di sé; o anche da una condizione di stress così accentuata da indurre il cervello a rievocare l’esperienza della nascita (il tunnel visto da molti rappresenterebbe una sorta di equivalente del canale di parto).

Tra le esperienze vissute da personaggi famosi, mi piace rammentare quella di Carl Gustav Jung (20), filosofo ed uno dei maggiori esponenti della psicoanalisi. Nella sua opera autobiografica, Ricordi, sogni e riflessioni (21), descrive l’evento più traumatico della sua vita: un incidente che causò una frattura con conseguente infarto che l’avevano portato addirittura in coma. Si tratta di una delle più significative testimonianze, anche sotto il profilo letterario, dalla quale traspare, comunque, il pensiero del filosofo/medico psicoanalista: “Quel che viene dopo la morte è qualcosa di uno splendore talmente indicibile, che la nostra immaginazione e la nostra sensibilità non potrebbero concepire nemmeno approssimativamente…Prima o poi, i morti diventeranno un tutt’uno con noi; ma, nella realtà attuale, sappiamo poco o nulla di quel modo di essere. Cosa sapremo di questa Terra, dopo la morte? La dissoluzione della nostra forma temporanea nell’eternità non comporta una perdita di significato: piuttosto, ci sentiremo tutti membri di un solo corpo”.

Note:

1. Cfr. Danilo Mainardi, L’animale irrazionale. L’uomo, la natura e i limiti della ragione, Ed. Mondadori, Milano 2000;
2. Cfr. Nicola Laneri, Archeologia della morte, Ed. Liguori, Napoli 2011;
3. Il rapimento di Persefone, figlia di Demetra, da parte di Ade, il re degli Inferi, costituisce il mito basilare dei “misteri eleusini”;
4. Cfr., Philippe Arlès, Storia della morte in Occidente: dal medioevo ai giorni nostri, Ed. Bur, Milano 2006;
5. La legislazione italiana in materia è, ovviamente, in linea con i Regolamenti e le Direttive dell’Unione Europea;
6. Cfr., G.M. Pontieri, F. Mainiero, R. Misasi, R. Sorice, Patologia generale e fisiopatologia generale, Ed. Piccin-Nuova Libraria, Padova 2019;
7. L’ancestrale organizzazione tribale di adorazione del “totem” ispirerà Sigmund Freud nelle sua dottrina sulla psicologia della religione come forma di “nevrosi collettiva”;
8. Cfr., Maria Cristina Manca, Le cerimonie funebri come riti di passaggio, Ed. Franco Angeli, Milano 2005;
9. L’uomo, comunemente denominato di “Neanderthal” che prende il nome dalla valle di Neander presso Dusserldorf in Germania, è un ominide che visse nel paleolitico medio, in un periodo più o meno compreso tra i 200.000 ed i 40.000 anni fa;
10. Per religioni abramitiche, si intendono l’Ebraismo, l’Islamismo ed il Cristianesimo che risalgono al patriarca Abramo;
11. Nei tarocchi la Morte è la carta nr. 13 degli arcani maggiori;
12. Nei tarocchi la Torre è la carta nr. 16 degli arcani maggiori;
13. Cfr. Giuseppe Leone, Le chiome di Thanatos, Ed. Liguori, Napoli 2011;
14. Cfr. Eckard Schleberger, Le divinità indiane, Ed. Mediterranee, Roma 1999;
15. Per “Midrash” si intende un metodo di esegesi biblica seguito dalla tradizione ebraica. Con lo stesso termine si designa anche il genere letterario relativo a tale metodo, nonché le opere od una raccolta di opere nelle quali è stato utilizzato questo metodo stesso;
16. Si tratta di uno dei tanti episodi di inaudita violenza presenti nell’Antico Testamento, non solo menzionato nella Pasqua ebraica, ma presente perfino nella liturgia pasquale cristiana;
17. Come è noto, l’Apocalisse (Rivelazione), ultimo libro del Nuovo Testamento è attribuito a San Giovanni apostolo solo in maniera pseudoepigrafica, ma in realtà fu elaborato da un altro Giovanni durante un soggiorno forzato nell’isola greca di Patmos;
18. Elisabeth Kubler-Ross (1926-2004) è stata una celebre psichiatra svizzera, considerata la fondatrice della psicotanatologia;
19. In realtà in tale categoria si annoverano anche le esperienze di coloro che, pur avendo conservato le funzioni vitali, hanno corso un gravissimo rischio di morire, ad esempio a seguito di gravi incidenti;
20. Carl Gustav Jung (1875-1961) è considerato uno dei massimi esponenti della psicanalisi del ventesimo secolo. Inizialmente vicino alle posizioni di Freud, se ne distanziò in maniera progressiva, fino a concepire una propria “psicologia analitica”. Notevole è stato il suo contributo anche nel campo della filosofia e dell’antropologia;
21. Il libro fu pubblicato nel 1961, anno del decesso di Jung.

Luigi Angelino

1 Comment

  • Bruno Fanton 28 Giugno 2019

    Letto con interesse. Però, alle leggi, bisogna fare attenzione, ed a come vengono applicate, ancor di più, per non sconfinare nella macelleria umana inventata con gli espianti/predazioni e le (presunte) donazioni di organi. Tutto un lucroso mercato e traffico di esseri umani ci ruota intorno.

    Cordiali saluti
    Bruno Fanton
    Treviso

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