10 Aprile 2024
Mitologia

Sul mito di Dedalo ed Icaro – Luigi Angelino

Il racconto di Dedalo ed Icaro è uno dei più conosciuti della mitologia greca, una straordinaria sovrapposizione ideale tra realtà e fantasia, dove le aspirazioni divine si scontrano con la finitezza umana, trasfigurate nella vicenda di un padre geniale e di un figlio ribelle. Il mito tramanda che Dedalo era di origini ateniesi, dove aveva sviluppato un’eccezionale abilità nella scultura e nell’architettura, arti in cui aveva apportato profonde ed utilissime innovazioni tecniche. Alle mirabili capacità artistiche, tuttavia, non corrispondevano eguali qualità etiche, in quanto Dedalo fu accecato dalla gelosia e dall’invidia, quando si accorse che il suo aiutante, nonché nipote Calo, stava affinando tecniche di lavorazione simili, se non superiori, a quelle da lui stesso praticate. L’abilità di Calo provocò l’insano gesto dello zio che decise di ucciderlo. Dedalo, allora, fuggì da Atene per evitare la quasi certa pena che gli avrebbero inflitto i suoi concittadini, cercando asilo fuori dall’Attica. L’artista trovò una calorosa accoglienza a Creta da parte del re Minosse, da anni in guerra contro la sua patria. Mentre soggiornava presso il palazzo del re Minosse, Dedalo si unì ad una schiava del sovrano cretese, di nome Naucrate, per la quale si accese una bruciante passione. Con lei il profugo ateniese concepì un figlio, Icaro. A Dedalo, come abbiamo visto in una precedente narrazione a proposito del mito di Arianna, è attribuita la costruzione della mucca di legno, nella quale si nascose Pasifae, moglie di Minosse, per accoppiarsi con il toro sacro negato al sacrificio in onore di Poseidone. Come è noto, dalla perversa unione, nacque il minotauro, per metà uomo e per metà toro. Il mostro fu rinchiuso, per ordine del re Minosse, nel labirinto costruito dallo stesso Dedalo che, per questo motivo, era l’unico a conoscerne alla perfezione la struttura e, di conseguenza, l’unico modo per uscirne. A Dedalo si rivolse la principessa Arianna, figlia di Minosse, chiedendogli consiglio su come aiutare Teseo a trovare e ad uccidere il Minotauro. Il geniale artista, a questo punto, le suggerì il notissimo stratagemma del “filo”. Il re Minosse, quando sua figlia fuggì con Teseo, dopo l’uccisione del Minotauro, volle vendicarsi di Dedalo, pur avendone sfruttato l’ingegno e decise di rinchiuderlo, insieme a suo figlio Icaro, nell’oscuro labirinto (1). Ma l’astuto inventore non si diede per vinto ed escogitò un metodo per fuggire da quel luogo sinistro che lui stesso aveva ideato. Il piano di Dedalo prevedeva di disporre una serie di piume di uccello in fila, a cominciare dalle più piccole fino alle più grandi, in modo che sembrassero nate su una forma scoscesa. Al centro Dedalo legò le piume con fili di lino, fissandole alla base con un materiale simile alla cera, curvandole leggermente, in modo che assomigliassero ad ali vere.

Il padre raccomandò in maniera perentoria a suo figlio Icaro di volare a “mezz’altezza” e di non allontanarsi troppo da lui durante il volo, per evitare che la pressione dell’umidità indebolisse le ali e che il calore del sole facesse sciogliere la cera. Icaro, però, ostinato e superficiale, disobbedì alla disposizione paterna, avvicinandosi troppo al sole (2). La ribellione costò la vita al giovinetto poiché, come era prevedibile e come gli aveva preannunciato suo padre, le ali si sciolsero e precipitò in mare. Dedalo, accorgendosi che il figlio non lo seguiva più, tornò indietro e riuscì a scorgere le piume che galleggiavano sull’acqua. Tormentato dal dolore, lo sfortunato inventore recuperò il corpo del giovinetto e lo trasportò su un’isola vicina per dargli degna sepoltura. All’isola diede il nome di Icaria per commemorare la brevissima esistenza del figlio. Come ci racconta Virgilio, nell’Eneide (3), Dedalo volò fino alla città di Cuma, dove edificò uno splendido tempio in onore di Apollo, presso il quale depose le ali, in uno strano quanto commovente rituale. Dedalo, infatti, dapprima maledisse la propria arte per aver causato la morte del figlio, poi in qualche modo la sublimò, offrendola alla divinità. Il racconto poi prosegue con Dedalo che si rifugiò in Sicilia, presso il re Cocale di Camico, nonostante Minosse avesse allestito una flotta per cercarlo. Il re di Creta riuscì ad individuare il luogo dove l’infedele artista si nascondeva e, recatosi a Camico, propose un quesito di difficile risoluzione al re Cocale (4), affinchè Dedalo uscisse allo scoperto: Minosse offriva una lauta ricompensa a chi fosse riuscito a far passare un filo tra le spire di una conchiglia. L’unico che riuscì nell’impresa fu Dedalo, come si aspettava Minosse che, riconosciuto il fuggiasco, chiese a Cocale che gli fosse consegnato. Ma il re siculo, fomentato anche dai lamenti delle figlie allietate dalla compagnia di Dedalo che costruiva per loro sempre nuovi e divertenti balocchi, si rifiutò di consegnarlo. Si narra che le principesse, per sbarazzarsi definitivamente di Minosse, lo uccisero mentre faceva il bagno, versando acqua bollente in grandi quantità nella vasca, facendo poi apparire l’evento come un fortuito incidente. Il corpo di Minosse fu restituito ai cittadini di Creta, con i quali Cocale non voleva creare un caso diplomatico e, di seguito, nacque la leggenda che Minosse, per la sua rigida integrità morale, fosse reclutato da Zeus come giudice supremo dell’Ade, in collaborazione con il suo nemico Eaco e con suo fratello Radamanto (5). Le peripezie di Dedalo non terminarono in Sicilia, poiché il prolifico inventore, dopo alcuni anni, si trasferì in Sardegna, prendendo come moglie Iolao, secondo la leggenda nipote di Eracle. Durante questa nuova fase della vita, Dedalo continuò ad ingegnarsi nelle più disparate scoperte, superando in qualche modo l’avversione verso la propria arte, provata nel momento della morte del figlio Icaro.

Le raccomandazioni di Dedalo nei confronti del figlio Icaro hanno ovviamente un chiaro significato simbolico: il ragazzo non doveva volare né troppo in alto, né troppo in basso, doveva insomma conciliare il desiderio utopico di volare con la necessità di fare i conti con i propri limiti. Il mito ci racconta che però il ragazzo non diede ascolto alle parole del padre, inebriato dalla straordinaria esperienza del volo. E’ chiaro che il racconto può essere letto anche in chiave diversa, come il desiderio adolescenziale di non volersi accontentare della mediocrità della vita che, molto spesso, impone di rimanere chiusi “in gabbia”, ma di cercare di raggiungere risultati in apparenza insormontabili, osando e sfidando le tradizioni consolidate. Un altro elemento descrittivo del mito, che salta subito agli occhi, si coglie nel momento in cui Dedalo si accorge che il figlio non è più dietro di lui. Egli non esprime parole di rabbia o di rimprovero, ma soltanto di profondo dolore. Questo particolare ritratto psicologico del padre appare direttamente collegato a quello del figlio, di cui non si descrive la volontà di “arroganza”, ma soltanto il “piacere” che lo avvolge nel volare sempre più in alto e nell’avvicinarsi inevitabilmente al Sole, fonte di vita e di illuminazione per tutte le creature terrestri. La disobbedienza di Icaro si presenta, allora, sotto una luce diversa, quasi votata alla ricerca di un’inesorabile destino. Davanti a determinate scelte, nella nostra vita quotidiana, abbiamo di continuo una duplice possibilità di procedere: abituarci a volare “a bassa quota”, senza avere il coraggio di osare, oppure cercare di volare in alto, con la consapevolezza di poter spesso “cadere”, incorrendo in qualche fallimento e provando sempre a rialzarci, senza farci sconfiggere da quelle “ali bagnate ed umide”. Queste ultime, nella trasfigurazione del mito icareo, rappresentano le nostre capacità interiori che, allo stesso tempo, possono essere sia il nostro punto di forza che di debolezza. La caduta di Icaro può essere inquadrata tra quei miti acronici e metastorici, il cui significato è ancora attuale. Ho trovato molto interessante la ricostruzione del racconto, così come descritta da Roberto Pinetti, Dedalo e la Techne in artepsiche.it (6). L’autore, psicoterapeuta, suddivide l’avventura di Dedalo ed Icaro in quattro parti fondamentali e intrecciate fra loro in maniera coerente, paragonando ogni diversa fase ad una delle quattro stagioni dell’anno, metafora delle stagioni del percorso umano. La vicenda inizierebbe con l’estate, il momento della “rivelazione”, quando tutte le possibilità sono aprte; proseguirebbe in autunno, con la “caduta” e la presa di coscienza della propria finitezza; andrebbe avanti in inverno, il periodo della riflessione e dell’espiazione; si compirebbe in “primavera”, la stagione della speranza e della trasformazione. Pertanto, il mito di Dedalo ed Icaro potrebbe indicare un modo di procedere ciclico dell’animo umano, così come avviene nel monmdo naturale.

In realtà, analizzando il racconto, notiamo che entrambi i personaggi, sia padre che figlio, mostrano un atteggiamento ribelle e non convenzionale. Dedalo è il prototipo di colui che vuole uscire dagli schemi e che vuole a tutti i costi superare le costrizioni che gli sono state imposte. A differenza del figlio, adolescente e senza esperienza, possiede la “conoscenza”, avendo almeno acquisito una “tecnica” precisa, grazie all’abilità di anni di invenzioni, che riesce ad adattare perfino nella costruzione di un congegno per volare. E’ impressionante come la “tecnica” di volo concepita da Dedalo, seppure ipotetica, sperimentale ed immaginifica, rappresenti un primo passo verso le scoperte scientifiche del futuro. Il volo di Dedalo e di Icaro è quasi un antesignano dei moderni racconti di fantascienza, dove al posto dei chiassosi effetti speciali, brillano immagini poetiche ed oniriche. Pertanto, la ribellione di Dedalo è “ragionata”, mentre quella di Icaro nasce dall’ingenua e spontanea voluttà di volare sempre più in alto, fino a provare un piacere quasi sensuale a contatto con i raggi del sole. La figura del giovinetto è quasi commovente e non riesce a suscitare riprovazione, nonostante la disobbedienza nei riguardi del giusto consiglio paterno. Icaro è una vittima delle vicende, trovandosi suo malgrado, senza avere la possibilità di scegliere, prigioniero per ragioni di stato nell’intricato labirinto, costruito dal suo stesso padre. Se nel linguaggio comune, “fare il volo di Icaro” ha assunto il significato di sopravvalutare in maniera imprudente le proprie capacità senza riconoscere i propri limiti, andando incontro a conseguenze dannose se non addirittura irreversibili, il valore originario del mito è, a mio avviso, molto più profondo e deve essere analizzato al di là delle apparenze. Forse il destino di Icaro era già segnato, quando fu rinchiuso con il padre nel labirinto, forse una diversa condotta di Dedalo avrebbe determinato un differente corso degli eventi. Chi mai lo può dire? Di certo sembrerebbe banale ascrivere al solo atto di disobbedienza la tragica caduta di Icaro. Anche in questa occasione il mito greco ci mette di fronte all’eterna diatriba tra il fato ed il libero arbitrio.

Nella triste vicenda, si può parlare anche di “nemesi storica”. Ovidio, infatti, nelle Metamorfosi, ci racconta di come Dedalo abbia assassinato il nipote, scagliandolo dalla rocca sacra ad Atena e fingendo una disgrazia, invidioso delle sue capacità, come abbiano già accennato in precedenza. La dea Atena, protettrice delle arti, avrebbe salvato il ragazzino appena dodicenne, trasformandolo in un uccello che, però, memore della violenta caduta, non poteva innalzarsi più di tanto, limitandosi a svolazzare a pochi metri dal suolo e a deporre le uova nei cespugli. E come ci narra Ovidio, questo uccello sarebbe riapparso come testimone del dolore di Dedalo: “mentre Dedalo riponeva nella tomba il corpo dello sventurato Icaro, una loquace pernice, nascosta tra la sterpaglia fronzuta, lo scorse, e si rallegrò dello spettacolo, sbattendo le ali e manifestando la sua allegrezza con il canto (7). Da questo punto di vista Icaro ci appare ancora di più una vittima, divenuto motivo di espiazione per il cinico ed immorale padre che, tuttavia, anche dopo la sua morte, seppure addolorato dalla perdita, seppe intraprendere un’altra strada e ricostruirsi una nuova esistenza.

Il drammatico volo di Dedalo e di suo figlio Icaro indica la posizione dell’uomo nella realtà, a metà strada tra il mondo divino e quello animale. Con i suoi ragionamenti ed il suo ingegno, l’essere umano cerca di raggiungere una situazione di equilibrio, provando a capire quale posto gli sia riservato nell’universo. Soltanto se riuscirà a discernere la propria essenza, diversa sia da quella bestiale che da quella divina, l’essere umano potrà dirsi veramente libero, conquistando la salvezza della propria anima. Il sole, che simboleggia lo spazio riservato agli dèi, rimane per Icaro irraggiungibile. Non è casuale, infatti, che la caduta del giovinetto sia provocata dallo scioglimento delle “ali di cera” e non dalla combustione dello stesso Icaro. Le “ali di cera” ci ricordano che l’uomo non possiede ancora gli strumenti per dominare la natura e questo tema appare quanto mai attuale nella nostra epoca contemporanea, dove il progresso tecnologico procede a ritmi esponenziali ed addirittura si parla di “intelligenze artificiali”, capaci di sostituire e di superare la ragione umana. Il padre Dedalo ed il figlio Icaro, come personaggi emblematici, sono stati nel corso della storia soggetti ed oggetti artistici privilegiati. Tra le varie opere che li raffigurano, un posto di rilievo occupa senza dubbio la scultura del Canova, capolavoro del suo estro giovanile. L’opera costituisce “un gruppo scultoreo”, completata nel 1779, attualmente conservata nel Museo Correr di Venezia (8).

Il giovane Canova realizzò la scultura su commissione del nobile Vettor Pisani e, durante un’esposizione in occasione della festa dell’Ascensione, riscosse molto successo presso il pubblico della Serenissima, al punto da guadagnare una considerevole somma di zecchini. Con quel denaro, il promettente artista si pagò i tanto desiderati studi a Roma. Ciò che colpisce maggiormente dell’opera è la plastica preoccupazione che si legge sul volto del padre, proteso verso il figlio che, invece, sorride felice, ignaro del triste destino che lo attende. Inoltre, mentre la figura di Dedalo è rappresentata in maniera realistica, forse accentuando una “senilità” non ancora raggiunta, se si analizza nel complesso la sua vicenda, Icaro è presentato come simbolo di una bellezza ideale, quasi intellettuale. Secondo gli studiosi, l’eccessiva senilità attribuita a Dedalo potrebbe avere una spiegazione personale: nella scultura il giovane Canova trasfigurò alcuni momenti trascorsi con il nonno, Pasino Canova, al quale era molto affezionato e che, inoltre, l’avrebbe sostenuto nell’inseguire i propri sogni artistici. Prima di Canova, altre rappresentazioni avevano cercato di immortalare il mitico volo di Icaro. In epoca medioevale le raffigurazioni del mito furono abbastanza rare, in quanto la Chiesa non vedeva di buon occhio (almeno in apparenza) i riferimenti al mondo pagano. Le poche raffigurazioni medioevali tendevano ad evidenziare un intento moralistico teocentrico: l’uomo deve ricordare a sé stesso che non può comprendere i segreti della natura, la cui chiave appartiene soltanto a Dio. Le rappresentazioni di Dedalo ed Icaro tornarono alla ribalta nel Rinascimento, come il tondo marmoreo di Bertoldo di Giovanni del 1465, collocato nel cortile del palazzo fiorentino “Medici-Riccardi” (9) o nei più caotici disegni d Giulio Romano. Nel Cinquecento prevale il tema della “caduta” ed, in epoca di Riforma Protestante e di Controriforma Cattolica, Icaro diventa il paradigma dell’allontanamento dalla fede in Dio, falsando il significato del mito in originario. Di particolare pregio è la tela di Pieter Bruegel, completata nel 1558, dove Icaro è solo uno degli elementi inseriti in un paesaggio animato da colori vivaci ed è abbastanza difficile comprendere che le due gambe, che si agitano accanto ad un’imbarcazione, siano proprio quelle del mitico giovinetto. Peraltro a Bruegel il tema del caduta era molto caro, essendo stato l’autore di due celebri quadri raffiguranti la “Torre di Babele” (10).

Nel Seicento si tende a sottolineare il momento dell’applicazione delle ali, su uno sfondo scuro in stile caravaggesco oppure si volge l’attenzione al momento in cui il ragazzo si separa dal padre e precipita verso il mare, come nella mirabile opera del 1636, attribuita a Rubens, ma forse ultimata da un suo allievo, in cui spiccano gli occhi impietriti di Dedalo, mentre i raggi del sole colorano d’oro le nubi. Nel diciannovesimo e nel ventesimo secolo, le raffigurazioni del mito si colorano di simbolismo neoclassico. Nel 1898 nell’opera denominata Lamento per Icaro, Herbert James Harper raffigura il cadavere del giovinetto con ancora due grandi ali attaccate, recuperato amorevolmente da due ninfe, in una posa angelica e languida, mentre nel 1935 Pablo Picasso, su richiesta di Serge Lifar, disegna le scenografie per l’ “opera Icaro” (vent’anni dopo avrebbe ripreso questo tema per un dipinto “murale” nella sede dell’UNESCO di Parigi). Ed in conclusione, mi viene in mente come sia di grande suggestione la raffigurazione di Icaro da parte di Henri Matisse, in occasione della pubblicazione del libro Jazz nel 1947 (11). Il mito del giovinetto sembra quasi capovolto, in quanto non viene messa in evidenza la sua caduta, ma la sua ascesa a lambire le stelle: una sagoma nera che ricorda una grande rondine, su uno sfondo blu trapuntato di stelle gialle, dove spicca un puntino rosso al posto del cuore, a rendere l’astratta immagine ancora più viva e pulsante.

Note:

1 – Cfr. Chiara Lossani e Gabriel Pacheco, Icaro. Nel cuore di Dedalo, Editore Arka, Milano 2016;
2 – Cfr. Robert Graves, I miti greci, Edizioni Longanesi, Milano 2013;
3 – Virgilio racconta del mito di Dedalo ed Icaro nel libro VI dell’Eneide, quando Enea giunge al tempio della sibilla cumana;
4 – La roccaforte di Camico, dove avrebbe dimorato il re Cocale o Cocalo non è stata mai identificata con certezza;
5 – Secondo la leggenda Minosse era incaricato del giudizio; Eaco aveva le chiavi dell’Averno; Radamanto era il più severo dei tre ed era “addetto alle pene” nel profondo Tartaro;
6 – Cfr. Roberto Pinetti, Dedalo e la Techne pdf, in artepsiche.it, consultato in data 25/03/2021;
7 – Cfr. Ovidio, Metamorfosi, VIII, 236-259;
8 – Il Museo Correr dal 1922 ha sede in Piazza San Marco, negli spazi dell’Ala Napoleonica ed in parte delle “Procuratie Nuove”;
9 – Nel palazzo fiorentino Medici-Riccardi vissero Cosimo “il vecchio” e Lorenzo il Magnifico. E’ definita “la casa del Rinascimento”, perchè impreziosita dalle opere di artisti come Michelangelo, Donatello e Botticelli;
10 – Cfr., La Torre di Babele, su alicedemo.net/ereticamente;
11 – Il libro “Jazz” di Henri Matisse fu pubblicato da Editions Teriade, contenente 20 tavole e scritto a pennello, per un totale di 150 pagine.
Ne furono riprodotti 250 esemplari. Attualmente è conservato nel Musèe Matisse di Nizza.

Luigi Angelino

 

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