di Michele Rallo
C’erano una volta le guerre: due Stati erano in disaccordo, o uno dei due voleva colpire l’altro, e allora si faceva una guerra. Metodo brutale per risolvere i conflitti internazionali, ma che almeno aveva il pregio della chiarezza. Uno Stato aggrediva un altro Stato, si combatteva, e alla fine uno vinceva ed uno perdeva. È stato — quello delle guerre aperte — un sistema che ha caratterizzato le cose del mondo fino a qualche anno fa, fino — diciamo — alla guerra contro l’Irak, dichiarata dagli USA per impedire che il dittatore Saddam Hussein usasse le “armi di distruzione di massa” che — come è noto — non c’erano.
Dimenticate il modello Irak: guerre come quelle non ce ne sono più. Adesso, quando si vuole colpire uno Stato ostile, si invoca la democrazia per il suo popolo e si armano — direttamente o tramite Stati vassalli — milizie mercenarie che dovranno aggredire lo “Stato canaglia” e suscitarvi una guerra civile per “liberare” una popolazione che non vuole essere “liberata”. Solo quando il cosiddetto “esercito degli insorti” rischia di essere fatto a fettine dalle “milizie del regime”, intervengono gli Stati Uniti, che mandano gli obbedienti alleati della NATO a bombardare i cattivi di turno: come è accaduto in Libia due anni fa. Adesso è la volta della Siria, colpevole di essere oggettivamente d’impaccio agli alleati mediorientali dell’America.
È d’impaccio ad Israele, perché la Siria è alleata dell’odiato Iran. È d’impaccio alle monarchie petrolifere del Golfo perché la Siria appartiene al medesimo blocco sciita cui guardano le popolazioni (in larga parte musulmano-sciite) di alcune di quelle monarchie (musulmano-sunnite) che, notoriamente, sono un modello specchiato di democrazia. È d’impaccio alla Turchia che, respinta dall’Europa, non può neanche diventare una grande potenza “regionale”, perché glielo impedisce il “tappo” meridionale del blocco sciita formato da Iran, Siria e — potenzialmente — da un Irak che gli americani non riescono a “pacificare”.
Ma l’interesse a togliere di mezzo Assad non è soltanto politico, bensì anche — e forse soprattutto — economico. Per capire cosa si muova dietro la sporca guerra contro la Siria, si deve sapere che nel 2010 è stato scoperto un colossale giacimento di gas naturale nel Mediterraneo orientale: fra Israele, Cipro, il Libano e — guarda caso — la Siria. Ora, Israele ha già notificato alle diplomazie del mondo intero che considera questo giacimento di sua esclusiva proprietà. Cipro (secondo quanto sussurrano le solite malelingue, ma noi non ci crediamo) potrebbe essere impedita dall’Unione Europea di far valere i propri diritti. La posizione del Libano dipenderà da quel che succederà in Siria. Quanto alla Siria — appunto — se resterà al potere il duro Bashar al Assad, c’è da scommettere che il bieco dittatore farà di tutto per far valere le ragioni siriane (e quelle libanesi). Se, viceversa, prevarranno i fondamentalisti travestiti da democratici, allora — accetto scommesse — costoro si mostreranno dispostissimi a mettere la sordina alle pretese nazionali ed a far sì che i governanti libanesi facciano altrettanto.
Quanto a noi — una volta venuta meno la bieca dittatura di Gheddafi che ci forniva gas a prezzi di favore — prepariamoci ad approvvigionarci di gas democratico israeliano, ed a pagarlo caro e amaro. E questo — sia detto per inciso — spiega, forse, perché alcuni servizi segreti occidentali abbiano favorito certe “primavere” destabilizzatrici sulla riva sud del Mediterraneo.
Nota di Ereticamente
Ringraziamo l’Autore e il periodico Social (Settimanale indipendente di Trapani) per la gentile concessione
2 Comments