14 Aprile 2024
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Roma: grande bellezza in mezzo allo sfascio

Di Enrico Desii


Terminata l’overdose di festeggiamenti e di luminarie per il premio Oscar ricevuto da un film ambientato nella capitale, possiamo tornare alla realtà quotidiana di Roma. E, allora, mi pare inevitabile notare, tra le tante cose di cui si potrebbe parlare, che i suoi amministratori, sia quelli locali che quelli nazionali, potevano evitarle lo sfregio di farla finire a rischio di fallimento, come potrebbe accadere ad un qualsiasi imprenditore che non riesce più a far fronte alle obbligazioni assunte. Ma potevano anche risparmiare a tutti noi lo stucchevole teatrino organizzato nei giorni scorsi (“fermo tutto perché non ho più soldi per pagare la benzina. Circoleranno solo i politici con le auto blu”; “i soldi arrivano ma i toni devono essere più tranquilli e consoni al ruolo svolto”) intorno al cosiddetto “decreto salva Roma”, provvedimento destinato, appunto, a colmare in parte e solo provvisoriamente, la voragine che esiste nel bilancio della città. Naturalmente, questo provvedimento ha provocato l’ira e l’ostruzionismo dei reduci leghisti che, cogliendo l’occasione per tornare agli slogan originali del movimento, hanno potuto nuovamente scagliarsi, con toni biblici, contro la “grande meretrice”, che catalizza e divora ogni risorsa, anche quelle che sarebbero meglio allocate nell’Expo milanese. Ma chissà cosa scopriremo, tra qualche tempo, sull’organizzazione di  quest’ultima iniziativa.

Da ricordare, nel loro vuoto populismo, sono state le dichiarazioni rilasciate dall’attuale inquilino del Campidoglio (ogni epoca ha la guida che si merita). Oltre a quanto già riferito sopra, Marino si è augurato i forconi per i politici (evidentemente non si considera tale) e poi ha sostenuto che in 42 giorni (tanto il decreto suddetto è stato fermo nelle pensose aule del senato) lui avrebbe preso la laurea in fisica. A questo punto il romano della strada non può non chiedersi come mai un tale genio, che non a caso vanta anche diversi anni di prestigiosa carriera chirurgica in Inghilterra e negli States, non impieghi le sue doti intellettive nel risolvere gli innumerevoli problemi della capitale: ha o non ha deciso lui stesso di abbandonare una luminosa carriera di scienziato e di dedicare alcuni preziosi anni della sua esistenza a quella di sindaco? Che, stando agli ultimi avvenimenti politici, peraltro, può divenire un passaporto che apre interessanti  prospettive.
Da Palazzo Chigi, come si accennava, hanno risposto apparentemente piccati ai piagnistei mariniani. Una gioiosa squadra di boy scout della politica è appena arrivata nella stanza dei bottoni che un primo cittadino, sia pure quello di Roma, si permette di disturbarli con una volgare questione di soldi. Ma, naturalmente, si trattava di un gioco delle parti organizzato per coprire le spalle ad entrambe le fazioni.
Ovviamente il problema è molto serio e di non facile soluzione, tanto che si è dovuto nominare un commissario per liquidare il mostruoso debito accumulato. Di commissariare il comune, invece, al Viminale non hanno avuto il coraggio.
Le colpe di Marino, che è arrivato da non molto, potrebbero anche essere considerate minime rispetto allo sfascio provocato dalle amministrazioni precedenti, comprese quelle che avrebbero dovuto dare il senso di provenire da un ambiente che, a parole, aveva innato il rispetto della res publica. E, invece, pure in quel caso, nessuno ha notato cambiamenti sostanziali rispetto al passato. Senza contare che ci si è messa anche la neve! Insomma le amministrazioni democratiche si modificano, i partiti si trasformano, gli uomini cambiano… quello che non muta è l’atteggiamento verso il pubblico interesse, che viene regolarmente stravolto. Il sindaco attuale, comunque, potrebbe utilizzare una minima parte della sua intelligenza per spiegare come mai sia stato necessario assumere 75 persone da inserire alle sue dirette dipendenze, “in staff” come dicono quelli che si intendono di organizzazioni. Nelle migliaia di dipendenti del Comune di Roma, evidentemente, non si trovavano soggetti all’altezza di tale compito.
A Roma la soluzione (se ipotizzabile) non è sicuramente rappresentata dall’adozione di un decreto ad hoc, ennesimo esempio di come la politica sia ormai diventata un mercato dove chi grida di più viene notato mentre latita una visione complessiva della situazione. La partita si gioca su un terreno molto più vasto. Il comune ha un patrimonio immobiliare immenso che fa gola a molti ed un’altra conseguenza sarà la cessione delle partecipazioni del medesimo nelle municipalizzate (soprattutto quelle in attivo come Acea, l’azienda che opera nel settore dell’energia). Assisteremo, dunque, anche a livello locale, ad un’altra ondata di inutili e selvagge privatizzazioni dei servizi ancora sotto il controllo pubblico. Anche se sarebbe più esatto parlare di gestione politica e non pubblica, fatta salva naturalmente la connivenza dei sindacati nell’assurdo gioco allo spreco ed alla clientela al quale abbiamo assistito negli ultimi decenni. A Roma coma da ogni altra parte, s’intende.
A ben vedere, però, non si tratterebbe soltanto di una questione di soldi. I quali, essendo prossima la cerimonia di santificazione di due papi figuriamoci se non si trovavano. Quello che stupisce, anzi addolora, è il fatto che una città che potrebbe e dovrebbe cercare in sé stessa le risorse (spirituali prima ancora che finanziarie) ed offrire un esempio di inversione di tendenza al resto della comunità, sia ridotta a pietire poco dignitosamente l’elemosina che le consenta
di mantenere per qualche mese ancora quei servizi essenziali che, bene o male, ancora garantisce. Anche questo è sicuramente segno di un’epoca in cui la grande bellezza è soltanto il titolo di un film pieno di decadenti cartoline provenienti dal passato e non una linea da percorrere con convinzione per recuperare la nostra identità.

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