17 Luglio 2024
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Riletture/ “Il viso verde” di Gustav Meyrink, lo scrittore del Mistero – Fabio S. P. Iacono

Scritto nel 1916 da Gustav Meyrink (Vienna 1868 – Starnberg, Baviera 1932), quando l’Impero Austro-Ungarico volgeva oramai al tramonto, “Il viso verde” (edizioni di Ar, Padova 1997), con la traduzione a cura di Franco Freda, ci conduce nella Amsterdam condizionata dalla Prima Guerra Mondiale. La città olandese è qui in veste di scenografia iniziatica, il giornalista e scrittore austriaco ce la indica come punto d’incontro di svariate influenze culturali e spirituali. Cornice senza volto la massa informe apparentemente non sconvolta dalla violenza della guerra in corso. Da quest’ultima si distingue Fortunat Hauberisser che, dopo un’infanzia, un’adolescenza ed una prima maturità, passata nella quiete sociale borghese, giunge in un vicolo cieco esistenziale.

Hauberisser oltrepassa la sua stagione della giovinezza ponendo il suo focus sul piano del “superumano”. Il suo alter ego femminile si presenta in Eva van Druysen, entrambi compiono quella che l’antica sapienza chiamava una sintesi ierogamica, il cui frutto è la rinascita dell’Androgino primordiale. Altri protagonisti del “romanzo” sono il nobile e colto ebreo Sephardi, conoscitore profondo di insegnamenti esoterici; il generoso barone Pfeill, introdotto anch’egli alle dottrine occulte; Swammerdam affidabile ed anziana figura emanante saggezza spirituale; ancora l’ebreo russo Eidotter e il calzolaio Klinkherbogk, visionari estatici dominati dalla rovente aspirazione al divino e lo sciamano zulù Usibepu, “Signore del fuoco”.

“[…] L’ultima barriera tra di loro – quella lieve sensazione d’essere ancora degli estranei l’uno per l’altra, suscitata dalle circostanze poco comuni che li avevano avvicinati – cadde sotto il peso della sua apprensione: sapeva che se in quel momento l’avesse avuta davanti, l’avrebbe stretta tra le braccia e coperta di baci senza lasciarla più partire. Pur non avendo alcuna speranza che potesse arrivare all’ultimo minuto, attese sino a che il treno non si mise in moto. Era evidente che doveva esserle successa una disgrazia. Si sforzò in tutti i modi di rimanere calmo. Quale strada poteva aver preso? Non c’era un minuto da perdere. A quel punto – se già non era successo il peggio – poteva riuscire d’aiuto soltanto un’analisi fredda ed acuta della situazione – quel metodo d’indagine da lui verificato, nella sua vecchia professione d’ingegnere e d’inventore, quale fonte inesauribile di soluzioni efficaci. Tendendo al massimo la propria capacità immaginativa, cercò di gettare uno sguardo nel segreto ingranaggio degli avvenimenti capitati forse a Eva prima che lasciasse l’hotel. Tentò di calarsi in quello stato d’animo di attesa, di aspettazione in cui probabilmente s’era trovata prima di avviarsi alla stazione. La circostanza che avesse mandato avanti i bagagli invece di usare la carrozza dell’albergo, lo induceva a pensare che Eva avesse progettato di far visita a qualcuno. Ma a chi? E a un’ora così tarda poi? (Ivi, pp. 215, 216).

Per mezzo di, talvolta macchinose, narrazioni tra alchimia e magia sotto l’influenza parziale di autori quali E. T. A. Hoffmann, E. A. Poe e le amicizie del pittore A. Kubin e dell’umorista A. Roda Roda, “Il viso verde” appare agli occhi del lettore in qualità di visione densa di autentici insegnamenti sapienziali. Questi ultimi, come potente luce, irrompono nell’anima contratta dell’uomo, al fine di propiziarne e suscitarne il graduale risveglio spirituale.

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