20 Luglio 2024
Famiglia

Riflessioni non ecumeniche sulla famiglia tradizionale – Alessandro Cavallini

In questi ultimi mesi, all’interno del dibattito politico nazionale, si è discusso molto del concetto di famiglia. Da una parte i sostenitori della famiglia basata sul diritto naturale ed unicamente eterosessuale; dall’altra chi sostiene che la famiglia possa essere anche formata da una coppia omosessuale, azzardando addirittura, in alcuni casi, la possibilità di adottare bambini. Eppure, dietro la facciata di un’irriducibile dicotomia, le due posizioni hanno il medesimo fondamento: la famiglia intesa come nucleo ristretto, figlia della rivoluzione borghese del ’89, basata sull’amore in “stile Mulino Bianco”. Due genitori che si amano, un figlio (due sarebbero troppo costosi da mantenere…) e magari un cane. I nonni e gli zii deceduti oppure affidati alle dolci cure di qualche badante dell’Est. Sembra di vedere una soap opera televisiva ma è su questo concetto di famiglia che oggi i politici si azzannano (tra loro anche qualche rappresentante della destra radicale, ma evitiamo di aprire una discussione su questo…).

Eppure la Tradizione europea dei nostri antenati aveva tutt’altra idea della famiglia. Nella Grecia antica il matrimonio era la conseguenza di un contratto stipulato tra il padre della sposa e lo sposo. Tanto è vero che se una coppia conviveva prima della stipula di questo contratto, la loro unione era considerata illegittima. Per quanto riguarda Roma, se il diritto romano prevedeva la monogamia, ammetteva ugualmente  la prostituzione, il concubinato, il sesso extraconiugale, il sesso omosessuale ed il sesso con gli schiavi.

Ma allora su cosa si fondava la famiglia nella nostra Antichità? Basti pensare al termine matrimonio, letteralmente dovere della madre, cioè la procreazione. Infatti il matrimonio serviva proprio a questo: normalizzare la filiazione, distinguendo tra figli legittimi, all’interno del matrimonio, e naturali, al di fuori dello stesso. La distinzione è talmente sentita nella nostra cultura, che solamente nel 2012 la legge italiana ha cessato di parlare di figli legittimi e naturali, sostituiti dall’unica locuzione generica di figli.

Tale normalizzazione non aveva alcunché di sentimentale. Al matrimonio, infatti, si affiancava il patrimonio, il dovere del padre, cioè l’insieme dei beni materiali. L’obiettivo principale del coniugio era garantire la conservazione dell’asse ereditario, di padre in figlio, maschio, nell’ambito dello stesso nome, dello stesso patronimico.

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Gli Antichi, non ancora infettati dal virus della modernità, sapevano bene che la famiglia non era una questione di cuore ma il legame che univa gli antenati alle generazioni presenti e future. Basti pensare a quanto scritto da Platone ne La Repubblica, dove si dichiarava favorevole all’aborto come mezzo di pianificazione familiare e di contenimento delle dimensioni della popolazione. Ed il primo controllo sulla popolazione avveniva proprio in materia di matrimonio. La procreazione doveva infatti avvenire solo all’interno di matrimoni legittimi e nell’età di maggior vigore fisico ed intellettivo degli individui (20-40 anni per le donne, fino a 50 per gli uomini). Adempiuto il dovere procreativo, le persone dovevano poi essere lasciate libere di relazionarsi con chiunque volessero, purchè appunto non generassero più. In caso di concepimento, il feto doveva essere abortito oppure il neonato soppresso o esposto.

Ai più queste posizioni potranno sembrare aberranti o disumane. Lo stesso giudizio sarebbe sicuramente espresso dagli Antichi di fronte al matrimonio omosessuale o all’idiozia del “genitore 1, genitore 2”. Si tratta di visioni del mondo contrapposte, da una parte la Tradizione dall’altra la modernità. Rielaboriamo perciò il concetto originario e tradizionale di famiglia. Così facendo potremmo sperare nella rinascita del Vecchio Continente, non certo marciando a fianco di chi ciancia di giusnaturalismo e/o di famiglie borghesi.

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