11 Aprile 2024
Irredentismo

Nuove dal confine orientale – Fabio Calabrese

Il 17 marzo è un giorno particolare. Per molti è semplicemente il giorno di San Patrizio, santo patrono dell’Irlanda e, in base a un’iniziativa peraltro partita dagli Stati Uniti, il che dovrebbe già costituire un motivo di diffidenza, è diventata una specie di festa internazionale del mondo celtico e di chi a esso in varia misura si ispira. Il St. Patrick’s Day che spesso assume aspetti carnevaleschi. Quanto poi la ricorrenza di un santo cattolico che con la cristianizzazione ha contribuito non poco a illanguidire ed estinguere le tradizioni native dei popoli europei, sia appropriata per celebrare l’identità etnica dell’Irlanda, del mondo celtico o di chicchessia, è cosa che lascio alla vostra riflessione.

Tra i molti che si ispirano in vario grado al celtismo, ce ne sono certamente alcuni che lo declinano in senso “padano” come rivendicazione di una presunta identità diversa da quella italiana, e quindi separatismo. Cosa tanto più paradossale in quanto tutti dimenticano regolarmente che il 17 marzo è anche l’anniversario dell’unità italiana. Con la proclamazione del regno d’Italia avvenuta il 17 marzo 1861, infatti, dopo secoli di divisioni, tornava a esistere uno stato nazionale italiano. Davvero vogliamo scherzare? A qualsiasi altra latitudine una ricorrenza simile sarebbe ritenuta della massima importanza, mentre noi a quanto sembra la teniamo in assoluto non cale.

Per il nostro gruppo triestino, poi, questo 17 marzo 2019 ha significato registrare un evento particolarmente triste: la scomparsa di Giorgio Rustia, un caro amico e un valido intellettuale. Per inquadrare meglio la sua figura, sarà opportuno riferirsi brevemente alla realtà culturale triestina.

Ad essa sono più o meno legate alcune figure di livello intellettuale non disprezzabile, fra queste menzionerei Michele Ruzzai che di certo conoscete bene, Gianfranco Drioli, autore dei due libri Ahnenerbe e Iperborea, la ricerca senza fine della patria perduta, e se la cosa non vi sembra troppo immodesta da parte mia, mi ci metterei anch’io. Di questa pattuglia di intellettuali controcorrente, Giorgio Rustia faceva parte a pieno titolo.

Non credo vi possano essere molti dubbi sul fatto che questa realtà debba essere collegata alla situazione storica della città giuliana. Occorre ricordare, anche se molti sembrano essersene dimenticati, e i nostri giovani il più delle volte non ne sanno nulla affatto, che in conseguenza dell’esito infausto per noi della seconda guerra mondiale, la Venezia Giulia ha subito un atroce calvario, pagando, si può dire, il prezzo della sconfitta per tutti gli Italiani.

La conclusione del conflitto ha visto lo scatenarsi sulle nostre terre della ferocia bestiale slavo-comunista, con l’uccisione di migliaia di italiani buttati nelle foibe e la fuga di centinaia di migliaia di altri per non subire la stessa sorte. Trieste ha subito il calvario di 40 giorni di occupazione titina, nei quali, come in Istria, gli assassini con la stella rossa si sono messi subito all’opera allo stesso modo per cancellare la presenza italiana, ma a causa dei contrasti intervenuti fra i vincitori del conflitto, furono allontanati dai neozelandesi arrivati da ovest.

Per nove anni la città ha subito l’occupazione militare angloamericana, anni durante i quali la sua sorte è stata permanentemente in bilico, non sapendo se a conclusione di questa occupazione vi sarebbe stato il ritorno all’Italia o il passaggio sotto gli artigli della Jugoslavia comunista.

Noi questa realtà non l’abbiamo conosciuta, per motivi anagrafici, se non attraverso il racconto dei nostri padri, ma noi stessi ci siamo trovati in prima linea a protestare contro il saccheggio dell’economia triestina attuato per evitare che la sua attività portuale, oggi distrutta, fosse concorrenziale coi porti jugoslavi, contro l’elargizione di privilegi sempre più ampi alla del resto esigua minoranza slovena, volti a creare anche da noi una situazione “altoatesina”, abbiamo provato cosa significasse difendere l’italianità di questa città senza avere l’Italia alle spalle, anzi avendo nella repubblica italiana democratica e antifascista un nemico, abbiamo imparato l’amara lezione che antifascista vuol dire soprattutto anti-italiano.

Non ci è stato possibile impedire che la sovranità residua almeno teorica che l’Italia aveva ancora sulla zona B, ossia quella parte d’Istria che sarebbe dovuta entrare a far parte del mai costituito Territorio Libero di Trieste, fosse ceduta alla Jugoslavia in cambio di nulla con il trattato di Osimo, ma siamo almeno riusciti a bloccare la parte economica di questo trattato, che avrebbe determinato un forte afflusso di jugoslavi nella città, compromettendone la fisionomia etnica italiana.

Il nostro Giorgio Rustia, ritornato a Trieste dopo decenni di attività nel giornalismo, si era dedicato a una preziosa attività di storiografo. Uno dei frutti di questa attività è stata il libro Atti, meriti e sacrifici dei reggimenti Milizia Difesa Territoriale al confine orientale italiano (Aviani & Aviani editore, Udine 2011). Un testo che per inquadrare adeguatamente la storia della Milizia Territoriale, traccia un’ampia panoramica delle vicende delle nostre terre e del conflitto (non certo creato dal fascismo, come ripete in totale malafede e sprezzo della realtà storica la prezzolata storiografia oggi dominante, ma di gran lunga preesistente) fra l’elemento italiano e quello slavo, in un arco di tempo che spazia dal risorgimento a l’altro ieri. In ragione di ciò, lo ricorderete, io gli ho dedicato sulle pagine di “Ereticamente” una “recensione” composta di due ampi articoli.

Ora, riassumere le vicende menzionate nel libro, il martirio subito dalla nostra gente, è di fatto impossibile. Io però ne citerei una, esemplare per tutte, quella di Alberto Marega, capitano della Milizia Territoriale, rapito dai partigiani, processato da un “tribunale rivoluzionario”, assolto, quindi ucciso e gettato in una foiba. Assolto dall’accusa di essere un “boia fascista” ma non dalla colpa di essere un italiano, la stessa colpa che gli assassini con la stella rossa si apprestavano a far pagare in maniera altrettanto atroce a migliaia di nostri connazionali.

Un testo che in realtà non parla solo di vicende remote, ma di realtà presente, quando ci ricorda che solo in Italia, tornata dal 1945 a essere “serva” e “di dolore ostello” il cosiddetto nazionalismo è considerato una cosa ormai desueta, e che non è certo questo il caso dei nostri “vicini” sloveni, e lo dimostra un documento presentato dal governo sloveno al termine del semestre di turno di presidenza della UE nel 2008, in cui si sostiene che al termine del conflitto mondiale la Slovenia, allora facente parte della Jugoslavia comunista, non sarebbe affatto rientrata in possesso di tutto il “territorio etnico” di pertinenza. In altre parole, non un qualche fanatico, ma il governo sloveno continua a guardare al Tagliamento e oltre, cupido di annettersi quanta più terra italiana possibile, mentre da noi un sistema mediatico prezzolato e antifascista, cioè al servizio dei nemici dell’Italia, si è ben guardato dall’informare il pubblico di un fatto di una simile gravità.

Singolare coincidenza, insieme o poco dopo la notizia della scomparsa di Giorgio Rustia, si sono visti sui muri cittadini alcuni manifesti che pubblicizzavano la presentazione presso la “casa delle culture” (così si chiama oggi quella che un tempo era la “casa del popolo”) dell’ultimo libro di Claudia Cernigoj, Operazione Plutone.

Se voi pensate che oggi, a un trentennio dalla scomparsa dell’Unione Sovietica di comunisti fanatici non ne esistano più, dovreste avere il dispiacere di conoscere Claudia Cernigoj. Questa appartenente alla minoranza slovena è da parecchi anni la promotrice di una serie di mistificazioni tendenti a negare l’atroce realtà delle foibe. Se il negazionismo del genocidio non fosse una fattispecie di reato applicabile soltanto alla parte vinta della seconda guerra mondiale, sarebbe da tempo finita in galera e si sarebbe buttata via la chiave, ma conosciamo fin troppo bene il doppiopesismo al riguardo di questa cosiddetta democrazia.

“Plutone” non si riferisce né al dio romano degli inferi, né all’ultimo pianeta del sistema solare recentemente declassato a pianeta nano, è anche il nome di una foiba, un inghiottitoio carsico rimasto nel territorio di quella che è oggi la Slovenia, uno degli abissi nei quali i partigiani jugoslavi subito all’indomani dell’8 settembre 1943 che vide il dissolversi delle autorità italiane, cominciarono la mattanza massacrando i nostri connazionali rimasti indifesi, gettandoli in quello e in altri abissi.

Di seguito, arrivarono i Tedeschi con l’operazione Alarico e la costituzione del Litorale Adriatico, anticipando di un paio d’anni l’ecatombe genocida programmata dalle truppe titine.

Adesso non so la cifra esatta, ma parecchi corpi di italiani trucidati furono esumati dall’abisso, filmati, fotografati, identificati, fornendo le prove tangibili della barbarie comunista, anche se era solo un antipasto di quel che sarebbe toccato alla nostra gente con la capitolazione della Germania e della RSI.

La Cernigoj vorrebbe dimostrare che la vicenda dell’abisso Plutone sarebbe una montatura, un fake come si dice oggi, costruito dai Tedeschi. Peccato che molti cadaveri degli scomparsi rapiti dai partigiani sono stati identificati, peccato che ancora oggi la maggior parte delle foibe del Carso finito in mani slovene sono interdette agli speleologi, evidentemente perché questi ultimi non possano scoprire ciò che vi giace.

Coautore del libro è Nerino Gobbo. Per nostra fortuna, è proprio il testo di Giorgio Rustia a informarci su chi sia questo personaggio. Costui è un comunista istriano che all’arrivo delle bande partigiane jugoslave, si è messo a collaborare con gli invasori, indicando loro gli italiani da sopprimere per primi, i loro nascondigli, e collaborando attivamente alle stragi, un individuo che riassume in sé l’essenza del comunismo. Tuttavia, questo non è tutto ciò che c’è da raccontare a proposito di questo personaggio, infatti costui non è stato soltanto imposto dalla Jugoslavia comunista come uno dei capetti della cosiddetta “unione degli italiani” cioè l’associazione che “rappresentava” ma più che altro controllava e irreggimentava gli italiani ormai ridotti a esigua minoranza, rimasti al di là del confine dopo la guerra, ma dopo che noi in Italia abbiamo avuto la disgrazia di avere come presidente della repubblica il partigiano Sandro Pertini che al funerale di Tito si fece notare per aver baciato la bara del tiranno e massacratore di italiani, fece in modo di far ottenere la pensione INPS a chiunque avesse prestato un qualche servizio anche per brevissimo tempo nel periodo dell’occupazione italiana della Slovenia dal 1941 al 1943.

Nerino Gobbo ebbe, e continua a percepire la pensione dello stato italiano, non solo, ma ha avuto pure un lucroso “risarcimento” per le somme non percepite dal 1943 fino ad allora.

Io vorrei ora citare un episodio certamente marginale, ma al quale ho avuto modo di assistere di persona, e che comunque mi sembra molto indicativo di una certa mentalità, che ci fa ben capire il fatto che il presunto ripudio del comunismo da parte della sinistra nostrana dopo la caduta dell’Unione Sovietica non è stato altro che una mossa tattica strumentale e profondamente insincera.

Come sicuramente sapete, la sinistra ideologica ha ostacolato in ogni modo la possibilità che a loro dispetto si è concretizzata, che la pellicola Red Land – Rosso Istria che parla della tragedia delle foibe, arrivasse sugli schermi. Ad aprile il comune di Trieste ne ha sponsorizzato la proiezione in un cinema cittadino e invitato gli istituti superiori della città a inviare ciascuno due classi di allievi a titolo di rappresentanza. Il preside della scuola dove lavoro ha aderito all’iniziativa.

Bene, nel corso di un’assemblea sindacale (indetta vorrei sottolinearlo, non dalla CGIL o da qualche altra sigla sindacale, ma dalla RSU interna dell’istituto, assemblea che stando all’ordine del giorno, non aveva altra finalità se non quella di discutere della ripartizione del fondo d’istituto), l’insegnante a cui è stato affidato il compito di individuare le classi da inviare ad assistere alla proiezione – benché si trattasse di un fuori programma – ha espresso tutto il suo rincrescimento per l’incarico affidatogli, dichiarandosi (parole testuali) “Profondamente amareggiato” per esso.

Da questo intervento è seguita una discussione se portare o meno la cosa in collegio docenti, intraprendere o meno una protesta nei confronti della presidenza, e l’orientamento prevalente mi pare sia stato quello di lasciar cadere la cosa perché il dirigente è ormai prossimo al pensionamento e alla scadenza del mandato, ma era ben chiaro che la maggior parte dell’assemblea condivideva “i sentimenti” espressi dal collega.

A prescindere da qualsiasi altro tipo di considerazione, io mi chiedo che diritto, non giuridico ma morale, abbiano di fregiarsi del titolo di insegnanti persone che si prefiggono di nascondere ai giovani la conoscenza, di impedire loro l’accesso non a opinioni “non conformi”, ma a fatti, fatti accertati ma scomodi per la loro parte politica.

Io vi ho detto più volte, ma credo che di un simile problema non si parlerà mai abbastanza, del danno e della pericolosità del fatto che la scuola, attraverso cui passa la (de)formazione intellettuale dei nostri giovani è sostanzialmente in mano alla sinistra, a insegnanti che sono ex sessantottini o loro immediati e devoti discepoli a cui (poiché per poter insegnare bisogna essere disposti a imparare), la caduta dell’Unione Sovietica e tutto quanto è intercorso da allora, non hanno insegnato nulla!

Che la sinistra sia anti-nazionale, questa davvero non è una novità, come purtroppo non è una novità nemmeno il fatto che oggi, snobbata da gran parte della stessa classe operaia, trova ancora uno dei suoi punti di forza nella scuola, che è diventata il refugium peccatorum degli ex sessantottini. Nel 2004 il comune di Trieste aveva organizzato una cerimonia per celebrare il cinquantenario del ritorno di Trieste all’Italia. Fu chiesto alle scuole superiori di fornire una rappresentanza di ragazzi che avrebbero dovuto cantare l’inno di Mameli sul colle di San Giusto. A ogni scuola, il comune mandò un pacco contenente bandierine tricolori e copie del testo dell’inno.

Non solo i presidi decisero di boicottare concordemente l’iniziativa, ma il dirigente di un liceo scientifico decise di rendere il rifiuto più plateale possibile facendo bruciare pubblicamente con una specie di contro-cerimonia il pacco del comune nel cortile della scuola. Quest’uomo, guarda caso, era stato candidato alla presidenza della provincia nelle liste del PD.

Nel 2011, in occasione dei centocinquanta anni dall’unità nazionale, la sinistra sembra sia stata pervasa da un’inedita ventata di patriottismo. Possibile un mutamento così radicale? In fondo dal 2004 erano passati solo sette anni, non settanta. Il trucco c’era e si vedeva, bastava guardare bene: questa ricorrenza e la relativa ostentazione di patriottismo erano un alibi per far passare la loro idea di Italia, basata sulla cittadinanza cartacea, i “nuovi italiani” (che italiani non saranno mai), lo ius soli.

Quale sia l’oggi, beh, lo vediamo!

Tuttavia non si può disconoscere a tale prospettiva una singolare coerenza. Ieri erano dalla parte degli slavi infoibatori, oggi lo sono da quella dei cosiddetti migranti e anelano alla sostituzione etnica. Sono sempre e comunque contro l’Italia e gli Italiani.

NOTA: Nell’illustrazione, uno scorcio del colle di San Giusto, “l’acropoli” triestina. In primo piano le rovine del tempio di Giove, e dietro di esse il castello veneziano del XVI secolo.

Fabio Calabrese

 

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