11 Aprile 2024
Politica

National Conservatism e neo-americanismo – Daniele Perra

Si terrà a Roma il 4 febbraio la seconda edizione della National Conservatism Conference dal titolo altisonante “Dio, onore, nazione: il presidente Ronald Reagan, papa Giovanni Paolo II e la libertà delle nazioni”. La conferenza, organizzata dalla Edmund Burke Foundation, vedrà, tra gli altri, la partecipazione di diverse figure politiche e “intellettuali” del “sovranismo” italiano e non. In questo approfondimento si cercherà di dimostrare il carattere di contraffazione ideologica che si cerca di mascherare dietro questa presunta nuova formula politica.

Per chi si è nutrito con il pensiero dei grandi autori della Konservative Revolution tedesca (fonte di ispirazione anche per molti intellettuali italiani) potrebbe apparire paradossale il fatto che dei personaggi politici che, per mezzo del più esasperato neoliberismo, hanno distrutto ogni vincolo sociale e comunitario (è nota, ad esempio, la celebre sentenza di Margareth Thatcher “there is no such a thing like society”) vengano associati al termine (pur di matrice modernista) “conservatorismo”. Tuttavia, la soluzione di questo “paradosso” è più semplice di quanto si possa immaginare. Se la Konservative Revolution si poneva come movimento culturale di opposizione al processo di occidentalizzazione forzata della Germania al termine del Primo Conflitto Mondiale e, dunque, come difesa di quell’autentico spirito europeo fiaccato, come già affermava Nietzsche, dal “basso livello medio degli inglesi”; il cosiddetto “national conservatism” attuale si propone proprio di salvare quell’“Occidente” anglo-americano centrico, imposto con la forza alle società europee a cavallo e dopo le due guerre mondiali, dall’emergere di forze che ne mettono in discussione l’egemonia. Ciò che si vuole conservare è un sistema di potere fondato “su quell’ordine esteso della cooperazione umana meglio noto come capitalismo” (secondo l’espressione dell’esponente della Scuola di Vienna Friedrich Von Hayek) che avrebbe prodotto la più alta forma di civiltà mai esistita e sui presunti valori giudaico-cristiani che accomunerebbero l’insieme delle Nazioni “occidentali” ma che, in realtà, rappresentano una “anti-tradizione” anglo-americana naturalmente estranea all’Europa.

Il national conservatism, di fatto, è l’estremo tentativo per salvare la “globalizzazione americana” nel momento in cui il centro di potere è sottoposto ad una profonda tensione esistenziale tra la “sovraestensione imperiale” (origine della crisi) e la “necessità” connatturata del gigantismo in quanto espressione compiuta della civiltà della tecnica. Non potendo più permettersi una politica estera propriamente “imperiale” si è imbastito un nuovo paradigma ideologico che consenta di preservare l’egemonia cercando di porre un freno all’evoluzione dell’ordine globale nello schmittiano pluriversum di grandi spazi. Tessere le lodi del piccolo-nazionalismo, osannare una quantomeno illusoria “libertà dei popoli” o una ulteriore parcellizzazione del globo in nuovi Stati, in realtà, non significa altro che condannare queste stesse Nazioni e popoli all’insignificanza geopolitica. Lo Stato forte impone comunque il suo protettorato sul popolo debole incapace di garantirsi una reale sovranità. Così afferma Yoram Hazony, co-fondatore dell’Edmund Burke Foundation e presidente dell’Herzl Institute (ed ospite della conferenza romana), nel suo libro Le virtù del nazionalismo. E così, gli Stati Uniti odierni, attraverso la “tradizionale” strategia del divide et impera, cercano di reimpostare il proprio “sistema imperiale” sulla base del rapporto di forza negoziale Stato forte verso Stati deboli e di piccole dimensioni (un approccio alle relazioni internazionali definito come “bizantino”).

Proprio il testo dell’ideologo israeliano (considerato alla stregua di potenziale “manifesto” per un’ipotetica Dottrina Trump “a venire” visto che l’attuale amministrazione, ad oggi, non si è dimostrata particolarmente diversa dalle precedenti), in questo senso, è particolarmente esplicativo. Hazony resta alla larga dal dibattito sulla creazione dello Stato moderno (forse per non incappare nel confronto con il citato Carl Schmitt), tuttavia considera il nazionalismo come parte integrante della natura umana. La sua elaborazione teorica si fonda a partire dall’attuale contrapposizione tra sovranismo (come ipotetico ordine di Stati liberi e indipendenti) e globalismo (da intendersi come una sorta di impero universale). Tale “conflitto”, secondo Hazony, sarebbe “vecchio come lo stesso Occidente” (dunque, relativamente nuovo se per “Occidente” si intende quella parte di mondo costruita ad immagine e somiglianza del centro di potere anglo-americano). Naturalmente, il prototipo di Stato-nazione (neanche a dirlo) è rappresentato dal biblico Regno di Israele la cui “eredità” è stata sviluppata e raccolta in epoca moderna (con il diffondersi del protestantesimo come rivincita dei caratteri guidaici sulle influenze neoplatoniche del cristianesimo cattolico e ortodosso) da Regno Unito e Stati Uniti. Non a caso due entità politico-statuali che hanno a più riprese avanzato la pretesa di rappresentare la “Nuova Israele” (basti pensare alle leggende legate alla presunta discendenza del popolo inglese da una delle dodici tribù perdute di Israele o alla retorica del “nuovo esodo” con la quale i puritani si recarono in America per creare una nuova Gerusalemme in antitesi alla dispotica Europa). Ora, prescindendo dalla consueta confusione (probabilmente voluta) fra i termini “Impero” e “imperialismo”, Hazony, sulla base delle precedenti considerazioni, compie una distinzione tra Stati dispotici (gli Imperi fondati sulla conquista e la violenza) e gli Stati liberi (prodotto dell’unificazione tra gruppi che condividono una medesima cultura). Ovviamente, si guarda bene dall’approfondire il fatto che tanto gli Stati Uniti quanto l’attuale Stato di Israele (ma, in effetti, questo varrebbe anche per il biblico Regno di Israele) si siano formati sull’appropriazione forzosa di territorio, sulla conquista, sulla violenza e sulla distruzione dei popoli e delle culture autoctone. Così, muovendo una blanda critica al sogno egemonico globale nordamericano, l’obiettivo principale della sua critica diventa l’attuale Unione Europea considerata alla stregua di “Impero dispotico” a tutti gli effetti.

Tuttavia, ancora una volta, Hazony evita scientemente di ricordare il fatto che l’attuale Unione Europea è in larga parte un prodotto nordamericano: un costrutto economico-finanziario che avrebbe dovuto garantire il facile controllo geopolitico del continente da parte di Washington nel momento del crollo del cosiddetto blocco socialista. A questo proposito è bene riportare una celebre dichiarazione dello stratega del Pentagono Zbigniew Brzezinski: “Qualunque espansione del campo di azione politico dell’Europa, è automaticamente un’espansione dell’influenza statunitense. Un’Europa allargata ed una NATO allargata serviranno gli interessi a breve ed a lungo termine della politica europea. Un’Europa allargata estenderà il raggio dell’influenza americana senza creare, allo stesso tempo, un’Europa così integrata che sia in grado di sfidare gli Stati Uniti in questioni di rilievo geopolitico, in particolare nel Vicino Oriente”. L’Unione Europea odierna, dunque, non è Europa ma anti-Europa. È “europeista” (in senso mercantilistico) ma anti-europea sul piano politico-culturale. La sua disgregazione è necessaria qualora si imponga una sua ricostruzione sulla base di una reale unità politica e militare e non una riaffermazione di Stati-nazione dalle dimensioni più o meno ridotte ed incapaci (da soli) di garantirsi una qualsivoglia forma di sovranità. Questa “reale unità politico-militare” dell’Europa è percepita come minaccia esistenziale da parte del sistema imperiale nordamericano. E, per questo motivo, lungo la direttrice nord-ovest/sud-est, Regno Unito e Israele svolgono il ruolo di guastatori di ogni potenziale (e per il momento solo ipotetica) affermazione di un’Europa realmente unita e sovrana.

Oltre alla figura di Hazony, merita particolare attenzione anche quella di David Brog, presidente della Edmond Burke Foundation. Ex direttore esecutivo di Christians United for Israel (organizzazione creata dal pastore evangelico John Hagee), Brog è autore dei libri In defence of faith: The Judeo-Christian idea and the struggle for humanity e Standing with Israel: Why Christians support the Jewish State.
In questo contesto non ci si soffermerà sulla più o meno complessa struttura del messianismo giudaico-evangelico. Basterà ricordare che molte delle sigle evangeliche nordamericane aspirano al completo ritorno in Palestina di tutti gli ebrei per accelerare il secondo avvento del Cristo. Si tratta, né più né meno, che di forzare la mano di Dio: una “pratica” ampiamente diffusa in età moderna dal messianismo blasfemo di Sabbatai Zevi o Jacob Frank che mirava a colmare il mondo di impurità in modo da provocare una reazione divina. Questo avvento dell’era messianica, così, si caratterizzerà su di una spartizione dei “mondi”: il regno dei cieli affidato ai “cristiani” ed un regno mondano affidato agli ebrei (di fatto, l’epoca messianica nell’ebraismo si manifesta come dominio effettivo di un popolo, eletto da Dio a tale scopo, sul mondo intero attraverso il ritorno della presenza divina nel ricostruito Tempio di Gerusalemme). Inutile dire che tale approccio è in palese antitesi con la tradizione cristiana cattolica e ortodossa. Tuttavia, ciò che interessa ai fini del discorso sin qui affrontato è conoscere l’attività di Brog. Questo, nel 2015, ha fondato con il magnate/filantropo Sheldon Adelson (una sorta di Soros del “sovranismo” che ha versato 25 milioni di dollari per finanziare la campagna elettorale di Donald Trump) il Maccabee Task Force: un’organizzazione che si propone di combattere la “disturbante diffusione dell’antisemitismo nei campus dei college americani”. In realtà, l’obiettivo è la criminalizzazione di ogni forma di boicottaggio nei confronti dell’economia coloniale israeliana e (non sorprendentemente) promuovere l’equiparazione tra anti-semitismo ed anti-sionismo. Questa organizzazione, nell’ottobre 2019, si è posta l’obiettivo di espandere la propria azione “in Europa ed oltre”.

Alla luce di questi fatti, non dovrebbe affatto soprendere lo zelo con il quale taluni politici italiani abbiano abbracciato la causa “giudeo-cristiana”. La costante ricerca di un padrone (e patrono) è da qualche decennio a questa parte una costante nello scenario politico italico e la ragione dell’eterna condanna del Paese alla sudditanza geopolitica. In un articolo di presentazione della National Conservatism Conference apparso su Il Giornale, l’articolista elogiava la coraggiosa iniziativa affermando la necessità che qualche idea proveniente dal nostro Paese si affacciasse finalmente in un dibattito internazionale di un qualche spessore. Dispiace dovergli dare torto ma, anche in questo, niente proviene realmente dal nostro Paese.

Daniele Perra

8 Comments

  • Stefano 24 Gennaio 2020

    Ottima analisi come sempre di Daniele Perra, il ritorno di questo piccolo-nazionalismo o cosiddetto “sovranismo” (senza sovranità aggiungo io) non è altro che l’ennesimo “miraggio incorporeo” creato dall’occidente atlantico per sviare ed incanalare a proprio favore alcuni moti di rivalsa prodottosi e soprattutto evitare di perdere quell’egemonia unipolare conquistata definitivamente dopo la caduta del muro, usando un europa divisa e debole come cuscinetto ed avamposto verso l’heartland ed un controllo del rimland(che appare sempre più problematico però), nonchè ovviamente per evitare un integrazione eurasiatica… Tra l’altro questa tecnica del creare un “terzo incomodo”, un “miraggio incorporeo” che si presenta come terza polo ma che in realtà non serve ad altro che a favorire il polo atlantico non è nuova, basta ripercorrere la storia degli ultimi 200 anni e vedere che l’Europa occidentale ha sempre avuto questo ruolo da Napoleone in poi… Lasciamo stare poi l’anti-tradizione frankista del giudeo-cristianesimo e del messianismo neo-con, ci sarebbe molto da dire ma poi è talmente palese il loro programma e la loro influenza su una buona parte del mondo liberal-conservatore da non meritare molte aggiunte a quanto detto… In conclusione, sappiamo bene qual’è la polarità del conflitto e che terzi incomodi sono in realtà alleati del nemico, sappiamo quali sono le forze in gioco, sappiamo quindi chi è il “nemico”, come al solito la domanda è “che fare”? Quali strategie e tattiche sono utilizzabili per affiancare perlomeno quella lotta che alcuni stati-civiltà e popoli nel mondo continuano? Si può realmente influire in qualche modo attraverso anche le armi culturali e meta-politiche alla creazione di un nuovo paradigma rivoluzionario ? La società aperta sa bene quali sono i suoi nemici, marcia divisa e colpisce unita, noi siamo altrettanto consapevoli ed uniti? Cordiali saluti.

  • Karl Antuzzi 24 Gennaio 2020

    Il commento è la perfetta fotografia della situazione, prima culturale e poi politica, delle forze in campo. Il punto fondamentale resta, come sempre, da sempre, il giudaismo. Se già Wagner nel 1850 si lamentava che la stampa era im mano ai giudei una ragione della situazione di allora e di oggi c’è ed è evidente. Qui scatta la solita accusa di antisemitismo con il corollario che, anche in Italia, tra poco, se non compro i pompelmi di Jaffa, sono antisemita. Possiamo scrivere articoli, pagine, volumi ma la questione è sempre la stessa. Kevin Mac Donald ci dice chiaramente “come” e “perché “.

  • Maksimiljan 25 Gennaio 2020

    Il conflitto tra il cd globalismo e il cd sovranismo e’ un conflitto interno al 6iudaismo stesso. E’ un conflitto geostrategico e geopolitico sulla spartizione dell’influenza su specifiche regioni. I globalisti (alla Soros per intenderci) vogliono cancellare gli stati (stato d’Israele incluso) e instaurare una “governance” globale tramite istituzioni sovranazionali (ONU, Banca mondiale, FMI, UE…), mentre i “sovranisti” tentano di mantenere un’influenza regionale (continentale), attarverso apparati industriali nazionali. Qui’ sta il patto tra una certa congrega Wasp e 6iudei nazionalisti.
    C’e’ un terzo incomodo di stirpe non 6iudea (e nemmeno Wasp) che si rifa’ ad un concetto gerarchico imperiale (Terza Roma) e sta tentando di portaare la Russia (quella bianca: di nome e di fatto) su questa strada. Per ora e’ un movimento quasi impercettibile (per ragioni di sicurezza), ma e’ attivo su piu’ piani. Sta’ usando il sovranismo come trampolino di lancio e il 6iuadismo e’ molto preoccupato di queste interferenze, dato che sanno su quali piani si sta combattendo la VERA battaglia.

  • Stefano 25 Gennaio 2020

    Maksimiljan lei ha descritto perfettamente la situazione e concordo totalmente,”sovranismo” e “globalismo”(Netanyahu e Soros in pratica) sono due facce della stessa medaglia che differiscono nei mezzi ma non nello scopo finale… si è vero però che il cosiddetto “sovranismo” può essere usato dalle forze della “Terza Roma” come un taxi ed indirizzato in altro modo all’interno della “guerra occulta”, ma siamo sicuri che questa operazione non sia già fallita? Certo è che vi fosse in atto una strategia del genere, ma vari segnali inducono a pensare che sia stata abbandonata, vuoi per lo scadente materiale umano disponibile, vuoi per ragioni di opportunità politica, vuoi per una rettificazione di questa strategia in base anche agli eventi degli ultimi mesi… Magari ancora qualche movimento c’è, forse più discreto rispetto a prima visto certi inciampi accaduti…

  • Maksimiljan 25 Gennaio 2020

    Stefano forse questi “segnali” sono proprio una volonta’ strategica per non palesarsi al nemico.

  • Stefano 25 Gennaio 2020

    Maksimiljan l’ho pensato anch’io ed è quello che intendevo alla fine del mio commento, può esserci sicuramente magari un eterogenesi dei fini però non saprei, in questo momento sono molto più diffidente su questa ipotesi di cavalcare il sovranismo rispetto a qualche tempo fa… Vedremo come si muoveranno le cose per adesso di certo non si può escludere questa possibilità. Cordiali saluti.

  • Giuseppe 29 Gennaio 2020

    Un articolo magistrale che ha perfettamente riassunto lo status quaestionis del falso sovranismo dei falsi populisti e del disegno egemonico della lobby giudeo-cristiana al servizio totale delle strategie imperialistiche atlantiche e dell’entità sionista denominata Israele.
    Un sentito ringraziamento a Daniele Perra per la sua acutissima analisi.

  • Gian 8 Febbraio 2020

    Articolo assolutamente condivisibile.
    I “sovranisti de noantri” (Salvini e Meloni), con le loro lodi sperticate a U$A e I$raele, mi sanno proprio di sovranisti anti-sovranità…

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