9 Aprile 2024
Politica

Quell’aggettivo di troppo: Enrico Marino

Dal lontano 1978, il 7 gennaio di ogni anno si celebra ad Acca Larentia, ex sezione del Movimento Sociale a Roma, il rito del “PRESENTE!” in ricordo di tre giovani assassinati da un gruppo di fuoco comunista e da un capitano dei Carabinieri, seppure successivamente assolto.

E ogni anno centinaia di ragazzi si riuniscono davanti a quella storica sezione per ricordare a loro stessi e all’intera società che quei camerati assassinati sono presenti nei loro cuori e ancora attendono giustizia dallo Stato.

E ogni anno, al rituale appello dei defunti, rispondono “presente”, salutando col braccio teso quei ragazzi assassinati proprio perché incarnavano una precisa Idea.

Solo quest’anno però, in coincidenza, col primo governo e il primo presidente del Consiglio di destra, tutte le sinistre e i liberal hanno deciso di scatenare una stucchevole quanto pretestuosa polemica per quel saluto, considerato da loro una intollerabile manifestazione di apologia del fascismo.

Questa surreale sceneggiata orchestrata contro il governo è tanto grottesca quanto pretestuosa e non merita alcuna attenzione, ma è l’ennesima dimostrazione di un equivoco che perdura ormai da 78 anni sulla scena politica del Paese e continua ad inquinare il vivere civile e la pace sociale.

Ogni 25 aprile si celebra, con sempre più opprimente retorica, la cosiddetta “Liberazione” che pose fine alla guerra, ma dette inizio a una ignobile mattanza di fascisti che si erano arresi, di civili innocenti, di agrari, di sacerdoti, di avversari politici e gente comune, operata dai partigiani comunisti con violenze di ogni genere, stupri e rapine e durata non meno di tre anni fino al 1948.

Ignorare che dal 1943 al 1945 in Italia si svolse una feroce guerra civile tra fascisti e antifascisti e pretendere, invece, di rappresentarla come una surreale guerra di liberazione dai tedeschi, disinvoltamente fatti passare da alleati a invasori e nemici, dopo un vergognoso ribaltamento di fronte, costituisce una grande falsificazione storico politica e una componente importante di quell’equivoco sopra accennato.

Da questa voluta e ipocrita omissione scaturiscono due devastanti e inaccettabili conseguenze.

La prima è il disconoscimento della permanenza in Italia e della identità storica e politica dei fascisti, cioè degli italiani dell’altra parte che, a guerra finita, dopo venti anni di regime mussoliniano nel quale si erano riconosciuti e per il quale avevano combattuto, non erano scomparsi e non si erano dissolti, ma erano rientrati nei ranghi della società civile, per integrarsi e vivere una vita normale, senza con ciò necessariamente rinnegare il loro passato e i loro ideali.

Se dopo una guerra perduta malamente, enormi devastazioni materiali e innumerevoli lutti, milioni di italiani ancora si riconoscevano in un Idea e mantenevano una fedeltà politica “senza rinnegare ma senza voler restaurare”, significa che il fascismo aveva inciso a fondo nella coscienza del Paese e tanti fascisti, o meglio post fascisti, erano ancora presenti nella comunità nazionale.

A costoro la Costituzione aveva riconosciuto il diritto di partecipare, dopo soli cinque anni dal 1948, alla vita politica per essere eletti, senza mettere in discussione le loro idee, col solo limite del divieto di ricostituire il disciolto partito fascista.

Solo la legge Scelba, in attuazione di tale dettato, ma con finalità già fortemente repressive, caricò quel limite con divieti che finirono col configurare come un reato di opinione quella che, invece, avrebbe dovuto essere intesa solo come la libera manifestazione del “proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione” come previsto dall’art. 21 della stessa Costituzione.

Invece, col passare degli anni, gli spazi di democrazia si sono oltremodo ristretti con l’introduzione di ulteriori previsioni normative, contemplate dalla cosiddetta legge Mancino del 1993, che col pretesto di vietare gesti, azioni e slogan legati all’ideologia nazifascista ha dato vita a nuove ipotesi di reato al limite della incostituzionalità. Queste forme di repressione si sono nel tempo inasprite sotto la spinta dei governi di sinistra e la pressione di lobbies transnazionali, fautrici di un pensiero unico e favorevoli all’estensione della Legge Mancino addirittura ai reati basati sulla discriminazione in base all’orientamento sessuale e all’identità di genere.

E’ storia recente quella del crescente e ossessivo richiamo all’antifascismo, a distanza ormai di cento e più anni dalla fondazione dei Fasci di Combattimento, la strumentalità di tali allarmi e la forzata e rabbiosa aggettivazione della Costituzione come “antifascista”.

Ebbene, proprio quest’ultima rivendicazione è tanto più inaccettabile in quanto grave e pericolosa.

E’ questa una inammissibile e gravissima contraddizione della politica, perché la libertà di espressione è una delle condizioni di base per il progresso della società democratica e per lo sviluppo di ciascun individuo. Essa riguarda non esclusivamente le informazioni e le idee accolte come favorevoli o considerate come inoffensive, per le quali non si porrebbe nessuna esigenza di garantirne la tutela, ma quelle che urtano, scioccano, inquietano o offendono una parte qualunque della popolazione, così richiede il pluralismo, la tolleranza, lo spirito di apertura senza il quale non vi è una società democratica.

Una democrazia “antifascista” è una democrazia squilibrata, che già nell’aggettivarsi nega se stessa come sistema politico che accetta e tutela il libero confronto e anche la contrapposizione di idee, con l’unico limite che tale confronto avvenga col rispetto dell’avversario e senza il ricorso alla violenza. La sopraffazione è l’unico limite che si può imporre al perseguimento di ideali che, dal comunismo al fascismo, sono tutti ugualmente leciti e che, in ogni caso, non possono essere aboliti per legge o con la repressione poliziesca.

L’assurda pretesa che vorrebbe tutti gli italiani confluire nell’accettazione della vulgata resistenziale e nella professione di un unanime antifascismo, peraltro in assenza di un partito fascista, non tiene conto della realtà di fatto né del dettato costituzionale che non impone alcuna abiura politica, ma solo il perseguimento dei propri ideali nel rispetto dei principi di libertà e di non violenza. Tutto il resto, così come l’appropriazione settaria della Costituzione, sono inaccettabili forzature di una politica truce, ipocrita e faziosa e vanno respinte al mittente.

Per questo rivendicare con fermezza la presenza fisica e ideale di post fascisti in un sistema democratico è lecito e doveroso, così come deve essere lecito manifestare le proprie idee, anche con l’esibizione di un saluto romano, seppure queste ultime non sono gradite ai post comunisti e alle consorterie affaristiche, massoniche e religiose, che vorrebbero ingabbiare e indirizzare il pensiero dell’intera comunità nazionale.

 

Enrico Marino

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