14 Maggio 2024
Fantascienza

Narrativa fantastica, una rilettura politica, trentaduesima parte – Fabio Calabrese

Come Una Ahnenerbe casalinga/L’eredità degli antenati ed Ex oriente lux, ma sarà poi vero?, anche questa serie di articoli ha finito per eccedere notevolmente le dimensioni che avevo inizialmente pensato.

Dalla prima alla diciannovesima parte, mi sono dedicato a un esame del fantastico per generi: fantasy, fantascienza, horror, eccetera. Dalla ventesima alla trentunesima ho esplorato il fantastico prima germanico, poi latino, quindi slavo-russo per rispondere a una domanda che sembrerebbe semplice: l’attuale preminenza davvero schiacciante che hanno oggi gli autori anglosassoni in questo campo, come del resto in altri, dipende davvero dal fatto che in esso costoro sono maggiormente versati, o non esclusivamente dal ruolo dominante oggi assunto a livello planetario da una potenza di lingua inglese, gli Stati Uniti d’America?

Voi indubbiamente capite che la risposta a questa domanda ci rimanda a un fatto squisitamente politico, cioè alla constatazione che l’egemonia USA ha un effetto deprimente e devastante sulla cultura di quella non tanto piccola parte di mondo che anglofona non è, e in particolare della nostra Europa.

Senza contare che, come abbiamo visto nella trentesima e trentunesima parte, una componente non trascurabile del fantastico europeo è rappresentata dal mondo slavo e russo, anche se oggi vediamo che tutto quanto è russo, è bersagliato da un’acredine per la quale la guerra in Ucraina sembra più che altro un pretesto (se n’è accorto perfino il papa).

Ora però vorrei tornare alla tematica del fantastico esaminato per generi, dove forse non vi ho detto tutto quanto ci sarebbe stato da dire.

L’avevamo visto proprio all’inizio di questa serie di articoli, le prime tre parti seguono la “tradizionale” (in realtà convenzionale, creata soprattutto per motivi editoriali) tripartizione del fantastico in fantasia eroica, fantascienza, horror, salvo poi verificare che c’è molto altro, utopia (oggi presente soprattutto nella forma di distopia, utopia negativa, con le classiche opere di Orwell e Huxley), ucronia (“la storia scritta con i se”), fantapolitica e altro ancora, si pensi ad esempio al Codice Da Vinci di Dan Brown, che ha generato per imitazione un vero e proprio filone “fantaesoterico”.

Alcune scelte che ho fatto non sono per nulla casuali come forse potrebbero sembrare, ad esempio la fantascienza è oggi il filone numericamente preponderante (non per nulla, viviamo in un’epoca che si definisce scientifica e tecnologica), ma ad essa ho dedicato nella terza parte uno spazio alquanto ristretto in coabitazione con l’horror, mentre nelle due parti precedenti mi sono diffuso sulla fantasia eroica. Non è stato un caso: a parte le dimensioni quantitative del fenomeno fantascienza, io trovo che essa sia perlopiù inficiata da un miraggio progressista che le toglie credibilità. Come possiamo continuare a illuderci in un progresso illimitato in un mondo dalle risorse limitate, e per di più in rapido esaurimento sotto l’effetto della “bomba demografica” umana (che, anche questo non è un caso, oggi esplode soprattutto nel Terzo Mondo)?

Comunque, andando a rivedere il lavoro sinora fatto, mi pare che, sebbene le abbia dedicato i due capitoli iniziali della serie, proprio il discorso sulla fantasia eroica sia suscettibile di ulteriori sviluppi.

Questo non deve stupire, lungi dall’essere un genere di pura evasione (Ma chi detesta l’evasione – ricordava Tolkien – sono i carcerieri), può essere la base di un’analisi antropologica, sociologica e – ovviamente – politica.

Essa, di contro agli aspetti più deteriori del presente e del futuro immediatamente prevedibile, ci rappresenta il tipo di mondo e il modo di vivere che sono in definitiva normali per la nostra specie. Mondi dove l’inquinamento non ha stravolto l’ecologia, dove gli eccessi dell’industrializzazione e dell’urbanesimo non hanno ridotto la condizione umana a quella di animali da allevamento in immensi, grigi, pollai di cemento, dove una onnipervadente burocrazia non ha complicato fino all’assurdo le relazioni umane, dove una magia casalinga tiene ancora il posto di una scienza e di una tecnologia sempre più esoteriche e taumaturgiche”.

Queste parole si trovano in un articolo apparso nel lontano 1986 sul n. 2/86 della pubblicazione amatoriale “SF…ere”, e non vi meraviglierà sapere che l’autore è un certo Fabio Calabrese.

Questo tuttavia non significa che tutto fili liscio, e che non esistano differenze anche radicali d’interpretazione.

Leggete questi due brani:

Il trono di Aquilonia, i tesori di Valusia sono di cartapesta, non sono premi preternaturali. Essi appartengono al regno della vita e della morte, non all’ordine “metascientifico e metastorico” (..) Il polo dinamico è rappresentato allora dal concreto, dalla possibilità di muoversi in un universo di cose: se l’assoluto è precluso, non si tarda a scoprire la febbre del corpo e degli oggetti, dell’azione e del fisico”.

L’heroic fantasy è quel genere di narrativa fantastica in cui è possibile riconoscere l’aggancio ad un elemento trascendente, il riferimento a valori di ordine metastorico”.

Il primo brano è di Giuseppe Lippi, che è stato per molti anni direttore di “Urania” ed è stato un affermato critico e saggista, l’ho estrapolato dall’articolo Il mio regno per un fantasma pubblicato sul n. 1-2 1980 della pubblicazione amatoriale “Alternativa”, il secondo invece è di Alex Voglino, qualificato critico appartenente alla corrente interpretativa neosimbolista, che fa capo a Gianfranco De Turris, e l’ho estrapolato da un editoriale apparso sul n. 2 1986 del “Cosmo informatore”, bollettino della casa editrice Nord.

Chiaramente, c’è qualcosa che non va. Difficilmente, i due testi potrebbero essere più contrari. La fantasia eroica sarebbe quel genere narrativo caratterizzato SIA dalla presenza del riferimento a un elemento trascendente, SIA dalla sua assenza?

Molto spesso, i più feroci contrasti fra gli esseri umani sono contrasti sulle parole e, derivano dal fatto che a una stessa parola si assegnano significati diversi: ad esempio, quando qualcuno di sinistra vi parla in termini positivi o addirittura entusiastici del comunismo, potete essere sicuri che si riferisce alla zuccherosa utopia che ha in testa, senza alcun punto di contatto con la realtà. Gli anticomunisti, invece, quando usano questa parola, si riferiscono agli esempi storici reali e concreti di questo tipo di regimi, che sono invariabilmente mostruosi e ripugnanti.

Può essere che quello in esame sia un caso in qualche modo simile, che i due critici con il termine “fantasia eroica” (o heroic fantasy, se preferite la versione inglese) intendano in effetti due cose diverse?

Non occorre un acume eccezionale per capire che in effetti le cose stanno proprio così. Lippi si riferiva a una fantasy di tipo howardiano, cioè nello stile di Robert Howard, creatore di Conan, Voglino a una di tipo tolkieniano, tipo Il signore degli anelli. Chiarito l’equivoco, ciascuno si prende ciò che è suo, secondo le sue inclinazioni e i suoi gusti, pacificamente e nel reciproco rispetto.

Per non ricadere continuamente nell’equivoco, sarebbe bene che cose diverse avessero nomi diversi. Fritz Leiber, per definire la serie di avventure fantasy e picaresche del ciclo di Lankmar da lui creato, ha adottato l’espressione “Sword and sorcery”, “Spada e stregoneria”, modellato su “cappa e spada”, la mia proposta è quella di adottare sword and sorcery per l’intero filone di heroic fantasy “howardiana” e popolare, e lasciare “heroic fantasy” per la fantasy “tolkieniana”, “alta”, impregnata di valori trascendenti.

Questa proposta l’avevo già avanzata in un articolo apparso molti anni fa sul supplemento al n. 26/27 del 1999 della pubblicazione amatoriale “Yorick”, dove metto a confronto i due tipi di fantasy: Il giorno che Conan Incontrò Aragorn, che non è, come il titolo potrebbe far pensare, un racconto, ma fa, per così dire “incontrare” l’eroe creato da Robert Howard con il protagonista del Signore degli anelli.

Io vi ho già raccontato (Venticinquesima parte) l’impressione singolare che mi fece la traduzione in polacco del mio articolo sulla fantascienza italiana, dove “fantascienza” era tradotto come “fantaztyca literatura”, cioè letteratura fantastica tout court, e del fatto che Gianfranco Viviani, allora presidente della World SF Italia mi spiegò che la fantascienza era appunto la sola forma di letteratura fantastica ammessa oltre la Cortina di Ferro, che né l’horror né l’heroic fantasy, né Dracula né Conan trovavano cittadinanza sotto la bandiera rossa.

Non vi stupirà sapere che nel 1979 un “critico” tedesco-orientale, Hanns Jachim Alpers pubblicò su “Science Fiction Studies” un articolo che era un violento attacco contro l’heroic fantasy, essa sarebbe espressione dell’alienazione borghese tesa a mistificare i rapporti di produzione alla base delle società, e via dicendo, tutto il prevedibile, scontato, stantio, sentito mille volte, fritto e rifritto repertorio dello sciocchezzaio marxista. D’altra parte, sappiamo bene quanta originalità di pensiero, quanta libertà di giudizio fosse consentita nella DDR.

In effetti di per sé, lo scritto di Alpers, banale, scontato, perfettamente allineato con le indicazioni del partito, non avrebbe nessun interesse, se non fosse per la “risposta” della Vonarburg di cui ora vi dico.

All’articolo di Alpers “rispose” la scrittrice canadese Elisabeth Vonarburg con un ampio saggio, Fantasy et Cie (immagino che “Cie” fosse una traduzione francofona di “S&S”, sigla con cui talvolta si indica la sword and Sorcery) che fu pubblicato a puntate sui numeri 24, 25, 26, 27 e 28, tutti del 1979, della pubblicazione canadese “Requiem” – “Solaris” rivista del Quebec, canadese di lingua francese (La pubblicazione cambiò testata a metà della pubblicazione del saggio, diventando “Solaris” da “Requiem”, mantenendo tuttavia la numerazione).

Il minimo che si può dire, è che questa “difesa” è perlomeno strana. La Vonarburg, infatti, mentre “salva” (bontà sua) Tolkien e le autrici femministe, ribadisce contro la sword and sorcery e in particolare contro Robert Howard e il suo eroe Conan una condanna ancor più velenosa di quella di Alpers, è quello che in tribunale si definirebbe un “infedele patrocinio”, arrivando addirittura a definire la sword and sorcery “un’escrescenza cancerosa” dell’heroic fantasy.

Se ve ne ricordate, in precedenza, nella parte di questa trattazione dedicata alla fantascienza, vi ho già parlato del fatto che negli anni ’70 (dello scorso secolo, quelli della mia generazione fanno sempre un po’ di fatica a ricordarsene), abbiamo avuto nei vari generi del fantastico, tradizionalmente considerati fin allora un appannaggio maschile, una vera invasione di autrici, alcune delle quali femministe, di un femminismo radicale, che pretendevano di essere nettamente superiori agli uomini, proprio in quanto donne.

In realtà, se si vanno ad esaminare le cose da vicino, ci si accorge che le cose non stanno esattamente così, il sesso c’entra poco, esattamente come per gli uomini, ci sono alcune autrici buone, altre mediocri o addirittura pessime.

Tra le cose positive che questa ondata femminile ha prodotto nella fantasia eroica, metterei a esempio il ciclo di Earthsea di Ursula Le Guin, ma anni fa, ad esempio, mi sono azzardato a leggere il romanzo Le nebbie di Avalon di Marion Zimmer Bradley, una delle autrici femministe più quotate, con un grosso seguito di fan (anche se dubito che molti di loro si facciano la barba la mattina). Credo che ben pochi dei libri che ho letto nel corso di una lunga carriera di bibliofilo mi abbiano lasciato un’impressione altrettanto penosa: il Ciclo Bretone ridotto a gossip, raccontato attraverso le chiacchiere delle damigelle di corte!

Spesso questi testi presentano tribù di amazzoni, dove gli uomini sono tenuti in condizioni di inferiorità. Eroine vestite di acciaio in lotta contro stregoni subdoli e dalla scarsa virilità, insomma tutto ciò che serve per solleticare l’ego di casalinghe frustrate.

L’ho già spiegato altre volte: è un fatto che nel corso dei secoli quella di portare le armi è stata perlopiù una prerogativa maschile, e voler occultare questo fatto da parte delle femministe, è esattamente l’analogo del “cancel culture” che oggi vorrebbe ridimensionare o cancellare il fatto che le grandi civiltà sono state perlopiù create da popolazioni di etnia europide, si vuole mistificare la storia per renderla “politicamente corretta”.

Se il “modello amazzone” è storicamente perdente, questo non dipende da un “bruto potere maschilista” dell’uomo sulla donna, ma da un innegabile fatto biologico: mentre un uomo potrebbe teoricamente fecondare un numero illimitato di donne, le gravidanze che una donna può portare a termine nella sua vita sono necessariamente limitate, quindi mentre i vuoti nella popolazione maschile possono essere facilmente rimpiazzati, le donne in età fertile rappresentano un capitale biologico troppo prezioso per arrischiarlo sui campi di battaglia.

È altrettanto significativo che l’unico autore uomo che la Vonarburg “salva” sia John R. R. Tolkien. Non dimentichiamo che all’epoca Il signore degli anelli era diventato una specie di “bibbia” degli hippies californiani, sulla base di una lettura volutamente scorretta che ne faceva il campione di una “filosofia” anarcoide, tendente a vedere nella lunga queste di Frodo per distruggere l’anello di Sauron, una ribellione contro il potere in generale, ignorando deliberatamente che nell’opera di Tolkien di contro al potere tirannico di Sauron non c’è il ribellismo anarcoide, ma l’autorità legittima nel suo aspetto sacrale (Gandalf) e in quello civile (Aragorn).

Per lanciare il suo attacco viperino contro Robert Howard e Conan, la Vonarburg non esita a ricorrere a quello che è il massimo della scorrettezza, non cita neppure un rigo di Howard (in effetti, dubito che l’abbia mai letto), e in compenso si diffonde sul romanzo di un mediocre imitatore di Howard, Khotar dalle tasche vuote di Gardner Fox.

In ultima analisi, “la colpa” di Conan è quella di essere un modello di uomo forte, coraggioso e virile, invece del maschio-ciabatta che le femministe vorrebbero manipolare a loro talento e gusto.

Nella mia, purtroppo tardiva, replica al saggio della Vonarburg, facevo notare che costei, per costruire lo stereotipo di un Howard esclusivamente muscolare, arido, privo di sentimenti, non deve aver mai letto neppure un rigo dell’autore texano, e citavo un racconto che non appartiene al ciclo di Conan, ma dove Howard ha probabilmente raggiunto i vertici più alti di lirismo, Per l’amore di Barbara Allen, una delicata storia di un amore spezzato sul tragico sfondo della guerra civile americana.

Purtroppo, l’occasione di dare una risposta adeguata alle fregnacce della Vonarburg mi si è presentata piuttosto tardi. Nel 2002, la rivista “La soglia” di Pistoia (nonostante il suo aspetto spartano, il catalogo Vegetti di fantascienza che in queste cose rappresenta il giudizio ultimo, la accredita come rivista professionale) dedicò un numero speciale a Conan, ricorrevano infatti i settant’anni dalla nascita dell’eroe cimmero uscito dalla penna di Robert Howard, e io fui invitato a dare in mio contributo.

Non me lo feci ripetere, e l’articolo che scrissi, In difesa di Conan, era appunto una demolizione del saggio della Vonarburg, contenente a un dipresso gli argomenti che vi ho esposto.

In conclusione, Robert Howard è un autore che trova nella sinistra un’ostilità feroce, ma in questo non è il solo, è un destino che condivide con Tolkien (ma riguardo a quest’ultimo il discorso è più complesso e ambiguo), Jorge Luis Borges, H. P. Lovecraft, George Orwell.

Contrariamente a quello che diceva Benedetto Croce, il marxismo non è “un paio di occhiali sociologico”, ma un paraocchi, o potremmo dire una paratia che vorrebbe impedire all’uomo di immaginare o semplicemente di pensare.

 

NOTA: Nell’illustrazione, un’iconica rappresentazione di Conan il barbaro, l’eroe creato da Robert Howard.

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