9 Aprile 2024
Sulla strada

Angeli del cielo – Rita Remagnino

Il concetto dantesco di Creazione è anticonvenzionale: dio non ha creato il mondo, imputabile all’azione del Tempo e della Storia, ma solo le cose immateriali, incorruttibili e spirituali che emanano ab aeterno dall’unica fonte possibile, come la luce e i raggi del sole. Ereticamente parlando il poeta ritiene che sia opera divina ciò che non dipende da nulla, essendo «causa», dunque la Creazione sarebbe solo in parte opera di dio, non si tratterebbe di una sua totale invenzione.
Siamo agli antipodi del concetto di «creazione» veterotestamentario (dire, fare, plasmare), vicini invece all’«emanatismo» di derivazione orientale, talora definito «emanazionismo» (dal latino e-manare, “scorrere fuori da” e quindi, per estensione, “trarre origine da”), condiviso anche dal neoplatonismo di Plotino. Nella Bibbia i cieli «periscono», cioè nascono e muoiono, si pensi al Giudizio Universale, mentre nella visione purgatoriale di Dante essi sono eterni, non hanno inizio né principio ma continuamente «si trasformano».
L’affermazione è di un’attualità stupefacente. In sintesi sarebbero dunque opera di dio le bellezze eterne, cioè i corpi celesti (il paese sincero), gli angeli, la materia indistinta precedente alla formazione degli elementi, la «virtù informante» (o influssi) intesa come forza cosmica capace di dare forma insufflando l’anima nella materia indistinta, sia essa destinata a diventare animale, vegetale, minerale, eccetera.
L’idea di animali, piante e pietre dotati di un’anima rientra nella sfera delle credenze dei manichei e dei catari, non certo in quella dei cattolici. Resta da scoprire da dov’è uscito il mondo e chi l’avrebbe fatto. Dio non c’entra, dice Dante sgombrando il campo dagli equivoci. Il posto in cui ci troviamo sarebbe una specie di penitenziario dove le anime vengono a purgarsi, il Male che lo pervade proviene dal Tempo e dalla Storia, cioè dall’azione sovversiva dell’«anti-dio», l’angelo infedele caduto dal cielo. Un fatto ventilato del resto anche nei Vangeli: “Il mio regno non è di questo mondo” (Gv 18, 36); “Il principe di questo mondo sarà gettato fuori” (Gv 12, 3).

 

Ma andiamo a riprendere i due pellegrini là dove li abbiamo lasciati, cioè nell’Antipurgatorio, prima che scappino in avanti. La giornata promette bene e il cielo è sereno come i volti delle anime radunate sulla spiaggia, che già pregustano la gioia della beatitudine celeste. La rugiada ricopre i ciuffi d’erba e resiste ai raggi del sole, in lontananza si vede il tremolare delle onde del mare (Pg I 115-117).
Sono circa le cinque del mattino e perciò in primo piano c’è l’Alba (Pg I 115, IX 52, XIX 5) che culmina con l’Aurora e termina con il levare del sole. Com’è noto l’Aurora boreale e l’Aurora australe sono due fenomeni simili ma non uguali e il viaggio di purificazione del poeta si svolge al Polo Sud. Ciò nonostante egli descrive il sorgere dell’Aurora solare (“la concubina di Titone antico”, IX 1) a oriente nell’emisfero boreale, che qui corrisponderebbe alle nove di sera circa.
I conti non tornano ma ormai alle licenze poetiche siamo abituati. In compenso sappiamo per certo che la risalita del Sacro Monte inizia la mattina di Pasqua (del 25 marzo 1301), metafora della resurrezione spirituale di Dante che “libertà va cercando, ch’è sì cara, / come sa chi per lei vita rifiuta” (Pg I 71-72). Sappiamo anche che il sole è in Ariete, perché questo il poeta lo aveva specificato prima di entrare nella “selva oscura”, e che la notte è in Libra: “la notte… / uscia di Gange fuor con le Bilance, / che le caggion di man quando soverchia” (Pg II 5). Sconosciuta ai Greci la Bilancia (di origine egizia?) faceva già parte dell’elenco delle costellazioni di Tolomeo (48 su 88 oggi conosciute).

 

La scelta del poeta di intraprendere questo cammino è assimilabile alla ricerca della libertà, per cui l’uscita dall’oscurità della schiavitù è illuminata dal faro per eccellenza: il Sole, in versione nascente e calante (la Verità). Il suo opposto è la Notte (l’Ignoranza), che peraltro nel regno intermedio trasuda speranza da tutti i pori e non appare mai completamente buia bensì consolata dalla Stella Polare, accompagnata dagli astri e assistita dagli Angeli, sempre aggiornati su ciò che accade sulla Terra. “Voi [gli Angeli] vigilate ne l’etterno die, / sì che notte né sonno a voi non fura / passo che faccia il secol, per le sue vie” (Pg XXX 103-105).
A oriente splende fulgidissimo “lo bel pianeto che d’amar conforta”, Venere, il quale vela con la sua luce le piccole stelle dei Pesci (Pg I 19-21); a sud, verso il polo antartico, “quattro stelle / non viste mai fuor ch’a la prima gente” movimentano il cielo con le loro fiammelle (vv. 23-25).
Questo è il quadro generale, nello specifico sono un enigma le stelle del cielo australe che al mattino sono quattro e alla sera diventano tre. I commentatori hanno dato a questi «lumi» un significato simbolico, ritenendoli i simboli delle quattro virtù cardinali e delle tre virtù teologali indispensabili alla salvezza. Noi, però, non c’infileremo nel labirinto creato dai filologi del XIX secolo che «avevano la religione nel cervello», come ha osservato Giorgio De Santillana in Sirio, e pertanto interpretavano ogni termine astronomico, metrologico e storico con qualche termine «religioso», finendo immancabilmente per uscire di strada.
Daremo invece per scontato che Dante parli in termini astronomici e non allegorici, visto che la sua poderosa cultura tradizionale gliene offre la possibilità. Dopotutto vede correttamente l’Orsa Maggiore al tramonto nell’emisfero boreale, ricordando persino la presenza in quella porzione di cielo di costellazioni “non viste mai fuor ch’a la prima gente”. Era al corrente del fatto che il Sapiens in tempi primordiali scese dall’Artico? O gli indizi sono ammessi nel contesto religioso ma quando si tratta di Storia non valgono?

C’era nell’Europa medioevale una cultura astronomica di tutto rispetto giunta per vie traverse da est, probabilmente dai Sabei di Harran, le speculazioni dei quali offrirono a svariate generazioni di ricercatori e letterati l’opportunità di ricamare sui significati racchiusi nei disegni stellari.
Nel VII secolo i commentatori arabi segnalarono la presenza dei Sabei nella regione yemenita, in Iraq e in Siria. Tra il VII e il X secolo consistenti spostamenti portarono queste genti prima in Armenia e poi in Bulgaria, dove avvenne l’incontro con il paulicianesimo (la setta dualista dei figli di Paolo di Tarso), imparentato con il manicheismo, a sua volta legato allo zoroastrismo, considerato il credo religioso più antico del mondo (1200 a.C. circa), il quale influenzò tutte le fedi successive riguardo a concetti prima di allora sconosciuti quali il premio e la condanna, la punizione e il senso di colpa.
L’abbiamo presa un po’ alla larga ma il cerchio sta per chiudersi, ancora un po’ di pazienza. Al manicheismo si ispirò il bogomilismo, che nonostante le persecuzioni riuscì ad espandersi in tutta la penisola balcanica, rimanendo vivo fino al XV secolo. Venivano spesso etichettati come «bulgari» i Catari in fuga da est verso l’Italia e la Francia, e com’è facile intuire l’epiteto aveva un’accezione negativa e dispregiativa.
Per estensione «bulgaro» (dal latino medievale bulgarus) diventava «eretico», «usuraio», «sodomita», da cui l’odierno «buggerare». La qual cosa è sconfortante perché tocca constatare a distanza di secoli la rovinosa caduta in verticale degli Europei, giunti ormai sul fondo del pozzo. Oggi i figli della Vecchia Signora che non si allineano al pensiero dominante sono trattati come semianalfabeti un po’ duri di comprendonio che s’informano solo sui social e credono alle teorie del complotto. Epoca che vai insulti che trovi, solo le persone non cambiano mai.

 

Ultimi custodi di antichissime tradizioni, gli eredi dei Sabei dislocati tra l’Anatolia sudorientale e il nord della Siria iniziarono attorno al I millennio a.C. a costruire templi a pianta circolare per ognuno dei Cinque Principi cosmologici supremi (il Demiurgo, l’Anima del Mondo, la Materia eterna, lo Spazio e il Tempo), a pianta ottagonale per la Luna, esagonale per Saturno, quadrata per il Sole, triangolare per Giove, rettangolare per Marte, un triangolo inscritto in un quadrato per Venere, un triangolo in un rettangolo per Mercurio.
Era considerato indispensabile fornire al fedele raccolto in meditazione l’ispirazione giusta e la geometria collegata alla simbologia tradizionale, fatta del materiale appropriato e ornata dai colori corrispondenti, favoriva il raggiungimento dello scopo. La liturgia del giorno consacrato all’astro comprendeva anche gesti, profumi e suoni dedicati che contribuivano a completare la scenografia, rendendola ancora più suggestiva. Il rito era preferibilmente individuale perciò il fedele che desiderava avere un «colloquio confidenziale» con uno dei Sette astri doveva presentarsi personalmente indossando vesti di un certo colore, dopo di che bruciava determinati incensi e salmodiava determinate invocazioni.
La dottrina dei Sabei proclamava l’invisibile Unità divina e la sua pluralizzazione nei visibili Templi stellari. Introdusse il concetto dei Sette Angeli che reggevano i Sette Pianeti, ognuno di essi con il suo Tempio, ovvero la forma di un astro, che aveva il suo Cielo e la sua Sfera. Da questo universo nascevano le anime, a questo universo le anime facevano ritorno.
Da tale visione deriva probabilmente la concezione platonica secondo cui le anime prima d’incarnarsi conducono un’esistenza astrale che le associa ognuna a un «astro compagno». Aristotele legò questa parentela tra anime e astri alla «quinta essenza», l’Etere, di cui a quei tempi si credeva fossero composti i corpi celesti.

L’ascesa delle religioni monoteiste (islamica e cristiana principalmente) ridimensionò notevolmente la portata di queste riflessioni, relegando gli Angeli che reggevano i Sette Pianeti al ruolo di semplici «mediatori» tra la deità suprema e gli umani. Intelligenze superiori che seguivano come «ombre» la vita degli uomini. Andando avanti la gara al ribasso si fece serrata, per non dire agguerrita; ma nonostante le intromissioni, le resistenze, le smentite, le accuse di eresia e le condanne, la concezione «stellare» diffusa dai Sabei di Harran non morì mai del tutto, continuando a fluire nei circoli iniziatici e nelle sette eretiche.
Quella dei Catari, ad esempio, sulla scia delle antiche conoscenze elaborò nel XII secolo un sistema scientifico fondato sulla dottrina delle corrispondenze cosmiche in cui la Luna veniva gemellata con la Grammatica; ne consegue che l’arte di intrecciare le parole, o poetica, era una tecnica squisitamente lunare, cioè femminile, e guarda caso il Purgatorio dantesco si svolge a spirale attorno al «cono di Astarte» del Sacro Monte.
La parte «solare» attribuita all’aritmetica costituiva il Centro, il perno, il punto di convergenza di tutte le altre scienze. Una delle ragioni per cui i Catari furono perseguitati e arsi vivi in mezza Europa fu proprio il respingimento dell’idea di un dio in sembianze di vegliardo barbuto dall’aria severa e giudicante. In modo molto antico, cioè estremamente moderno, questi buoni cristiani non cattolici concepivano il Divino come una particella atomica, un corredo genetico, un processo mnemonico, un Grande Pensiero dalle infinite possibilità che permeava con il suo «stampo» ogni cosa manifestandosi essenzialmente attraverso il suono, ovvero una vibrazione in perfetta sincronicità creativa, nella giusta misura maschile e femminile. Avete presente il regno della polifonia creato da Dante, cioè la musica divina prodotta in Paradiso dalle sfere celesti? Bene, siamo arrivati.

 

Avventurarsi sulla strada della purificazione senza queste premesse sarebbe stato come partire per un lungo viaggio senza la borraccia dell’acqua, e certe imprudenze poi si pagano. All’opposto dunque dell’Inferno, dove la vista del soffitto stellare è preclusa, sul Sacro Monte dantesco le anime non fanno altro che «guardare in alto». Il cielo è il mezzo che dio ha posto in essere per chiamare l’uomo a sé. “Chiamavi ‘l cielo e ‘ntorno vi si gira, / mostrandovi le sue bellezze etterne, / e l’occhio vostro pur a terra mira; / onde vi batte chi tutto discerne” (Pg XIV 148-151).
La poesia del cielo è più grande nel Purgatorio che nel Paradiso, osserva Momigliano; né avrebbe potuto essere qualcosa di diverso dato che proprio girando attorno al Sacro Monte l’anima divisa ritrova la sua unità avendo contezza del legame tra i singoli elementi, indissolubile persino dopo la morte fisica di uno di essi. Il Tutto è tenuto insieme da corrispondenze, correlazioni, consonanze e sintonie che si perpetuano all’infinito al fine di mantenere una condizione costante di equilibrio cosmofisico e cosmodinamico nel rispetto della ciclica legge universale.
La bellezza eterna degli astri, ben diversa dalle bellezze effimere presenti sulla Terra, è motivo di elevazione spirituale per l’anima, come pure il conforto dei custodi divini. I Cieli e gli Angeli, fa dire Dante agli interpreti della Commedia, sono fatti della stessa pasta. Anche per questo motivo la visione dell’uomo è stata squisitamente «cosmica» per millenni, rimanendo tale fino a Descartes.
Parlando con frequenza di entrambi i motori, gli Angeli e i Cieli, il poeta dimostra di conoscere l’esistenza di una religione «stellare» antecedente a quella «solare». Altrettanto antica è la visione secondo cui qualsiasi evento degno di nota debba appartenere ad almeno due mondi (il cielo e la terra, il visibile e l’invisibile), perché in fondo la realtà terrestre altro non è che un riflesso della sfera celeste.
Si torna al «come in cielo così in terra» di Ermete Trimegisto, al detto confuciano «il sole e la terra non sono che unico corpo», al «sia fatta la tua volontà del Padre Nostro cristiano che le anime in transito nel Purgatorio dantesco recitano lungo il percorso di liberazione, e via dicendo. Sono germogliate da questi semi le antiche Tradizioni Misteriche, in particolare quella pitagorica il cui fine consisteva nel perfezionamento del singolo da ottenersi mediante il rito, proprio come nel Purgatorio dantesco.

 

Dentro e fuori il chiostro-montagna è tutto un rincorrersi di apparizioni angeliche e metafore astronomiche. Qui gli Angeli non svolgono semplici funzioni di custodia ma aiutano materialmente le anime a liberarsi dalle conseguenze spirituali derivanti dai peccati terreni. Spetta a loro indicare la strada giusta per passare dal desiderio del bene alla sua completa realizzazione.
A questo scopo ognuno dei sette balzi ha il suo angelo-custode (i Sette Angeli dei Sabei), ai quali Dante aggiunge l’angelo traghettatore, che dalla sponda del Tevere conduce le anime alla sponda dell’Antipurgatorio (Pg II 13-51), i due angeli nella valletta dei prìncipi (Pg VIII 19-42), l’angelo portinaio davanti alla soglia del Purgatorio (Pg IX 70-93).
Il primo ministro del Paradiso a comparire è l’Angelo Traghettatore davanti al quale, dice il custode Catone l’Uticense, bisogna presentarsi purificati, cioè con il viso ripulito del fumo dell’Inferno e delle lacrime versate, nonché con i fianchi stretti da un giunco liscio, “l’umile pianta” che sigilla il voto di piena sottomissione alla volontà divina.
Temperato dai vapori dell’alba l’essere celestiale sembra Marte quando offuscato dal mattino rosseggia ad ovest sulla superficie del mare (Pg II 13-18). Si dirige verso le anime accalcate sulla riva, disorientate e incerte sulla direzione da prendere, emanando una luce biancastra che lampeggia ai lati e spunta da sotto la veste. Guida a pelo d’acqua “il vasello snelletto e leggero” senza strumenti umani, usando le ali al posto delle vele.
Secondo la imperscrutabile volontà divina dirà lui chi può salire e chi no; gli uomini devono adeguarsi, non potendo capire la complessità dell’intero disegno. Su questo punto Virgilio è categorico: accontentatevi, uomini, di ciò che vi è stato rivelato; se aveste potuto vedere tutto, non sarebbe stato necessario che Maria partorisse Gesù (Pg III 36-39).

 

Un po’ diversi dagli altri sparvieri celesti sono invece gli Angeli posti “a guardia de la valle, / per lo serpente che verrà vie via”. Compaiono nella cosiddetta «valletta dei principi» vestiti del colore della speranza: “Verdi come fogliette pur mo nate / erano in veste, che da verdi penne / percosse traean dietro e ventilate” (Pg VIII 28-30). In mano hanno spade spuntate che esprimono una forza ridotta e per ciò stesso eroica. Venendo da un grembo femminile, quello della Vergine, essi conservano attitudini umane, come per esempio la politica, è infatti affidato alla loro capacità di mediazione il compito di respingere il diabolico Serpente.
Inutile dire che oggi la politica è un soggetto completamente diverso da quello conosciuto dal poeta, non ci sono Angeli né Arcangeli capaci di esercitarla, sebbene la speranza sia sempre l’ultima a morire. Purtroppo l’uomo del XXI secolo non vede al di là del proprio naso, ignora le corrispondenze astronomiche, non sa nulla dei percorsi dell’anima, di purificazione, di liberazione.
Era scritto, del resto, che la dimenticanza sarebbe stata la cifra dell’umanità ultima, regina della mediocrità. Per darci un tono affermiamo allegramente di essere «figli delle stelle», imbeccati dagli scienziati che confermano l’origine cosmica della metà del corpo umano. La galassia in cui ci troviamo assorbe annualmente una quantità di pulviscolo stellare pari al peso del Sole, così che ogni cosa sulla Terra ne è impregnata, noi compresi. Se però non siamo in grado di recepire alcun messaggio proveniente dall’alto, né sapremmo in alcun modo cosa risponde nel caso ne arrivasse uno, significa che la comunicazione è inesistente e la parentela virtuale.

 

Pochissimi fortunati mortali oggi hanno la possibilità di vedere il cielo stellato e vivere lontani dall’inquinamento luminoso che affligge le aree urbane del pianeta. Ancora più rara è la percezione della «scintilla angelica», o divina, nascosta dentro ciascuno di noi. Ma chi ci vieta di regalare a noi stessi più tempo per osservare, pensare, ricamare trame di senso attorno alle ragnatele luminose che brillano in cielo?
Come sempre dio, il re eterno, muove le grandi sfere celesti. Il soffitto del mondo è lo stesso che copriva il mondo dei Sabei di Harran e di Dante, il quale suggerisce al lettore di imitare il falcone quando guarda prima a terra e poi si volge al richiamo del padrone spinto dal desiderio del cibo (spirituale) di cui ha bisogno per vivere. “Bastiti, e batti a terra le calcagne: / li occhi rivolgi al logoro che gira / lo rege eterno con le rote magne” (Pg XIX 61-63).
Con questa immagine grandiosa il poeta riesce a farci vergognare di noi stessi. Nonostante la sua vana gloria l’uomo tecnologico è un essere piccolo, rozzo, primitivo, lontano da qualsiasi concezione metafisica della vita e incapace di stare in piedi da solo, tant’è vero che ha dovuto dotarsi di stampelle digitali, cibernetiche, farmacologiche.
Il risveglio sarà scioccante quando ci accorgeremo con orrore che i computer creano altri computer (si persi alle potenzialità di ChatGPT) per cui il mondo può benissimo andare avanti senza di noi. Nel frattempo i nostri corpi non saranno diventati immortali, come promesso dall’ideologia transumanista, né la nostra intelligenza si sarà dimostrata superlativa. Semplicemente avremo perso dio, ovvero noi stessi. E’ tardi, forse, per tirare i remi in barca. Tuttavia gli angeli e i cieli non hanno mai smesso di esercitare i loro influssi sui terrestri, che già stanno cambiando, ma senza meriti.

Ricercatrice indipendente, scrittrice e saggista, Rita Remagnino proviene da una formazione di indirizzo politico-internazionale e si dedica da tempo agli studi storici e tradizionali. Ha scritto per cataloghi d’arte contemporanea e curato la pubblicazione di varie antologie poetiche tra cui “Velari” (ed. Con-Tatto), “Rane”, “Meridiana”, “L’uomo il pesce e l’elefante” (ed. Quaderni di Correnti). E’ stata fondatrice e redattrice della rivista “Correnti”. Ha pubblicato la raccolta di fiabe e leggende “Avventure impossibili di spiriti e spiritelli della natura” e il testo multimediale “Circolazione” (ed. Quaderni di Correnti), la graphic novel “Visionaria” (eBook version), il saggio “Cronache della Peste Nera” (ed. Caffè Filosofico Crema), lo studio “Un laboratorio per la città” (ed. CremAscolta), la raccolta di haiku “Il taccuino del viandante” (tiratura numerata indipendente), il romanzo “Il viaggio di Emma” (ed. Sefer Books). Ha vinto il Premio Divoc 2023 con il saggio “Il suicidio dell’Europa” (ed. Audax Editrice). Attualmente è impegnata in ricerche di antropogeografia della preistoria e scienza della civiltà.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *